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venerdì 28 agosto 2009

Lara Favaretto: l’archivio dei sogni. Rec. di Maria Beatrice Protino






















Usa spesso il paradosso, i riferimenti letterari e cinematografici quasi come suggerimenti per la sua arte

Lara Favaretto raccoglie e cataloga immagini, testi, filmati e materiali di ogni genere ed epoca: dal fondo del suo archivio, poi, fa emergere idee e suggestioni per sviluppare le sue opere spesso imprevedibili. Le sue performances, istallazioni, video e sculture continuano a fare il giro delle biennali: unica italiana invitata all’ultima Biennale di Sharjah - uno degli Emirati Arabi; tra i pochi chiamati a partecipare alla 53° Biennale di Venezia dal direttore Daniel Birnbaum; presente all’ultima edizione del Festival d’arte Contemporanea di Faenza e già pronta per la sua prossima mostra al Tramway di Glasgow e alla partecipazione alla Biennale Performa di New York a novembre.
Lei è trevigiana e poco più che trentenne. Dopo gli studi a Milano, si è fatta notare ottenendo riconoscimenti in rapida successione: nel 2001 vince il premio Furla per l’arte e una borsa di studio annuale al PS1 di New York; nel 2004 vince ancora una borsa di studio istituita dagli Amici Sostenitori del Castello di Rivoli e infine riceve nel 2005 il premio alla Biennale di Venezia per la giovane arte italiana col video “La terra è troppo grande”, in cui esibiva una sorta di festa magica lungo le sponde di un corso d’acqua: maschere e personaggi da circo, infatti, ma anche citazioni carnevalesche e filmiche ricorrono spesso in installazioni e performances che sollecitano addirittura l’intervento del pubblico.
Alla base dei suoi lavori - per cui utilizza la fotografia, il video, la performance - c’è sempre l’urgenza di una continua trasformazione e la necessità di coinvolgere gli altri nel processo creativo.
La contaminazione e lo scambio continuo di esperienze, anche estranee alla pratica artistica, diventa allora il mezzo per approdare a opere per così dire ‘aperte’ e potenziali in cui il ruolo dell’artista è dichiaratamente fragile e marginale.
L’istallazione presentata a Faenza, ad esempio - “Monumento momentaneo” - è costituita da una palude colma di presenze, contrariamente all’immagine convenzionale, che è invece sterile e desolata, ostile, tipica appunto della palude. Si tratta di un luogo per clandestini, una sorta di nascondiglio che, come dirà l’artista stessa, compone e ricompone infinitamente perché consuma tutto quello che inghiotte, offrendosi al tempo stesso come luogo di speranza e rinascita, oltre che di catastrofe.
Per creare le sue opere ha sempre cura del mondo reale, e si sforza di dar vita a situazioni ibride, trasformando un detto popolare in un fatto reale, con la speranza di una risata corale, con il proposito che un giorno tutto possa essere sovvertito e i sogni dell'artista stessa o quelli comuni a tutti diventino realtà.

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