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giovedì 25 ottobre 2012

CAROLINA BUBBICO AL NOTE DI VINO DI RUFFANO IL 27 OTTOBRE



 La musica la fa da padrona al  Note di Vino nel cuore del Salento, a Ruffano (LE) in via Vittorio Veneto 55. Secondo appuntamento di note in collaborazione con Agave Comunicazione, il 27 ottobre a partire dalle 22,00 questa volta con una grande artista come Carolina Bubbico. Carolina Bubbico figlia d’arte, musicista dalla formazione versatile e dotata di grande sensibilità artistica, proveniente da esperienze che la vedono al lavoro in veste di autrice, arrangiatrice e vocalist in più formazioni musicali. E' laureanda per il triennio di musica Jazz presso il Conservatorio Nino Rota di Monopoli. Dopo il suo esordio nel gruppo corale Sudivoce vocal ensemble, la roots band Shaken, nel quartetto vocale Vuaolè e nella rock band Lola & the lovers, Carolina approda ad un progetto solistico nel quale manipola, trasforma e modella a suo piacimento suoni e musica. Dal 2011 è impegnata in veste di direttrice e cantante dell’orchestra jazz Swing Big Band del Conservatorio Tito Schipa di Lecce. Nella veste solistica Carolina riceve in agosto 2011 il premio "Best instrumentalist" nella sezione New Generation del Jazz Up Festival di Viterbo per la direzione artistica di Greg Burk. e il premio della sezione Videoclip del progetto Officine della Musica con il suo singolo “A me piacerebbe ridere”. In gennaio 2012 Carolina registra il suo primo album “Controvento” contenente 9 brani originali da lei composti e arrangiati. In febbraio 2013 Carolina approderà al grande schermo con il film ”L’amore è imperfetto” per la regia di Francesca Muci e prodotto da R&C produzioni / R.A.I. cinema, partecipando sia al cast che alla colonna sonora. (la foto qui riprodotta è di Gianvito Matarrese. La bio a cura di Workin produzioni http://www.workinproduzioni.it/)

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Recensione di Alessandra Peluso su La domenica pensavo a Dio / Sonntags dachte ich an Gott di LUTZ SEILER, a cura di Paola Del Zoppo, Roma (Del Vecchio Editore).



« ... Il genio del cuore che fa ammutolire ogni voce troppo sonora e ogni compiacimento di sé insegna a porsi in ascolto, che leviga le anime scabre e infonde loro un nuovo desiderio da assaporare  - quello di starsene taciturni come uno specchio affinchè in esse si rispecchi il profondo cielo. ... Il genio del cuore che sa divinare il tesoro occulto e obliato, la goccia di bontà e di dolce spiritualità sotto un ghiaccio torbido e spesso, ed è una bacchetta magica per ogni granello d’oro, che a lungo sia restato sepolto nel carcere di molto fango e sabbia ... ».  Nei versi di Ecce homo, opera come sappiamo di Nietzsche, identifico Lutz Seiler e l’intera raccolta di poesie La domenica pensavo a Dio. La genialità dell’autore trabocca come sorgente fresca e zampillante in ogni singolo verso e trasforma con una bacchetta magica estraendo dalla seppellitura ogni parola fuori dall’ordinario. Il suo modo di scrivere è infatti stra-ordinario, non rientra affatto nella consuetudine dei versi contemporanei. L’intera raccolta di poesie narra la sua vita in un modo insolito come se scrivesse un romanzo. Il poeta tesse la tela di un racconto che da un inizio potrebbe portare ad un improbabile fine. Utilizza una miriade di strumenti stilistici, letterari che darebbero modo a diverse interpretazioni ma che hanno un solo senso, quello che soltanto l’autore sa: ogni parola non è lasciata al caso, tutto ha un significato e una storia, persino termini come pech / blenda o & sono pregni di senso e significato.     Si legge nella poesia pech & blenda: «il soffio su di noi dai grandi alberi abitati / da sempre immerso / nel tempo dei discorsi, lingua degli alberi / ... / che anche nostro padre lo gradiva, lo / chiamava un sostegno alla memoria, una cabina di / controllo dal suo cuore, seme / di passi appena mossi, di mezzi cingolati, di oli e minerali /... /». (pp. 37-39). Con questi versi il lettore danza ad un ritmo tarantolato, sud e nord del mondo si identificano - forse la similitudine può apparire azzardata - questa musica, e si fa trasportare, sconvolgere, inquietare proprio perchè Seiler narra la triste e solitaria vita di un paesino piccolo della Turingia, Gera. Qui si lavorava nelle miniere di uranio, l’isotopo 235, in particolare, chiamato in lingua tedesca pech & blenda, minerale radioattivo estratto nelle miniere di uranio della DDR della Società Wismut, su commissione dell’Unione Sovietica e dove la gente come suo padre si riduceva ad ossa contaminate, divorate dalle radiazioni: «l’osso biancastro sì erano ossa / con minerali e oli russi /» (p. 39). I versi si snodano muovendo da un ritmo tarantolato ad un dondolio leggiadro:  «dalle altalene giù / bulloni in autuno & su / in aprile. Ogni giorno / la periferia pendola sotto / gli alberi e ogni ora / sui cortili del cielo cadono/ rondini sbriciolate & ne risalgono ben ricucite: la gravità / pende dai loro occhi». (p. 53) Allitterazioni, enjambement si alternano vorticosamente in questa poesia e nell’intera raccolta. Pertanto definirei Lutz Seiler il filosofo della poesia. Canta le sue liriche come Nietzsche e Camus i loro pensieri, con una sublime e originale forma che fonda una possibile poesia di vita, densa di significato e di senso, capace di comunicarla. Ecco che questa vita narrata erompe dalla bocca del poeta come il suo desiderio di parlare, la bramosia di farsi ascoltare perchè nessuno dimentichi la sua storia. Seiler dà il titolo all’opera La domenica pensavo a Dio, lo stesso titolo di una poesia che aveva scritto «la domenica / mentre / giravamo la città in autobus. / alla pozza per gli incendi sulla strada una cabina / elettrica & quaranta & tre / cavi correvano dall’aria in quella cabina di compatti mattoni cotti; là / nella cabina sulla strada abitava dio [...]». (p. 5). Il poeta narra un triste avvenimento in cui aveva assitito da giovane: la morte di un uomo fulminato dai cavi elettrici di una cabina sul ponte elevatore.  Poi si legge: «i passi ricordano il buio, la pausa / tra le lezioni nel bosco, il suono sulla scala, il battito / sui nomi comuni il sale del ricordo, premuto / & assordato dietro le orecchie / si fermava il tempo, dall’ / infanzia qualcosa era / pronta per dopo, da sempre / valido da più tempo ... è un sale di / uccelli spezzati dietro le orecchie, ... /». (pp. 99-111). E ancora: «si posa il breve pelo verde / dalla terra dal / lato pallido, non / lisciato, si tende il manto della / bocca nelle citazioni, così come /... /». (p. 127).  Questo modo di narrare i versi fa pensare alle liriche di Heinrich Heine, celebre poeta tedesco, che ha raccontato con abilità stilistica, dando un tono ai suoi versi anche nell’esprimere sensazioni e sentimenti personali.    
   Così si ascolta il ritmo leggendo: «il luogo germina sotto / la mano, nel viso, parlando / con la bianca / cruda, faccia interiore /... /» (p. 145) e:  «delfino o farfalla - / che concatenazioni, inventate, segni dalla / gomma dura delle cuffie: nome / classe, lettere / grandi, già sciolta / la scritta a sfera calcata / sulla colonna cranica ... / ... /: delfino o farfalla - / Chi sa nuotare, narra / dell’approdo alla sua vita ossa / atrofizzate pinne a farsi / gambe di ragno la sera, anche / al crepuscolo degli alberi: ma / ... / ». (pp. 175-177); non si può non notare la drammaticità della realtà vissuta con uno straordinario uso di metafore forse per rendere più degno a lui e al lettore il passato di una vita vissuta.  E tuttavia: « / ... / ti è saltato in pieno viso & / senza fiato due secondi hai / cantato con la voce morta / del tuo canto». (p. 183). Sono canti che accomunano l’intera sinfonia di Lutz Seiler che si ascolta come se fosse la sinfonia di Richard Wagner, L’anello del Nibelungo che costituisce un continuum narrativo comprendente i quattro drammi musicali da L’oro del Reno al Crepuscolo degli dei. Proprio nella magica ma al tempo stesso inquietante musica wagneriana si dipana la poesia di Seiler, l’autunno: «è silenzio & uso. L’autunno / è rastrello, legno, è lieve / frescura sugli occhi & / una pelle d’oca fortuita. /... / stagionano i progetti. Il fogliame brucia, la sabbia / ancora calda sotto la cenere, ora lo avverti / sulla tua mano: qualcosa vuole / andarsene & qualcosa non partire mai ... /». (p. 227). La domenica pensavo a Dio è «una fonte inesauribile dove non si può calare il secchio senza farlo risalire colmo d’oro e di bontà». (Nietzsche).

