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mercoledì 9 febbraio 2011

Il libro del giorno: Per sentito dire. Conoscenza e testimonianza di Nicla Vassallo (Feltrinelli)

















Telefoni, cellulari, sms, e-mail, blog, social network, piattaforme varie, wiki. Oltre a conversazioni d'ogni genere, libri, enciclopedie, giornali, riviste, radio, televisione, internet. Senza dimenticare documentari, fotografie, mappe, segnaletiche, cartelloni, e molto altro ancora. Tutte fonti d'informazione che ci consentono di conoscere il mondo e grazie alle quali possiamo muoverci, lavorare, studiare, relazionarci l'uno con l'altro. In filosofia ci interroghiamo su questa conoscenza ottenuta e trasmessa attraverso quella che viene tecnicamente chiamata "testimonianza", la base su cui si regge la capacità di affrontare la vita quotidiana e professionale negli aspetti più
vari, incluse le sue forme più evolute e complesse. È necessario quindi capire la testimonianza, come e cosa ci consente, perché è errato svalutarla, rifugiandosi nell'individualismo, perché in troppi l'hanno voluta e la vogliono controllare nonché manipolare. Senza dimenticare alcuni grandi pensatori che sulla testimonianza hanno riflettuto, "Per sentito dire" è un viaggio filosofico
nella contemporaneità, che ci invita a ragionare, tra l'altro, su astrologi, complotti, credulità, dittature, diverse condizioni e visioni della testimonianza, false testimonianze, gaffe, giornalismo, guerre, inganni, inquisizioni, internet, potere, pubblicità, testimoni affidabili e inaffidabili. Per comprendere come può la testimonianza donarci conoscenze, garantirci la democrazia, evitare che la nostra società si trasformi in quella angosciante e orwelliana del "Grande Fratello". Saggio di filosofia seria e pura, "Per sentito dire" vede così tra i suoi protagonisti Adolf Hitler, Dodi e
Mohamed al Fayed, Facebook, George W. Bush, Giorgio Perlasca, il principe Carlo, la regina Elisabetta II, Lady D, Obama, Silvio Berlusconi, Tony Blair, Vladimir Putin, Wikipedia.


Indice di "Per sentito dire":
Prologo di John Locke; Invito a cena dalla Regina; Arrivare a cena dalla Regina; Conoscenza diretta, competenziale, proposizionale; Conoscere Lilibet, regnare come The Queen, sapere che Elizabeth II è la sovrana britannica; Riccardo sa che Lady D è morta; Perché credi che Lady D è morta?; Svalutare la testimonianza; In principio era il verbo; Individualismo e Inquisizione;
L'errore di Cartesio; L'empirista estremista; La circolarità di Hume; L'intelligent design di Reid; L'astrologo; Colpevole o innocente; The witness; Non dire falsa testimonianza; The most important job is not to be governor, or first lady in my case; La guerra di George W. Bush; Uccidete Lady D!; Il royal blog di Lilibet; Epilogo di George Orwell; Poesie di Paul Celan; Commiato; Note; Bibliografia; Indice dei nomi.


Su Nicla Vassallo, quarantasette anni, professore ordinario di Filosofia

Fiume di tenebra, l'ultimo volo di Gabriele D'Annunzio (Castelvecchi) di Massimiliano e Pier Paolo Di Mino. Intervento di Silvia Agogeri












Fiume di Tenebra è più di un romanzo, è molti romanzi. O meglio, è un romanzo a strati. A un primo sguardo, si tratta della ricostruzione di una pagina tanto peculiare quanto oscura della storia italiana: dopo la Grande Guerra, si fa strada in alcuni animi italiani l’idea della vittoria mutilata; il poeta soldato D’Annunzio, incapace di porre fine ai suoi ardori guerriglieri, entra a Fiume con il suo gruppo di soldati Arditi a cui nulla è rimasto da perdere se non la vita per un ideale. Il sogno patriottico di D’Annunzio si trasforma però in qualcosa di distorto, confuso e paradossale, e Fiume diviene un “mondo a parte”, che non piace alle autorità italiane. In questo contesto, la storia racconta di un fallito attentato ai danni di D’Annunzio che avrebbe preso le mosse da un gruppo di cospiratori. Fiume di Tenebra è questa storia, ricostruita dall’interno; è il racconto di Italo Serra, comandate nato e sopravvissuto, che parte per Fiume con una missione da compiere: uccidere D’Annunzio. Basato su fonti storiche, testimoni dell’attentato al Vate, questo romanzo costruisce una storia di uomini affranti dalla Grande Guerra, di soldati bambini incapaci di ritornare alla vita e di italiani entrati a Fiume Città di Vita, a Fiume la Santa, per sostenere un sogno poetico di libertà.

Senza dubbio incuriosisce che il romanzo prenda il via da fatti reali; il legame con una realtà storica di per sé discussa e forse mai del tutto chiarita, così come la presenza di nomi che richiamano un’identità storica e culturale, suscita necessariamente interesse in ogni lettore italiano. Esiste una complessità tipica delle narrazioni di vicende contraddittorie come quella di Fiume, che consiste nel rischio di situarsi ideologicamente da una parte, finendo per dare una visione soggettiva della storia. Gli autori di Fiume di Tenebra riescono a evitare questo giudizio di valore, e a trasmettere la complessità della vicenda lasciando aperta ogni possibilità. Scrivendo a quattro mani ma con un unico stile, Massimiliano e Pier Paolo di Mino depositano nelle mani di Italo Serra le contraddizioni di Fiume che sono anche quelle della natura umana, un congeniale Italo Serra preda di traumi interiori ed esteriori, indecisioni, tentennamenti, incongrue amicizie, riflessioni introspettive che indubbiamente non trovano spazio neanche nei migliori libri di storia.

Nella seconda parte del romanzo, Italo Serra si trova a Fiume, coinvolto nella vita quotidiana di alcuni soldati sostenitori del Vate. La narrazione, che avviene sempre dall’interno, si nutre di un linguaggio forte, crudo, sorprendente, che catapulta il lettore indietro nel tempo, spettatore inerme di episodi drammatici e profondamente umani. I personaggi storditi dalla storia si muovono in atmosfere deliranti, rinnegano i bisogni primari dell’uomo in nome di un nuovo essere, per il quale il cibo e il sonno altro non sono che veleni che distolgono l’attenzione dalla loro teatrale missione militare e poetica. La ricerca della verità si nutre di cocaina e di droghe che imitano la funzione dell’oppio nei poeti visionari, coloro che fumano per vedere aldilà della pelle del giorno, coloro che, come dice Cocteau, si drogano per scendere dal treno espresso che corre verso la morte. La poesia copre come un velo la totalità del romanzo, trasformando il patetico in mistico. Essa eleva la ricerca di una giustizia al di sopra dei confini della storia, una giustizia naufragata nell’ingiustizia della condizione umana. È qui che il romanzo si separa dalla storia e diviene atemporale, perché Fiume si trasforma in un simbolo della ricerca di un’umanità perduta.

“Questa storia non è mai successa a nessuno” esordisce il romanzo. Una frase che racchiude un doppio significato: da un lato rifiuta la definizione di “romanzo storico”, dall’altro innalza la storia sopra la storia, trasformandola in mito, in momento simbolico dell’Italia, dell’uomo. La simbologia religiosa ritorna costante e violenta nei dialoghi dei personaggi, richiamando un sentimento primordiale di peccato e redenzione insito nella morale cristiana, prigione dell’uomo libero. Allo stesso tempo, si situano come riferimenti credibili in un’Italia del 1920, nella quale i soldati partivano per la guerra forti di una solida fede religiosa.

