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giovedì 7 ottobre 2010

Il libro del giorno: Muori per me di Karen Rose (Leggere editore)













Un assassino implacabile, un videogioco nel quale le vittime sono reali...
Un campo innevato ai margini di Philadelphia. Sedici fosse, alcune di esse sono ancora vuote, altre ospitano cadaveri disposti con una cura meticolosa. Le vittime sono state brutalmente torturate e le tecniche di cui si serve il serial killer provengono da uno dei periodi più oscuri dell’umanità, quello dell’Inquisi zione. È per questo che il detective Vito Ciccotelli decide di rivolgersi a Sophie Johannsen, un’archeologa specializzata in storia medievale. Nonostante gli anni di esperienza i due si ritrovano ad affrontare la lama affilata del terrore: l’assassino non ha ancora finito la sua opera e chi cercherà di fermarlo rischia di diventare l’ultima pedina del suo gioco di morte. Vito teme che il prossimo grido di orrore possa essere quello di Sophie, proprio ora che l’ha trovata, ora che la passione è tornata a bussare alla sua porta.



Il bacio del gronco di Gilles Del Pappas (Edizioni Controluce)












Cominciamo dalla fine. Ho smesso di fumare. Sono 9 mesi. La fame chimica adesso ce l’ho nel leggere i libri che autori ed editori mi mandano. Non so che virus ho preso o qualcuno mi ha “innestato” un’idea latente che mi ha fatto diventare ciò che sono ora. Li divoro, li digerisco e poi una strana frenesia che parte dalla punta di piedi e arriva alle sinapsi si impossessa di me. Comincia poi a salire la temperatura della scrittura, ho voglia di parlare dei libri che leggo, ne ho voglia di scrivere, e di consigliarli, consigliarveli. E questo non posso proprio non consigliarvelo, e lo fa uno che di noir ne sa poco ma ama leggerlo. Come mi ha sedotto “Duri a Marsiglia” di Giancarlo Fusco uscito qualche anno fa per Einaudi Stile Libero con la cura di Tommaso De Lorenzis, ora la fascinazione mi ha preso per un altro libro, a dir poco stupendo. Parlo del “Bacio del Gronco” di Gilles Del Pappas edito dalle Edizioni Controluce. Per la prima volta pubblicato in Italia. Per la prima volta nel nostro paese si inaugurano editorialmente le avventure di Costantin il Greco. Personaggio molto obliquo! Soundtrack consigliato “Wrong” dei Depeche Mode. Se avete lo stomaco forte, e amate una tipologia di scrittura che vi fa respirare l’odore mefitico di una bettola, che vi stringe la gola in una morsa d’acciaio per quanto satura di fuoco e nicotina, che vi fa pensare che non avete mai visto abbastanza del lerciume di questo mondo, allora questo libro fa per voi. Siamo ancora nella splendida Marsiglia “nuda e cruda” con tanto di omicidi e poliziotti corrotti , dove Fefé e Costantin sbattono a muso duro sulle curve della “pulcherrima” e inaspettata Juliette, donna sensuale, carnosa, bellissima in una parola, che devasterà il loro concetto e limite di normalità. Perché questo libro vi entri nel sangue è anche inutile che continui. Ma voglio dirvi ciò che si insinua tra queste pagine parlandovi del protagonista del titolo … il gronco, per l’appunto! Pesce crepuscolare, nero, con occhi tondi molto voluminosi, con una grande apertura buccale, una sola fessura branchiale, assenza di pinna pettorale e di scaglie. Il suo sangue contiene una tossina che all’uomo può “spaccargli il cervello” . Questo vi basti. Ora andate pure in libreria!

Gilles Del Pappas nasce nel 1949 a Marsiglia da p...adre greco e madre italiana. Regista e fotografo, ha scritto dodici romanzi. “Il bacio del gronco”, con cui ha vinto il “Prix du polar lycéen d’Aubusson” è il suo primo romanzo, pubblicato nel 1998 e ora tradotto per la prima volta in italiano. In pochi anni Gilles Del Pappas è diventato uno degli autori di ‘polar’ più emblematici del Mediterraneo, un genere di romanzi e film dalle note cupe ed introspettive caratteristiche del noir. Nel 2002 Del Pappas ha vinto il “Grand prix littéraire de Provence” per l’insieme della sua opera.

mercoledì 6 ottobre 2010

Il libro del giorno: 2012. Conto alla rovescia di Laura Fezia (Edizioni L'Età dell'acquario)











Cosa succederà il 21 dicembre 2012? Ci sarà davvero la fine del mondo, o l’ascensione al cielo della parte meritevole dell’umanità, o il cambio dimensionale? Arriveranno gli alieni a istruirci o a sottometterci, Nibiru riporterà sulla Terra gli Anunnaki, i Padri Galattici stanno davvero per ritornare o addirittura sono già qui? Oppure non avverrà nulla di tutto ciò?
Questo libro ripropone gli indizi antichi e moderni che suggeriscono l’ipotesi che stia per accadere un evento straordinario, ma non si ferma qui e aggiunge argomenti nuovi, poco conosciuti o addirittura ignorati dal grande pubblico, importantissimi per comprendere quale potrebbe essere il futuro prossimo. Per esempio: dov’è finita la «moglie di Dio»? C’è un luogo, in Italia, che può avere un ruolo particolare nella preparazione del cambiamento? Cosa significa, concretamente, «cambio dimensionale»? Esiste un complotto del Potere ai danni dell’umanità? Come sarà la vita sulla Terra dopo il 2012?
Non dovremo aspettare a lungo per conoscere le risposte: il conto alla rovescia è già incominciato.

L'AUTORE - Laura Fezia è nata, vive e lavora a Torino, dove da più di trent’anni si interessa e si occupa, con ironia e concretezza, della divulgazione della tematiche acquariane. È autrice di numerosi volumi e per questa casa editrice ha già pubblicato: Choku Rei, riconnettersi con la vita, Fatima. Un segreto per il futuro prossimo, La magia del gatto, I chakra. Teoria e pratica. Chi desidera contattarla può visitare il suo sito internet www.laurafezia.it.

I sette fuochi del tempio di Daniel Levin (Nord editrice). Traduzione di Velia Februari












Jonathan Marcus, è un avvocato rampante che si occupa di commercio internazionale di opere d’arte. Viene chiamato a Roma per confermare la bontà di alcuni reperti archeologici. In realtà la “puntata” nella capitale italiana si trasforma in una corsa disperata contro il tempo per trovare una reliquia divorata dai secoli e da una fitta serie di misteri… Intanto a Gerusalemme due uomini si avventurano sotto il Monte del Tempio … e la storia prende il via in una splendida sequenza di colpi di scena mozzafiato e di contenuti di altissimo livello culturale. Di certo non c’è bisogno di un Daniel Levin che scrive “I sette fuochi del tempio” per i tipi di Nord edizioni per dimostrare che i contenuti di un certo spessore possono amalgamarsi bene con la letteratura, quella da buon gustai, quella ad alto potenziale di immaginazione. Se non si ha la memoria corta, basta fare un solo nome come autore che negli anni 80 ha trovato l’alchimia giusta, perfetta per creare un prodotto editoriale di questo tipo: Umberto Eco e il suo “ Il nome della Rosa”. Il resto - come direbbe Franco Califano - è noia. Forse, ma non per questo titolo, che ho apprezzato in un momento in cui molte letture sono state lasciate perché veramente insoddisfacenti. A mio avviso si tratta di un’opera difficilmente catalogabile come un semplice thriller di matrice storico/archeologica dal momento che vi sono moduli scritturali che attingono all’universo della storia delle religioni, e alla letteratura mistico/esoterica. Il protagonista Jonathan Marcus ha un trascorso di studi all’American Accademy di Roma. La sua tesi lancia un’ipotesi sconvolgente secondo la quale lo storico latino Flavio Giuseppe non si vendette a Tito, l’imperatore romano distruttore di Gerusalemme, per avere salva la pelle. Anzi potrebbe darsi che per la sua vicinanza all’imperatore, fosse accanto agli ebrei molto più di quanto si sia potuto immaginare. Il libro porta avanti questa tesi per tutte le sue 400 e passa pagine e presenta una serie di ciliegine sulla torta come l’ICCROM (Centro internazionale di studi per la conservazione e il restauro dei beni culturali), una sovrintendenza ombra che studia enigmi e simboli di Roma, e un fanatico terrorista islmanico Salah – al- Din che vuole eliminare dalla faccia della terra le prove dell’ebraicità del regno d’Israele. Libro che rivela la forte erudizione del suo autore, che affascina e conquista già dalle prime pagine.