mercoledì 24 ottobre 2012

Le Fiabe Ungheresi di Francesco Spilotros a Bari



Sarà presentato il 25 ottobre 2012 alle ore 16,30  il libro edito da Besa Editrice di Francesco Spilotros dal titolo “Fiabe ungheresi” che si terrà a Bari alla Scuola Primaria del IX Circolo Japigia 1 presso  il plesso Don Orione, nell’ambito della rassegna "Nostro mercoledì letterario".

Le fiabe ungheresi hanno l’ardire di affrontare in campo aperto questioni pedagogiche di alto profilo. Con una lettura trasversale che coinvolge tutte le fiabe, si può affermare che il progetto educativo che portano avanti, unitariamente, è quello per una società democratica che faccia del dialogo la sua dimensione fondativa. Le fiabe ungheresi spingono verso un’educazione che sia impegno a elaborare e coltivare una tensione infinita sia verso la realtà esterna sia verso una realtà interna, verso se stessi alla continua ricerca di significato. E lo fanno preparando alla vita i piccoli lettori attraverso mille temi, svariati personaggi, infinite avventure, multiformi situazioni.

Francesco Spilotros (1968), insegnante, sposato con tre figli, è laureato in lingue e letterature straniere e in scienze della formazione primaria. Collabora con la cattedra di storia della letteratura per l’infanzia dell’università di Bari. È socio fondatore dell’associazione internazionale di lettura e letteratura per l’infanzia L’Aquilone, nata a Bari nel 2007, e della omonima rivista specializzata di letteratura giovanile (www.associazionelaquilone.info). Sul sito http://www.montessorimola.net/ gestisce il blog Didattica e dintorni.


VIVI TU PER ME di Paolo Mosca (Sperling and Kupfer). Intervento di Vittoria Coppola



La lettura di questo romanzo è cominciata con un preciso intento:  rintracciare un senso condivisibile - nella “scelta” fatta dai protagonisti, che si rivela colonna portante della storia narrata. La trama  ci propone, a conti fatti, qualcosa di inverosimile, irrealizzabile nella realtà comune. È vero però, che i due aggettivi da me utilizzati, provengono da chi non ha sentito sulla sua pelle il brivido gelido del “conto alla rovescia”.  Pertanto, freno le mani su questa tastiera e dico a voce alta: “Cosa posso saperne, io? E se – invece – quella vissuta da Laura e Pietro fosse la forma più alta d’amore e dedizione l’una verso l’altro?” Ed è proprio in questo momento di dubbio che intravedo nella scrittura di Paolo Mosca qualcosa di profondamente umano, che mi piace. E molto. Vivi tu per me, se fosse mai possibile.  Spalanca gli occhi e il cuore alla vita. Gira il mondo. Sorridi. Amati e rispettati. Allontanati da tutto quello che può riservarti solo amarezza e dolore. Prendi le distanze dalla morte: tu che puoi farlo. Pietro, sceneggiatore di successo che si vede vigliaccamente consumare da una rara malattia, pare voler dire tutto questo alla sua amata Laura, ex modella, più giovane, ma che gli è accanto da dieci anni. A novanta giorni dalla morte di lui, i due innamorati fanno un patto che va al di là della ragione, un po’ come l’amore.  Questo patto delinea i contorni di ogni vicenda narrata, almeno fino a quando il gelido conto alla rovescia non arriva a dire “meno uno”: e lo spazio bianco è improvvisamente dipinto di colpi di scena. Vivi tu per me è un romanzo da comprendere, una storia di unione che ti pone delle domande. Un pezzo di vita che ti risponde con calma ingannevole:  una calma solo apparente, irreversibilmente scandita dal tempo: novanta, ottantanove, ottantotto, ottantasette … .

martedì 23 ottobre 2012

Recensione di Alessandra Peluso su “Mi fa male una donna in tutto il corpo” di MATTEO MARIA ORLANDO (La Vita Felice)