I simboli religiosi si alternano a quelli pagani, attraverso i quali si riversano la rabbia e il timore ancestrali nell’uomo che diventa bestia. La bestia-poeta è la grande contraddizione di Fiume e dell’uomo; è la contraddizione di D’Annunzio, che si fece amare e odiare da un popolo intero. La terminologia animalesca utilizzata per descrivere i soldati non può non ricordare la figura mitologica del centauro, metà uomo e metà animale, possessore di tutti i pregi e tutti i difetti dell’uomo. Gli autori di Fiume di Tenebra scrivono con la zappa in mano, con quella brutalità necessaria a scavare nella memoria della specie, nei sentimenti di distruzione atavici dell’uomo. All’inizio della seconda parte del romanzo, diviso in due parti e numerosi capitoli brevi e incalzanti, compare una citazione di Carl Gustav Jung: “Il segreto è che solo ciò che può distruggere se stesso è vivo”. Ecco come si esprime la ricerca dei soldati, che nel delirio arrivano a fare chiarezza sulla condizione umana.

L’introspezione presente nelle riflessioni del tenente Keller, di Giuliano, di Comisso, dello stesso Serra, si manifesta spesso per metafore che si nutrono di elementi naturali rappresentativi di sensazioni e disagi umani, come la nebbia, l’acqua, le tenebre, o ancora attraverso oggetti tipici della ricerca psicanalitica, quali gli specchi, artefici della costruzione della natura illusoria dell’uomo. I riferimenti al mondo antico e agli eroi greci sono numerosi e conferiscono un carattere epico all’opera e all’impresa di Italo Serra. Nell’ultima parte, si rivive un altro incontro mitico, quello tra Eros e Thanatos, intesi in psicologia come la pulsione di vita e la pulsione di morte ma teorizzati da Bataille e dai filosofi francesi del ‘900 come stretta e naturale relazione tra l’erotismo e la violenza.

Colpevole di questo incontro-scontro tra Eros e Thanatos è la bella Ada, una donna che come Italo Serra progetta la fine dell’esperienza fiumana. La casa di Ada, nella quale Serra viene trascinato, è un ambiente estraneo a tutto il resto, profondo, assurdo, incomprensibile. É la tana del Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie, descritta minuziosamente, con porticine che conducono ad altre porticine sulle note di un pianoforte in fondo all’oceano, un mondo parallelo a quello in superficie, un mondo di terrore e di gioco, ma di gioco mortale. “Questa storia non è mai successa a nessuno”, non è mai successa a nessuno ma più di altre narra una verità nascosta. Così è l’arte, per dirlo ancora con Cocteau: un paradosso che rivela la realtà, o più semplicemente, una menzogna che dice sempre la verità.

Recensione di Silvia Agogeri su ARGONLINE


martedì 8 febbraio 2011

Il libro del giorno: Terra d'Africa, carità no, giustizia sì. (Edizioni Creativa) di Giorgio A. Pisano





















Introduzione di Padre Alex Zanotelli

Il viaggio in Africa, nella Repubblica democratica del Congo, ha inciso profondamente nel mio cuore! Quando vai in Africa tocchi con mano le povertà e le ingiustizie causate da un sistema di vita occidentale consumistico e in continua difficoltà a reggere. Le immagini televisive di tante morti nei paesi del Sud del mondo, le informazioni “geneticamente modificate” (I.G.M.), ti inducono a credere che niente possa cambiare, tutto sembra diventare distante mille anni luce ed un senso d’impotenza ti assale… cambi canale e ti dimentichi di tutto ciò che i tuoi occhi hanno visto o meglio rimuovi il problema! Il block notes, scritto durante la permanenza in Congo, è composto da tante storie di sofferenza, d’ingiustizia e da racconti di gioia e di festa.


Viola Di Grado "Settanta acrilico, trenta lana" (Edizioni E/O)











Questo non è un esordio. E se lo si dovesse catalogare come tale, si verrebbe sconfessati se non dalla quantità di premi letterari che riuscirebbe a vincere, sicuramente da un grandissimo successo di pubblico e di critica (in primis Giovanni Pacchiano, Sandra Bardotti, Massimo Maugeri solo per citarne alcuni). Queste cose si capiscono dalle prime pagine, quando subito ti accorgi che questo notevolissimo romanzo non è la solita puntata sul tavolo delle scommesse letterarie di un editore in stile Giordano o Avallone. Il libro di cui sto parlando è il primo lavoro editoriale di Viola Di Grado (Settanta acrilico, trenta lana – Edizioni E/O). Quest’opera è di grande respiro, matura, calibrata, impressionante per la mole di energia poetica che riesce a conservare su ogni pagina. Lei ha 23 anni, si è laureata in lingue orientali e ora studia a Londra. Viola Di Grado scavalca la routine del romanzo di formazione, fatto di tanta provincia italiana e qualche trucchetto da mestierante o di alta prestidigitazione editoriale. Non posso accostarla per onestà intellettuale ad alcun genere o associarla ad alcun tracciato scritturale, sebbene già circolino le prime comparazioni con la Amélie Nothomb, o con le suggestioni gothic/noir alla David Lynch. No, per salvarla dal tritacarne delle definizioni o degli incasellamenti, alla Di Grado, per rispetto a lei e alla sua scrittura, occorre riconoscerle una sua autonomia, una sua forza, una sua originalità, una sua identità, un suo splendore. Viola di Grado nelle pagine di “Settanta acrilico, trenta lana” dimostra che l’esistenza vista con una forte e pervasiva monomania di un’esoterica tendenza al colore rosso (il sangue, i capelli rossi dell’amante del padre, il colore fondante delle nozze alchemiche) ed una nevrotica fissazione verso i buchi (paura dell’oltrepassamento della soglia), non è in grado di dotarsi di tutti quegli strumenti per conoscere onticamente il mondo, e dunque il suo esserci nel mondo è costitutivamente precluso alla sua stessa conoscenza. La storia riguarda una vita soffocante cucita addosso a Camelia che vive con la madre a Leeds (U.K), in una casa vicino al cimitero. Lei si occupa di lavatrici (ovvero transla i manuali), la madre è ossessionata dai buchi che fotografa nervosamente. I loro incroci di vita si basano sulla grammatica degli sguardi e del silenzio. Poi arriva Wen, nella vita di Camelia, un ragazzo cinese che le insegna la sua lingua. Da quel momento comincia il viaggio in un’altra dimensione fatto di crudezza e angoscia del vuoto

Viola Di Grado ha ventitré anni. È nata a Catania, si è laureata in lingue orientali a Torino e studia a Londra.

lunedì 7 febbraio 2011

Il libro del giorno: Il Grinta di Charles Portis (Giano)

















Nel secolo del mitico far west, nelle terre selvagge dell'Arkansas, al confine con lo sterminato Territorio Indiano aggira Mattie Ross, un'impertinente "mocciosa di quattordici anni... capace di andarsene di casa in pieno inverno per vendicare la morte del padre". Mattie si presenta un giorno al cospetto di un vecchiaccio con un occhio solo, un abito nero impolverato e un distintivo sul panciotto. È Reuben Cogburn, detto da tutti il Grinta... lo sceriffo più cattivo, duro e spietato che vi sia, uno che non sa che cosa sia la paura, l'uomo giusto, insomma, per scovare l'assassino del padre e restituirlo all'altrettanto dura legge del giudice Parker. Cento dollari e Cogburn sarebbe bell'e che assoldato se non comparisse all'orizzonte LaBoeuf, un ranger texano, un bel tipo sulla trentina che sta dando la caccia allo stesso assassino per conto della famiglia di un'altra vittima, seduce il Grinta con la prospettiva di una lauta spartizione della taglia, e a Mattie non resta che rassegnarsi alla sua presenza. Un vecchio sceriffo, un altezzoso e affascinante ranger e una ragazzina partono dunque per una caccia che potrebbe essere senza ritorno, ma a cui nessuno dei tre accetterebbe mai di rinunciare. Un romanzo che ha attratto intere generazioni di lettori e noti cineasti, da Henry Hathaway, che ne fece un film che valse a John Wayne l'unico premio Oscar della sua carriera, fino ai fratelli Coen, con la loro trasposizione cinematografica.