martedì 5 ottobre 2010

Il libro del giorno (un'anteprima): Un amore perfetto di Howard Jacobson. In libreria dal 13 ottobre per l'ancora del mediterraneo





















Scarno, ossessivo, risoluto, racconta il tormento sessuale in maniera formidabile. (Harold Pinter) Felix Quinn è un apprezzato libraio antiquario affetto da una strana malattia: il mal d’amore. Come se non bastasse, il sesso per lui è tutto. Per Felix che si reputa ipersensibile, dolce e delicato con le donne, incompreso e non corrisposto, l’amore e il sesso sono sempre stati un tormento: pronto a offrire il suo cuore ancor prima che ci sia qualcuna cui darlo, si dispera che nessuna sia disposta a riceverlo. Come dargli torto: la sua prima ragazza lo tradì la seconda volta che la portò fuori. Dal cinema dove erano entrati lei se ne uscì con un altro. Ma la sua malattia è aggravata da un’ansiosa, irrefrenabile e, come è ovvio, immotivata gelosia. «Si ama per perdere» ritiene «e più si ama più si perde. La paura e la gelosia non sono semplici corollari dell’amore, sono l’amore stesso». I guai veri però cominciano quando sposa Marisa, donna bellissima e affascinante che in materia di sesso non si scandalizza di nulla. Il loro è un amore perfetto: eccolo vivere felicemente schiavo d’amore. Ma non tutto va liscio, perché ad ossessionarlo ci sono la gelosia e il tarlo del tradimento. «La ferita del dubbio nella quale vivevo non era frutto della mia mente instabile, ma rispondeva a una ben precisa realtà: i dolorosi e irriferibili tradimenti di Marisa. Quando l’accusavo di essermi infedele, credevo a lei, pur sapendo che mentiva. Adesso non più. Adesso Marisa mi sarebbe stata infedele sul serio». Come fa a esserne così sicuro? Perché è lui stesso a servirle su un piatto d’argento l’amante perfetto, Marius, un fiore del male, un libertino capace di persuadere una donna a lasciarsi andare alla più sfrenata lussuria, contro ogni buonsenso e coscienza. Così Felix scopre l’eccitante fascino della lussuria, al punto da elaborare un piano che lo porterà alla più bassa perversione carnale: «Il bello di un patto osceno è che tutti ne ricavano qualcosa. La moglie, l’amante, il marito». E questo è solo l’inizio di un lungo viaggio nella mente e nelle trame sessuali e amorose in cui ci trascinerà – tra sedute di sesso a pagamento, voyeurismo, club privé dove provare le emozioni più strane e le eccitazioni più impensate – un raffinato e insospettabile libraio antiquario della City con i suoi altrettanto insospettabili complici. Un romanzo sull’amore e sul sesso. E sulla paura degli uomini verso ciò che rappresenta per loro il più grande mistero: la donna.

Scrittore, saggista, giornalista, Howard Jacobson è nato a Manchester nel 1942. Collabora come editorialista per «Independent» e ha realizzato documentari per Channel 4. Nella Biblioteca di Cargo sono stati pubblicati: Kalooki Nights e L’imbattibile Walzer. È tra i finalisti del Man Booker Prize del 2010.

Alessandro Schwed Mio figlio mi ha aggiunto su Facebook (edizioni l’ancora del mediterraneo)













Due anni fa è accaduto qualcosa al bambino che tredici anni prima, uscito di sala parto, aveva immediatamente preso in consegna il mio pollice, stringendolo come fatale proprietà nel palmo della sua mano minima e grinzosa. Due anni fa ci è entrato in casa un ragazzo lungo e magro, un allampanato bucaniere con la chitarra elettrica, di piedi il quarantacinque, e ha sostituito nostro figlio. Il nuovo ragazzo prende i pasti separatamente e ha la voce come il sax di Coltrane. Come tutti, sapevo che questa trasformazione, a un tratto, sarebbe avvenuta, ma anche se mi imbarazza dirlo, credevo fosse come mettersi una camicia nuova. Non capivo perché un bambino buono e gentile improvvisamente divenisse un orso bruno. Ricordo bene, Tutto è cominciato così. Sono le otto di domenica sera. È inverno. Guardiamo un confortante telefilm del tenente Colombo. La casa è placida. Nel buio, nostro figlio scende dal soppalco e la sua voce cala su di noi. “Babbo?”. “Sì”. “Mamma?”. “Dimmi…”. “Vi odio”.

Un autore, che ha fatto della lingua la palestra della derisione e della presa in giro, ha deciso di guardarsi allo specchio per vedervi proiettato in esso un numero infinito di altri genitori e di scrivere tanto un romanzo quanto una verità su un tema condiviso da migliaia di famiglie: lo tsunami dell’adolescenza che arriva inaspettato.

Alessandro Schwed, fiorentino d’adozione, ebreo, genovese da parte di madre, ungherese di padre, è il vero nome di una delle firme “storiche” della satira: come Jiga Melik, negli anni Settanta ha partecipato all’esperienza della celebre rivista satirica «il Male», tenendo poi numerose rubriche di televisione per i quotidiani del gruppo Repubblica-l’Espresso. Ha curato per Feltrinelli l’antologia Can express. Rotocalco delle bestialità del nostro tempo (1993) e scritto i romanzi Non mi parte il romanzo, saranno le candele (1999) e Lo zio Coso (2005), entrambi editi da Ponte alle Grazie. Nel 2008 ha pubblicato con Mondadori il romanzo La scomparsa di Israele. Attualmente collabora con «il Foglio» e scrive per il gruppo Repubblica-l’Espresso.

lunedì 4 ottobre 2010

Il libro del giorno: FANFARIJE di Finiguerra Assunta (LietoColle)














... si tratta di qualcosa di più disperante e travolgente d'una passione carnale: sono gridi dal fondo di un pozzo senza uscite, sono lamenti a volte imploranti a volte blasfemi spesso autoflagellanti di chi è faccia a faccia con la morte. ... una specie di premonizione apocalittica non meno struggente.... Qual è la fonte di vita? Dio? La carne? Il sesso? Siamo al confine tra la bestemmia e la protesta. Eppure questa fonte si annuncia con una litania che attesta la condizione umana religiosamente più ortodossa, e la ripetizione in chiusura sembra quasi una preghiera: è l'ombra che affila il coltello, anche se respira in mano alla fonte. Vengono in mente le interpretazioni pagane e manichee sulla "doppia faccia" del dio. Una delle qualità di Assunta è quella dell'autoironia. C'è una specie di distacco anche dal dolore più terribile..... È per me particolarmente difficile scrivere queste righe. Sì, perché "non fa più luce la finestrella / i mandarini hanno perso il profumo". Non sono nemmeno sicuro che queste sarebbero state le dizioni definitive. La morte ha interrotto il suo lavoro. Giacché il lavoro sulla natura dello sguardo si fa prima, e il lavoro di rifinitura si fa dopo. Ma Assunta non ha avuto tempo. "Stracca mi sento e avviata alla pazzia (...) e col mio sangue dipinge il tramonto" scrive in inizio e chiusura di due strofe. Tuttavia permane in questa sua poesia la luce del suo talento: "Restate qui... non mi lasciate sola / c'è la morte che m'aspetta col forcone (...) Restate qui... non mi lasciate sola / calmate questo dolore che mi mangia / come un verme da mattina a sera // e di notte quasi sempre vince lui".

dalla prefazione di Franco Loi

Nun suacce da nde venghe né nde vache/ se prime è nate a morte e ddoppe ije/ si nda nuttuate eterne cu a malevasije/ nu bbrìndese hanna fatte a malagurje/ Sacce sule ca re bbocce de sapone/ nun tènene u tiémbe de na fumuate/ e ndó cuastiédde de preta salenate/ ng'è nghiuse na fémmena peccatore/ se vatte u piétte e u tuacche vatte ndèrre/ vatte u tuamburre e re mmane o bboje/ e vvatte ucine a porte cu na foje/ nun ng'è une, p'a madosche! e i diende nzerre

Non so da dove vengo né dove vado / se prima è nata la morte e dopo io / se nell'eterna nottata a malvasia / hanno fatto un brindisi per malaugurio // So sol­tanto che le bolle di sapone / non hanno il tempo di una fumata / e nel castello di pietra salinata / è rinchiusa una donna peccatora // si batte il petto e il tacco batte a terra / batte il tamburo e le mani al boia / e batte sulla porta con una foga / non c'è uno, per la madosca! e i denti serra