 Leggere i versi di Matteo Maria Orlando fa riemergere dei bei ricordi che vorresti fossero sempre parte del presente e che riguardano l’innamoramento. Innamorarsi è come per la natura a primavera, fioriscono i sensi e rinverdisce l’animo umano. Innamorarsi è come nascere ogni volta a nuova vita, emozioni ti sconvolgono e travolgono investendo mente e  corpo. Così è accaduto a Matteo Maria Orlando che traduce il suo innamorarsi di una donna in versi estatici dal titolo Mi fa male una donna in tutto il corpo. Può risultare contraddittorio questo titolo, ma in realtà l’amore non è sempre positivo, può provocare ferite, può far soffrire e infatti J.L. Borges scrive: «è l’amore: l’ansia e il sollievo di sentire la tua voce / ... / Il nome di una donna mi denuncia, mi fa male una donna in tutto il corpo». Ma nonostante questo non si può far a meno dell’amore.  L’amore in ogni epoca e da ogni uomo, dal filosofo, poeta, intellettuale, cantastorie è decantato. Questo sentimento che inebria come l’incenso. «Ti guardo / desto al mattino / e dal fondo dei tuoi occhi, mi afferra / un cantico lontano. / ... / Sei l’oscuro manoscritto / l’enigma del primigenio e vai, tra labirinti arroccatti / oltre le porte di Medina». (p. 25) « ... Incenso il tuo profumo, investe i chiostri, / inonda e dirige dinamiche d’ascesi. Vibra il petto sotto i mantra che a te innalzo». (p. 43). Si nota come l’autore percorra con straordinaria semplicità e bellezza un viaggio che dall’Oriente ad Occidente passando per le terre d’Otranto e Lecce barocca, abbraccia con i versi il sentimento comune, universale che è l’amore.
 “L’amore prorompe spontaneo dal cuore umano, e attinge ogni sua bellezza e ogni forza dalla libertà infinita in cui si muove”. (P. Mantegazza) 
 «Pallide / le tue carni somigliano allo scrigno d’Otranto / forgiato nella valle cobalto». (p. 27) E si legge: «Aquila sull’altopiano del Tibet / sorvolo le pendici dei tuoi seni / e in te mi affaccio, mia Regina». (p. 29) Così ancora pensa alla sua donna come «Fiume carsico dal corso occulto, / vesti la gloria / d’una Gerusalemme liberata». (p. 35)  Prosegue il viaggio approdando nella mistca India: «Stola in lino, fasci il petto del birmano / eco lontana, marcia solenne di campana a morte / pelle tesa del tamburo, percossa dalle dita di sciamano». (p. 43). «Somigli quando taci / ai passi pesanti del Tevere, affondanti nella città dormiente. / Sancho barocca: Lecce ti è serva. / Abiti corti scavate nei tufi / - dove il libeccio dà voci alle ombre - / e tiri, alle tue reti, / le guance pesanti di Santa Croce / e il vergine tratto del duomo di Zimbalo». (p. 45). Versi densissimi in cui si avverte l’eco dell’illustre Neruda: «Mi piaci quando taci perché sei come assente / e mi ascolti da lungi e la mia voce non ti tocca. / Sembra che gli occhi ti sian volati via / e che un bacio ti abbia chiuso la bocca». L’affascinante lirica di Neruda sull’amore ha pervaso tutte le sue poesie così come Orlando in Mi fa male una donna in tutto il corpo. Come ogni viaggiatore dopo peregrinazioni varie raggiunge finalmente la sua meta, si pensi ad Ulisse e la sua Itaca, così il poeta raggiunge la sua isola: «Sei l’isola che l’esule / rimpiange nell’ultimo sospiro». Muovendo dall’ultima poesia della raccolta di Matteo Maria Orlando, mi piace concludere con un’acuto pensiero di Paolo Mantegazza contenuto nell’opera Fisiologia dell’amore: «Ad ogni volta ch’io vedo un fiore che si apre e sorride sull’orlo degli abissi, mi ricorre sempre alla mente lo stesso pensiero: ecco l’amore, che sembra vivere sempre fra due infiniti, uno di altezza e l’altro di profondità. Mentre lancia in alto le sue aspirazioni, mentre sembra cercare nel cielo spazio e luce, egli approfonda le sue radici nei più sottili meandri delle rocce e nei più oscuri misteri dell’abisso. ... Ė pensiero sulla cima del monte, è nervo laggiù nella valle, guida il poeta quando scala il paradiso, accompagna l’uomo quando si tuffa nell’onda calda della sensualità; vergine e padre in cielo, amante e sposo sulla terra. Se vivere vuol dire esistere nella forma più bella della vita, l’amore è la ricchezza, è il lusso, è lo splendore della vita: l’amore è il divino dell’umano».  Insomma innamorarsi dell’amore è quanto di più importante possa accadere nella vita di un uomo e di una donna.

lunedì 22 ottobre 2012

Chi comanda Torino di Maurizio Pagliassotti (Castelvecchi). Intervento di Nunzio Festa



Un popolo intero attende la bara. Ma non è il feretro di Berlinguer, come cantavano invece i Modena City Rembels. La 'gente' oggi piange e applaude il potere. Almeno a Torino; ma non solamente a Torino. Epperò Torino, a legger il graffiante "Chi comanda Torino" di Maurizio Pagliassotti, oramai la città delle donne e degli uomini, nella sua stragrande maggioranza (perché sappiamo invece del dissenso dell'Askatasuna, del resto dei NoTav e del Gabrio che si difende oggi proprio dallo sgombero del potente - vedremo perché - Fassino) non ha nessuna voglia di criticare il potere che l'ha assopita, anestetizzata, sfregiata da debiti e prepotenze; innanzitutto perché non conosce i volti dei suoi dominanti. Quindi è compito del giornalista Pagliasotti entrare nei meandri del potere, come si dice. A far calare, come si dice, le maschere. Dalle quali appaiono i volti d'una lunga serie d'ex comunisti del Pci, dirigenti sindacali di decenni fa o solo di qualche anno fa, banchieri, palazzinari, tecnichi in nome Fornero ecc., la famiglia Fiat e tutto il suo contado. Un po' di nomi, vedi quello dell'ex sindaco Chiamparino su tutti, che normalmente è battuto dagli asserviti e assoggettati mass media. Insieme ad altri che raramente vengono fuori dall'ombra. Da quel grigio adesso, ragiona il giornalista, stordito dalle luci dei negozi del centro e dalle forti illuminazioni che le amministrazioni comunali hanno inventato: a far dimenticare della recessione che crese. Dei problemi. Maurizio Pagliassotti, davvero, spiega chi sono, da quanto tempo e con che forze i regnanti di Torino. Leggendo, per dire, il già citato Chiamparino e il collega d'ideologia riformista Piero Fassino. Andando nelle cariche della Compegna Intesa San Paolo. Nei zone di Ghigo e di Valentino Castellani. Da canchieri e costruttori, soprattutto. Nel bel mezzo della dismissione dell'industria. Nel cammino dello smantellamento di capannoni e diritti garantito dalla Fiat: che ha continuato a succhiare soldi, anche, dalla Regione Piemonte. Nonostante il sogno dei dominanti, da oltre vent'anni, è di sostituire il lavoro con il consumo. La produzione con il commercio. Seppur turismo e cultura non funzioni proprio. E nonostante i tanti soldi spesi. I debiti fatti dal Comune. Tipo quelli nati grazie alla grande idea delle Olimpiadi Invernali del 2006; dove appunto han vinto le banche e le imprese di costruzioni, che poi spingono e giostrano i loro referenti politici. Con la supremazia delle cooperative rosse, che però viaggiano nella spartizione con quelle bianche. Spesso a discapito dell'interesse generale. Manovratori con manovratori sono analizzati nel libro di Pagliassotti. Il culto e il pragmatismo della nuova ideologia riformista che deve puntare all'urbanistica saldata col cemento. Durante lo svuotamento delle coscienze.

sabato 20 ottobre 2012

Supersimmetry di Francesco Cuna (Kurumuny)



I personaggi di Cuna ti accolgono in silenzio e ti chiedono di sostenere quel silenzio mentre li osservi. Un silenzio fatto di simmetrie bizantine, prospettive inattese, canoni proporzionali aggirati, deformità sfuggenti, volti imperscrutabili e poi ocra, sabbia, terre, grigi, sovrapposizioni di materiale pittorico che invece di dare un opprimente senso di stratificazione, lasciano intuire quello dell’immaterialità. Quello che l’artista intrattiene con la Pittura è un rapporto viscerale, che non smette di riservare sorprese, ma è fatto anche di certezze e familiarità, dovute alla padronanza conquistata attraverso un’ininterrotta esplorazione del mezzo. Al contrario la relazione di Cuna con la Storia dell’Arte si rivela complessa, intricata, ricca di apparenti contraddizioni. Lo sguardo inquieto dell’artista si rivolge in direzioni diverse, come se scorgesse ad ogni angolo l’ombra di un grande maestro del passato e volesse afferrarla e trattenerla nel suo presente. Non c’è un filtro tra la realtà e le opere di Cuna: non credo che i processi che egli attua debbano essere intesi come una manipolazione di quello che ci appare, ma come una ricerca di verità, in quello che ci appare. Verità che l’artista riesce a cogliere proprio negli strappi, nelle maglie della realtà, materializzati nelle incongruenze da lui messe in evidenza e nelle deformazioni e ibridazioni da lui messe in atto. La pittura come processo di estrazione di verità.

