«Ciao maschio», la nuova pièce interpretata da Cristina Donadio e diretta da Raffele Di Florio, partorita dall’omonimo volu¬me di Valeria Parrella, edito da Bompiani, è a teatro e in libreria. Con assoluto tempismo, oggi che non si fa che parlare di crisi delle identità. Un titolo come questo non può che evocare quello che fu il cult movie, pluripremiato, diretto da Marco Ferreri nel 1978. In quel surreale teorema cinematografico già si annunciava che un flagello s’era abbattuto sul mondo: la crisi della coppia. Si vaticinava la fine del mondo, dacché l’intera civiltà contemporanea sembrava ormai pronta ad alzar bandiera bianca, travolta dallo smarrimento e dal sarcasmo. Quello stesso clima di stupore e sconcerto lo ritroviamo nell’ultima opera di Valeria Parrella, autrice ormai solida e di certo non nuova a problematiche sociali. È bella la parola “Ciao”, lo afferma l’autrice, bella perché duale. Attiene sia all’incontro che al commiato. Raccoglie in sé i semi della speranza, come quelli della disperazione. Allude al cambiamento. Ed è bella anche la parola “maschio”, a pensarci, ancor più oggi che sembra avere acquistato una nuova ambivalenza. Il punto di vista scelto da Valeria Parrella per questa analisi è quello di una sessantenne. Questa Lei, in un’assurda notte d’ospedale, dopo un delicato intervento chirurgico, si ritrova a riflettere sulla propria esistenza. Il suo è un palcoscenico evanescente, impersonale, senza confini e per questo assai comune. La donna ne è protagonista insieme al suo passato. Tutti gli uomini della sua vita dialogano con lei in un soliloquio pieno di domande. Fantasmi, inquieti, fragili, ma ancora capaci di far male. Ogni risposta è uno strappo e una sorpresa, mentre la vita di tutti diventa campo di lotta collettiva, tra malinconia, recriminazioni e desiderio. Il tema è l’amore, per questo le domande che ne derivano sono piene di pudore, temono l’equivoco, la strumentalizzazione. Il testo è duro, perché dure sono le domande alle quali siamo chiamati. Quale è diventata la vocazione del maschio e della donna nei nuovi rapporti di coppia? Quali sono i nuovi desideri? Con quali debolezze e quali esiti ci confrontiamo ogni giorno? Cosa ci rende felici, cosa infelici? Perché non soltanto i ruoli tradizionali sono messi in discussione oggi, non solo il transgenico schizofrenico passare da un piano ad un altro, da vittima a carnefice, da oggetto a soggetto, da uomo a donna, ma il senso da dare alla personale ricerca della felicità. A qualunque età, ad ogni latitudine, da soli o in coppia. Non a caso la vicenda teatrale si chiude con una frizzante conversazione tra l’autrice e l’attrice Lella Costa e con una storiella conclusiva. Qui una vecchia, saggia e laida, aiuta Re Artù a comprendere quale sia la cosa più desiderata dalle donne: la libertà di essere quello che possono essere. La parola “libertà” pare essere la chiave di tutto, quindi. Una parola che non ha sesso, ma richiede mediazione.
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lunedì 18 gennaio 2010
La pièce"Ciao Maschio!" tratta dall'omonimo libro di Valeria Parrella edito da Bompiani viene recensita da Elisabetta Liguori
«Ciao maschio», la nuova pièce interpretata da Cristina Donadio e diretta da Raffele Di Florio, partorita dall’omonimo volu¬me di Valeria Parrella, edito da Bompiani, è a teatro e in libreria. Con assoluto tempismo, oggi che non si fa che parlare di crisi delle identità. Un titolo come questo non può che evocare quello che fu il cult movie, pluripremiato, diretto da Marco Ferreri nel 1978. In quel surreale teorema cinematografico già si annunciava che un flagello s’era abbattuto sul mondo: la crisi della coppia. Si vaticinava la fine del mondo, dacché l’intera civiltà contemporanea sembrava ormai pronta ad alzar bandiera bianca, travolta dallo smarrimento e dal sarcasmo. Quello stesso clima di stupore e sconcerto lo ritroviamo nell’ultima opera di Valeria Parrella, autrice ormai solida e di certo non nuova a problematiche sociali. È bella la parola “Ciao”, lo afferma l’autrice, bella perché duale. Attiene sia all’incontro che al commiato. Raccoglie in sé i semi della speranza, come quelli della disperazione. Allude al cambiamento. Ed è bella anche la parola “maschio”, a pensarci, ancor più oggi che sembra avere acquistato una nuova ambivalenza. Il punto di vista scelto da Valeria Parrella per questa analisi è quello di una sessantenne. Questa Lei, in un’assurda notte d’ospedale, dopo un delicato intervento chirurgico, si ritrova a riflettere sulla propria esistenza. Il suo è un palcoscenico evanescente, impersonale, senza confini e per questo assai comune. La donna ne è protagonista insieme al suo passato. Tutti gli uomini della sua vita dialogano con lei in un soliloquio pieno di domande. Fantasmi, inquieti, fragili, ma ancora capaci di far male. Ogni risposta è uno strappo e una sorpresa, mentre la vita di tutti diventa campo di lotta collettiva, tra malinconia, recriminazioni e desiderio. Il tema è l’amore, per questo le domande che ne derivano sono piene di pudore, temono l’equivoco, la strumentalizzazione. Il testo è duro, perché dure sono le domande alle quali siamo chiamati. Quale è diventata la vocazione del maschio e della donna nei nuovi rapporti di coppia? Quali sono i nuovi desideri? Con quali debolezze e quali esiti ci confrontiamo ogni giorno? Cosa ci rende felici, cosa infelici? Perché non soltanto i ruoli tradizionali sono messi in discussione oggi, non solo il transgenico schizofrenico passare da un piano ad un altro, da vittima a carnefice, da oggetto a soggetto, da uomo a donna, ma il senso da dare alla personale ricerca della felicità. A qualunque età, ad ogni latitudine, da soli o in coppia. Non a caso la vicenda teatrale si chiude con una frizzante conversazione tra l’autrice e l’attrice Lella Costa e con una storiella conclusiva. Qui una vecchia, saggia e laida, aiuta Re Artù a comprendere quale sia la cosa più desiderata dalle donne: la libertà di essere quello che possono essere. La parola “libertà” pare essere la chiave di tutto, quindi. Una parola che non ha sesso, ma richiede mediazione.
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