Sciatevinne tutte quande, sciatevinne/ sópe a culnette tenghe na veppetèdde/ e ngimme e piede na bannére de Labbèdde/ re tténe càvede quanne face fridde/ nun me cercate cchiù, ije só nissciune/ nun só ulisse e mmanghe polifeme/ nun só nausiche e mmanghe re ssirene/ né circe ca l'uommene tramute ‘n puorce/ ije só a vendette de na vita storte/ m'afferre a re ccangedde de na galere/ nde u sole a qquadrettine fine a sere/ se face pagà nu prezze troppe care

Andate tutti quanti via, andate / un poco d'acqua ho sul comodino / e sopra i piedi un tessuto di Bella / li tiene caldi quando fa freddo // non mi cercate più, sono nessuno / non sono ulisse e neanche polifemo / non sono nausìcaa né le sirene / né circe che gli uomini tramuta in porci // sono la vendetta d'una vita storta / mi afferro alle grate di una galera / dove il sole a quadretti fino a sera / si fa pagare un prezzo troppo caro

Assunta Finiguerra di San Fele (PZ) è mancata il 2 settembre 2009. Ha vinto numerosi premi tra cui il "Giuseppe Jovine" il "Premio Pascoli" e finalista al premio "DeltaPoesia". Suoi testi poetici sono apparsi su Pagine, Periferie, Poesia, Lo Specchio, L'Area di Broca, Capoverso, Ciemme, Gazzetta Ufficiale Dialetti, Kamen', Incroci e in diverse antologie fra le quali: Nuovi Poeti Italiani a cura di Franco Loi, Einaudi Editore. Nel 2006, all'Università la "Sapienza" di Roma, Alessia Santamaria ha discusso una tesi sulla sua poesia, relatore Ugo Vignuzzi

Testarda io di Valeria Corrado (Libellula edizioni)












Il Salento di background umano ce n’ha da vendere, e soprattutto da un punto di vista delle strategie editoriali potenzialmente vincenti. Nel Sud Salento ad esempio c’è una giovane azienda editoriale che ha voglia di comunicare a 360° il suo impegno per la cultura e la comunicazione. Parliamo di Libellula Edizioni , la cui sede operativa è a Tricase (Lecce). La casa editrice ha l’obiettivo di portare avanti un percorso di novità fatto di intersecazioni di saperi e tecnologie, partendo però dalla tradizione. Di fatti il nome della casa editrice, trova origine nel latino classico prendendo spunto dal termine Libellus, che rappresentava il piccolo libro, le cui pagine distese hanno dato il nome all’insetto Libellula. La leggerezza, la sua capacità di muoversi veloce in ogni situazione, il volo radente a sfiorare il terreno è l’idea di fondo che viene trasferita nel marketing editoriale e nelle linee grafiche delle pubblicazioni. Lo staff è composto da poco più che trentenni salentini formatisi in sedi prestigiose fuori Puglia, e l’azione di queste brillanti menti pone l’attenzione soprattutto alla scrittura al femminile, con la collana “NovElle”, dotata di un formato pratico ed accattivante. A queste si aggiungono poi le edizioni cartonate dei “Diari di Viaggio”, in cui risalta l’arte della fotografia; le edizioni “In lapis” e “I racconti della buonanotte”. E proprio nella collana di punta “NovElle”, scopriamo il lavoro di Valeria Corrado dal titolo “Testarda, io” giunto alla terza ristampa, che per un segmento editoriale medio/piccolo e con una storia di poco meno di tre anni alle spalle, diventa un vero e proprio successo. La protagonista, Ilaria, scrive della sua ricerca interiore affidandosi ai tasti del pc. È un incedere regressivo, che va dalla sua immagine riflessa in uno specchio, all’intreccio di destinalità che tendono a comporsi in un mosaico fondamentale per costruire una storia: anzi la storia di Ilaria. Chi è Ilaria dunque? Ritratto esemplare di donna sensuale, alla ricerca di un uomo da amare e che sappia soddisfarla sotto ogni punto di vista. Ma Ilaria è un “paradigma ontico” di ciò che si vorrebbe essere, senza però avere la forza di intraprendere un cambiamento nella propria esistenza. Si sente vicina ad un uomo che fondamentalmente ha idealizzato, ma che in realtà è detestabile; si sente una figlia indegna perché vorrebbe essere come sua madre, una donna carica di sintomatologie passivo/aggressive che accetta qualsiasi cosa in silenzio soffocando le lacrime. Scritto con una prosa che va ben oltre il mestiere della scrittura, “Testarda, io” di Valeria Corrado è un diario, un epistolario ideale con tutte le donne del mondo, che vorrebbero assaporare la vita nonostante tutto, nonostante le mille e mille zone d’ombra. Un libro intenso e accattivante che mai vorrete lasciare sul comodino!

Testarda, io – di Valeria Corrado (Libellula edizioni, 48 pagine, 8 euro)

mio intervento pubblicato su Blog de La Repubblica di Bari

domenica 3 ottobre 2010

Il libro del giorno: Fragments a cura di Stanley Buchthal e Bernard Comment con prefazione di Antonio Tabucchi (Feltrinelli)













I testi inediti di Marilyn Monroe, scritti tra il 1943 e il 1962. Tutto un universo interiore per scoprire l’altro volto dell’icona. A cura di Stanley Buchthal e Bernard Comment. Prefazione di Antonio Tabucchi. Traduzione dall’inglese di Grazia Gatti.

Il giorno della Iena di Stefano Lorefice edito da Eumeswil












Stefano Lorefice classe 1977, non è alla prima esperienza editoriale e lo si vede. Ha una bibliografia discreta se si pensa che ha già alcune pubblicazioni sulle sue spalle e anche con marchi editoriali di tutto rispetto. Penso a “Cosmo blues Hotel” e Budapest Swing Lovers” (Edizioni Clandestine), “Prossima fermata Nostalgiaplatz” (Clinamen), e “L’esperienza della pioggia” (Campanotto). Ora questo suo ultimo lavoro esce per le splendide edizioni Eumeswil, ed ha per titolo “Il giorno della Iena”. Ribadisco splendide per la cura dell’intera veste editoriale e per la scelta della grammatura della carta che rendono il tutto un “pacchetto” niente male. Le prime pagine traggono in inganno: già perché il tutto (e anche la copertina) lascerebbero presagire che si tratti di un noir. Sinceramente ritengo che questo lavoro non appartenga al genere in questione per una serie di aspetti su cui non mi dilungherò troppo ma che è bene sottolineare. Sembra che l’autore racconti delle vicende che molto hanno a che spartire col noir, anche se poi vi sia una volontà sotterranea che desideri tendere la struttura intera della narrazione verso qualcosa di più metafisico e onirico. Mi spiego meglio! La serie di personaggi che Lorefice descrive tra le pagine de “il giorno della Iena” sono estremi nel loro essere per la storia, quasi pulp, ma nessuno riceve una marcatura profonda che lo caratterizza psicologicamente e tutto pare rimanere allo stato d’ombra. E questo non è un difetto semmai un pregio di un raccontare storie che (secondo l’io narrante) debbono rimanere come semi nascoste da un velo, perché la nostra risposta emotiva sarebbe devastante. A rigor di logica poi, e questo denota una simmetria architettonica nel plot, anche il finale sembra tracciato sommariamente, perché non deve risultare definitiva. La vicenda o meglio le vicende, vedono come comparse un’omicida col colletto bianco, una ballerina parigina, un uomo-pillola, un angelo custode vestito di nero, uno scrittore di testi per emittenti radiofoniche e qualche altro fantasma che il lettore scoprirà pagina dopo pagina. Bel libro, e mi sento di consigliarlo caldamente perché non risparmia forti emozioni con una scrittura forte e decisa. In tutta questa dimensione umbratile consiglio le scenette esilaranti di Lomo, l’uomo-pillola ( un inetto a tutto tondo) con il suo sogno di andare a Londra e una laurea che sembra non arrivare mai.

sabato 2 ottobre 2010

Il libro del giorno: Radiazione di Stefano Jorio (Minimum Fax)














Estate 2004. A Roma, tra le innumerevoli stanze di un Ministero, il Servizio Opere d’Arte prepara pigramente l’inaugurazione di una grande collezione d'arte contemporanea. Ma come mai di alcuni dipinti, pur formalmente archiviati, sembra non esserci più traccia in magazzino? E cosa c’entra tutto questo con il più famoso quadro di Munch rubato dal museo di Oslo? E con la guerra in Iraq, ennesima corsa all'oro (nero) in cui l'Italia si è lanciata con la scusa della missione umanitaria?