FRANCESCO CUNA Nasce nel 1978 a Galatina (LE), dove si diploma all’Istituto d’Arte in grafica pubblicitaria e fotografia nel 1997. Nel 1998 si trasferisce a Bologna per frequentare l’Accademia di Belle Arti arrivando ad esporre alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna prima di diplomarsi in pittura nel 2005. Successivamente (2006) è a Marseille in Francia dove entra in contatto con l’attività artistica locale esponendo i propri lavori presso l’Ecole des Beaux Arts. Nel 2007 è chiamato negli Stati Uniti d’America a realizzare un affresco di grandi dimensioni all’interno del “The Prizery Museum” Art Center of South Boston (VA) per celebrare il 400esimo anniversario dei primi insediamenti Europei nell’ambito del progetto “Virginia 2007 Italy rediscover America” commissionato dal Virginia Museum and Virginia Commission by Art di Richmond. Rientra in Salento e figura tra gli organizzatori del “Locomotive Jazz Festival” di Sogliano Cavour (LE) curandone, con Luigi Cesari, il progetto Arti Visive, realizza i concept della comunicazione e performance pittoriche durante i concerti nelle edizioni che vanno dal 2007 al 2010. Si è così esibito sul palco insieme a molti musicisti tra i quali Paolo Fresu, Antonello Salis, Furio Di Castri, Philipe Catherine, Giovanni Imparato, Pierpaolo Bisogno, Gianluca Petrella, Raffaele Casarano, Luca Aquino, Franco Califano, Trovesi ed altri. Nel 2011, dà vita con Alessandro Sicuro, a “B22”, progetto grafico di natura imprecisata, e nel 2012 aderisce al gruppo “OZIO” con una prima collettiva curata da Lorenzo Madaro.

venerdì 19 ottobre 2012

Il signore della vendetta di Lara Adrian (Leggereditore)



Gunnar Rutledge ha trascorso gli ultimi tredici anni della sua vita a escogitare il modo di vendicare l’assassinio di sua madre. Quando finalmente l’occasione tanto attesa si presenta, Gunnar rapisce Raina, la figlia del barone D’Bussy, per costringerlo alla resa dei conti. L’incontro con la figlia del suo acerrimo nemico, una ragazza ribelle e dallo spirito libero, cambierà per sempre la vita di entrambi. Tra colpi di scena e battaglie, Gunnar capirà che la vendetta può non essere l’unico scopo nella vita di un uomo.  Lara Adrian è una delle regine del paranormal romance. La serie con cui si è fatta conoscere dal pubblico italiano, La Stirpe di Mezzanotte, è diventata un successo mondiale; pubblicata in oltre 14 Paesi, è giunta negli USA al nono titolo. Per Leggereditore sono già usciti: Il bacio di mezzanotte, Il bacio cremisi, Il bacio perduto, Il bacio del risveglio, Il bacio svelato, Il bacio eterno, Il bacio oscuro, Il bacio di fuoco e Il bacio immortale.

giovedì 18 ottobre 2012

UNDUETRE STELLA! CORSO DI SCRITTURA E ILLUSTRAZIONE PER L’INFANZIA E I RAGAZZI



UnDueTre Stella! Scrivere e illustrare per l’infanzia e per i ragazzi è sicuramente una delle declinazioni del mondo editoriale più interessanti e creativo, fosse altro perché bisogna non solo immaginare le storie ma vederle lì, sotto gli occhi, di mille colori. Per questo, dall’esperienza della rivista UnDueTreStella, la Lupo Editore (in collaborazione con l’ass. DamageGood) organizza un corso rivolto a chi ama il mondo della scrittura e dell’illustrazione per l’infanzia e per i ragazzi. Lo scopo è quello di capire e cimentarsi nella realizzazione di un albo illustrato, sia dal punto di vista della scrittura che dell’illustrazione. A condurci nel mondo della scrittura sarà il prof. Livio Sossi, Docente di Storia e Letteratura per l'infanzia all'Università degli Studi di Udine e di Capodistria, esperto di illustrazione, letteratura ed editoria per l'infanzia, è direttore editoriale, artistico e consulente per diverse case editrici (Falzea, Campanotto, Edicolors, Edizioni Euno, SECOP, Arianna, Lupo). Il prof. Livio Sossi terrà le sue lezioni il 10-11 novembre presso il Conservatorio S. Anna a Lecce, in un’originale formula full immersion (dalle 09:30 alle 13:30 e dalle 15:30 alle 18:00). Il modulo proporrà ai partecipanti, in forma di laboratorio operativo con esercitazioni pratiche, la scrittura delle più importanti tipologie testuali presenti nella letteratura per ragazzi contemporanea. Per ciascuna tipologia si forniranno esempi tratti dalla migliore produzione editoriale contemporanea. Verrà quindi individuata la struttura narrativa dei testi che fungeranno da modello su cui operare per la creazione di nuove storie e di nuovi racconti. Si lavorerà inoltre sul linguaggio (incipit, flashback, testo ed extratesto), sulle richieste, sulle attese e sui condizionamenti del mercato editoriale e sul fenomeno delle mode. Per chi è interessato all’aspetto dell’illustrazione e della grafica, potrà seguire nei due week end successivi (17-18 e 24-25 novembre) le lezioni teoriche e pratiche del bravo Massimiliano Di Lauro. Originario di Trani, per il suo talento pubblica “Mi primer viaje” con la galliega OQO Editora, fiore all’occhiello dell’editoria per l’infanzia europea. Il modulo di Massimiliano Di Lauro si propone di far luce sugli aspetti che stanno dietro alla rappresentazione iconica, facendo chiarezza su cosa è lo stile e come trovare “la propria voce”. Anche in questo modulo, oltre ad una serie di nozioni teoriche, saranno proposte delle esercitazioni pratiche, allo scopo di chiarire questi aspetti per comporre insieme un albo illustrato. Sarà possibile l’intero corso o i singoli moduli. Il corso è a numero chiuso e sarà possibile iscriversi entro il 5 novembre 2012.

Sono previsti sconti per gli studenti universitari. Per informazioni e costi chiamare il 3294178895 / 3384598211 o scrivere a redazione@lupoeditore.it.

Ufficio Stampa

CAFE' PHILO - INCONTRI DI FILOSOFIA E PRATICHE FILOSOFICHE A LECCE

L'incontro di "Segni dell'uomo" avviene il giovedì, con cadenza bisettimanale, presso le "Officine Cantelmo" in viale De Pietro a Lecce, che hanno condiviso il progetto “Cafè Philo – incontri di filosofia e pratiche filosofiche … addolciti da un buon caffè!”. Si decide collegialmente (tra gli intervenuti all’incontro), e di volta in volta, il tema da trattare nell'incontro successivo. Il primo argomento affrontato è stato il "gioco", il successivo la "crisi" e, quindi, "l'ironia". I partecipanti all'incontro sono sia accademici, che filosofi, che amanti della filosofia e della cultura filosofica, e si viene a creare un clima di diaologo dove ognuno è  assolutamente libero di esprimere la propria opinione sul tema.  La conversazione viene affidata, volta per volta, ad un moderatore, normalmente aderente al Centro di Studi "Segni dell'uomo" che ha promosso l'iniziativa, ma anche in questo caso qualsiasi utente o associato può offrirsi per tal compito. Il prossimo tema, che sarà discusso il 25 ottobre 2012, sarà "l'ospitalità". L'accesso agli incontri è assolutamente libero a chiunque e gratuito. Il compito dei promotori è quello di far conoscere "Segni dell'uomo" come strumento di diffusione della filosofia e delle pratiche filosofiche, cioè consulenza filosofica, phylosophy for children, dialogo socratico, attraverso temi attuali che coinvolgano tutti: anche coloro che non hanno mai studiato filosofia. Il centro studi per le pratiche filosofiche di Lecce Segni dell’uomo promuove e coordina iniziative volte al riconoscimento di una cultura e di processi formativi che valorizzino le “pratiche filosofiche” quali, ad esempio, la “philosophy for children”, il “counseling filosofico” e “pratiche” filosofiche diverse, come “la filosofia in reparto”, la “consulenza filosofica in carcere”, la “filosofia in azienda” e ogni altra situazione in cui la pratica filosofica può ritenersi utile.