Tra la palpebra e l'occhio di Vito Russo (LietoColle)
















.. niente è lasciato al caso nell’accumu­lazione apparentemente casuale e caotica di oggetti ed eventi e luoghi e momenti e sensazioni e persone e ricordi e nomi, tutti evocati per virtù di parola dalla melassa della quotidianità e infilati un verso dopo l’altro, come in uno svogliato inventario, a far da cornice alla rasse­gnazione e al lasciarsi andare ai capricci della sorte. Sono impressioni volute, generate apposta dall’effetto tonale della voce poetica, dall’uso scaltrito del linguaggio, dello stile. Dunque impressioni menzognere, come tutto, nella rappresentazione letteraria, è invito alla menzogna: menzogna buona, si capisce, per meglio demistificare la realtà e snidare il vero che in essa si celi. Niente di meno rassegnato di chi cerca un senso nel caos.
[…]
In quell’invisibile intervallo tra palpebra e occhio rivive così tutto il film insensato del mondo esterno, e insensato resta finché non passa attraverso il filtro della parola poetica, attraverso la rappresentazione di un mondo altro, riscattato dal buio, dal silenzio, o al contrario dalla chiassosa insignificanza, rinnovato dal pensiero, vivificato dal senti­mento, offerto ad altri col bisogno di relazione. Insomma un ‘vissuto’ che non perde affatto consistenza di realtà oggettiva, anzi acquista co­scienza e parola, assume spessore morale, si lascia afferrare come corpo vivo, vive di un’altra vita in cui non siano spersi per sempre il senso e la speranza.
Dalla prefazione di Carmine Tedeschi

Tra la palpebra e l’occhio
le unità di misura
il tempo e lo spazio la carne
e le carte da gioco l’asso di denari
la scintilla dei fuochi d’artificio
i dialoghi coi nomi poi il lavoro
le leggi del mercato la televisione
tra quello che si vede e non si vede.

domenica 6 febbraio 2011

Il libro del giorno: Il (grande) sogno inglese. I Sex Pistols e il Punk. ...E tutte le interviste di Jon Savage (Arcana)



















Inghilterra, 1977: la disoccupazione dilaga, gli hippie sono passati di moda, arriva Margaret "Thatcher. I circuiti underground rispondono a questo grigiore mescolando rivoluzione e nichilismo, fai-da-te e anarchia, apocalisse e creatività: è nato il punk. Le strade di Londra si riempiono di ragazzi che sfoggiano creste colorate e vestiti strappati, le fantine autogestite diventano la voce dei giovani arrabbiati, ai concerti scoppia la moda di sputare e pogare. A oltre trent'anni di distanza, i favolosi protagonisti di questa irripetibile stagione non sono affatto sbiaditi: Sex Pistols, Damned, Siounsie e Clash, insieme a Iggy Pop e Ramones, formano un ponte immaginario che va da New York a Londra, dalla factory di Andy Warhol alle geniali invenzioni di Vivienne Westwood. Ton Savage ne racconta la sfolgorante epopea allargando le ricerche fino alla grafica e alla moda, che vennero per sempre cambiate da quel terremoto. Pubblicato la prima volta nel 1991, "Il sogno inglese" è l'opera definitiva sul punk britannico: sghemba corona di rabbia, veleno e spazzatura, come quella che i giovani inglesi regalarono alla Regina Elisabetta per il suo primo Giubileo. In questa nuova edizione, "Il sogno inglese" diventa grande e si completa con l'inserimento delle trascrizioni integrali delle 58 interviste che avevano costituito la base del monumentale lavoro di Savane che lo stesso autore ha recentemente pubblicato in Inghilterra in un volume intitolato "The England's Dreaming Tapes".

Le ginocchia sbucciate di Maria Grazia Casagrande (Harmattan Italia)





















REPLICA D'AUTUNNO

L'odore acre della terra
più buia, rivela alfine
tutta la sua linfa,
segregata ed oppressa
dal tuo peso imponente.

I suoi densi granelli
s'infiltrano, tormentosi,
nell'ordinato dedalo
bianco, umiliando
l'elegante profilo della
tua ossea sfera, che ora
tristemente riappare
come fuoriuscita da
un utero sterile ed acquoso.

Il mio finto perdono si
gonfia di collera, ed il
fango che infuria sul
mio viso, non basta a
raggrumare le mie lacrime.



Maria Grazia Casagrande - Nel 2005 hapubblicato con l'Harmattan Italia una raccolta di poesie intitolata "Le ginocchia sbucciate" ed intorno a questa raccolta ha costruito uno spettacolo che vede la lettura delle poesie alternate a brevi spazi teatrali e tanta musica che canta accompagnata dai suoi musici di fiducia. Spettacolo che ha più volte presentato in biblioteche, librerie, scuole e piazze della città. Collabora saltuariamente e con brevi racconti, all'inserto della Stampa Torinosette. Collabora inoltre con il giornale on-line Il Giornalaccio - www.ilgiornalaccio.net - con recensioni letterarie, ed i suoi ultimi lavori sono visibili entrando nel sito del giornale, cliccando sul pulsante rosso e scegliendo l'opzione 'Gioielli da scoprire', ed in particolar modo riguardano:
- Alessandro Cora, con la raccolta di poesie "Poi qualcuno mi dirà cos'è l'amore" - l'Harmattan Italia editore
- Allegra Nasi, con il racconto Fantasy "L'ultimo dei Vanderloo" - Sovera edizioni
- Serena Avezza, con il racconto "Il filo rosso del destino"- Uni service libro edizioni
- André Aciman, "Chiamami col tuo nome" - Guanda edizioni.

Ha lavorato per l'artista albanese Artan Shabani - la cui pittura si basa sui temi della sua terra - curando una recensione per una sua opera provocatoria intitolata "La bambola".
Ha curato la recensione per "Torino sommersa" opera del pittore torinese Andrea Gatti.
Ha curato la recensione per l'opera 'Istmi' del musicista Sandro Masoni.

http://digg.com/music/Sandro_G_Masoni_Istmi_album_Digital_physical_CD_Baby

Continua la sua produzione di poesie, e parallelamente lavora alla stesura di un romanzo.

sabato 5 febbraio 2011

Ricevo il Sunshine Award 2011 e ne segnalo altri 12






















Da Appunti di una scrivente ricevo l'indicazione di aver ottenuto il Sunshine Award 2011 come blogger. Onorato! Il Sunshine Award è un premio in forma di catena di Sant'Antonio, riservato ai blog - in particolare letterari e culturali, ma non solo - ritenuti più meritevoli, a cui viene assegnato un simbolico "raggio di sole". La regola vuole che chi riceve la segnalazione, a sua volta faccia da passaparola per altri dodici blog.
Ecco quindi il mio contributo alla "ghirlanda":

1) Letteratitudine

http://letteratitudine.blog.kataweb.it/

2) Luciano Pagano – Musicaos

http://lucianopagano.wordpress.com/

3) La Repubblica Bari – Città 2.0

http://libri-bari.blogautore.repubblica.it/

4) Puglialibre

http://www.puglialibre.it/

5) Booksblog

http://www.booksblog.it/

6) Luisa Ruggio – Dentro Luisa

http://luisaruggio.blogs.it/

7) All the word di Luciana Cameli

http://alltheword.blogdo.net/

8) Blanc de ta nuque

http://golfedombre.blogspot.com/

9) Futurix di Christian De Poorter

http://www.futurix.it/

10) Percorsi di donna di Paola Scialpi

http://www.paolascialpi.blogspot.com/

11) Lankelot

http://www.lankelot.eu/

12) Studio 83

http://studio83.splinder.com/

Il libro del giorno: Rex tremendae maiestatis di Valerio Evangelisti (Mondadori)





