Sarà un trentenne appena assunto al Ministero - un pesce fuor d'acqua, un anarchico, o forse solo una persona normale in un mondo rovesciato - ad addentrarsi nella cortina fumogena di tutti questi misteri. Tormentato dal ricordo del suo amore perduto (la bellissima Wibke) e aiutato da Carl (un giovane teologo tedesco di stanza in Vaticano, di giorno alla corte del cardinale Ratzinger, di notte in giro per Roma a consumare amori omosessuali), attraverserà un labirinto fatto di persone logorate dalla corruzione, fino a trovarsi faccia a faccia con la più sconvolgente delle verità. Capace di coniugare una trama trascinante con una scrittura calda, robusta e raffinatissima, Radiazione è molte cose insieme: thriller internazionale all'ombra del Vaticano e del Quirinale, romanzo d'amore e d'amicizia, specchio e metafora di un Paese in via di disfacimento.

MAHAYAVAN-RACCONTI DELLE TERRE DIVISE. Intervento di Alessia e Michela Orlando












Come si amano gli abitanti di Mahayavan? Quali sensibilità si scambiano? Come previsto, è stata appena pubblicata l’antologia Mahayavan-racconti delle terre divise. Abbiamo già letto i due racconti che precedono il nostro, IL FIGLIO DEL FUOCO, trovandoli straordinariamente belli. Con soddisfazione abbiamo anche individuato strane, oseremmo dire magiche, concordanze. Si tratta dei racconti di Stefano di Marino, LO SPADACCINO CON UN BRACCIO SOLO, e di Fabio Calabrese, IL TRONO DI LLOGRA. La soddisfazione va contenuta, per non incorrere nel peccato di eccessiva felicità, considerando l’importanza dei due nomi. Naturalmente ci riserviamo di riparlarne in altra sede, quando avremo letto tutti gli altri racconti. Ci limitiamo, pertanto, a dire qualcosa del nostro racconto; anzi, a porci una domanda: che accade nella città di Lu-Sinh quando, finalmente, un capo guerriero si ricongiunge con la propria compagna, dopo aver affrontato vicende sconvolgenti? La loro vicinanza scatena reazioni diverse da quelle vissute dai terrestri dopo una lunga lontananza? Come si amano gli abitanti di Mahayavan? Quali sensibilità si scambiano?

Dal nostro racconto IL FIGLIO DEL FUOCO, pagine 50-51:

“Antefatto. Finalmente, dopo una avventura incredibilmente suggestiva, Isy-Tdhor Maha-Ria, lo scienziato e Comandante dell’Esercito Stabile della capitale Lu-Sinh, ritorna alla sua città. È atteso dal popolo in festa e dalla compagna Vy-Gya-Thy-davy. Giunge a casa e … I due oggetti del desiderio reciproco si accostano sempre più, assaporando insieme la Pinh-Za-re, ognuno dalle mani dell’altro; poi si unificano in un abbraccio, fatto di scambio potente di energie senza movimenti e scambio delle pulsazioni ancestrali, attivate dall’accelerazione di ogni particella dei corpi-contenitori. (…) Lo sguardo di Isy-Tdhor Maha-Ria è fisso sul fianco perfetto della compagna. Gli occhi stanno per chiudersi. All’improvviso qualcosa ravviva l’attenzione di Vy-Gya-Thy-davy, come se un inatteso pensiero percorresse la mente, segnandola di lieve dolore. La reazione del corpo è contenuta nella appena accennata agitazione del profilo dei seni. Al Comandante basta per capire che sta per girarsi, che intende parlargli, che ha da chiedergli qualcosa. «Cosa ti turba, vibrazione estasiante del mio tempo? Cosa mi nascondi, riflesso dorato del mio mondo? Quale fardello non riesci a scaricare , mio unico suono desiderato? Darei tutti i Pan prodotti dalla nostra zecca dalla notte dei tempi, tutto l’oro e l’argento estratti nelle miniere della Terra di Mahayavan e l’energia occorrente per far vivere tutto ciò che ci circonda, quindi darei la vita per poter essere messa a parte di quell’unico pensiero che ti ha distratto per un attimo…». «No, nella mia mente l’orizzonte è stato piatto, ho sempre e soltanto immaginato una linea perfetta a trecentosessanta gradi tutto attorno a noi. Non mi ha turbato nulla, e quella monotonia mi ha dato modo di consegnarmi integralmente a te. Così ho potuto darti tutto, tutta l’energia che possedevo, come ho sempre fatto.»

«No, no, mio Comandante, non c’eri tutto nel mio grembo, non mi hai dato tutte le vibrazioni, non hai intercettato pienamente con la tua energia esplosiva il mio punto Dagy-Gy. Alla tua carica vitale hai sottratto una infinitesima parte, ma è accaduto. Ricordi quando mi spiegasti l’intensità della luce del nostro sole? Ricordi che non capivo quelle misure assurdamente piccole per dimostrare l’esistenza di spazi infiniti? Ebbene, utilizzasti un granello di sabbia come esempio. Dicesti che uno sottratto alla nostra rara sabbia d’oro, misura circa duecentocinquanta micron e che le particelle di luce sono molto meno. Ebbene, l’energia che mi hai sottratto è ancora meno, ma l’ho sentita, e mi resta quel senso di vuoto incolmabile.» Isy-Tdhor Maha-Ria, colpito dalla determinazione e dalla delicatezza delle parole di Vy-Gya-Thy-davy, la fissa e si lascia andare. «Ti dirò cose che dovrei spiegare, ma che neppure io sento di dominare. Avverto la sensazione di un nuovo organo impiantato in una zona del corpo ignota, senza poterlo scrutare, analizzare. Avverto la sensazione di un dondolio, come di onde del mare mosse ritmicamente, senza la possibilità di modificare la velocità; è una situazione mai vissuta prima. Sento rumori che non hanno età, come fossero da sempre e per sempre identici. Intuisco desideri che non ho mai avuto e che non so descrivere. Vorrei essere su una spiaggia, scavare, sentire la diversa temperatura man mano che affondo le mani, raccogliere la sabbia, e costruire un castello. Ma non so per chi e che senso abbia farlo. Per questa incapacità di capire vorrei perdermi in un riflesso di indaco e lasciarmi trasportare fino ai margini del mondo che vediamo. Forse da lì potrei avere la visuale giusta, potrei svelare il mio mistero.» Vy-Gya-Thy-davy abbassa lo sguardo, scuote la testa e torna a guardarlo negli occhi. «No, mio Comandante, non hai mai parlato così, non dici il vero.» Stavolta Isy-Tdhor Maha-Ria è ferito. Attira la compagna a sé. «Hai ragione. Ho paura. Ma per vivide sensazioni che non ho mai provato. In realtà vorrei fuggire trasportato da un riflesso di indaco. Io vedo il mio corpo sommerso in un liquido, eppure sto bene; poi lo sento spinto da una violenta massa liquida attraverso una grotta strettissima; lo vedo eruttato in uno spazio infinito, tra grida di dolore, e lo vedo affogare nel vuoto, dove dovrei invece stare bene. Infine mi ritrovo sotto una massa incandescente, un fuoco incombente e una forza improvvisa che mi strappa. Ma non sento gioia e piacere per la conseguita salvezza. Io muoio in quel momento.»

«Sì, adesso dici il vero. Anche stavolta sono costretta a dirti che non hai mai parlato così. Ma dici il vero. Non dovresti più aver paura: sei a casa tua, con la tua compagna, con il tuo popolo e con il tuo reggimento vicini. Nessuno è più al sicuro di te (…).»

Edizioni Scudo - http://www.innovari.it/mah.htm

venerdì 1 ottobre 2010

Il libro del giorno: Ho perdonato Hitler di Pietro G. Moretti (Eumeswil)




















Giuditta è una bella tredicenne ebrea di Bologna. Conoscerà l'orrore di Mauthausen dove, nonostante la giovane età, finisce nel bordello del campo. Patisce la fame, sarà torturata. Tutta la sua famiglia viene sterminata. Lei sopravvive e ritorna nella sua città. Dopo qualche anno mentre è in motorino con il fidanzato ha un incidente e finisce nell'aldilà: non in paradiso e neppure all'inferno. Qui, fra i milioni di anime, incontra quella di Hitler. Con il Fuhrer ha uno scontro verbale violentissimo. Lui non si pente di quello che ha fatto e anzi ribadisce il suo odio per gli ebrei. Alla fine Giuditta, nonostante tutto, trova la forza di perdonarlo. Non tutte le vittime di Hitler, però, sono disposte al perdono. Anna Frank è fra queste. Giuditta tuttavia non è morta. Era in coma e il viaggio nell'aldilà forse è solo stato un sogno. Ritorna alla vita e decide di scoprire perché Anna Frank non ha voluto perdonare Hitler. Per trovare una risposta inizia a viaggiare alla ricerca della sola persona che può darle una spiegazione. Sarà un viaggio avventuroso e, alla fine, rivelatore.