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mercoledì 17 ottobre 2012

HOT STUFF DUO AL NOTE DI VINO



Riparte la musica a Note di Vino nel cuore del Salento, a Ruffano (LE), giovane e dinamico locale dove la passione per l’enogastronomia e per la musica e la cultura si fonde in un open space che piace davvero a tutti . Si parte dunque sabato 20 ottobre 2012 alle ore 22.00 con Hot Stuff Duo. Hot Stuff Duo trova le sue radici artistiche nel progetto nato da un’idea di Fabio Lecci (voce, armonica e percussioni) che con Marco Ancona alla chitarra acustica propone una selezione di classici del rock'n'roll e del blues di autori come Rolling Stones, Beatles e dei grandi più maestri degli anni '50 e '60 reinterpretati e rivisitati in chiave acustica. Lo spettacolo costituisce un invito aperto a tutti gli appassionati del genere anche per eventuali jam-session finali.
Lo spettacolo proposto da Hot Stuff Duo è davvero singolare, soprattutto perché la proposta ripercorre gli universi musicali di area americano-britannica di stelle del calibro di Elvis Presley, Eddie Cochran, Ray Charles, Johnny Cash, John Lennon, Muddy Waters, Howlin' Wolf, ma anche Rolling Stones, Beatles,The Doors. Nomi, che hanno fatto la storia, influenzandola, di tutta la musica dagli anni cinquanta in poi.

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Via Vittorio Veneto, 55 - 73049 Ruffano (LE) - Italia

VITTORIA COPPOLA A TAURISANO DOMANI 18 OTTOBRE



La Città di Taurisano e l’Assessorato alla cultura nell'ambito di OTTOBRE PIOVONO LIBRI presentano GIOVEDI' 18 OTTOBRE alle ore 18.30 un appuntamento letterario pregevole con
VITTORIA COPPOLA, autrice del romanzo “GLI OCCHI DI MIA FIGLIA”, (Lupo - edizioni Anordest) e vincitrice del concorso- sondaggio "Il libro dell'anno lo scegli tu” organizzato dal TG1 della RAI-Tv. Dialogherà con l’autrice il prof. Luigi Montonato. Questo è un evento in collaborazione con LIBRERIA IDRUSA di Alessano (tel. 0833/781747)

Quale ruolo gioca il destino nello svolgersi della nostra esistenza? E quanto di "nostro" c'è invece nell'imboccare strade sbagliate che porteranno inevitabilmente all'infelicità? In questa storia di "non detti", in cui egoismi e fragilità vanno a comporre un perfetto, perverso incastro, è rappresentato il misterioso e contraddittorio universo dei sentimenti umani: non basta essere genitori per saper comprendere i propri figli ed amarli come meritano; non basta essere giovani e di cuore aperto per essere pronti ad affrontare la vita, né essere innamorati per non farsi complici della propria ed altrui sofferenza. Dana, pur nei privilegi di ragazza circondata da benessere e raffinatezza, è soffocata dalla coltre iperprotettiva di una madre che ha deciso il suo futuro, ma la sua passione per André, fascinoso pittore di donne senza sguardo, si rivela una fuga più grande della sua acerba giovinezza, incapace di reggere all'infrangersi di un sogno. Armando, l'uomo che le offre un amore devoto e remissivo, nasconde un segreto destinato ad esplodere in modo bruciante. Eppure esistono legami che sopravvivono al tempo e sono pronti a riservare luminose sorprese, nei giochi del caso e nel risveglio di coscienze troppo a lungo sopite. Una storia di solitudini e di scelte, nella quale regge sovrana la solidità dell'amicizia, l'unica che non tradisce.

Vittoria Coppola - Ha 26 anni, vive a Taviano (Le). Laureata in Lingue e Letterature Straniere, Comunicazione Linguistica Interculturale  (Università del Salento, luglio 2010). Attualmente lavora come receptionist presso un albergo di Gallipoli (Le). La passione assoluta che muove le sue giornate è la scrittura. Di questo dice: “Lo scopo che mi prefiggo nel momento in cui inizio a riempire pagine di parole e sentimenti, è quello di emozionare, regalando a chi mi privilegia “leggendomi,” attimi personalissimi di evasione dalla realtà, ma anche, perché no, arricchimento della stessa. Confido sempre nella bellezza dei sentimenti e perciò, quando qualcuno reputa banale il parlare d’amore, io sorrido, e vado avanti per la mia strada”.


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martedì 16 ottobre 2012

"Aldo Moro. L'Italia repubblicana e i Balcani" (Besa editrice) presentazione a Trieste



Giovedì 18 Ottobre 2012, alle ore 18.00, a Trieste, all'interno dello spazio "Italo Svevo" della Libreria Fenice (Via Battisti,  6), verrà presentato il libro "Aldo Moro. L'Italia Repubblicana e i Balcani" (Besa editrice). La tavola rotonda della presentazione vedrà la partecipazione di: Stelio Spadaro, il Prof. Goradz Bajc (Università del Litorale, Koper/Capodistria), il Prof. Franco Botta (pres.CESFORIA di Bari), la Prof.ssa Anna Millo (UniBari), il Prof. Raoul Pupo (UniTrieste).


La sconfitta militare dell’Italia nella seconda guerra mondiale e la successiva divisione dell’Europa in Blocchi politici, militari e ideologici, del tutto antitetici e contrapposti, provocarono un ridimensionamento della presenza italiana nei Balcani, senza però decretarne la definitiva espulsione. Nonostante le disastrose conseguenze dell’esperienza bellica e nonostante la presenza sulla sponda orientale dell’Adriatico di regimi illiberali e totalitari, l’attenzione della politica e dell’economia italiana verso quei territori non venne mai meno. Anche per l’Italia repubblicana l’Europa adriatica e balcanica rappresentò un’area di rilevante interesse strategico, politico ed economico. L’importanza delle relazioni e dei legami con i Paesi del Sud-est europeo non sfuggì certo ad Aldo Moro, che, in qualità sia di presidente del Consiglio che di ministro degli Esteri, fu tra i principali protagonisti della politica estera italiana degli anni Sessanta e Settanta. Ambizione di questo volume è offrire al lettore alcune linee interpretative e un insieme di analisi e informazioni fondate su un’attenta disamina della documentazione edita ed inedita, per cominciare a conoscere meglio un aspetto importante della politica estera dell’Italia della Prima Repubblica, la cosiddetta Ostpolitik italiana, l’azione internazionale della Repubblica italiana verso gli Stati e i popoli dell’Adriatico orientale e dei Balcani; un obiettivo che non può prescindere dall’individuazione e dall’analisi del progetto di politica estera di Aldo Moro, dall’approfondimento delle motivazioni e degli scopi della politica attuata dallo statista pugliese nei confronti dei Paesi balcanici e dalla riflessione sul nesso tra dimensione nazionale e internazionale della sua azione politica.

