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giovedì 9 febbraio 2017
mercoledì 8 febbraio 2017
Storia delle armi da fuoco. Dalle origini al Novecento di Letterio Musciarelli (Per Odoya dal 2 marzo 2017)
Non ci sono documenti
certi sul nome del primo fortunato chimico che, miscelando zolfo, carbone e
salnitro, scoprì la formula per la polvere da sparo. Probabilmente fu scoperta
contemporaneamente in vari luoghi del mondo, non ultima la regione che fu la
culla globale delle armi da fuoco: la Val Trompia. Se è vero che alcuni testi
attribuiscono l’utilizzo di bombarde (mutuato da lombarde) ai bolognesi già dal
1216 (Muratori) e che Leonardo Aretino e Petrarca collocano a Firenze analoghi
“cannoni” all’inizio del XIV secolo, Musciarelli ipotizza che quelle armi
arrivassero dalla vicina Brescia per vari motivi: l’estrazione di metallo nella valle del Mella è accertata già in
epoca pre romana; le manifatture bresciane si occupavano di fornire armi già
dalle epoche precedenti (vedi, a prova
di ciò, l’ingente ordinativo di tali armi pervenuto alla Val Trompia durante la
III Crociata verso la fine del 1100).
Inoltre la documentazione del XVI secolo relativa alle armi fabbricate
nelle valli bresciane denota un’esperienza secolare, che alla qualità ⎼
venivano chiamati “poeti del ferro” ⎼
univa la quantità. Se si pensa che dal 1794 al 1797 furono forniti alla spagna
150.000 fucili dalle fabbriche di Brescia, si capisce che l’industrializzazione
dell’area abbia origini antiche. Fu Dante stesso che scrisse “Onde l’arena
s’accendea com’esca Sotto focil… (Inferno, canto XIV, versi 38-39)” e Boccaccio
in una nota glossa chiarisce che è proprio quello che sembra, si parla di
fucili. Tuttavia fu solo con l’introduzione su vasta scala dell’acciarino a
focile (1610-1630) che le armi lunghe
non si chiamarono più archibugi ma fucili, prendendo il nome dal meccanismo
omonimo. Le evoluzioni tecniche delle varie armi da fuoco sono qui
minuziosamente descritte e vediamo (in una delle numerose figure esplicative)
come nel 1490 fu proprio Leonardo Da Vinci a definire il caricamento a ruota;
mentre si deve a Bonaiuto Lorini (1590) il sistema a retrocarica. Le
notevoli innovazioni nostrane arrivano
fino al 1960, con Davide Pedersoli che
brevettò un meccanismo, “per sovrapposti”, nel quale i percussori agiscono
parallelamente all’asse delle canne. Le
prime armi personali “quasi tascabili” avevano dei nomi piuttosto fantasiosi
come Mazzagatto, Petrinale o Spazza-campagna. Si deve invece all’americano Colt
l’invenzione di una pistola a più colpi: l’incentivo del governo degli Stai
uniti a questa scoperta fu grande, c’era
l’immediata necessità di far fronte all’avanzata dei nativi americani... Il
lavoro di Musciarelli, seppur sintetico e ricco di indicazioni antropologiche
sull’utilizzo della potenza letale di fucili e pistole, riesce a coprire in
modo piuttosto completo l’ambito dell’evoluzione tecnica e quello della
produzione industriale, elencando con dovizia di particolari le varie armi, i
banchi di prova e i loro produttori. Il libro si chiude infatti con alcune
utili appendici, dal vademecum per il collezionista per riconoscere le armi
antiche contraffatte, fino all’elenco dei simboli dei vari produttori
dall’epoca medievale fino ai giorni nostri.
Letterio Musciarelli,
siciliano di nascita e bresciano d’adozione, è stato docente di Matematica,
preside incaricato presso la Scuola Statale di Castenedolo, appassionato di
meccanica e storia. Archivista raffinato, pubblica questo libro dopo anni di
studio e di ricerca presso biblioteche, raccolte private, musei, fabbricanti di
armi e botteghe antiquarie.