Da "Sotto un cielo cremisi" a "Devil Red" di Joe R. Lansdale (Fanucci)























Il tempo trascorre inesorabile e i primi capelli bianchi quando cominciano a imbiancare le tempie (nonostante i tuoi 35 anni) ti portano alla mente tutta una serie di tappe fondamentali della tua vita che ti hanno fatto diventare ciò che sei. Ma la tristezza più grande è che scopri che anche i tuoi eroi preferiti cominciano a invecchiare e scopri che Batman, Superman, Lanterna Verde, in una parola tutta la DC comics compie 75 anni. Ti vengono gli scrupoli di coscienza e ti dici che se continui a comprare fumetti forse sei un “bamboccione”, uno di quelli che ammorbano ancora le finanze di mamma e papà. Cosa fare? Compensi! Continui a comprare fumetti, ami gli eroi che sempre hai amato, e ne scegli di più maturi. Io ho cominciato ad amare da subito Hap e Loenard da quando vengono ingaggiati da una loro vecchia conoscenza Marvin Hanson, perché Gadget, la nipote di Hanson, ha perso la testa per uno spacciatore che la sfrutta per i suoi porci comodi. Io ho cominciato ad amare da subito Hap e Loenard da quando si sono passati i loro cinque minuti all’inferno con un killer spietato e leggendario, chiamato Vanilla Ride, che ha sconvolto le loro vite. Parlo del grande Joe R. Lansdale e del suo “Sotto un cielo cremisi”. Ora il grande Lansdale mi fa amare ancora di più Hap e Leonard, che tornano in libreria grazie a Fanucci, con “Devil Red” tumultuosa avventura ai limiti della legalità, ai limiti del noir, al limite della deriva. Già, perché i due vengono presi di mira da una setta di pseudo/vampiri, da un degno successore di Vanilla Red, ovvero Devil Red, e se questo non bastasse dalla Dixie mafia. Anche in Devil Red viene ampiamente riconfermata la bravura immensa di un autore come Lansdale che riesce a inchiodare il lettore su ogni pagina. Inquieta il senso di violenza, nevrosi, psicopatologia ossessiva e oppressione claustrofobica che anima questo lavoro, dove le tonalità più forti vano da un grigio plumbeo a piccole ma intense scie rosso sangue. Chi ama i libri dal tono “nudo e crudo” questo fa per loro, e soprattutto non saranno delusi da un’opera che promette l’ingresso in un mondo le cui brutture non si vorrebbero mai vedere. Quale? Ma il nostro naturalmente dove la realtà sembra il gioco perverso di un maniaco omicida.

Joe R. Lansdale (1951) è autore di oltre venti romanzi e più di duecento racconti. Ha ricevuto moltissimi premi e riconoscimenti, tra cui l’Edgar Award per In fondo alla palude (Fanucci, 2002) e il Bram Stoker Horror Award (sei volte). Per Fanucci Editore, che oggi pubblica in esclusiva le sue opere, sono usciti anche i romanzi Atto d’amore, Freddo a luglio, L’anno dell’uragano, Il lato oscuro dell’anima, L’ultima caccia, Echi perduti, Freddo nell’anima, Il valzer dell’orrore, La ragazza dal cuore d’acciaio, Fuoco nella polvere, La morte ci sfida, Il carro magico e le antologie di racconti Maneggiare con cura e Altamente esplosivo. Nel 2009 Fanucci Editore ha pubblicato Sotto un cielo cremisi, e nel 2010 Devil Red, entrambi parte della fortunatissima serie di Hap e Leonard

giovedì 30 settembre 2010

Il libro del giorno: Guida pratica al sabotaggio dell’esistenza Romanzo di Roberto Mandracchia (Agenzia X)


















La cosa che ci annienta è che non abbiamo ancora vissuto niente e già non ne possiamo più.

L’amore è solo violenza, la famiglia psicosi, la religione brutalità, le droghe fuga sedante, l’unica ideologia possibile rimane il nichilismo estremo. Vittima di un patologico desiderio per Marta, abbandonato dall’amico Gero e in preda a una potente crisi d’astinenza da eroina, al protagonista restano solo nove giorni prima di morire. Sul palcoscenico di un’immutabile Sicilia soffocata dall’apatia va in scena la rappresentazione dei suoi traumi. Il padre gli insegna a leccare le mutandine delle amanti, il catechista lo molesta, la madre tenta il suicidio immergendosi in una vasca colma di Coca-Cola e alle feste si finisce per pisciare blu. Dalla nebbia onirica della follia affiora una vicenda grottesca che mischia sadismo e comicità: un Gesù Cristo che lo deride fumando sigarette, Van Gogh, Pirandello e Keith Moon che mortificano le sue aspirazioni artistiche, torture cilene che diventano atto d’amore e una pistola Bodeo che compare e scompare. Al sabotaggio dell’esistenza mancano nove giorni, ne mancano otto, sette...

“Questa postfazione l’ho sognata. C’erano immagini di Marta che parla di Dio come di un maniaco sessuale, che si sistema una ciocca dietro l’orecchio, che chiude gli occhi mostrando le poesie sulle palpebre.”
Gianluca Morozzi

Roberto Mandracchia è nato nel 1986 ad Agrigento. È redattore della rivista “Terranullius - Scritture a sorgente libera”. Ha pubblicato racconti su diverse antologie e riviste letterarie. Questo è il suo primo romanzo.

pp. 160

Gianfranco Manfredi TECNICHE DI RESURREZIONE GARGOYLE BOOKS. Tecniche di recensione e memoria. Intervento di di Alessia e Michela Orlando












L’uomo attraversa il presente con gli occhi bendati. Milan Kundera.

Scrive Paul Bowles: La vita non è movimento da e verso qualcosa, neppure dal passato al futuro. Tutta la vita è uguale a ogni sua parte. Non c’è somma. La vita, dunque, la si definisce anche in chiave sganciata dai canoni consueti; ma la letteratura, quella con la elle maiuscola, che è espressione vitale, nata da una mente contemporanea e che si inserisce nella produzione di mille o di poche altre menti superlative del passato, quali connotati assume? Cosa ne increspa e fa avvizzire la pelle, ne riduce il fascino, la calcifica, la incenerisce, la fa buttare nel dimenticatoio? E cosa la può riportare in vita, in quale giorno può risorgere, tornar di moda, appassionare nuovamente, invadere altre forme di comunicazione che siano essi il cinema, la televisione, You Tube l’iPad e così via? Domande affascinanti, tutte, ma qui rilevanti come mero stimolo di analisi, di approcci, che ci avvicinano a un libro, per una comprensione immediata del suo peso specifico, rimandandoci al titolo; domande cui non occorre dare risposta immediata, non prima di dar modo di farlo a chi abbia in desiderio di farlo, di aver letto ciò che ci narra Gianfranco Manfredi. L’architettura stilistica e l’intreccio delle vicende esposte confermano la maestria dell’autore, che è notissimo artista a tutto tondo, nonché prolifico agitatore di coscienze e produttore di stimoli, domande, casi risolti come di ambientazioni da incubi adorabili. Altrettanto significative sono le vicende che in gergo teatrale si definiscono come trama non esposta, ovvero quelle che si intuiscono e si leggono in controluce, cosi come si può vedere, attraverso i cristalli di gelo, la forma degli alberi scuri. Si tratta di un ulteriore intreccio finemente intessuto, tanto da rappresentare lo stimolo a ulteriori letture che, nel mentre aiutano a risolvere ciò che ancora ti appare enigmatico e coperto dal fascino del mistero, ricreano innovative condizioni di interesse. Alla nostra seconda rilettura, seguendo le vicende, tra i tanti altri, dei gemelli Aline e Valcour de Valmont, ci è parso di comprendere e svelare un mistero: il quadro che dipinge Gianfranco Manfredi non è prodotto con l’uso del solo pennello, quello della penna fine che scende nei particolari e arricchisce il testo con note pertinenti. Egli usa anche la spatola, lo strumento che aggredisce la materia grassa pigmentata, che spalma il colore con apparente casualità, per delineare ciò che deve saltare agli occhi con immediatezza. In questo caso usa strumenti che influenzano i miti popolari, li infetta con lo stimolo del dubbio (elemento colto anche da Sergio Pent in “Tutti libri” de La Stampa, citato in quarta di copertina) e, dunque, ti costringe a riflettere di nuovo sul magma della cultura, così come ti accade nell’ammirare un quadro in cui l’autore è intervenuto con la spatola: il colore non è mai esattamente decodificabile; lo spessore che ci restituisce l’immagine che aveva in mente l’artista, è stata in realtà rielaborata con geometrica e fantasiosa esattezza; è così che può gettare ombre sempre diverse sui particolari; cosicché lo guardi-rileggi mille volte, e ogni volta scopri elementi fondamentali che ti erano sfuggiti. Si tratta di ulteriori stimoli che rimettono in campo il desiderio di leggere, leggere, leggere ancora, fino alla fine del tuo tempo o almeno fino a che non ti addormenti, e la trama ti pervade in altre dimensioni. Tutto ciò aumenta il fascino dell’opera e ti segna. Ma, così come il quadro, ogni quadro, risente ed è fatto anche dalle luci, quando smetti di leggere, così come quando smetti di sognare e ti risvegli, ti ritrovi con un sorriso di piacere, che ti riconcilia con la parola scritta. Si tratta di uno stato in cui stai ri-scoprendo che se non poche volte le parole sono solo vuoto, qui ogni parola è agganciata a sensi, ad oggetti, a realtà, a sogni, a bisogni, ad altri sensi letterari. È un libro, Tecniche di resurrezione, che acuisce molte forme di memoria, tra cui quella delle cose e dei luoghi, quella che arricchisce e contribuisce alla formazione di una identità europea, quella dei corpi e di ciò che permea le menti e la psiche dei lettori. È così che Gianfranco Manfredi, con la sua ultima opera, ovvero con ciò che escogita al ritmo dei fuochi pirotecnici, ti avvince, costringendoti a buttare alle ortiche i dubbi sulla giusta tecnica da adottare per recensirlo. E non si limita a ciò, giacché, infine, scopri che riesce a riempire mille vuoti; e forse scongiura anche l’idea affermata da Saul Bellow: Il continuo spazio-temporale reclama i suoi elementi pezzo per pezzo, poi ritorna il vuoto.