Italo Garzia è ordinario di Storia delle Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”. Fra le sue opere ricordiamo: La Questione Romana durante la prima guerra mondiale (Napoli 1981), Pio XII e l’Italia nella seconda guerra mondiale (Brescia 1988), L’Italia e le origini della Società delle Nazioni (Roma 1995).


Luciano Monzali è professore associato  di Storia delle Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”. Fra le sue opere più recenti ricordiamo: Italiani di Dalmazia 1914-1924 (Firenze 2007), Il sogno dell’egemonia. L’Italia, la questione jugoslava e l’Europa centrale 1918-1941 (Firenze 2010) e Mario Toscano e la politica estera italiana nell’era atomica (Firenze 2011).



Massimo Bucarelli è dottore di ricerca di Storia delle Relazioni Internazionali e docente di Storia dell’America presso l’Università di Roma LUMSA e di Storia della Politica Estera Italiana presso l’Università degli Studi di Parma. È autore di: Mussolini e la Jugoslavia (1922-1939) (Bari 2006), La questione jugoslava nella politica estera dell’Italia repubblicana (1945-1999) (Roma 2008).

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lunedì 15 ottobre 2012

Lo scrittore deve morire. Epiche gesta di due aspiranti autori di best seller di Gianluca Morozzi e Hemana Zed (Guanda). Intervento di Nunzio Festa



Ne ha fatta di strada, Morozzi. Ma le traversie delle riviste "letterarie" diffuse col contagocce e le redazioni d'editori microscopici li ricorda molto bene. Benissimo. Come, sicuramente, questi ricordi sono ugualmente vividi nella memoria corrente di Zed. Quindi Gianluca Morozzi ed Heman Zed, non è che con "Lo scrittore deve morire" abbiamo fatto auto-fiction (parolina che va molto di moda - d'altronde); ma hanno deciso di narrare appunto di strade, e per la verità lo scrittore bolognese non per la prima volta, molto ma molto conosciute con Lo scrittore deve morire. "Epiche gesta di due aspiranti autori di best seller". Esilerante, spassoso assai, vergato a tratti persino da humor pungente e un po' crudele, il romanzo omaggia intanto molta letteratura, demolisce le macchinazioni delle fabbriche editoriali e del marketing delle edizioni, spende parole per penne - vedi Ciarabelli (non notissimo ma di grande talento, e che abbiam avuto la fortuna d'apprezzare al Premio Letterario "La città dei Sassi" di Matera agli esordi) - che meritano. Non a caso, intanto, gli autori presentando il cappelliano romanzo parlano di "parodia del mondo editoriali di oggi". Con questo romanzo, grazie al quale abbiamo molto riso, Gianluca Morozzi ed Heman Zed, fanno viaggiare i loro protagonisti, Francesco Portali e Ladislao Tanzi, insieme poi ad Arcovaldo Cacciapuoti, in location improbabili per presentazioni improbabili - e intanto qui spuntano le sale a volte ostiche come pubblico o semi-deserte come uditorio, insomma. Ma perché questi due invisibili della scrittura, fino ad allora entrambi gli scrittori non avevano scritto che un romanzo, per lo stesso editore, venduto in qualche copia di numero, devo farsi il viaggietto? Semplice. Il loro editore, sotto gli effetti del vino, a entrambi ma in due momenti diversi, commissiona un libro: imponendo la stessa trama. Quindi si ritroverà la stessa storia. Dunque pensa bene d'incollare le prove letterarie. E, guarda caso, nel romanzo è descritto un tour che poi Tanzi e Portali, praticamente sotto minaccia, devo compier davvero. Tra l'altro sotto la guida ambigua dell'ufficio stampa Lothar, tipo stranissimo che poi finisce come finisce e che però piazza nell'opera persino le sue orribili "poesie". L'incontro col critico, rincoglionito, Cacciapuoti, un po' li salva e un po' li rovina. Ché il Caccia produce altre avventure dove di certo queste non mancano. Bizzarrie. Stranezze che si sommano a quelle pensate, in un certo senso, dall'addetto stampa della Belasco. Fino al primo vero colpo di scena, insomma, che è poi una buona sopresa per il titolare del marchio, Ubermensch. Il critico di turno alla D'Orrico, mentre si sollazza per i servizi della sua donna, invece di stroncare il "Un premio da tredici" firmato Portali-Tanzi, per errore lancia il libro nelle classifiche dei best seller. Tra ex ed ex ex, poi, finalmente passando per una Silvia che naturalmente non può mancare, diciamo che L. Tanzi e F. Portali devon gestire fama inattesa, pazzie diffuse e capovolgimenti di fortuna. Sarebbe bello, adesso, descrivere gli altri soggetti del 'film'. Epperò pure irrispettoso. Allora prendere le scritture di Zed e Morozzi, licenziose più che mai in quanto affini agli sconvolgimenti della storia, piene di tagli e cambi di voce, anche perché nelle pagine è custodito il brio della normale casualità.

domenica 14 ottobre 2012

Il romanzo osceno di Fabio di Luciano Pagano



Il romanzo osceno di Fabio", scritto da Luciano Pagano e pubblicato dal 21 settembre sul profilo twitter @romanzosceno, è il primo romanzo italiano scritto interamente in tweet. "Non è quindi una collezione di aforismi, pensieri, battute, racconti in un solo tweet, romanzi in un solo tweet, o qualsiasi altra forma ‘particolare’ e ‘particellare’. Si tratta di una storia, se vogliamo una storia a pezzetti"
"Il romanzo osceno di Fabio" racconta la storia di due amanti, il giovane Fabio, regista precario e la Marchesa, ricchissima moglie di un uomo d'affari. La Marchesa convincerà Fabio a seguirla in un progetto terribile, quello di aiutarla a eliminare il marito. Tweetnoir, Twhiller, storia d'amore o semplice tresca andata a male, "Il romanzo osceno di Fabio" diverte e tiene alta la suspence, tweet dopo tweet. O almeno così dicono.



“Lo spacciatore di carne" (Einaudi), Giuliano Sangiorgi domani alla Feltrinelli di Bari



Domani 15 OTTOBRE 2012 presso la libreria Feltrinelli di Bari di via Melo 119, alle ore 17.00, Giuliano Sangiorgi, voce e autore, dei Negramaro, presenterà il suo esordio letterario, "Lo spacciatore di carne" edito da Einaudi e già entrato nella classifica dei libri più venduti in Italia. L'attore e regista Mimmo Mongelli leggerà alcuni brani del romanzo.

