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martedì 26 agosto 2008

Lanterne Rosse, Parole Nere di Silla Hicks

Zang Ymou dei miei sogni di tigri e dragoni dice che i diritti umani ci fanno fragili, e forse è vero: solo dalla frusta e dalla paura e dal divieto di pensare cose diverse può nascere la perfetta compattezza di una coreografia senza errori, sbavature, fogli accartocciati sul pavimento e file interi chiusi senza salvarne un rigo, senza rimorsi né rimpianti né lacrime né rabbia: tutto il ciarpame che ci fa copie mal riuscite di dio, foglie umane perdute dentro al vento.
Zang Ymou delle mie notti illuminate di lanterne rosse dice che l’autodeterminazione è stata un regalo cattivo, che non sappiamo usare e di cui siamo indegni, che ci fa angeli caduti che hanno barattato ali di albatro per un bacio allagato di lacrime in cui finalmente annegare: l’eternità per un secondo tra le tue braccia, il nuotatore che potevo essere per quest’uomo che non è più niente.
So che se gli dessi retta, e mi strappassi via una buona volta le tue iniziali dalla pelle, forse rimarrei vivo, ma mi dispiace Zang, non ne varrebbe la pena, no.
Tu credi che la perfezione abbia valore: non ti accorgi che quello che fa i tuoi film immensi è il tuo occhio umano, e il fatto che feriscano e commuovano altri umani: il tuo dio di perfezione non ci crederebbe, ai tuoi combattimenti aerei o alla bellezza di Gong Li, ti direbbe che non sono possibili, che non sono reali, perché non ci sono foreste dove i pugnali volano e solo un pazzo visionario e umano può vederle.
Perché dio non sogna che se stesso, e tu lo sai: e seduto da qualche parte nel suo empireo vuoto quasi sempre guarda da un’altra parte, mentre il sangue si allarga sulle piastrelle del mondo, che sia ebraico o armeno o tibetano non cambia niente, a differenza della pelle ha sempre lo stesso colore, come le divise imposte da ogni tiranno, in ogni tempo e luogo, anche in quello in cui tu ti dici fiero di essere.
Pensi che ribellarsi non serve a niente, Zang, e hai ragione, nel senso che c’è sempre un carrarmato che può venirti addosso, e che non c’è pietà per i vinti, anche se si sono arresi: ma forse non ti rendi conto che il ragazzo di Tienanmen o quello con la bandierina che saluta gli alleati nelle ultime pagine di Malaparte muoiono nello stesso modo, è vero, ma i cingoli che li riducono in poltiglia non bastano, a cancellarli davvero.
Perché quelli che restano li ricordano, Zang, e li ricorderanno anche quando la tua Gong Li sarà una vecchia signora che non può più stregare il mondo scoprendo una spalla, e tu firmerai il tuo ultimo addio, e vincerai il tuo ultimo premio, e io ti guarderò per l’ultima volta in un cinema vuoto, come ho sempre fatto, in questi anni, con le lacrime agli occhi e dimenticando le parole che hai detto oggi, perché puoi dire quello che ti pare, ma il tuo cinema non è una parata di regime, ma una rivolta, la prova vivente che i sogni esistono, e che non c’è dittatura che li possa imbavagliare.
Senza accorgertene, è questo che dici, Zang, questo e non che è bello guardare burattini in fila telecomandati dietro al filo spinato della Corea del Nord : ne sono sicuro, perché ho visto “Non uno di meno” il più grande e sconosciuto dei tuoi film, quello più delicato e meno epico e fuori dal cinema ci siamo sentiti fortunati del tuo rivoluzionario regalo.
Dal villaggio polveroso alla megalopoli per ritrovarne uno: senza eroi né sciabole né salti, solo una ragazzina cenciosa che più che maestra è una capoclasse, la cui unica disciplina non è la frusta ma il cuore, lo stesso che fa tornare un superstite indietro a recuperare i compagni, a rischiare la vita.
Lo so che ci vuoi credere, che il tuo sia il migliore dei mondi possibili, per dormire ogni notte e non pensare di essere come me, perduto come un pacco per il mondo, con il peso delle tue origini e della tua lingua e del tuo cognome, la faccia del buio che ti guarda dallo specchio: so come ci si sente, a sembrare un SS, come la gente ti guarda, io sono nato il 10 novembre del ’72, ma non basta a convincermi di non essere mai stato dalla parte sbagliata, non ho fatto il soldato ma sono un tedesco, anche adesso che sono qui, anche adesso che parlo italiano, e che il suo cuore è l’unica casa che posso avere, l’unica cui voglia tornare, l’unica in cui non sia straniero.
So che hai paura, Zang, paura per tutto quello che sei diventato, paura che tutto finisca, per un carrarmato o qualsiasi altra cosa, il dalai lama o l’America, la storia che non puoi cambiare.
Ma ti prego, Zang, per me e per tutti quelli che hanno volato con la tua tigre, per tutti quelli che in tutto il mondo hanno visto i tuoi sogni e li hanno respirati diventandone schegge, e che se li portano in giro stretti per la mano, non fare l’errore di Leni, non guardare il mondo da sopra una gru per non vederne le ferite che marciscono, per non sentirne l’odore.
Il nostro mondo cade a pezzi, è vero.
E anche il mio cuore.
Vivo di scatolette, non sono più capace di dormire, ma non voglio sonniferi che non mi facciano sentire dolore.
Non hai idea di quanto sarebbe peggio non sentirlo.
Non hai idea di quanto sarebbe peggio, non essere così imperfetto, non volere morire né farlo poco alla volta ogni giorno.
Svegliarsi ogni giorno solo perché qualcuno gira la chiave nel quadro.
Senza scegliere di farlo, oppure no.
L’autodeterminazione è il caos, è vero, Zang.
Ma è da là che veniamo, non da un frattale. Per questo pensiamo tutti cose diverse, e le facciamo, e sbagliamo, e poi rifacciamo tutto da capo.
Infinite volte.
Fino alla fine del mondo.
Mentre dio ci guarda.

4 commenti:

  1. its good to know about it? where did you get that information?

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  2. it's a creative composition. It's not real. Tank You

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  3. Sorry: it's not a creative composition... Zang Ymou actually said that.. you can check it here:
    http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=284777

    Silla Hicks

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  4. Just another link, to check the whole Zang Ymou spech, if interests :
    http://www.tgcom.mediaset.it/spettacolo/articoli/articolo424878.shtml

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