“The Doors” – The Doors in direzione del prossimo whiskey bar di Giuseppe Calogiuri (iQdB Edizioni di Stefano Donno) alla Biblioteca di Cavallino
“The Doors” – The Doors in direzione del prossimo
whiskey bar di Giuseppe Calogiuri, con prefazione di Daniele De Luca
(Unisalento) edito da iQdB Edizioni di Stefano Donno si presenta il 9 febbraio
2017 ore 18,00 presso la Biblioteca Comunale di Cavallino G. Rizzo in via
Amendola. Interverrà insieme all’autore, l’editore Stefano Donno.
“Ci vuole coraggio. Sì, ci vuole molto coraggio nel
chiedermi di scrivere una prefazione a un libro su di una band degli anni '60.
Perché, anche a voi che leggete, qual è il primo pensiero che vi viene in
mente? Sicuramente uno di quegli insopportabili gruppi frikkettoni, hippie,
pacifisti, lenti e insulsi sul modello di Mamas&Papas o Jefferson Airplane
(ne sono certo). Per fortuna, anche in quegli anni terribili dal punto di vista
musicale qualche luce affiorava nel buio. E, forse, una luce più di tutte,
quella di The Doors! Ed è di questa luce che questo libro vi parla. Meglio, ve
la racconta. E Giuseppe Calogiuri, conoscendo questa mia debolezza, ha saputo
trovare lo strumento e il coraggio giusto. Ma, forse, è necessario andare per
ordine... Il 4 gennaio 1967 The Doors pubblicano il loro primo album omonimo.
Non siamo in un anno qualsiasi, quel 1967 segnerà la storia degli Stati Uniti,
prima, e dell'intero mondo occidentale, poi. Già da qualche anno le forze
armate di Washington combattono lontano da casa una guerra non ufficiale.
Dall'inizio del suo mandato presidenziale, il “progressista” John F. Kennedy ha
cominciato a prendere i ragazzi del suo paese per scaraventarli dall'altra
parte del mondo. The Golden One (citando The Human League), figlio di una
famiglia arricchitasi spropositatamente grazie al commercio illegale di alcol,
ha precipitato gli Stati Uniti nel fango del Vietnam. Il suo successore, Lyndon
B. Johnson, ha continuato il lavoro. Anzi, lo ha portato alle estreme
conseguenze. Il 7 agosto 1964, il Congresso americano – approvando la H.J. Res.
1145 (conosciuta come la “Risoluzione del Tonchino”) – ha consegnato al
Presidente un assegno in bianco per portare le truppe ovunque ritenesse
necessario. È l'inizio della presidenza imperiale. E' anche l'inizio, in
pratica, della coscrizione obbligatoria per i giovani americani. Quella carne
fresca serve. È indispensabile per combattere nelle paludi e nelle giungle del
sud-est asiatico. Nel 1968, saranno ben 500.000 i soldati impiegati in Vietnam
(con infiltrazioni anche in Cambogia e Laos per inseguire i charlie). In questo
clima, le Università sono le istituzioni che, più di altre, risentono della
guerra. I ragazzi che “vincono” alla perfida lotteria della coscrizione hanno
solo tre scelte: 1) accettare l'arruolamento; 2) scappare, magari in Canada
(come Jack Nicholson); oppure 3) scegliere la strada dell'obiezione di
coscienza. La terza è una scelta difficile, ti mette fuori dalla società e, per
questo, ci vuole un coraggio enorme. Un campione sportivo all'apice della
carriera rifiuterà più volte l'arruolamento e il 20 giugno del 1967 sarà
giudicato colpevole di tradimento. Quell'uomo era Muhammad Ali! Una nuova
strada doveva essere trovata. E qui la musica sarà fondamentale come mezzo di
aggregazione per tutti coloro i quali volevano fare qualcosa. Il 1967 regalerà