Dalla Introduzione. Prima di Frankestein, di Carlo Bordoni.

Quando si pensa a Frankestein, si pensa al primo romanzo in cui si tratta della vita dopo la morte o, meglio, della resurrezione post-mortem per effetto di una tecnologia umana. Una sorta di apoteosi dell’uomo che, grazie alla scienza, è in grado di ridare la vita a un corpo inerte; l’uomo che riesce a realizzare il suo sogno profondo, quello di appropriarsi del potere divino di dare la vita. Ci avevano già provato gli antichi con la magia, la cabala e la stregoneria, non riuscendo ad oltre il Golem ebraico. (…) Dopo aver letto Tecniche di resurrezione, Frankestein non sarà più lo stesso. Lo vedremo in una luce diversa. Questo è, in verità, l’effetto perverso di quello che Borges ha definito l’anacronismo deliberato: “che cosa succederebbe se l’Odissea fosse posteriore all’Eneide?”. Tecniche di resurrezione ci fornisce una prima inquietante risposta.

L’incipit. 1. Teatro Anatomico

La carrozza procedeva a strappi, imbottigliata nel traffico. Valcour sporse la testa dal finestrino. Il carro dei netturbini ostruiva la strada. Sovraccarico di blocchi di neve ghiacciata, a ogni scossone riversava fuori la porcheria appena raccolta dai marciapiedi. L’ultima frase, prima di una Nota finale in cui Gianfranco Manfredi dà conto della fine dei molti personaggi storici, tanti quanti mai aveva addensato in nessuno dei suoi romanzi precedenti. Solleva lo sguardo al cielo. Un falco sta volteggiando, lassù, sopra le loro teste. Poi punta in alto, diritto verso il sole, e scompare inghiottito dalla luce.

L'illustrazione: copertina di Tecniche di resurrezione. La foto è di Luca Viggiani

mercoledì 29 settembre 2010

LEGA-LAND - Miti e realtà del Nord Est. Di Sebastiano Canetta e Ernesto Milanesi. Presentazione di Massimo Carlotto (Manifestolibri)













Il celebrato modello veneto è andato in tilt, nel gioco sfacciato dell’economia e della politica. Fra il tramonto del “sistema Galan” e il deragliamento della “locomotiva” nord-estina, non affiora soltanto l’ultima generazione leghista, svezzata da vent’anni di “serenissima” ideologia. Il Veneto continua a sfornare contraddizioni stridenti, storie e personaggi emblematici, perfino movimenti sociali che contraddicono ogni “modello”. Questo libro costituisce un viaggio-inchiesta attraverso i tanti volti del Nord Est: dalle schiave dell’immondizia nei capannoni postindustrali al business che ruota intorno ai finanziamenti europei, agli eco-mostri messi in cantiere dagli interessi immobiliari. Come evidenzia lo scrittore Massimo Carlotto, “il Veneto di domani è un affare ultramiliardario che ora passa nelle mani del governatore leghista Luca Zaia e del suo partito”.

GLI AUTORI:

Sebastiano Canetta (1972), è un giornalista free-lance che ha svolto inchieste nel Nord-Est e in Medio Oriente.

Ernesto Milanesi (1961), giornalista e collaboratore del manifesto, ha pubblicato numerosi reportage e raccolte di articoli.

Il libro del giorno: IL GIORNO DEI MORTI di Maurizio De Giovanni (Fandango)


















“La prosa di de Giovanni possiede certamente un invidiabile ritmo, tipico del genere; pure è tornita, pulita, ricca di chiaroscuri e sottigliezze. Guarda insomma a Simenon, al Chandler più intimista.”
la Repubblica

Il commissario Ricciardi è il protagonista indiscutibile della scena criminale della Napoli anni Trenta. I casi che prende in consegna vengono risolti con abilità e precisione che lascia sconcertati i suoi colleghi e le istituzioni. A non tutti piace questa sua capacità che si dice sia innaturale, dettata addirittura dal demonio. Certo Ricciardi ha dalla sua un dono, quello di ascoltare le ultime parole del morto assassinato nel luogo del delitto. Un’abilità divinatoria che lo inserisce quasi in una categoria stregonesca. Eppure a volte neanche questi mezzi sembrano bastare di fronte ai misteri di certi crimini. Il Giorno dei Morti viene rinvenuto il cadavere di un bambino. Ricciardi è allertato e parte subito con la ricerca degli indizi. È un’indagine che però nasce in nefaste condizioni. Le autorità fermano ogni tipo di inchiesta perché sta per arrivare in città Benito Mussolini. Non è il caso di distogliere l’attenzione e a Ricciardi viene sottratta la pratica. Al giovane e coraggioso commissario toccherà indagare in modo clandestino, ma soprattutto dovrà indagare senza alcun indizio perché nel luogo del delitto, per la prima volta non viene avvertita alcuna voce. A questo punto un interrogativo: ha esaurito il suo dono oppure quel bambino non è stato ucciso lì?
Maurizio de Giovanni torna con la sua voce inconfondibile e le atmosfere di una Napoli ipnotica e affascinante
al quarto romanzo sul commissario che di storia in storia conquista e avvince sempre più lettori.

Maurizio de Giovanni è nato nel 1958 a Napoli, dove vive e lavora. Ha scritto Il senso del dolore (Fandango Libri 2007), La condanna del sangue (Fandango Libri 2008), Il posto di ognuno (Fandango Libri 2009). La serie del commissario Ricciardi è stata già venduta in Germania e in Francia.

Roma: anteprima assoluta per Black Wade alla fiera Romics L'atteso fumetto gay in anteprima a Roma, sarà poi ufficialmente presentato a Lucca Comics
















Grande anteprima a Romics per “Black Wade”, l’attesissimo fumetto di Franze & Andarle pubblicato per la prima volta in Italia dopo il grande successo ottenuto nel resto d’Europa. Allo stand Edizioni Voilier, dal 30 settembre al 3 ottobre presso la celebre fiera romana “Romics”, sarà possibile acquistare le primissime copie del capolavoro gay-erotico dove i pirati sono protagonisti assoluti. Il fumetto, dopo l’anteprima a Romics, sarà presentato poi ufficialmente a Lucca Comics & Games (29 ottobre – 1 novembre 2010) dove allo stand Edizioni Voilier sarà anche presente Franze, uno degli autori, per la firma degli albi.