L'ultima avventura dell'inquisitore generale d'Aragona, il capitolo finale di un ciclo popolarissimo non solo in Italia. Nel 1372 il nemico mortale di Nicolas Eymerich, Ramon de Tàrrega, viene trovato impiccato nel convento di Barcellona in cui era stato detenuto per anni. Ma il suo cadavere scompare e Ramon viene poco dopo avvistato in Sicilia. Isola in cui si succedono fenomeni misteriosi. Da strani dischi luminosi apparsi in cielo scendono creature gigantesche, ferocissime, che si nutrono di carne umana, forse al servizio di una delle due fazioni baronali che da trent'anni si contendono la Trinacria. L'intero equilibrio di poteri nel Mediterraneo rischia di essere compromesso. Eymerich deve ricorrere a ogni risorsa della sua intelligenza, e della sua lucida crudeltà, persventare la minaccia e annientare il nemico. È un Eymerich sulle prime più debole che in passato, timoroso di una morte imminente. Non sa che invece lo aspetta un destino totalmente diverso. Lo stesso che, quando era bambino, gli era stato sottilmente pronosticato dal suo maestro Dalmau Moner e da mille segnali inquietanti. E incontra, dove passato e futuro si intrecciano, il più ambiguo dei progenitori. Il segreto originario riposa però a Napoli, a Castel dell'Ovo. Dove l'uovo, scoprirà Eymerich, è qualcosa di ben diverso da ciò che si credeva. Solo un lungo cammino iniziatico, costellato di prodigi, lo condurrà alla verità, e a un destino che trascende la morte.

Svelata di Pamela Giorgi (Lupo editore). La Capra è il titolo della poesia qui presentata












Questa è la struttura del mondo

ed io non possiedo un codice, una bussola,

un sestante

questo è il percorso del mondo

per me che non ho mappe

non ho fiuto

per me che non ho orientamento

questa è la struttura del vero

che la colgo dopo

come la trama del senso

che assomiglia ad un vivere gravido del

necessario

ed io con la mia vista breve

quasi un binocolo sfocato

percorro volentieri il sentiero sbagliato

e partorisco le mie scelte

gemendo come una capra solitaria

che urla altissima alla luna

mentre la luna osserva immobile

perché di capre

ne ha già viste molte


“Le parole delle donne fanno paura; e bisogna farle tacere, quelle parole. Solo la poesia palpitante e dolorosa può rispondere ad un dito severo e razionale, piantato sulle labbra dolci per ammutolire. E baciarlo”. Carla Bino

Pamela Giorgi nasce a Brescia nel 1973 dove compie i suoi studi e la sua formazione professionale. Lavora nel settore della comunicazione per grandi gruppi industriali. Vive in un’area montana del bresciano, la Vallecamonica, con la famiglia.

venerdì 4 febbraio 2011

Il libro del giorno: Wingsworld vol.1 di Francesco Ruccella in ebook come anteprima





















Il mistero della pietra di Leda” è il primo libro della saga di Wingsworld (Libellula edizioni), un fantastico mondo abitato da meravigliose creature. Leda è una giovane wingson, carina, vivace e intelligente. Come tutte le ragazze, ama passare le giornate a divertirsi con le amiche. Ma ciò che aspetta con più ansia è il giorno in cui, finalmente, riceverà il suo medaglione. Un medaglione magico che ricevonotutti i wingson all’età di 17 anni. In ogni medaglione comparirà, al centro del ciondolo dorato, una pietra.
Il colore della pietra stabilisce quali strabilianti poteri il wingson, da quel momento, sarà in grado di gestire! Finalmente, anche per Leda arriva il grande giorno! Ma non sa ancora che qualcosa sta per accadere: qualcosa di imprevesto, qualcosa di inspiegabile, qualcosa che cambierà la sua vita per sempre.

FRANCESCO RUCCELLA

Francesco Ruccella è nato a Regalbuto e ha 19 anni. Abita a Catania dove studia alla facoltà di scienze e tecniche psicologiche. Il mistero della pietra di Leda è il suo primo romanzo ed il primo volume della saga di Wingsworld edito da Libellula edizioni.

qui Wngsworld

Persecuzione di Alessandro Piperno (Mondadori). Intervento di Elisabetta Liguori













La scrittura è un mestiere per pigri. Pigro chi legge, chi valuta, chi rilegge. Spesso anche chi scrive. Si potrebbe affermare che oggi si scrive per lo più soltanto ciò che è già stato letto. Emblematica a riguardo è l’ultima fatica di Alessandro Piperno, che ha da pochissimo pubblicato per Mondadori il suo “ Persecuzione”. Un romanzo diviso in due parti (il seguito potremo leggerlo fra un anno) senza pigrizia calligrafica, senza risparmio lessicale, ma che a mio parere obbedisce a regole, oramai condivise quanto vincolanti. Come nel romanzo d’esordio, infatti, ritorna in questo secondo la migliore borghesia romana, i congressi medici, la malattia intesa come fonte di lucro, il sesso, anzi la pedofilia, un pizzico di craxismo degli anni rampanti e dosi abbondanti di ebraismo. Il tutto innaffiato da fiumi sapienti di citazioni colte, noir, note hollywoodiane e conflitti generazionali (e di coppia). Sono i temi cari a Piperno. Quella sporca ossessione personale con la quale uno scrittore non può non confrontarsi. Così la lingua. Ancora sontuosa, senza alcuna traccia di indolenza, classica eppure ironica. La trama è semplice e per questo più aperta alle incessanti digressioni, al flash back spinto. Così, restando a metà tra Vladimir Propp e Leo Spitzer, Piperno si muove tra intreccio e pensiero con consumata perizia, dividendo i lettori in due opposte fazioni: gli irritati e i compiaciuti. Leo Pontecorvo è il suo personaggio chiave: affermato pediatra, d’improvviso schiacciato dalla vergogna. Uomo scarafaggio, creduto il corruttore della dodicenne fidanzata del figlio, si risveglia in incubo che non sa di aver costruito con le sue stesse mani. Vittima della puberale concupiscenza di una ninfetta crudele, resta sotto le macerie del suo successo famigliare, professionale e sociale, murandosi vivo nel suo lussuoso scantinato. Pontecorvo è un peccatore o un debole? Vittima o stupido carnefice in un contesto famigliare allargato, dai colori scintillanti? Nella acuta disamina dei questi meccanismi si esprime il miglior Piperno. La moglie di Pontecorvo, infatti, travolta dalla scandalo, precipita nel silenzio senza urlare il suo sospetto, la negazione, la supplica o la rabbia che ci si aspetterebbe da altri. I suoi due figli si attengano al dictat materno che cancella il padre, senza un cedimento. È l’imbarazzo, la mortificante rassegnazione all’orrore. È un portato logico culturale. In queste emozioni Piperno scava, trovando giustificazioni letterarie, tanto più preziose quanto più personali. Ma perché mai questa analisi dovrebbe aiutarci a comprendere il trend della letteratura contemporanea? Perché Piperno è Piperno e leggere i suoi libri ci aiuta a capire come si fa a restare Piperno nel tempo. Lui ci riesce. Non è Allen, non è Roth, ma è entrambi. Non è Kafka, ma Kafka è con lui. È questa l’infaticabile, dolcissima, pigrizia della cultura di massa. La sapida ripetizione di un’idea, di un modo di essere e apparire, come Morin, sin dagli anni sessanta, spiega nel suo “Lo spirito del tempo”, a proposito del nascere e resistere dei miti, anche quelli letterari.