alla costa occidentale degli Stati Uniti la Summer of Love e al Vecchio
Continente la spinta alla rivolta studentesca, che in Europa inizierà nel
maggio dell'anno dopo. La scintilla partita dall'Università di Berkeley, in
California, diventerà fiamma viva in altri atenei, per trasformarsi in incendio
a Parigi. Il Monterey Pop Festival del giugno 1967 sarà il pretesto che
permetterà agli studenti di unirsi, confrontarsi e cogliere tutti i segnali che
artisti come Jimi Hendrix o The Who sputavano dal palco. Segnali che, in un
modo o in un altro, volevano dire rabbia. Beh, The Doors sono figli e, insieme,
strumento di quella rabbia e di quella società americana che è confusa e
terrorizzata dai suoi stessi leader. Una società che ha visto cadere i propri
miti politici con l'assassinio di Kennedy, o quelli sportivi, con l'arresto di
Ali, e che vede, continuamente, partire i propri ragazzi verso luoghi lontani e
impronunziabili per tornare, poi, in casse avvolte dalla bandiera a stelle e
strisce. Una generazione di giovani e adolescenti che si rifugia sempre più
nelle droghe. Magari nuove droghe come l'LSD, che aprono nuove porte. E queste
porte sono quelle già narrate da William Blake e che Jim Morrison, Ray
Manzarek, Robby Krieger e John Densmore faranno proprie e attraverseranno con
l'arroganza, l'incoscienza e la rabbia dell'età. Arroganza, incoscienza e
rabbia che non si possono non condividere e abbracciare. Abbracciare anche da
parte di chi, come me, è cresciuto con e nel punk, prima, e nella new wave,
dopo. Un triade di valori e sentimenti che tutti insieme risiedono in quella
prima prova discografica e che, qui, Giuseppe Calogiuri analizza e descrive con
sapienza tecnica assolutamente invidiabile (almeno da parte di chi crede che
conosciuti due accordi si possa e si debba formare una band!). Quello che avete
tra le mani non è un ennesimo libretto sulla band di Los Angeles, no. Sono
pagine che vi faranno fare un passo avanti sulla strada della conoscenza di un
album fondamentale. Un disco con veri gioielli. E alcuni sono gioielli
sfrenatamente gotici: come non citare la bellezza fulminante di The Crystal
Ship. Pezzo che, per il chiaro riferimento a leggende celtiche, avrebbe
sicuramente fatto innamorare i membri della Confraternita Pre-raffaellita di
vittoriana memoria. Il dolore che trasuda freddo e umido da End of the Night o
l'incestuoso sangue che sgorga da The End. Pezzo, quest'ultimo, che non può non
ricordare In Cold Blood di Truman Capote e a causa del quale, soprattutto, sono
certo, il Re Inchiostro Nick Cave avrebbe venduto l'anima per poter scrivere
una murder ballad come quella. Insomma, ora basta, inutile aggiungere altro.
Giuseppe Calogiuri vi ha invitato, vi ha aperto le porte e, come avrebbe
cantato Ian Curtis: “This is the Way... step inside!” (Prefazione di Daniele De
Luca)
Giuseppe Calogiuri (1978) è nato a Lecce e qui vive e
lavora come avvocato specializzato in diritto d’autore e degli artisti. Alla
professione affianca l’attività di chitarrista ed ha all’attivo un decennio di
militanza nella prima tribute band salentina dei Doors, con la quale ha portato
il sound della band di Los Angeles in giro per la Puglia. Giornalista e
scrittore, tra i suoi lavori “Una buona giornata” (premio “Corto Testo”),
“Tramontana” (Lupo Editore, 2012), “Cloro” (Lupo Editore, 2016).
