Cerca nel blog

martedì 26 gennaio 2010

David Foster Wallace visto da Vito Antonio Conte

“Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: - Salve ragazzi. Com'è l'acqua? - I due pesci giovani nuotano un altro po', poi uno guarda l'altro e fa: - Che cavolo è l'acqua?”. (...)
Perché David Foster Wallace sì è suicidato?
“Ci sono due tizi seduti a un bar nel cuore selvaggio dell'Alaska. Uno è credente, l'altro è ateo, e stanno discutendo l'esistenza di Dio con quella foga tutta speciale che viene fuori dopo la quarta birra. L'ateo dice: - Guarda che ho le mie buone regioni per non credere in Dio. Ne so qualcosa anch'io di Dio e della preghiera. Appena un mese fa mi sono lasciato sorprendere da quella spaventosa tormenta di neve lontano dall'accampamento, non vedevo niente, non sapevo più dov'ero, c'erano quarantacinque gradi sottozero e così ho fatto un tentativo: mi sono inginocchiato nella neve e ho urlato: - A quel punto il credente guarda l'ateo confuso: - Allora non hai più scuse per non credere, - dice. - Sei qui vivo e vegeto -. L'ateo sbuffa come se il credente fosse uno scemo integrale: - Non è successo un bel niente, a parte il fatto che due eschimesi di passaggio mi hanno indicato la strada per l'accampamento”. (...)
Perché David Foster Wallace si è suicidato?
Forse, anzi senza forse, la domanda giusta, pensando a Wallace, per quel poco che di lui so, è: perché, nel genere umano (ma, almeno sembra, anche in quello animale: penso agli elefanti che si lasciano morire... o a certi spiaggiamenti sospetti di cetacei... o -pure- a certi voli insensati delle rondini...), alcuni compiono gesti d'irrimediabile autolesionismo? Perché? Tradotta in tutte le lingue, questa parola (why, pourquoi, warum...), riferita alla fine autoinflitta, significa sempre e soltanto un interrogativo senza alcuna risposta univoca. Quand'ero universitario (Facoltà di Giurisprudenza, come tutti quelli che non sapevano cosa cazzo fare nella vita -nel mio caso, però, avendo chiaro cosa volevo farne della vita-), rammento che per sostenere l'esame di “Sociologia” (mutuato dalla Facoltà di Magistero) bisognava studiare tre testi: il primo: non so di chi fosse né come si titolasse (e, invero, mi sfugge anche il contenuto), il secondo: “La devianza” di Tamar Pitch, il terzo: “Le tappe del pensiero sociologico” di Aron Raymond. Un mio conoscente -poco più che ventenne...- si era buttato sotto un treno... e nessuno -al mio paese- aveva compreso le ragioni di quel gesto. Pochi, forse, se l'erano chiesto davvero. Io ne parlai con qualche mio amico. E non trovammo risposte. Esaurienti, intendo. Fu anche per questo se decisi di fare quell'esame. Per approfondire. Leggendo chi l'argomento aveva trattato approfondendolo. Così incontrai Aron Raymond e... il suicidio... sulla carta. Quello che cercava di spiegare i motivi del suicidio reale. In particolare, mi colpì quanto era stato elaborato, in proposito, da Emile Durkheim. Dopo aver chiarito che la sociologia non è (e non dev'essere) una filosofia della storia con la presunzione di scoprire le regole generali che improntano la marcia del progresso dell'intera umanità, nè una metafisica in grado di determinare la natura della società, né psicologia o filosofia, Durkheim affermò che la sociologia è una scienza -autonoma e diversa dalle altre scienze- il cui oggetto di indagine specifica dovevano essere i “fatti sociali” (intesi “come delle cose” del tutto irriconducibili ai “fatti della coscienza individuale”, anzi determinanti questi ultimi). “Quasi tutto ciò che si trova nelle coscienze individuali viene dalla società”: è un pensiero di Durkheim che spiega bene il concetto sopra espresso. E, all'un tempo, una qualche affinità e la distanza di tale pensiero da quello di Wallace... Dopo aver discusso della predisposizione psicologica e della determinazione sociale del suicidio, Durkheim distinse, basandosi su delle comparazioni statistiche, tre tipi di suicidio inerenti tre tipi di solidarietà sociale. Il suicidio altruistico: provocato da motivi sociali, come quando un uomo si uccide per evitare il disonore, o come quando una persona anziana di una tribù nomade si toglie la vita per evitare di essere di peso al gruppo (probabilmente quello più vicio al mondo animale). Il suicidio egoistico: tipico di una situazione sociale in cui prevalgono la responsabilità, l'iniziativa individuale e la libera scelta personale. Il suicidio anomico: anomia è una situazione sociale in cui non esistono più leggi e regole, ovvero le stesse sono confuse e contraddittorie. In tale situazione, anche se il gruppo permane, non c'è più solidarietà e l'individuo non ha più punti di riferimento. L'anomia è uno stato di disordine e Durkheim si rese conto che la percentuale dei suicidi aumentava nelle epoche di forte depressione economica e di dissesto sociale, siccome cresceva pure nei periodi di prosperità inattesa e improvvisa: la depressione e la prosperità porterebbero, secondo Durkheim, al crollo delle aspettative e con ciò all'aumento dei