"Lo spacciatore di carne" (Einaudi), Giuliano Sangiorgi - I cadaveri di animali ammassati come pezzi di ricambio, tutti perfettamente uguali, odorano di sangue e gelo. È rimasta cosí tanta carne nel frigo che forse riuscirò a resistere un po'. Finché ci sarà carne ci sarò io in questa casa. Sono diventato l'odore di mio padre e forse sempre lo sono stato. In una foto che ho adesso nitidamente negli occhi, ma che stava nel salotto dei miei, sigillato con il cellofan, avevo poco piú di qualche ora di vita e mio padre mi mostrava al mondo, fiero, tenendomi in braccio in malomodo, come un pezzo d'animale. Il suo sorriso tra la bocca e i baffoni è identico. Da qualche parte in casa ho le foto dei suoi primi macelli. Come trofei alzati in aria per i piedi li espone davanti a chi lo fotografava con la stessa identica fierezza con cui mostrava la mia nascita. Ero io. Come i suoi agnellini, un pezzo di carne la cui vita o morte dipendeva esclusivamente da lui. L'odore del suo camice sporco sarebbe stato il mio. Non mi sarei dovuto illudere. Sono io quell'odore.

Non c’è legame più forte del sangue. E il sangue, la carne, nella vita di Edoardo sono molto più che una metafora: sono la materia di cui è fatto il suo passato e quella a cui deve tornare. Aveva cinque anni, «cinque anni di niente» il giorno in cui ha visto suo padre sgozzare un agnello. Da allora il sangue non ha smesso di scorrere nel mattatoio, «la carne-officina» dove il padre macellaio (un tempo il suo gigante buono, adesso un estraneo) attende con pazienza che prenda la laurea prima di raggiungerlo e mettersi all’opera accanto a lui. Perché quello è il destino che la sorte – una sorte incarnata in famiglia – gli ha assegnato, contro cui Edoardo può al limite provare a ribellarsi nascondendo gli agnellini sotto al suo letto, illudendosi che giocare a proteggerli possa salvarli davvero dal loro futuro segnato, e non semplicemente rimandarlo. Dopotutto rimandare, nascondersi, è quello che fa anche lui: studente fuorisede a Bologna, è lontano da casa da due anni ma ha dato solo un esame, il più facile. Vive in un appartamento di via Zamboni con due ragazzi, in uno spazio a compartimenti stagni, dove l'unico contatto con gli altri è dato dagli odori e dal vuoto lasciato dai coinquilini quando vanno in facoltà. La sua è una vita in stallo, «un presente parcheggiato». Finché, sul treno per Bologna, incontra Stella. Un faccia bianchissima da bambima, vent’anni sulla pelle e mille negli occhi. Stella è bellissima, misteriosa, bacia e morde con la stessa passione, e Edoardo se ne innamora in un istante. È l’inizio di un rapporto simbiotico, un triangolo travolgente e pericolosissimo che ha come terzo vertice la droga. Per procurarsela (per lui, ma soprattutto per Stella) Edoardo rivende i tagli pregiatissimi di carne che suo padre gli spedisce orgoglioso ogni settimana: la carne in cambio della droga, la droga in cambio di Stella. Ma ciò che inizia nel sangue non può che finire nel sangue. Quando Edoardo capisce che Stella l’ha abbandonato, quella carne che alimentava il suo legame comincia a trasformarsi in ossessione. In un mondo ormai allucinato dove tutto appare possibile, la carne diventa denaro contante e l’amore diventa incontrollabile follia. L’abilità di paroliere dimostrata da Giuliano Sangiorgi, leader dei Negramaro, nei pezzi per il suo gruppo, l’ha trasformato in uno degli autori più richiesti dai grandi interpreti italiani (ha scritto tra gli altri per Jovanotti, Andrea Bocelli, Malika Ayane, Elisa, Patty Pravo, Adriano Celentano); oggi, il suo esordio letterario mantiene intatta la potenza di una delle voci più forti della nuova scena italiana. Diviso in 35 capitoli brevi e fulminanti come canzoni, Lo spacciatore di carne getta una sguardo straniato sulla vita studentesca, superandone i cliché e portando invece alla luce gli aspetti più ancestrali. Sangue, destino, amore e follia sono gli archetipi su cui Sangiorgi costruisce questo romanzo che sembra ispirarsi al mito, che gioca con la lingua e la scrittura e ci regala il ritratto inedito di una generazione in lotta con il futuro. Un libro appassionato e viscerale, come il rock migliore.”

sabato 13 ottobre 2012

13 sotto il lenzuolo di Giuliano Pavone (Marsilio). Intervento di Paola Scialpi



13 sotto il lenzuolo di Giuliano Pavone edito da Marsilio è un libro che si legge con positiva leggerezza anche se tra le righe si scorge spesso un languore intriso di nostalgia e un pizzico di cinismo. Ottima l’impalcatura introspettiva dei personaggi che si muovono nella storia come protagonisti nella scena della vita con le loro debolezze, ossessioni ma sempre, in fondo, con molta umanità. Traspare dalla storia un attaccamento alle proprie origini che se da un lato riflettono vicende non sempre felici, dall’altro identificano uno dei momenti più belli della vita : quello della giovinezza. Anche il sesso è vissuto dal protagonista come una sorta di routine necessaria al di là di sottili, probabili risvolti sentimentali. 13 sotto il lenzuolo parla di un giovane rampollo di una nobile famiglia in decadenza dove le figure genitoriali non sono certo un esempio positivo. Il giovane protagonista in fondo, e comunque, fa tesoro dei comportamenti defraudanti del padre per trarne vantaggio ed arricchirsi, aiutato da una serie di vicissitudini positive. La storia attraversa un arco di tempo che va dai primi anni ottanta ai trent’anni successivi con riferimenti storici alla musica ed al cinema di quegli anni . Federico Nugnes Peluso, questo è il nome del protagonista, ritorna nel suo paese natio Sprusciàno nel sud Puglia lasciando momentaneamente Milano, meta dei suoi studi universitari, per lavorare in un Hotel del luogo dove poi incontrerà la donna della sua vita: un attricetta che attraversa un precoce viale del tramonto con una troup cinematografica che tutto è, tranne quello che vuol sembrare.  Il protagonista vive la sua vita con spregiudicata avvenenza , con spensierata sete di scoperta che lo porta ad una accelerazione di vissuti dove non c’è spazio per la riflessione, dove i sentimenti degli altri sono d’ impedimento ma dove, se prevale l’intelligenza , il tutto poi torna ad una propria rivincita sociale ed affettiva.

In libreria L’Anello Inutile di Maria Pia Romano (Besa Editrice)



"Un tuffo nel mare, un mare di parole, una trama a maglie scopre gli elementi primordiali della nostra anima: l'acqua, l'aria, la terra e il fuoco. La giovane scrittrice salentina (d'adozione) ti trascina in profondità, ti scuote, a rischio di farti fuggire, ti spinge lì dove non vorresti osare. Giù in fondo a (ri)scoprire il sentimento dell'amore, in un abbraccio con la terra, rossa, ma in realtà blu. Nel Salento le radici sono nelle profondità marine. Solo quando risali il blu diventa rosso, mantello delle radici della storia secolare, raccontata dagli ulivi. Un inno all'Heimat, alla piccola patria del Sud. Leggi le pagine del libro, e quasi cominci ad implorare, vorresti urlarle, ora fermati, basta, ma Maria Pia Romano non ne vuole sapere, lei non si ferma, ti trascina nella profondità del sogno, del desiderio inespresso, ti fa mancare il respiro, per poi respingerti velocemente in superficie. Girandole di parole. Giri pagina e respiri, ti fermi a pensare, ricominci a leggere. Un libro di onde, marine, dell'anima. Onde che ti sollevano dal rifugio e
dalla nicchia che ti costruisci, onde di vita."