iQdB edizioni di Stefano Donno / Sede Legale e
Redazione: Via S. Simone 74 / 73107 Sannicola (LE) / Mail – iquadernidelbardoed@libero.it
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– Anastasia Leo, Ludovica Leo
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Boccassini
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martedì 7 febbraio 2017
Un cervo in metropolitana di Desmond Morris (Mondadori)
"Questo libro
parla della gioia di osservare il mondo. È un testo autobiografico, però non
riguarda tanto me quanto le cose che ho visto. Sono affascinato dal mondo che
mi circonda e da quello che sono riuscito a vedere e a registrare in
sessant'anni di osservazione, prima come studioso del comportamento animale e
poi come studioso del comportamento umano. Per tutta l'infanzia sono stato
attorniato da animali: dividevo con essi perfino la carrozzina. Da grande ho
studiato zoologia e sono diventato etologo. I miei studi sul comportamento
animale mi hanno condotto allo Zoo di Londra, dove ho ricoperto la carica di
conservatore dei mammiferi. Poi le mie ricerche sugli scimpanzé mi hanno spinto
ad analizzare il più affascinante di tutti gli esemplari: la scimmia nuda. In
questo libro introdurrò il lettore nei vari scenari della mia vita: da uno
studio televisivo nello Zoo di Londra a una casa di geishe a Kyoto; da una
sperduta tribù africana a un casinò di Las Vegas; dalla 'dolce vita'
mediterranea alla dura realtà della malavita di Los Angeles. Ammetto che ho
spesso sorriso del lato più leggero della vita o riso di gusto delle bizzarre
manie e idiosincrasie dell'umanità, ma non me ne scuso. È indubbiamente una mia
debolezza, ma credo che renderà più gradevole la lettura." Con strepitoso
humour britannico, Desmond Morris racconta in questo libro la sua carriera di
uomo di scienza e divulgatore, e i tantissimi incontri con animali straordinari
e altrettanto straordinari esseri umani, da Dylan Thomas a Joan Miró, a Yoko
Ono, Stanley Kubrick e Marlon Brando. Un libro imperdibile per chi ama gli
animali, illuminante per tutti.
lunedì 6 febbraio 2017
“Leonte” (Gaffi editore, 2017) di Antonio Bettelli in anteprima il 9 febbraio 2017 a Mestre
È il 27 maggio 2011.
Tra due giorni i Caschi Blu della missione UNIFIL in Libano ricorderanno i loro
caduti e, fra questi, anche i soldati italiani dell’Operazione Leonte. Alle ore
15.55, un ordigno esplode sul ciglio della superstrada che collega la capitale
libanese con l’antica città fenicia di Sidone. Le agenzie stampa battono la
notizia: un soldato italiano è morto. Poco dopo, il portavoce dello Stato
Maggiore della Difesa dichiara “Nessun ferito rischia la vita”; ma il nostro
autore che è lì, con l’incarico di addetto per la difesa presso l’ambasciata
italiana, sa che adesso, a distanza di quattordici anni dagli ultimi caduti del
nostro contingente in Libano, un altro soldato italiano potrebbe lottare tra la
vita e la morte. Da quel giorno, la passione del ventenne Giovanni Memoli si
intreccia drammaticamente con le vicende della Terra dei Cedri, un Libano
mostrato dall'autore nella chiave giusta a comprendere i sommovimenti interni
della scena geopolitica mediorientale. Leonte tiene amalgamati ricordo privato,
confessione professionale, ripensamento dell’intera esistenza a metà del
cammino. È una storia narrata isolando un preciso segmento di tempo: prende
forma tra scenari chiassosi, quelli di una Missione il cui senso si riassume
nel quotidiano lambire il pericolo. Confessione appassionata di un uomo per il
quale matrimonio, paternità, lealtà nella gerarchia, fame di solitudine, sete
di conoscenza di mondi stranieri, altrettanto dei segreti del proprio animo che
di quelli altrui – tutto è ugualmente cruciale.
Antonio Bettelli è un
ufficiale dell’Esercito Italiano, più volte impegnato nelle operazioni di
supporto alla pace in vari ambiti internazionali. Tra questi, vi sono l’Iraq
del post Saddam, nella provincia meridionale del Dhi Qar, l'esordio
dell'Operazione Enduring Freedom in Afghanistan, monitorata dal comando
operativo di Tampa in Florida, e nel Libano, dove ha lavorato come Addetto per
la Difesa presso l’Ambasciata Italiana a Beirut e come comandante del Sector
West della missione UNIFIL nel sud del Paese. Antonio Bettelli presta ancora
servizio nell’Esercito Italiano.
