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domenica 11 ottobre 2009

L'offesa e l'ignoranza di Vito Antonio Conte















Mai disturbare il riposo dei defunti.
Mai inquinarne la memoria,
specialmente se non si è depositari
delle loro ultime volontà,
ignorando o facendo finta d'ignorare
la verità.
Mai sparlare dei vivi,
specialmente quando l'assurdo dire
(per non dire altro)
è, oltre tutto, ingrato.
Mai perseverare nell'offesa
intanto che regna il silenzio.
Ho quasi del tutto messo al bando dal mio tempo l'informazione e/o (fate Voi) quel che ne resta. Raramente “sfoglio” blogs e similari e quando lo faccio è per pochi minuti. Leggo comunque poco e scrivo ancora meno. Rimane il grafomane che (da sempre) dimora in me. Ma questo, l'ho già detto e scritto, è altra cosa. L'altra scrittura, quella mia, cova dentro... Ché quella sgorga come il sangue dal mento quando radendoti erri nel dosare la pressione del rasoio sulla pelle. Un rivolo -per quanto copioso- che evoca tutto quel che inutilmente o per una ragione qualunque scorre dappertutto. C'è che, dopo la refrattarietà (nota a chi mi segue, in un modo qualsiasi) che m'ha preso all'inizio di quest'anno -e i cui strascichi (voluti) persistono- per tutto quel che senza senso gira intorno, permane questo desiderio di distanza dalle idiozie reiterate da chi questo cazzo di Paese governa, con l'aggravante che -di là dal fatto che a commentarle siano mass media di destra o di sinistra (quali?, ormai non vedo altro che le mie mani!)- chi le commenta (quasi sempre) finisce per fare il loro gioco (dei padri delle idiozie, che -siccome ne ho sentite a iosa- c'è soltanto l'imbarazzo di sceglierne una, fate Voi), aggiungendo speculazione a speculazione. Sulla crisi economica in atto, sulla precarietà esistenziale figlia (anche) di un'altra precarietà (del lavoro) ormai cronica (secondo alcuni, inesistente secondo altri, esagerata ma esistente per chi scrive...), sulla lanterna spenta a furia di cercare valori e dire che non ci sono i più (…), sulla produzione sostenibile, sulla vita sostenibile, sul sistema sostenibile, sull'ecologia sostenibile e financo sulla morte sostenibile, che uno si chiede ma chi sosterrà tutta questa materia sostenibile e -non trovando risposte, ché non si può pensare che quell'uno debba sostenere l'immane peso, nel mentre chi predica tutto ciò vola leggero perdovecazzoglipare- finisce col non capirci più nulla di come gira questa palla tra altre palle e poi va a votare uguale e non cambia nulla ché la morte ci vorrebbe... Una bella morte serena.
E un po' di quel che serve: poche leggi, poca roba di tutto... pochi capaci di farlo seriamente senza intrighi e cianfrusaglie di vario genere... poco di tutto quel ch'è magma sconfinato, ma chiaro e da osservare senza licenze. E me ne sarei rimasto qui a finire questo pezzo, ché questo volevo: scrivere un pezzo, che non fosse una recensione di qualunque altra cosa, un pezzo per questo piccolo intermittente giornale con una grande pagina governata da un grande uomo, un pezzo in cui sputare tutta la mia inconsistenza, un pezzo dove dire “che cosa c'è”, un pezzo dove dirla tutta, palesarla a chi da tempo si chiede “che storia è” invece di pensare a sé e al sangue -quello rosso, quello porpora, quello diluito, quello senza più colore- che mi fa sentire giù, che dovrebbe far stare male tutti, senza retorica, senza commenti, senza niente di niente, senza... col solo pensiero: cambiare casa! Avrei finito questo pezzo se Andreina non mi avesse chiesto di accompagnarla da Simona. Così esco, cerco di trasmettere qualcosa di me a mia figlia. Non so se ci riesco. Poi ci salutiamo: mi bacia sulla guancia destra e scende. Continuo la mia corsa, mi dirigo verso il centro, parcheggio. Adesso sono i miei passi a dettare il tempo. Mentalmente il pezzo prende forma. C'era una vecchia musicassetta, quando ancora giravo con l'Audi 100 CD, che ho ascoltato a lungo. Poi l'ho prestata. Non ricordo a chi. Non è più tornata. Piaceva anche a lui. O a lei. Ci ripenso spesso. A quelle canzoni intendo. Entro in un negozio di materiali musicali e, dopo aver girato un po' (o tanto?, non lo so: quando il tempo mi tocca così non importa!) tra gli espositori con musica dal mondo, trovo quel che cercavo, al cubo addirittura (cioè moltiplicato per