Black Wade – The wild side of love é probabilmente il primo vero fumetto che riesce a mixare il tema omoerotico con una perizia tecnica professionale di grande impatto. Pubblicato in contemporanea dalla Gmunder (in inglese per il circuito internazionale) e dalla H&O per il mercato francese, questa vera e propria graphic novel omoerotica realizzata dal duo Franze & Andarle (italianissimi nonostante i nomi), divenuta estremamente popolare in Europa, arriva finalmente in Italia grazie ad Edizioni Voilier.

Con Black Wade, Edizioni Voilier apre al genere erotico e lo fa con una nuova collana e con una scelta coraggiosa per il mercato italiano: una storia di erotismo gay, di pirati e uomini di mare. Tutto parte quando Jack Wilkins, aiutante luogotenente della Marina Inglese in procinto si sposarsi con una giovane nobildonna, viene rapito dal selvaggio capitano Black, fondamentalmente al fine avere un nuovo giocattolo con cui passare il tempo fra un arrembaggio e l’altro. Quello che Black e Jack non si aspettano, però, e che l’intesa sessuale possa iniziare a trasformarsi in qualcosa di più, e così Black decide – a malincuore – che è meglio separarsi da Jack prima che sia troppo tardi per entrambi. Tornato fra i suoi pari Jack riprende i preparativi per le nozze, ma poco prima della cerimonia viene a sapere che Black è stato catturato dalla marina inglese. Questo rimette tutte le carte in tavola… Jack manderà a monte il suo matrimonio per salvare Black? Per scoprirlo non resta da fare altro che perdersi fra le magnifiche tavole di Black Wade, un vero e proprio spartiacque per questo genere, nonché uno dei fumetti omoerotici meglio realizzati in assoluto.

INFORMAZIONI PER LA STAMPA:

Materiale per interviste e copia per recensioni da richiedere a info@edizionivoilier.com

martedì 28 settembre 2010

Il libro del giorno: La camera chiusa di Maj Sjöwall e Per Wahlöö (Sellerio)





















È una giornata assolata a Stoccolma e in una banca del centro riesce una rapina solitaria. Autore, sembra, una donna giovane. Questa, in fuga con il ricco bottino, ha fulminato con un colpo di pistola il solito che cercava di fare l’eroe. «Bulldozer» Olsson, entusiasta ed accanito procuratore, è sicuro che il colpo sia parte di un elaborato piano criminoso. Dietro questa ipotesi sguinzaglia la squadra speciale. Lo stesso giorno, Martin Beck, appena uscito da una lunga convalescenza e moralmente a pezzi come il suo matrimonio, da solo, senza i suoi, inizia a indagare su uno strano fatto. Un cadavere è stato rinvenuto in un monolocale: un anziano indigente, una pallottola gli ha spaccato il cuore. La camera è internamente chiusa, e il caso si avvia ad essere frettolosamente archiviato come suicidio; ma allora, dov’è l’arma? Metodico, implacabile e triste, mentre gli altri elaborano trappole clamorose, Martin affronta l’enigma da camera chiusa. Nessuno crederebbe che la rapina e il cadavere misterioso siano le due facce dello stesso imbroglio. Solo lui e forse perché si sente anch’egli dentro una camera chiusa. Per chi volesse conoscere cosa sia davvero «il poliziesco procedurale» e perché Sjöwall e Wahlöö ne sono considerati il re e la regina, questo nuovo romanzo della serie è la lettura adatta. C’è il coro rumoroso dei poliziotti, con le loro capricciose personalità; c’è la galleria variegata dei personaggi; e c’è la razionalità di un’indagine dalla logica metodica. Ma dominano soprattutto le combinazioni impreviste prodotte dal fattore umano e la capacità del commissario di entrare nel cuore di esistenze quotidiane. E tra le righe, la frusta, sempre ironica e pietosa, della denuncia sociale di questi celebrati fondatori di un genere, convinti in modo conseguente che, insomma, svaligiare una banca sia un crimine meno grave che fondarla.

Maj Sjöwall (1935) e Per Wahlöö (1926-1975), compagni nella vita, hanno scritto la serie dei dieci romanzi di Martin Beck: tradotta in una trentina di lingue e soggetto di film e telefilm. Una collaborazione con un fine anche politico: la denuncia della società neocapitalistica svedese. Questa casa editrice ha pubblicato Roseanna, L’uomo che andò in fumo e L’uomo al balcone (ora raccolti anche nel volume I primi casi di Martin Beck della collana «Galleria»), Un assassino di troppo, Il poliziotto che ride, L’autopompa fantasma, Omicidio al Savoy e L’uomo sul tetto.

La notte dell’Aquila, di Romolo Di Francesco e Maria Grazia Tiberii (Dario Flaccovio Editore). Intervento di Nunzio Festa











Con “La notte dell’Aquila” i teramani Romolo Di Francesco e Maria Grazia Tiberii affidano a una ricerca la loro vocazione inzuppata nell’amore per la loro terra d’origine. E scavano sotto le macerie, anche loro, del terremoto che il 6 aprile 2009 diede una manciata enorme di morte all’Abruzzo; dalla quale, persino, il popolo abruzzese non riesce – e il tempo è ancor stretto – a reagire: nonostante, ovviamente la rabbia d’un popolo (già vessato da questo tipo di sciagura) che comunque spinge la propria importante vita oltre il dramma dei problemi storici e quotidiani, politici ed economici. Michela, Maria, Luigi, Tommaso, Rosa, Rino, Cristiano, Paolo ed Erica “non” sono che i rappresentanti di questo senso di riscatto: cittadini in lotta: persone, al di là d’un nome che non risponde alle grinfie dell’anagrafe persino crollata col sisma, torturate dall’evento e che resistono nell’odierno. Di Francesco e Tiberii le loro storie hanno voluto raccogliere. Quasi a margine, ma che è assolutamente dentro, una tragedia raccontata dalle mosse d’un suolo che deve le sue vibrazioni addirittura all’ordine preistorico, a 4.6 miliardi di anni fa. Una geologia messa in stretta relazione e a contatto tutt’altro che forzato con, poi, i passi della storia. I “personaggi” del volume, quindi, sono Michela Maria gli altri e il territorio aquilano. Persino le placche in avvicinamento. Oltre che, naturalmente, un annuncio dell’evento che il 6 d’aprile sconvolse l’Aquila e non solo. Senza che nessuno volle provare a mettere una difesa a contrasto. Che, ormai è sempre più certo, si fece finta di niente. La Protezione Civile, tanto per cominciare, intervenne dopo le scosse. Anche se l’avvicinarsi del terremoto era stato scoperto. Il libro di Romolo Di Francesco, autore di pubblicazioni divulgative a livello internazionale e Maria Grazia Tiberii, laureata in scienze statistiche proprio in Abruzzo, ha una suddivisione in tre segmenti: preistoria, storia, attualità. Tutto all’interno del “pianeta azzurro”. Ma, soprattutto, con uno scorrevole canto che, dotato di piccole prefazioni ogni boccone di vicenda, permette di entrare nel vivo del prima, del dopo e delle conseguenze della Notte dell’Aquila. Con un tono ‘divulgativo’, inoltre, che aiuta a sapere. Quest’opera di Di Francesco e Tiberii, infine, nasce per essere inserita nel piccolo ma necessario filone dei testi che raccontano tutta la verità e soltanto la verità sull’assassinio più grande avvenuto nel 2009.

lunedì 27 settembre 2010

Il libro del giorno: Storie bastarde di Davide Desario (Avagliano)




















Anni Settanta. Estrema periferia di Roma. Una terra di nessuno dove qualche anno prima è stato massacrato e ucciso Pier Paolo Pasolini. Un posto dove le strade ringhiano e i bar sono palestre di vita. Un gruppo di ragazzini cresce in mezzo alla malavita locale, incrociando i “bravi ragazzi” della Banda della Magliana e la Primula Rossa delle Br, Barbara Balzerani. È Ostia, ma potrebbe essere qualunque periferia italiana, dove sopravvivere vuol dire fare i conti anche con tragedie come l’episodio di Vermicino che ferma tutti davanti le televisioni. Le storie bastarde – pestaggi tra rossi e neri, fionde e motorini rubati, scippi e scommesse, le sfide tra bande nemiche, e poi overdose, morti ammazzati – diventano lenti d’ingrandimento su una gioventù che cresce e sul mondo che sta cambiando.