Scrive di lui Lisa
Ginzburg: “Con questo esordio nella scrittura, Bettelli sembra trovar modo di
ricomporre tessere di un mosaico interiore necessario a mantenere intatta la
sua passione di vivere. Immagini non ancora sbiadite, capaci di guidare il
lettore nella supposizione di cosa possa essere toccare da vicino la minaccia
della guerra e la possibilità della morte, ma senza mai perdere la speranza”.
Presentazione in
anteprima nazionale giovedì 9 febbraio
all'Aperitivo con l'autore a cura del Circolo Culturale “Walter Tobagi”
all’Hotel West Bestwern Bologna di Via Piave 214 a Mestre alle ore 18.00 del
romanzo-verità “Leonte” (Gaffi editore, 2017) che il generale Antonio Bettelli
ha dedicato alla vicenda, umana e professionale, del giovane soldato Giovanni
Memoli, rimasto cieco a 28 anni durante la missione di pace “Leonte” e
ritornato oggi a servire l’esercito nei “Ruoli d’onore”.
venerdì 3 febbraio 2017
Duello nel ghetto. La sfida di un ebreo contro le bande nazifasciste nella Roma occupata di Maurizio Molinari e Amedeo Guerrazzi Osti (Rizzoli)
Moretto a Roma se lo
ricordano ancora. Il suo vero nome è Pacifico di Consiglio e nel 1943 è Punico
ebreo romano che durante l'occupazione nazista resta in città per dare la
caccia ai suoi persecutori. Pugile dilettante, la vita di Moretto, come quella
di tanti ebrei romani, cambia dopo il 19.38. Ma a differenza di altri, Moretto
trova il modo per ribellarsi. Fa innamorare la nipote di Luigi Roselli, uno dei
più spietati e pericolosi collaboratori italiani dei nazisti, e, grazie alle
informazioni della giovane, lancia una sfida alle bande comandate dal colonnello
Kappler, capo della polizia tedesca di Roma. Arrestato due volte, riesce sempre
a fuggire mettendo in atto stratagemmi e altri intrighi, continuando a
combattere contro centinaia di spie, delatori e poliziotti fascisti. Il Duello
nel ghetto di Roma fra Moretto e Roselli si gioca tutto nel quartiere a ridosso
del Tevere. Una manciata di strade fino a pochi anni prima orgoglio di
convivenza e poi diventate teatro di un mondo braccato: famiglie numerose
nascoste nel timore della cattura, uomini obbligati a pagare affitti da
capogiro a protettori-sfruttatori, donne e bambini rifugiati in conventi dove
spesso tentano di convertirli, sopravvissuti per caso o fortuna al 16 ottobre
tornati a risiedere nel Ghetto sfidando la sorte. Per costoro scarseggia il cibo,
la morte è in agguato, non possono fidarsi di nessuno ma le voci che si
rincorrono su Moretto dimostrano che si può continuare a resistere.