Come per altre costruzioni editoriali l’unica via percorribile sembra essere la sintesi, o la follia, o la trama secca o l’impegno civile, per Piperno la spirale psichica dei personaggi resta una cifra obbligata; l’affollato contesto comodamente ebraico l’unica piattaforma possibile. La sua condanna. La nostra condanna.

giovedì 3 febbraio 2011

Il llibro del giorno: Arnold De Vos "O terra., dammi ali" (Edizioni CFR - Piateda)





















O terra, dammi ali è forse la raccolta più lirica di de Vos, legata alla sua storia personale di questi ultimi decenni. Voglio solo rammentare il merito maggiore della poesia devossiana, dal punto di vista delle tematiche, che è quello di fondere insieme la poesia erotica con la poesia amorosa, la poesia della carne e dei sentimenti più sensuali e carnali con la poesia dello spirito e dei sentimenti alti, operando una specie di integrazione spirito/materia che, inedita nella poesia omoerotica italiana, è comunque rintracciabile con difficoltà anche nella poesia eterosessuale. Il risultato è una inedita prospettiva di ricerca poetica che ha il pregio di svincolare la poesia erotica da un orizzonte ingombro di tabù e ossessioni per consegnarla alla forma più innocente, dove l’eros finalmente è qualcosa non di “trasgressivo” e nevrotico, ma di più armonioso e naturale. Casomai è l’innocenza a far paura, e l’idea di privarsi di tutte quelle protezioni che ci sono garantite da secoli di convenzioni intellettuali o intellettualistiche sull’argomento (ma pur sempre acritiche) e dal mascheramento dei significati autentici nel grembo delle diverse figure retoriche che formano la vera crosta impenetrabile di molta poesia amorosa ed anche erotica: la buchi, questa crosta, la spezzi e non ci trovi la persona ma soltanto un passatempo. In de Vos trovi invece qualcosa di vivo, di pensante, di problematico, di spirituale e insieme materico

Arnold de Vos - O terra, dammi ali

75 poesie - a cura di G. Lucini, Edizioni CFR- Piateda - 2011 - pp. 96 - € 12,00 (8,00)

Canto d'anima amante di Alessandra Peluso (Luca Pensa editore). Intervento di Vito Antonio Conte




Luca Pensa Editore continua a pubblicare libri di poesia e lo fa (soprattutto) nella (ormai “storica”...) Collana “Graffiti”. L'ultima raccolta di versi è quella di Alessandra Peluso, giovane salentina laureata in filosofia, ricercatrice presso l'Università del Salento (collabora a un progetto di Bioetica dei Diritti Umani), dal titolo eloquente: “Canto d'anima amante”. Trenta componimenti nei quali l'Autrice svela il suo sentire e vivere in questa Terra. Sentire sinestetico che la porta a un continuo conflitto tra istinto e ragione. Vivere che non è come vorrebbe e che l'affligge con incessanti interrogativi su questa vita e la sua negazione. Sentire e vivere che sono alimentati da un'unica speranza chiamat a amore. I suoi versi nascono da una profonda inquietudine, quella di chi sa: che la barbarie avanza ogni giorno in ogni spazio dell'umano vivere, che studio e titoli non garantiscono l'ingresso al mondo del lavoro, che la precarietà è una condizione sempre più stabile, che ogni esperienza fatta con dignità non evita di vedere calpestata la propria, che ogni energia non cambierà il mondo e comunque non smette di provarci. Alessandra Peluso, liberando una parte di sé in una manciata di versi, ha disvelato il suo mondo. Tutt'intero. Questo è il miracolo della poesia. Questo è il dramma della scrittura poetica. In questa sua raccolta d'esordio, Alessandra Peluso si è spogliata davanti al mondo, rivelando il suo mondo. Un mondo interiore ch'è antagonista del mondo di fuori. Di quel mondo dove non c'è allegria e bellezza. Di quel mondo al quale lei vuol donare allegria e bellezza. Di quel mondo dove lei cer ca disperatamente allegria e bellezza. Da qui il suo vivere discratico, quasi schizoide, che contiene la condizione di chi non può che vivere in contraddizione, con insofferenza e intolleranza. Ché il mondo di fuori non gli appartiene. Vi sono versi in cui emerge una triste rassegnazione, ai limiti del nichilismo, per una realtà ch'è utopistico credere di poter cambiare. Rintanarsi in se stessa sembra l'unico rifugio, nell'impossibilità di stabilire rapporti scevri da qualsivoglia sovrastruttura creata e imposta da pochi in nome dell'ultima divinità pagana del nostro tempo: il dio danaro. Quello per cui vali qualcosa esclusivamente se puoi essere motivo di profitto per l'altro. Con la conseguenza che non vi è più alcuna “purezza” per cui valga la pena “spendere” la vita. L'esistenza, così, ha un senso soltanto in attesa della morte... Una visione questa, però, solo apparentemente pessimistica. Ché, invero, consente di guardare oltre la quotidiana eterna corsa verso l'effimero, l'inutile e il superfluo, cercando quella dimensione spirituale capace di ri-umanizzare l'esistenza: ossia il rapporto con sé e con l'altro da sé. Liberandosi da regole e pseudo valori per dare senso al proprio camminare tra gli altri. La formazione di Alessandra Peluso, come cennato, è filosofica e questo -a parere di chi scrive- l'ha fottuta e l'ha salvata. Kant, Cartesio, Pascal, Spengler, Hegel, Sartre, Simmel, Kierkeegard... tutti hanno insegnato qualcosa a Alessandra Peluso... nessuno le ha dato alcuna certezza... ma nell'incertezza, distante anni luce dagli spot da cui siamo bombardati quotidianamente, la filosofia le ha insegnato una cosa di cui ognuno dovrebbe prendere buona nota: porsi delle domande, guardare alla vita criticamente, ragionare! Ché in ciò risiede la chiave per imparare a conoscere se stessi e il mondo d'intorno. Ché soltanto così si può ri-trovare il proprio sé e non confondersi col modello di uomo ch'è più facile trovare girando per le strade di queste “lande tristi e noiose”, quello che “vive di moralismi, espedienti, menzogne per saziare la sua sete di potere”. Questo processo di conoscenza passa attraverso la conquista e la pratica della libertà, ch'è riuscire a affermare il proprio essere nel rispetto di quello altrui. Costruendo, giorno dopo giorno, la propria vita, ch'è una, diversa da tutte le altre, ma con queste va messa in relazione, in un modo qualunque. Ognuno deve trovare il suo. Alessandra Peluso sta cercando il proprio modo e, tra le tante domande disseminate sul suo percorso esistenziale, tra dubbi e risposte mancate e/o inadeguate, emerge una possibilità: “Se la vita può essere una possibile filosofia, la filosofia potrebbe essere una possibile poesia... Poetar e è vivere, escogitare un modo per estraniarsi, per sopraelevarsi da un mondo non tuo, per vivere nel tuo mondo fatto di passioni, sensazioni intense che stravolgono l’essere e ti conducono ad esprimerti senza paure, senza false speranze o aspettative... Amare è poesia... La poesia è una sublime via di espressione per comunicare, comunicarsi. La poesia è un modo per esprimere se stessi senza regole, nè compromessi, dando libero sfogo al proprio istinto, sopprimendo la ragione cosicchè possano elevarsi pensieri dionisiaci, musiche armoniose che suonano come melodie agli orecchi dell’anima o contrastanti, stridenti, pur sempre suoni. In questo danzare, echeggiano le parole come battiti del cuore, come gemiti, come grida di piacere e dolore che devi saper ascoltare e suonare come la ninfa la sua cetra. Così poetando ascolti te stesso, ascolti l’amore, la passione, ascolti e comunichi il tuo nuovo amore: ti sconvolg e, travolge, coinvolge. E’ folle questo amore ma va vissuto, scelto consapevolmente, come se lì qualcuno lo avesse messo a disposizione ed immediatamente preso, catturato...”. La filosofia ha fottuto Alessandra Peluso: troppe domande, troppi pensieri, ogni attimo guardato attraverso la lente della ragione, sì da vedere il mondo siccome è: rivoltante per come ridotto da pochi uomini. La filosofia ha salvato Alessandra Peluso: le ha consentito di vederlo il mondo e, tra i vari modi possibili, di guardare agli altri con gli occhi della poesia. Non a caso, segnalo il pezzo (privo di titolo, come tutti gli altri) contrassegnato dal n. XXIII: “all'improvviso un'emozione / e come acqua e un fiore smorto / la mia anima è rinata / risvegliata dalla voce sua / donando nuovo vigore ai giorni / un senso di pura follia / un pazzo pensiero / tra pensieri senza traccia / così all'improvviso / un attimo / durato un meriggio intero”. Ché per Alessandra Peluso la poesia è amare, amare è donarsi... ché altra vita non c'è.