suicidi. Non aggiungerò altro su Durkheim e sulle sue teorie. Rifletto soltanto che -forse- il suicidio anomico è quello più calzante alla condizione umana attuale. Senza con ciò risolvere alcunché, ovvio! C'è che mi riesce di estrema difficoltà comprendere i motivi del suicidio. In generale. E di Wallace, in particolare. Per quanti ce ne possano essere. Non è che non comprendo le ragioni di un suicidio... Ripeto, ce ne sono infinite. È che -pur avendoci pensato- c'è qualcosa che mi sfugge. E non mi interessa il coraggio ovvero la vigliaccheria che inducono a farla finita. Non è questo. Non sono i suicidi in carcere, né quelli per disperazione, impotenza, sofferenza, delusione o male di vivere... Qualcosa mi sfugge e non vi tedierò più con le domande, però chiedetevelo. Forse, nel caso di Wallace, la chiave è il concetto di “disadattato” a poter aprire uno spiraglio. Forse, è nella natura delle cose. So che, se non avessi saputo che Wallace si è impiccato (e non tirato un colpo d'arma da fuoco alla testa...), non avrei mai immaginato, dopo aver letto “Questa è l'acqua” (Einaudi Stile Libero), che David Foster potesse compiere un simile gesto... per quanto Durkheim... l'avesse già detto. “Questa è l'acqua” è stato pubblicato nel primo anniversario della morte di Wallace e raccoglie sei testi, di cui quello che dà il titolo al libro è l'ultimo ed è la trascrizione del discorso che DFW tenne nel 2005 ai laureandi del Kenyon College. “Questa è l'acqua” è il mio primo vero contatto con DFW. E ringrazio Cristina, che mi ha fatto dono di questo libro. Un libro che dovrebbe essere inserito nell'elenco dei libri di testo di ogni scuola, di ogni ordine e grado. Un libro che suggerisce un modo altro di imparare a pensare. Un libro che sposta il sentire dalla “modalità predefinita”, dall'attenzione naturale e codificata puntata sul proprio ego, all'ascolto delle voci e dei silenzi esterni che, invero, coincide -se impariamo a come e a cosa pensare- con quel che succede dentro depurato dalle modalità predefinite. “Il cosiddetto non vi dissuaderà dall'operare in modalità predefinite, perché il cosiddetto degli uomini, del denaro e del potere vi accompagna con quel suo piacevole ronzio alimentato dalla paura, dal disprezzo, dalla frustrazione, dalla brama e dalla venerazione dell'io. La cultura odierna ha imbrigliato queste forze in modi che hanno pèrodotto ricchezza, comodità e libertà personale a iosa. La libertà di essere tutti sovrani dei nostri minuscoli regni formato cranio, soli al centro di tutto il creato. Una libertà non priva di aspetti positivi. Ciò non toglie che esistano svariati generi di libertà, e il genere più prezioso è spesso taciuto nel grande mondo esterno fatto di vittorie, conquiste e ostentazione. Il genere di libertà davvero importante richiede attenzione, consapevolezza, disciplina, impegno e la capacità di tenere davvero agli altri e di sacrificarsi costantemente per loro, in una miriade di piccoli modi che non hanno niente a che vedere col sesso, ogni santo giorno. Questa è la vera libertà. Questo è imparare a pensare. L'alternativa è l'inconsapevolezza, la modalità predefinita, la corsa sfrenata al successo: essere continuamente divorati dalla sensazione di aver avuto e perso qualcosa di infinito... Per come la vedo io è la vertà sfrondata da un mucchio di cazzate retoriche... Qui la morale, la religione, il dogma o le grandi domande stravaganti sulla vita dopo la morte on c'entrano. La Verità con la V maiuscola riguarda la vita prima della morte. Riguarda il fatto di toccare i trenta, magari i cinquanta, senza il desiderio di spararsi un colpo in testa. Riguarda il valore vero della vera cultura, dove voti e titoli di studio non c'entrano, c'entra solo la consapevolezza pura e semplice: la consapevolezza di ciò che è così reale e essenziale, così nascosto in bella vista sotto gli occhi di tutti da costringerci a ricordare di continuo a noi stessi: . Farlo, vivere in modo consapevole, adulto, giorno dopo giorno, è di una difficoltà inimmaginabile...”. Sono appena andato a votare alle primarie. Ho pensato alla mia esperienza, a quella che ho acquisito con la modalità predefinita. A quelle di altri, per quanto posso. Poi, a quella di dentro. Ho segnato Nichi Vendola con la matitona nera/black/noir made in China... Spero che vinca lui. Ché ho ancora -nonostante tutto- voglia di vedere come andrà a finire.
Chissà?
Quando leggerete questo pezzo lo sapremo tutti.
Chissà?
Nichi, secondo me, lo sa.
Pur continuando, anche lui, a chiedersi: - Perché si è ucciso DFW?

fonte iconografica: http://theexperiencegalleryblog.files.wordpress.com/2009/08/david-wallace.jpg

Nessun commento:

Posta un commento

I prodotti qui in vendita sono reali, le nostre descrizioni sono un sogno

I prodotti qui in vendita sono per chi cerca di più della realtà

Cerca nel blog

Galvion, un robot combattente altamente tecnologico

PUBBLICITA' / ADVERTISING Galvion è il nome di un robot combattente protagonista di due opere distinte ma intrecciate: un anime e un man...