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sabato 19 dicembre 2009

Omicidio a Road Hill House ovvero invenzione e rovina di un detective. Storia di un omicidio datato 1860 (Einaudi). Di Maria Beatrice Protino

Il romanzo di Kate Summerscale (Einaudi 2008) vince il prestigioso Samuel Johnson Prize 2008 per la saggistica e conquista un vastissimo pubblico. La sua forza: poter essere letto a diversi livelli, cioè come un giallo ambientato in epoca vittoriana, come ricostruzione storica di una vicenda realmente accaduta e documentata in modo ineccepibile e chiaro, come significativo ritratto di un’epoca – quella del diciannovesimo secolo inglese - dominata da un’opinione pubblica ancora stretta in fortissimi pregiudizi, ma anche epoca d’oro del romanzo inglese e della creazione della figura del detective. In una notte d’estate del 1860, in un’elegante casa in stile georgiano del Wiltshire - di cui vengono riportati foto e planimetrie dell’epoca - mentre tutti dormono, un bambino di tre anni, Saville Kent, viene prelevato dalla suo lettino e assassinato. I genitori che dormono nella stanza accanto e la bambinaia che riposa addirittura nella stessa stanza del bimbo, non si accorgono di niente. Solo il mattino dopo l’orribile scoperta nel giardino della casa: il bambino è stato sgozzato e avvolto in una coperta. La polizia locale, prima ad arrivare sul posto, si dimostra incapace di indagare, così viene mandato sul posto l’ispettore di Scotland Yard Jack Whicher: lui, per primo, userà metodi di indagine che poi diventeranno famosi al pubblico dei romanzi gialli di Dickens, Stevenson o Conrad, che si ispireranno proprio alla sua figura per creare i loro personaggi immaginari. Le conclusioni del detective, però, non saranno accettate: solo in un secondo momento e dopo anni - che vedranno pagine di quotidiani e fantomatiche giurie popolari affannate attorno ad un caso - si riveleranno esatte. Leggere questo libro significa scorrere la storia di un’epoca, oltre che quella di un omicidio: dai continui riferimenti letterari alla narrativa vittoriana - a dimostrare di come una parte essenziale della scuola gialla inglese affondi le sue radici proprio in questo caso di cronaca - alla recente invenzione della figura del detective - un poliziotto in borghese, ancora poco conosciuto dall’opinione pubblica e che, proprio grazie alle prime pagine del giornali che per anni si interrogarono morbosamente sul reale assassino del bimbo, fu dipinto ora come un eroe ora come un intruso nelle mura domestiche della ricca casa borghese, terrorizzata dallo scandalo. Ma la scrittrice offre anche una visione interna del delitto, attraverso la presentazione di uno scritto di pugno dell’assassino, ritrovato decenni dopo e che lascia poco all’immaginazione e molto alla pietà. La riflessione finale della scrittrice, attenta e sensibile alla vicenda umana, lascia il solito retrogusto amaro di chi non può intervenire in alcun modo sugli esiti della vicenda: «.. immagine che ci restituisce il bambino in vita, un bambino che si sveglia e di colpo si vede perduto. Quando ho letto queste parole mi sono ricordata, con un sussulto, che Saville è esistito davvero, che era vivo e vegeto. Nel dipanare la matassa di questo delitto me ne ero come dimenticata».

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