mercoledì 2 febbraio 2011

Il libro del giorno: Nemesi di Philip Roth (Einaudi)





















«Il marchio di fabbrica di Roth è da sempre la spinta agli estremi, fino al punto di rottura. La sua voce, modulata su tutta la gamma di toni dallo humour all'angoscia, come quella di Kafka, è quella di un uomo in fiamme».
The Daily Beast

Al centro di Nemesi c'è un animatore di campo giochi vigoroso e solerte, Bucky Cantor, lanciatore di giavellotto e sollevatore di pesi ventitreenne che si dedica anima e corpo ai suoi ragazzi e vive con frustrazione l'esclusione dal teatro bellico a fianco dei suoi contemporanei a causa di un difetto della vista.
Ponendo l'accento sui dilemmi che dilaniano Cantor e sulla realtà quotidiana cui l'animatore deve far fronte quando nell'estate del 1944 la polio comincia a falcidiare anche il suo campo giochi, Roth ci guida fra le più piccole sfaccettature di ogni emozione che una simile pestilenza può far scaturire: paura, panico, rabbia, confusione, sofferenza e dolore.
Spostandosi fra le strade torride e maleodoranti di una Newark sotto assedio e l'immacolato campo estivo per ragazzi di Indian Hill, sulle vette delle Pocono Mountains - la cui «fresca aria montana era monda d'ogni sostanza inquinante» -, Nemesi mette in scena un uomo di polso e sani principî che, armato delle migliori intenzioni, combatte la sua guerra privata contro l'epidemia. Roth è di una tenera esattezza nel delineare ogni passaggio della discesa di Cantor verso la catastrofe, e non è meno esatto nel descrivere la condizione infantile.

I giorni del vino e delle rose di Luca Buonaguidi (Editrice Fermenti)









Scavo le grotte dell’anima,

piccono la mia scintilla,

cercando la durevole luce,

del mio spirito il bagliore.

Mi trovo a vagare

In una strada trafficata

per ritagliarmi un corridoio di asfalto

che mi porti a casa

nella foga che mi assale

di trovare un nesso

alle cose.

Luce,

più ti allontani

e più queste pagine

si riempiono.

Questa notte

buia e fredda.

Voglio solo hashish e vino,

una penna e un taccuino.

Interessante esordio poetico, per Luca Buonaguidi e la sua prima raccolta poetica dal titolo “I giorni del vino e delle rose” edita da Fermenti. L’esuberanza nel desiderio dell’oltrepassamento del limite, trasforma in pura energia il dire per versi. Scrive Girolamo De Simone nella prefazione: “È gioco facile richiamare la memoria, ma non sempre risulta così semplice farlo quando essa è davvero inconciliata, quando precocemente si è provato a cancellarla, rimuovendo esistenze incomparabili (Striano, Cilio, Caccioppoli, Gatto, quanti eroi smarriti e solo tardivamente riscoperti da archeologi del sapere?). Qui occorre davvero la forza di un gesto prepotente e, direi, autorevole. Non conosco Luca, ma lo riconosco nell’autorevolezza della scrittura, che richiama al noto la dimenticanza di storie appena rimosse. Storie di artisti contemporanei, uomini e donne che particolari circostanze vollero sottrarci. Credo che si tratti di un ulteriore Leitmotiv che percorre la certezza/evenienza letteraria di Buonaguidi: la fragilità/sponda scagliata dalla consapevolezza del limite

martedì 1 febbraio 2011

Il libro del giorno: A me dunque al mondo di Luca Sedda (Edizioni Creativa)




















La geografia del mondo in queste pagine è segnata da un continuo cambio di prospettiva: c’è un passato che sembra perdersi e quello che ritorna, nella lezione mancata della storia; è lo spazio sotto casa come dentro un’isola, che poi salta il mare e comprende l’intero pianeta, percepito sempre e comunque vicino nel suo scorrere addosso ad ognuno, con velocità diverse, ma uguale indirizzo. Ogni evento che trascina il poeta, il lettore e il mondo in queste poesie, sembra rispondere irrimediabilmente al principio della circolarità, che è girone infernale, disegno sull’acqua, viaggio che vuole riportare al momento della partenza, al principio di ogni cosa per comprendere e ridefinire meglio il percorso. E in questo racconto che và e viene dal Mondo all’Uomo, l’uno è aria, cibo, azione e direzione per l’altro.


Scritto nei sassi di Diego Fontana con illustrazioni di Stefano Landini (Incontri editrice)


















"Sul parapetto del ponte, a una cinquantina di metri dalla acque torbide del fiume che attraversa la città, c'è un grosso sasso. E' un macigno spigoloso e grigiastro, attraversato da diverse venature color della ruggine. A vederlo sembrerebbe solido e compatto; un sasso che ha attraversato indenne i secoli, e che nemmeno la furia degli elementi ha saputo scalfire più di tanto. Eppure qualcosa in lui dev'essersi rotto per sempre, se adesso è lì, sul ponte, legato con una robusta fune all'estremità di un corpo umano" (tratto da Corpi)
"Scritto nei sassi" raccoglie sessanta brevissimi racconti che non superano le 1000 battute ciascuno. Eppure, quasi fossero sassolini essi stessi, i testi di Diego Fontana riescono ad abbracciare mondi interi, a condensare frammenti di realtà, a vivere di rimandi e citazioni, a raccontare tra le righe, molto più di quanto non si possa scorgere a una lettura superficiale, dando la piacevole sensazione di una scrittura meditata, e di parole selezionate con cura, quasi levigate dal tempo come rocce. Il volume è arricchito dalle tavole illustrate di Stefano Landini.

lunedì 31 gennaio 2011

Il libro del giorno: La stella di Strindberg di Jan Wallentin (Marsilio)



















Le distese dell'Artico alla fine dell'Ottocento. Tre esploratori svedesi scompaiono dopo un avventuroso viaggio in pallone. Sono in pochi a sapere che a bordo di quel pallone Nils Strindberg aveva con sé una stella e una croce di origine sconosciuta. Ma nessuno sa dove sono finite. Più di cento anni dopo, immergendosi in una vecchia galleria mineraria di una remota regione della Svezia, un sommozzatore scopre un corpo che la miniera custodisce da lunghi anni, con il suo segreto: una croce ansata che rappresenta il simbolo egizio della vita. Potrebbe trattarsi dello stesso oggetto gelosamente conservato da Strindberg? Ma dove si nasconde la stella? Don Titelman, uno storico eccentrico esperto di miti e simboli religiosi, viene coinvolto e trascinato suo malgrado nella ricerca dell'altra metà della chiave: braccato da una misteriosa e potente Fondazione segreta, Titelman fugge attraverso l'Europa inseguendo l'antico mistero che lo porterà a ripercorrere le tracce di Strindberg tra i ghiacci del Polo e a scoprire il vero scopo della sua spedizione.