giovedì 2 febbraio 2017
Incantesimo d'amore, d'Angelo Mellone (Pellegrini Editore). Intervento di Nunzio Festa
Apprezzato
già che avevamo Mellone poeta, scopriamo con gran piacere che Angelo Mellone ha
buone doti di narratore; è doveroso ringraziare nuovamente, quindi, il buon
Andrea Di Consoli. Allora, se Nicola Melchiorre Baldassarre Gaspare sono i
protagonisti fantastici d'"Incantesimo d'amore", Maria e Giuseppe
sono i 'protagonisti reali' di quella che lo stesso autore definisce: favola
per adulti. Per campanilismo, 'stavolta, ricordiamo intanto che oltre ad angoli
fascinosi della Puglia salutati dalla penna felice di Mellone, precisiamo che
la parte forse più importante della storia sale e scende nelle viuzze marginali
del bianco rione Dirupo di Pisticci e in pezzetti delle sponde da passeggio di
Bernalda (Basilicata, certo): e la Lucania quindi dei munachicchi, delle
masciare, dei trasfertisi e di studentesse e studenti fuorisede abbraccia
addirittura un Babbo Natale e proprio quei tre magi in forma di pupazzo. La vicenda
centrale dell'opera narrativa d'Angelo Mellone è scritta dalla quotidianità di
Giuseppe e Maria, lavoratori semplici semplici, che però diventano, anche in un
periodo per molte e molti davvero particolare, archepito. In sostanza son
l'esempio del senso d'infelicità costante che può esser certamente superata. La
buona prosa di Mellone, fra l'altro, che d'altronde gioca coi cammei in
immagine di luogo, vedi in bel frangente posato nel grembo d'una Ginosa da
visitare, mette in ombra alcune leggerezze sui piccoli mondi basilichi:
Petrapertosa (sarebbe Pietrapertosa, ma il suono scelto da Mellone è perfino
più incantato dell'originale), il teatro del Maggio (Accettura). Mellone prende
dalle storie popolari lucane e pugliesi per fare un romanzo tanto surreale da
apparirci possibile. Qualche sensazione porta a Lupo, ma Angelo Mellone
scaraventa appunto nel tutto-reale il sogno d'una rosa per gli amori.
Louis-Ferdinand Céline, Lettere agli editori. A cura di Martina Cardelli (Quodlibet)
Dalla prima spavalda
lettera che accompagna il manoscritto del Viaggio al termine della notte («È
pane per un intero secolo di letteratura. Il premio Goncourt 1932 su un piatto
d’argento per il Fortunato editore che saprà accogliere quest’opera senza pari,
momento capitale della natura umana») alle ultime, comiche e feroci, che scrive
a Gallimard prima di morire, le 219 lettere qui raccolte ci mostrano un Céline
arrabbiato, derelitto, incensato o dimenticato, ma sempre straordinariamente
consapevole del proprio valore. Con i suoi editori è impegnato fin da subito in
un corpo a corpo estenuante, ora per difendere virgole e puntini, ora per
rivendicare più austerità sulle copertine («Sobri Sobri Sobri – le stravaganze
a casa, sotto le coperte!»), ora per accusarli di ogni sorta di nefandezze. Per
lui l’editore è l’incarnazione del parassita: il padrone che sfrutta gli operai
o il ruffiano che campa sul lavoro delle prostitute. Talvolta, più raramente, è
un prezioso interlocutore con cui discutere di ciò che è davvero essenziale in
letteratura: la resa emotiva, il ritmo, la famosa petite musique. Per quanto
messi a dura prova dal suo carattere impossibile, i tre principali editori di
Céline (Robert Denoël, Pierre Monnier e Gaston Gallimard) sono consapevoli di
avere a che fare con uno scrittore immenso, che cambierà le sorti della
letteratura francese.
Louis-Ferdinand Céline
- Céline (Louis Ferdinand Destouches, Courbevoie 1894 - Meudon 1961) è una
delle figure più controverse della letteratura del Novecento. Nei suoi romanzi,
a cominciare dal Viaggio al termine della notte (1932), ha trasposto i grandi
drammi del suo secolo: le trincee, il colonialismo, l’alienazione della classe
operaia e delle periferie urbane, i bombardamenti, la Germania del dopoguerra. Céline
è anche l’inventore di una prosa unica – tormentata, provocatoria, esilarante –
che porta nella scrittura l’emotività e la vitalità del linguaggio parlato: se
ne può trovare un’efficace spiegazione nei Colloqui con il professor Y (1955),
sotto la forma di un’immaginaria intervista. Le sue vicende personali, ma anche
politiche, giudiziarie, editoriali sono il riflesso della complessità della sua
epoca, cui Céline ha aderito fin nelle più intollerabili aberrazioni. Tra i
suoi romanzi ricordiamo Morte a credito(1936), Guignol’s Band (1944) e la
cosiddetta «trilogia del Nord»: Da un castello all’altro (1957), Nord (1960) e
Rigodon (1969).