BILLY Il vizio di leggere, TG1

maria pia romano è nata a Benevento nel 1976, è iscritta all’Albo dei giornalisti dal 2000. Scrive per alcune testate regionali e nazionali e inoltre si occupa di comunicazione pubblica, uffici stampa e organizzazione di eventi. Ha vinto una segnalazione nella sezione Cultura al premio “Michele Campione” giornalista di Puglia, settima edizione 2010.Ha all’attivo quattro raccolte di poesie, Linfa (1998), L’estraneo (2005), Il funambolo sull’erba blu, (2008) e La settima stella (2008) e il romanzo Onde di Follia (2006). Ha ricevuto riconoscimenti in campo nazionale e internazionale per i suoi lavori. I suoi libri sono inseriti nel Museo della Poesia di Perla Cacciaguerra a Cesa. È stata tradotta da Amina Di Munno e Cassio Junqueira per il festival della letteratura italiana in Brasile del 2011.

venerdì 12 ottobre 2012

Recensione di Alessandra Peluso su Avere fiducia. Perchè è necessario credere negli altri di Michela Marzano (Mondadori)



Un salto in libreria, l’abituale visita settimanale, dove incontro me stessa leggendo i libri che destano la mia attenzione e ad un tratto volgo lo sguardo su un titolo: Avere fiducia. Bizzarro questo titolo, mi dico, sarà ironico? Prendo il libro e inizio a sfogliare. Mi convinco, lo acquisto. Comincio con la lettura attenta e immediatamente mi lascio immergere dalle riflessioni fluide e acute che smuovono il mio animo scettico. Innanzitutto l’autrice Michela Marzano spiega l’origine storica del termine “fiducia”, poi enuncia i motivi per i quali è necessario avere fiducia oggi, Perchè è necessario credere negli altri (sottotitolo). E allora si guarda alla situazione italiana. Attualmente in Italia ogni giorno si apprende che un politico ha rubato i soldi agli italiani che pagano regolarmente le tasse e stentano a sopravvivere; gli evasori fiscali che, - prima comparivano sugli spot pubblicitari rappresentati da povera gente magari meridionali, mentre sappiamo che gli evasori sono in tutta Italia da nord a sud, isole comprese, - spesso e volentieri sono anche rappresentati da gente benestante che deteniene il potere. Insomma è una nitida immagine dell’Italia oggi inquietante dove la fiducia sembra non aver posto. Come si può dunque avere fiducia? C’è la necessità, mi convinco, di avere fiducia per evitare una condizione paralizzante. Senza dubbio dopo aver letto l’ultima pagina del libro di Michela Marzano, ho compreso la necessità di credere agli altri. E quindi penso di aver assolto l’obiettivo dell’autrice: insinuare il germoglio della fiducia, con la speranza che cresca e rinvigorisca. È un impegno fidarsi totalmente delle persone, credo sia un’impresa ardua forse persino titanica. Appare pertanto una straordinaria epopea della fiducia: la fiducia afferma Marzano è il cemento delle nostre società. Una società senza fiducia è una società senza ossatura. La diffidenza è un circolo vizioso che finisce per indebolire il mondo sociale. È l’unica che ci può assicurare che il nostro mondo privato non è anch’esso un inferno (Hannah Arendt): questa è citazione posta al principio del libro, incisiva, magistrale la scelta del’autrice, che conduce a rifletterere, insinua il dubbio, la possibilità di credere nell’altro, al quale un minuto prima probabilmente non credevi e racconta la natura dell’essere umano che è un animale sociale, come sostiene Aristotele, e dovendo vivere con gli altri ha bisogno di credere negli altri, atrimenti il genere umano non avrebbe avuto e probabilmente non ha senso di esistere. Nietzsche scrive in Umano troppo umano che la fiducia è un mito sorto dalle esigenze di determinate situazioni storiche e di determinate necessità pratiche. È chiaro che sostiene l’autrice, ed ogni psicanalisita o psicoterapeuta condividerebbe, ma non solo, per aver fiducia negli altri occorre aver fiducia e amare prima se stesso.  Come è possibile? Come si fa ad amarsi? Sembra scontato, ma non lo è. Altri dubbi si insinuano nella mente del lettore che pensava di avere delle certezze, e legge: «L’amore di se stesso è un sentimento naturale, che porta ogni animale ad aver cura della propria conservazione e che, diretto nell’uomo dalla ragione e modificato dalla pietà, produce l’umanità e la virtù. L’amor proprio ... porta ogni individuo a tenere conto più di se stesso che di ogni altro, ispira agli uomini tutti i mali che si fanno reciprocamente ed è la vera origine dell’onore». Muovendo dal pensiero di Rousseau si passa a quello di un altro filosofo Adam Smith che ha fatto dell’amore di sé la chiave dello sviluppo economico: dandosi fiducia, afferma, l’essere umano può ricominciare a prestare interesse all’altro e scoprire i vantaggi della cooperazione. Può orientare il suo agire verso fini e valori che hanno una logica diversa dalla semplice soddisfazione del proprio interesse. Così prosegue il libro fino a giungere ad un’analisi attenta e realistica della nostra società: la società della sfiducia appunto e della paura. Sentimenti paralizzanti che annullano l’agire, denigrano la natura dell’essere umano. Si tratta infatti di sentimenti che appartengono al Medioevo, utilizzati spesso per detenere il controllo sulla plebe allora, sul popolo oggi, ed essere in grado da chi deteniene il potere di dominare.   L’avvincente viaggio della fiducia prosegue, approdando nell’amicizia e nell’amore. La fiducia in questo tipo di relazioni affettive necessita di una presenza che rinvia ad una forma di impegno. Un impegno però che non implica degli obblighi, non si può infatti promettere di amare sempre costantemente allo stesso modo. Spesso accade di pretendere l’amore, inutilmente afferma Marzano, in quanto “promettere la costanza significa impegnarsi a fare qualcosa che in realtà non si è in grado di mantenere”. L’amore non è un atto la cui realizzazione dipende interamente da noi. Si tratta di un sentimento che si nutre di forte impegno affichè duri, ma non è razionale, è buona parte sfugge al nostro controllo. Pertanto, occorre nutrire sì fiducia nelle relazioni affettive come l’amore o l’amicizia, ma essere consapevoli che non si tratta di sentimenti assoluti, incondizionati, ma di sentimenti che si nutrono delle debolezze, degli smarrimenti e delle fragilità degli uomini e delle donne allo stesso modo. Occorre capire che l’autonomia personale è fatta dell’accettazione di una certa dipendenza dagli altri, del riconoscimento delle nostre debolezze. Paradossalmente è perchè abbiamo una qualche fiducia in noi stessi che possiamo esporci alla critica o al rifiuto degli altri. Dinamiche che l’autrice spiega accuratamente e acutamente nei capitoli VII e VIII che consiglio vivamente di leggere per capire un pò di più di se stessi. Quest’ultima parte infatti aiuta a compiere un’introspezione nel proprio ego, a conoscersi e a migliorarsi, qualora un lettore desidera farlo. Aiuta a interrogarsi sulla propria vita, sull’idea di fiducia che si ha o si dovrebbe avere e sul fatto che noi esseri umani non siamo creature semplici, non siamo perfetti. Da qui si giunge alla conclusione del libro e Michela Marzano augura a chiunque volesse accostarsi alla lettura attenta e profonda della sua opera di scommettere nella fiducia: “nulla mi garantisce che sarà vincente, posso anche perdere. Ma scommettendo mi concedo la possibilità di scoprire l’altro, e ancor più, di scoprire me stesso”. È un augurio sincero che faccio anch’io a me stessa.

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