Canto e oblìo di Giuseppe Goffredo (Poiesis editrice)












Carne e sangue del lutto. Erezione.

Involontario inabissamento. Incarnarsi

nei dei dolori. Gridi barocca. Terra.

Talpa. Torquemada. Tormentilla.

Santa. Inquisizione. Sangue d’ombre

A brandelli soffocate nel singhiozzo

vacui salgono malorce date

nel presagio voci torci menti

oscuri pezzi sguanci di linguaggi

e dentro e prima e dopo pungenti

spermi facce strati di inchiostri

ripetuti sovrapposti in angoli umidi di stoffe

e cazzi lucidati a sangue. Vedi.

Se un giorno ciechi germogli.

Su querci. Erba tenera alle radici

brevi. E comunque qualche fioricello

ne rimane ancora. Luce. Da malebolge

fiorisce la pena che dal male illumina

Nella sacra officina di Giuseppe Goffredo l’oblio è un artigiano che lavora i granelli di luce per prepararli alla trasformazione. Luce che viene addestrata a imprimersi ovunque, uscire, non temere, abbeverarsi come una bestia in fiamme sopra il venir meno dei calendari e dei nomi, di ogni cosa che insomma possa essere ricondotta a un destino funzionale. Su tutto l'Amore ordina, conferisce assoluto al transitorio, diventa il rivelatore o il punto da cui iniziare a stringere una promessa di creazione col mondo, mondo che nell'eros stesso si deifica, si compatta, si inocula e diventa visione per uno stile, ovvero un'affermazione di presenza e di azione. Sottile il potere dell'Amore, difficile da discriminare: ingovernabile e sovrastante, quasi soffio che s'ingenera e produce distanze da colui che elegge, ma pure vicinissimo, immerso nello spazio, iniettato nel flusso degli oggetti, nella povertà dei dettagli e nel respiro della natura dove tutto è consacrato nel suo nome e dove, compiendosi in cicli, forme, ritorni e approdi, prende casa, scrive le sue pagine umane. Il corpo, ricerca di senso esso stesso, si vivifica e si sfalda nell'abbraccio della storia, germogliando come un seme ma compiendo un passaggio a ritroso, fino a risaltare nel mistero di una ricongiunzione che è antecedente persino al mondo. (Carla Saracino)

domenica 30 gennaio 2011

Il libro del giorno: La mappa del destino di Glenn Cooper (Nord editrice)




















Per settecento anni è rimasto nascosto in un muro dell'abbazia. Poi una scintilla ha scatenato un incendio e il muro è crollato. Stupito, l'abate Menaud sfoglia quel volume impreziosito da disegni di animali e di piante. È scritto in codice, ma le prime parole sono in latino: "Io, Barthomieu, monaco dell'abbazia di Ruac, ho duecentoventi anni. E questa è la mia storia." Per migliaia di anni è rimasto immerso nell'oscurità. Poi un'intuizione ha squarciato le tenebre. Incredulo, l'archeologo Lue Simard cammina in quel grandioso complesso di caverne, interamente decorate con splendidi dipinti rupestri. E arriva all'ultima grotta, la più sorprendente, dove sono raffigurate alcune piante: le stesse riprodotte nell'enigmatico manoscritto medievale... Per un tempo indefinibile è rimasto avvolto nel mistero. È stato custodito da santi e da assassini, è stato una fonte di vita e una ragione di morte. Poi un imprevisto ha rischiato di svelarlo agli occhi del mondo. Spietati, gli abitanti di Ruac non hanno dubbi: i forestieri devono essere fermati. Perché la cosa più importante è difendere il loro segreto. A ogni costo.

Futura Tv intervista Luciano Pagano



Nato a Novara nell’Agosto del 1975 ma salentino di adozione dall’età di 14 anni, Luciano Pagano è poeta, scrittore e giornalista. Nel 2000 esordisce in poesia con “VENENUM“, poi nel 2004 pubblica “POESIE DEL SOL LEVANTE” che contiene le poesie che gli hanno permesso di vincere il premio “POETRY SLAM” di Puglia. Luciano è anche autore di racconti: “CIELI DI GRANO” E “BEN IL GUERRIERO“. Nel 2007 pubblica il suo romanzo d’esordio “RE KAPPA” edito da Besa; nel 2010 è la volta di “E’ TUTTO NORMALE“, edito da Lupo editore.

Servizio di

IRENE LESCE

Riprese di

VITALBA VERDANO – ALESSANDRA VERECONDO

Montaggio di

LETIZIA ABBRACCIAVENTO

sabato 29 gennaio 2011

Il libro del giorno: Aggrappato ad un angelo di Lorenzo Cerri (Edizioni Creativa)




















L’avventura letteraria di quest’opera nasce dalla precisa volontà dell’autore di comunicare al lettore un messaggio, fatto di una poliedrica sfaccettatura di emozioni, sensazioni ed immagini. Un messaggio che ci porta a ricercare noi stessi, o meglio, a cercare la via verso la parte più segreta che celiamo dentro di noi. La via verso il cuore, verso l’amore. In tutta l’opera si intreccia la dicotomia fra sogno e realtà, rilanciando messaggi volti alla riflessione personale anche su alcune tematiche fortemente attuali che riguardano la nostra società La novità dell’opera sta nel fatto che le poesie non hanno titoli propri, ma si presentano come un continuum di parole, pensieri ed immagini, separate fra loro da immaginari spazi vuoti, a voler rendere l’idea di un’altalena di emozioni in continuo movimento, come se lo sguardo di chi legge fosse rinchiuso in un campo dalla visuale ristretta e dove regolarmente ritorna l’altalena di emozioni con il suo messaggio e poi se ne va, lasciando al lettore lo spazio per la riflessione, l’immaginazione, l’idealizzazione, la sublimazione. Perchè oltre alle parole sulla carta c’è molto altro.


La manomissione delle parole di Gianrico Carofiglio (Rizzoli)... forse parlerò di questo libro! Intervento di Vito Antonio Conte