tre). Spendo una cifra, il triplo CD è mio! Torno all'auto e inserico nell'apparecchio il primo, quello che contiene le tracce di quasi tutte le canzoni già contenute nella buonanima di quella musicassetta. Il pezzo prende corpo: le parole ci sono tutte e fluiscono come lava che scende a valle dopo l'incazzatura bollente di un vulcano. Una a una, ogni parola è quella giusta, fino alla fine. E ci vorrebbe un registratore, uno di quelli tascabili, che ci soffi dentro le parole e lì rimangono e puoi tirarle fuori quando vuoi. Per non perderle. Quante volte me lo sono detto, quante volte l'ho detto, quante volte l'ho scritto per ricordarlo a me stesso e, anche oggi pomeriggio, l'ho ripetuto. A Piero, mentre sorbivamo un cicchetto di rhum e pera, a Martina, incontrata per caso mentr'ero con Maria. Ma lei, Martina, ce l'ha, gliel'ha regalato Marco, è fantastico mi dice intanto che sono perduto in altri occhi. Prima o poi ne comprerò uno. Prima o poi. Così sono. Così è. Adesso devo orientarmi in questo nuovo ambiente, dove non c'è più quasi nulla di quel che c'era, dove c'è qualcosa di nuovo. Non ci sono più tutti i mobili che già l'arredavano, non ci sono più tutti i quadri già appesi alle pareti o appoggiati in un posto qualsiasi (ché alle pareti non c'era più spazio), non c'è più tutta la chincagliera (è finita in un libro), non ci sono più i libri (ne ho conservati pochi, gli altri via, dolorosamente via...), non ci sono più locandine pieghevoli ritagli e frattaglie varie, non c'è più tutto quel cartume che riempiva ogni angolo... pulizia radicale... una volta ancora, materialmente la terza, l'ultima forse, dell'inutile e del superfluo. Dentro, me nolente, c'è finito anche qualcosa cui tenevo, ma è rimasta in un altro dentro. E ciò, in fine, importa. Prima ancora del vuoto, già immaginavo i nuovi colori e il resto. Giò ha reso concreti quei colori, li ha stesi sulle pareti: verde e salmone. Verde, un bel verde (né cupo né brillante, un po' prato un po' speranza), sulla parete dov'è la porta-finestra che dà sulla scritta HOTEL (che campeggia nel cielo a est) e dove spicca la nuova libreria in legno naturale (castagno e larice) a tutto muro. Salmone (chiaro e vellutato quando la luce è allo Zenith) le altre tre pareti. Ora l'arredo è scarno e essenziale: poc'altre cose: non ho saputo rinunciare a quattro vecchie sfondate sedie (tipo della nonna), retaggio di un altro andato, che (sempre) Giò a rimesso a posto, dipingendole con i colori che il sottoscritto (riattatore folle) gli ha indicato: giallo, rosso, bianco e azzurro. Poi, finalmente, geo-mondo in tutti i suoi cm. 80 x 60 incorniciato in legno di frassino naturale. Tutta la musica in una piccola libreria etnica. La musica, già. Ascolto ancora quella di cui sopra: “Ho sognato una strada”, di Ivano Fossati, proprio mentre non ho più “voglia di mandare sangue al cuore”. Ma “nell'universo della mia pazzia ho una nuova teoria” che colmerà un'antica inconsistenza ché “di nuovo cambio casa / di nuovo cambiano le cose / di nuovo cambio luna e quartiere / come cambia l'orizzonte e il tempo / e il modo di vedere / cambio posto e chiedo scusa / ma qui non c'è nessuno come me... / e gira e gira / si torna ancora in primavera / e scopro che non ho capito niente...” e rifarei ogni errore, ma cambierei ogni scelta, se soltanto avessi modo di comprendere che cosa ho sbagliato e che cosa ho scelto e, credetemi, non è cosa da poco. Poi l'esempio che sei (per me lo sei) mi ricorda che non c'è mistero, non c'è segreto, non c'è arcano che non possa essere conosciuto se lo vivi con pienezza, ch'é lì per chi predispone la propria vita a accogliere, ma c'è che “.. avrei bisogno stasera / più che altro di una preghiera / perché so / perché lo so / di tanto amore morirò / di questo amore morirò...”.
Sono morto mille volte.
Non violate il mio riposo.
Sono vivo ché ancora amo.
Dimenticatevi di me.
Ho altro da fare, adesso...
Ma, vi prego (ché questo spesso mi ha fottuto: pregare per gli altri), non scordatevi dell'unica cosa che importa davvero e che, qualunque sia, non è mai contenuta in uno spot né nelle parole prive di significato che quotidianamente vi sparano addosso. Ché di cervelli lavati non c'è più bisogno!

immagine di una foto realizzata da Irene Leo

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