Maurizio Nocera con Tarantulae (iQdB Edizioni di Stefano Donno) a Casa Santoro per Tu non conosci il Sud
Con "Tu non conosci il Sud", rassegna
culturale a cura della Libreria Idrusa di Alessano, Associazione Culturale
Diotimart, enoteca Gusto Divino e Forno Rizzo di Alessano, si vuole proporre
un’offerta di incontri culturali periodici (presentazioni di libri e
letture, proiezioni, dibattiti ecc) in un luogo inconsueto: una casa storica
nel centro antico di Alessano. L'ambiente accogliente intende stimolare una
dimensione amichevole e conviviale, in una logica di scambio e condivisione.
Sabato 4 febbraio 2017 , ore 19 presso Casa Santoro, via Micocci 11, ad
Alessano ci sarà la presentazione di Tarantulae di Maurizio Nocera, Quaderni
del Bardo. In questo poema “scritto a Badisco, forse in una notte d’agosto del
2015, davanti al mare che parlava alla luna”, l’autore rende omaggio a tre
grandi personalità: il danzatore Giorgio Di Lecce, il tamburellista e cantante
Uccio Aloisi, lo studioso Sergio Torsello. Loro, con la complessità del
tarantismo, a vario titolo, hanno avuto a che fare, segnando la storia di questo
fenomeno nella contemporaneità. Poi, “La Notte della Taranta”, la catarsi
collettiva, il fascino e il richiamo di una forma antica e il suo resistere al
e nel Tempo. Interverranno, con l’autore, Vincenzo Santoro e l’editore Stefano
Donno. A cura della Libreria Idrusa e Associazione Culturale Diotimart, in
collaborazione con enoteca Gusto Divino e Forno Rizzo di Alessano.
È da molto tempo che Maurizio Nocera si dedica alla
ricerca sul Tarantismo (ne troverete testimonianza nella ricca bibliografia che
chiude questo pamphlet), un modo per stare con i piedi, con le mani e con il
pensiero nella Terra, con la sua Terra e con tutto il carico simbolico e magico
che concima e cresce la particolarità salentina. In questo poema – “scritto a
Badisco, forse in una notte d’agosto del 2015, davanti al mare che parlava alla
luna”, Maurizio Nocera rende omaggio, a tre grandi personalità: il danzatore
Giorgio Di Lecce, il tamburellista Uccio Aloisi, lo studioso Sergio Torsello.
Loro, con la complessità del tarantismo, a vario titolo, hanno avuto a che
fare, segnando la storia di questo fenomeno nella contemporaneità. Poi, “La
Notte della Taranta”, la catarsi collettiva, il fascino e il richiamo di una
forma antica e il suo resistere al e nel Tempo. Il sibilare e il battere delle
pelli dei tamburelli muove ancora il cercare… Non c’è quiete, tutto si fa
ritmo, musica; quella anima del Salento, essenza del “sentire”, prima arte, sua
intima poesia. La Notte di Melpignano di questo “sentire” è manifesto e
laboratorio. C'è una Taranta, un “morso” necessario, quello che il tempo
provoca con le sue storture: il brutto che invade, la precarietà, il disagio,
la guerra sempre presente nelle cronache del Mondo. Un “morso” che chiama alla
presenza. La musica di questo deve farsi carico. La catarsi della festa non è
evasione, distrazione, dimenticanza, pausa. Nell'incanto della trance è sempre
necessario trovare l'energia della consapevolezza. “Bellu l'amore e ci lu sape
fare” canta la pizzicarella: un amore largo, vasto per quanta è vasta la terra.
Accoglierla per intero significa portarla alla sua essenza di natura, d'Amore,
appunto. Abbraccio che si oppone, resiste e tenta di trovare soluzioni, il
passo possibile, la necessaria armonia. (Mauro Marino)
Maurizio Nocera è nato a Tuglie, nel Salento, nel
1947. Numerosissime le sue pubblicazioni e le iniziative editoriali che lo
vedono coinvolto. E’ socio ordinario della Storia Patria per la Puglia dal
1980.
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Redazione: Via S. Simone 74 / 73107 Sannicola (LE) / Mail – iquadernidelbardoed@libero.it
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