L'ultimo giorno dell'anno si porta via una parte di me. Molto consistente, in questa occasione. Poi, mi lascia qualcosa. Come il tempo: prende sempre, ma qualcosa sempre lascia. Più di qualcosa, stavolta. E, ancora, si porta via e lascia sempre libri, vecchi e nuovi, già letti, da leggere, e quelli che (forse) non leggerò mai... e una sensazione di incompiutezza e soddisfazione, all'un tempo. Come di infinita stanchezza. Di quelle che durano da tanto, troppo accendersi e spegnersi. Di quelle che (forse) saranno compagne di viaggio sino a che sarà. Di quelle che puoi avvertire soltanto se le guardi sfogliando uno strato dopo l'altro, sì che ogni singola foglia possa renderle interamente visibili e plausibili, in leggerezza. Ché devi poterle vedere bene per sentirle sino in fondo, per intero, alzando poi il capo al cielo, socchiudendo le labbra, liberando parole come di preghiera, perché evaporazione le dissolva... e spazio si liberi dentro per il nuovo (che viene da lontano, sempre da più lontano) a compiersi. La pienezza, invece, è per quel che resta e che circolando nell'aria, come di “Patchouli”, non svanirà mai... E i libri, quanti libri... Leggerò (quando non so) “Buon viaggio signora Pineapple” di Valeria Viola Padovani (gradito regalo di Raffaella...), “A sangue freddo” di Truman Capote (sfatando una intrigante leggenda di Luisa...), “L'uso sapiente delle buone maniere” di Alexander McCall Smith (autore a me caro...), “Suonare sogni a Cuba” di Bartolini-Mejides-Manera (per intanto ho consumato il CD...), “Me parlare bello un giorno” di David Sedaris (mia moglie me l'ha portato con un sorriso...) e... non ho più voglia di costruire torri di carta. Scriverò -per l'ennesima volta- di Gianrico Carofiglio, del suo ultimo “La manomissione delle parole”, finito di leggere il 27 dicembre 2010, goccia a goccia... Ma non ora! E di “come vedi ti penso” di Caterina Gerardi (forse) scriverò. Ma non ora! Per intanto, sorrido a lei che ho ri-conosciuto e alle sue fotografie. Adesso, m'inebrio del profumo che ho detto e dentro s'apre altro. Cosa? “Stavo pensando a altro” (...) e io che, invece, non penso a altro e rimango senza parole... Da quanto tempo, dopo quanta musica, suoni e voci altre, e infinita assenza di note, non ascoltavo Mark Knopfler, il buon vecchio Mark, e sia chiaro “vecchio” è lemma d'indicibile affetto... Faccio scorrere tutti i pezzi (dodici) di “”Kill to get crimson”, l'album con i tre tizi “inattesadiuncazzodiniente” su un lato, e con le lambrette sull'altro lato (della copertina, intendo). Puro andare. E non mi fermo. Ancora Mark: “The Ragpieker's Dream”, il suo terzo lavoro da solista, del 2002 (…) Armonia e ricerca (fatta musica) dell'onirico, che abita qui. Su questa terra. Sì, proprio qui. E “You Don't Know You're Born” ne è la dimostrazione. E la “prova provata” (ancora sento ripetere in qualche aula...) è (tornando al primo album menzionato) “Let It All Go”. Se non ci credete, ascoltatevi anche “Heart Full Of Holes”, percorretela per tutto il tempo, svuotando ogni cazzo di pensiero (o ogni pensiero del cazzo: ché, lo sapete come la vedo, non è poi dire la stessa cosa) dal vostro stupido (leggete: occupato o come vi pare) cranio, aiutatevi chiudendo gli occhi (se non ci riuscite subito), concentratevi sul miraggio d'una strada che porta dritta al sole che muore, poi fatemi sapere (…) Nel frattempo, vi dirò di un altro libro letto (molto lentamente e finito) lo scorso dicembre: “Il Messaggero” di Kader Abdolah (Iperborea Edizioni, pagine 297, € 17,00). Cosa c'entra Mark con Kader e con tutto il resto? Lo so, ma non ve lo dirò (subito). La copertina del libro (quando l'ho comprato) mi ha ricordato un viaggio in Nord Africa (che ho fatto), un altro (che non ho fatto) e un quadro. Che non ho più. Come mille altre cose. Che non mi mancano. Le cose legano. E, per quello, bastano le persone... Una duna desertica sbiancata dal contrasto con l'azzurro impossibile di quel cielo d'oriente e un guerriero arabo a dorso di un cammello stagliato sul limitare del monte di sabbia davanti a tutto quell'infinito d'aria e di luce d'uno splendore accecante... Kader Abdolah, iraniano, rifugiato politico in Olanda, con i suoi libri, ha ri-scritto il Corano, con un'operazione dichiaratamente letteraria, per renderne il suo mondo “più accessibile” agli occidentali, ma soprattutto per “avvicinare” i lettori d'occidente “al mondo temuto e misconosciuto del Corano”, aprendo con la sua scrittura una finestra sull'altro da noi. “Il Messaggero” è la storia romanzata del Profeta, resa da un io narrante diversificato nei tanti personaggi che, come testimoni diretti o indiretti, prendono la parola per riferire della vita di Muhammad a Zayd ibn Thalith (figlio adottivo di Muhammad) che è la voce narrante principale. Zayd (alla cui voce si alterna quella dell'Autore) è il cronista (katib) di Muhammad, lo scrivano che traduce in sure i resoconti che il Profeta (di volta in volta) gli fa delle sue (asserite) rivelazioni divine. Ché la tradizione orale è importantissima e imprenscindibile per ogni cultura che conosca l'importanza di essere guardando a chi è stato prima di noi perché possa esserci qualunque significativo futuro, ma possedere un proprio Libro (che sia espressione del proprio mondo...) dà autorevolezza di fronte al resto del mondo. L'operazione che Kader fa con questo libro è di narrare le vicende attraverso le quali i musulmani sono giunti a creare il loro libro sacro: il che equivale a narrare la vita del Profeta. L'Autore avverte che “benché le storie e gli avvenimenti narrati nel Messaggero siano basati su fatti storici, il libro va letto secondo le leggi della letteratura” e questa è un'avvertenza della quale bisognerà tener conto, ché -traverso la lettura dei brevi capitoli che il libro compongono- si viene risucchiati in un tempo andato e quel tempo sembra di viverlo oggi ché realtà, fantasia e invenzione letteraria sono talmente ben contaminate da risultare vera e propria narrazione storica... Potrei spendere altre parole per dirvi della capacità di Kader Abdolah di dipingere paesaggi, atmosfere, uomini e donne, azioni e relazioni con veloci pennellate e farle vedere al lettore sino a rapirlo. Potrei dirvi delle analogie di certe situazioni di oltre un millennio addietro con quelle odierne, sicuramente cercate, volute e rese limpidamente dall'Autore... E potrei, ancora, porre attenzione su alcuni paradossi religiosi e pseudo tali... Ma questo e altro (o quel che sarà) lo coglierete se avrete voglia di leggerlo, questo libro. A me, adesso, importa dirvi, senz'altre inutili menate, cos'hanno in comune Mark, Kader e tutto il resto. C'è poesia in questo libro, come nella musica di Knopfler, come nella mia infinita tristezza. Quella che nè Kader, nè Mark, nè altri e/o altro riescono più a sciogliere trasformandola in lacrime. Sì, avete capito perfettamente. Ci sono momenti di tristezza senza fine che soltanto la pioggia potrebbe portarsi via. Come piccole barche di carta. Ma non piove più. Non per me. Non ora. Poi, capita che, proprio come un'Epifania, una superba e potente voce gospel mi attraversi sino a far tremare la mia voce... E, poco dopo, che l'istambul cafè diventi palcoscenico di un'altra potenza: quella di Maurizio Vierucci (e della sua band) che, miracolo di Pat e Luisa (...), quel tremore diffonde ovunque... Benvenuto a questo cielo e buona vita...

venerdì 28 gennaio 2011

Il libro del giorno: Avanti tutta. Manifesto per una rivolta individuale di Simone Perotti (Chiarelettere)





















Dunque si può fare. La scelta del downshifting raccontata in "Adesso basta" si è rivelata percorribile. "Ho tempo per cucinare, per studiare, per scrivere, navigare, perdere tempo..." scrive Simone Perotti in questo nuovo libro, che è un pamphlet sul cambiamento alle porte, su un nuovo ordine esistenziale e sociale. Contro la paura. Scoprire che si può vivere con poco, fuori dallo schema "lavoro guadagno spendo", in un momento di grave crisi economica, può essere un sollievo personale, ma anche un progetto "politico", da condividere. Suffragato dall'esperienza in azienda e dagli anni trascorsi nella libertà, Simone Perotti racconta "come si vive fuori", le sue scoperte (buone e cattive), e sfata gli stereotipi placando l'animo dei tifosi e contrastando una a una le obiezioni dei più critici. Dall'analisi degli 80.000 messaggi ricevuti, l'autore ricava la prima classificazione dei downshifter italiani (i Convinti, gli Arrabbiati, gli Impegnati, gli Antitaliani, gli Accoppiati, i Sorpresi...) e una mappa generazionale delle loro paure: l'identikit dell'uomo contemporaneo in rivolta. La lotta di classe sembra finita. Forse è incominciata la lotta per la vera liberazione.

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