MUTAMEMORIA Coop for words 2010. intervento di Michela Orlando













(…) Perdona infine/ tutte le parole/ rimaste sole/ senza cose.(…) Camilla Endrici

BOHUMIL - Un grande Concorso letterario. Grandi parole di verità, anche se “rimaste sole senza cose”. FUORI DI RETORICA. Un grande libro. Si può leggere i testi in concorso e non, anche delle precedenti edizioni, qui:

http://coopforwords.it/dvd_ricerca.php?tipo=9

I testi di Coop for words 2010 – a saperli leggere in questa prospettiva – lanciano un messaggio preciso. La memoria, ci insegnano, non può che ripartire dalla riappropriazione del presente, ed è incompatibile con la rassegnazione o con i vuoti conformismi. Non si dà memoria senza coscienza di un rapporto, di un confronto, di una consapevolezza critica: noi ci collochiamo – dicono i testi – nel nostro qui, nel nostro oggi, con tutti i limiti e le incertezze di un presente sospeso tra un ieri che va sbiadendo i contorni e un domani senza fisionomia definita. Ma il contatto è attivato: parliamone, parliamoci.

Niva Lorenzini

È Niva Lorenzini a scrivere la presentazione di questo libro. E Niva, il cui nome troviamo splendido e scegliamo di usare da solo, come emblema dell’insieme che emerge dal suo argomentare, ci dice quali tracce cercare nelle parole dei testi e nelle suggestioni dei fumetti vincitori di un concorso importante. Non la conosciamo personalmente, Niva; e sapere che è docente presso l’Università di Bologna, dove stiamo conseguendo la laurea magistrale, nonché componente del Comitato Scientifico del concorso Coop for words, dove abbiamo concorso, ci imbarazza un po’. Tuttavia, quel che va detto lo diremo. Le sue parole ci lasciano immaginare un tono contemporaneamente prudente, capace di trasferire una intensa ricerca del senso da dare a quelle scelte sapientemente, e una presa di coscienza. Ci pare voglia dire: Badate, la scrittura giovane è pericolosa. O potrebbe esserlo. Coop for words ha scelto un tema che poteva portarci verso risultati imprevedibili, entusiasmanti, ma anche rischiosi. Vediamo cosa è successo…

Ecco il suo pensiero autentico:

La memoria, il presente la scrittura

Non è sfida da poco quella lanciata quest’anno dagli organizzatori di “Coop for words”. Invitare a confrontarsi con la memoria significa infatti aprire una serie di interrogativi dalle risposte imprevedibili e non scontate. È di sicuro parola a rischio, la memoria, tra celebrazioni e commemorazioni ufficiali che ne abusano sino a svuotarla di contenuto; ed è d’altra parte parola a rischio anche per i processi di autoconsunzione cui il termine è di continuo sottoposto, in una quotidianità che frantuma l’esperienza corrodendone la tenuta, e dunque mettendo in discussione la possibilità stessa che ciò che accade lasci traccia, si articoli in un vissuto, sia recuperabile come ricordo, si trasformi in progetto. C’è allo stesso tempo, insomma, eccesso di memoria, enfatizzata ed espropriata di senso, e perdita della stessa, nella nostra contemporaneità che tende a spettacolizzare, esibire, contrabbandando il virtuale per reale e viceversa. Come ciò si trasferisca in scrittura, sia quella dei racconti brevi, dei blog, delle poesie, dei fumetti, non era facilmente ipotizzabile o prevedibile. Ci si poteva al più chiedere se i raccoglitori della sfida, cioè i partecipanti al concorso, si sarebbero trovati disponibili a riconoscere i rischi, le trappole, i travestimenti che il concetto di memoria, applicato al nostro oggi, cela in sé, e in che misura sarebbero stati disposti ad affrontarli. Ci hanno provato in molti, per nulla scoraggiati dall’assunto. I più hanno optato per una scrittura contingente e di contingenze, che si fa autoreferenziale e autobiografica con ironia e talvolta con ferocia, offrendo in pillole, alla maniera di un Perec stralunato, ricordi d’infanzia parodizzati e slabbrati, tra resa visionaria e sobria scarnificazione. Scene di una quotidianità cosificata vengono così restituite in fotogrammi fermi, tra sentimenti raffreddati come oggetti e paesaggi metropolitani che, in versi o in prosa, si provano a anestetizzare le emozioni, bloccandole sull’istante, senza sviluppo. Realtà è natura – gli ingredienti consueti per ogni scrittura – faticano a trovare collocazione nell’immaginario di questa nostra contemporaneità, fatto di uno spazio e di un tempo simulati, sostitutivi: a meno che ci si voglia immergere nell’altrove di una improponibile “Poesia” che esercita il proprio straniamento ricorrendo a un lessico inattuale (quello delle “gote” o delle “aurore radiose”, delle “alme” e delle “parole silenti”, dei “brividi” e dei “profumi”, ma che è parodia di un glossario da melodramma?). la poesia vera, quella senza iniziale maiuscola, è contenuta nel ritmo spezzato e velocizzato dei blog e della prosa, o nella scrittura a elenco che consente l’accumulo di dati, vicende, “piccoli fatti veri” offerti senza commento, consapevoli che c’è ormai “troppa storia per avere memoria”, nell’epoca degli “impalpabili gigabyte” da “memory card”. È insomma la cronaca in versi o in prosa delle gesta minime, diseroicizzate (o eroiche, di un loro eroismo da vita da call-center) di una generazione di non garantiti, “poliedrici e confusi”, pronti a lasciarsi “aprire, scartabellare, riempire, svuotare”, insieme delusi e trasgressivi, cauti nell’affrontare la strada del vivere “come macchine dal freno a mano tirato”. Fuori di retorica, davvero: è questa una scrittura di denuncia, la vera scrittura civile dei nostri giorni, tutt’altro che dispersa in formalismi, immediata e diretta. La scrittura che sa di usare parole “rimaste sole senza cose”, e può provarsi nell’autoparodia o nel travestimento della realtà in fiction orrorosa, oppure tentare qualche affondo verso la “storia”: quella privata, magari, della propria infanzia, tema privilegiato di molti interventi, o quella collettiva, affidata ai racconti dei protagonisti che ne conservano ricordo vivo (gli anziani, che restituiscono il vissuto di altre generazioni, o le tracce di una partecipazione viva alla Resistenza; o ancora gli accenni a una strage – quella della stazione di Bologna – che sconvolge la normalità dei giorni, o di un terremoto che si incide sul corpo vivo dell’esperienza). I testi di Coop for words 2010 – a saperli leggere in questa prospettiva – lanciano un messaggio preciso. La memoria, ci insegnano, non può che ripartire dalla riappropriazione del presente, ed è incompatibile con la rassegnazione o con i vuoti conformismi. Non si dà memoria senza coscienza di un rapporto, di un confronto, di una consapevolezza critica: noi ci collochiamo – dicono i testi – nel nostro qui, nel nostro oggi, con tutti i limiti e le incertezze di un presente sospeso tra un ieri che va sbiadendo i contorni e un domani senza fisionomia definita. Ma il contatto è attivato: parliamone, parliamoci. Divorando i racconti brevi, i testi della sezione blog, le parole delle poesie e i fumetti, abbiamo trovato tutto ciò che dice Niva. In un caso, nella INVETTIVA, scritta da una di noi e tra i testi vincitori del concorso, quindi leggibile nella antologia, abbiamo dovuto glissare, riservandoci di rileggere alla fine, tentando di dimenticare il nome dell’autrice. Ciò che abbiamo letto e riletto torna a ferire, a chiarire e ad arricchire.

Eccola.

INVETTIVA

Ora basta! Se fossi uno scaricatore di porto la metterei così: -Avete rotto i coglioni! Che cazzo mi guardate a fare, non bastano i quintali di tette siliconate esposte sia nella cosiddetta TV pubblica che nella commerciale? Che cazzo mi guardate a fare se dopo le lotte di liberazione, la Costituzione , il ’68, lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori, il ’77, la donna deve essere bella per essere assunta e far carriera? Che cazzo mi guardate a fare se volete che i corpi siano rassodati, se perdete la testa dietro i culi brasiliani? Non perdete tempo: sono una che se ne fotte di avere una prima, pressoché zero, di seno. E non voglio essere intelligente: lo dice chi non capisce una minghia e non si sa da chi sia stato patentato a farlo. Voglio girarmi e ritrovare lo sguardo di mia madre, ricordare la foto che la ritraeva in una manifestazione di sole donne. E voglio incontrare gli scaricatori di porto, i lavoratori puzzolenti di sudore, non i complimenti. Voglio ricordar la vita. Cazzo!


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