venerdì 29 febbraio 2008

Da ArpaNet la nascita della Bellezza di Maria Grazia Mezzadri Cofano





















La nascita della bellezza. Da Bruegel a Basquiat: ritratti da un mondo segreto, di Maria Grazia Mezzadri Cofano, ArpaNet (Milano, 2007), pag. 192, euro 12.00.
Come entrare in un’opera d’arte direttamente da un pezzo dell’artista. La nascita della bellezza raccoglie una serie di racconti ispirata da alcune delle opere di grandi maestri d’arte. Picasso, Munch, Mirò, Basquiat e altri geni fanno parlare questo volume calamitoso. L’autrice Cofano parte da una litografia, quindi, oppure da un colpo di pennello, e si mette a fare un racconto breve che sa muovere l’interesse del lettore. E, puntualmente, le invenzioni tengono attaccato questo strano pubblico al pittore di cui si parla, o che parla. Nelle tele oppure sotto di esse, appunto, non solamente vive la vita di colui o colei che ha creato; ma vive la vita di un evento, di un evento particolare – anzi – quando non (semplicemente) di un momento particolare. Per esempio, come quel grande Chagall che viene ripreso mentre si concede a un giovane giornalista suo stesso grande ammiratore, al quale il pittore russo spiega l’origine della sua pittura e il contenuto della sua maestosa voglia di fare arte. Tanto per dire, Chagall farà sapere dunque della sua terra antica e della sua appartenenza all’ebraismo, dove pure ci stavano come ci saranno sicuramente anche oggi tanti racconti orali passati di padre in figlio. Storie, storielle, vicende piccole e/o grandi, missive e narrazioni altre di diverso genere. Tutte ovviamente a servizio della creatura messa in apertura dello scritto. Bambina malata di Edvard Munch, una delle opere, ispira solamente per ricordare un bel momento: il fregio della vita. E’ il brano tratto dalla voce di una donna: “Era bellissimo. Ero attratta da lui e forse dalle sue diversità. È probabile. Lui mi voleva accanto, come non aveva mai fatto prima con nessuna donna. Sentivo che mi esibiva. A Parigi, in Italia, negli ambienti norvegesi. Mi compiacevo anch’io di essere esibita, accanto a lui. Mi lusingava quando mi dipingeva: i capelli rossi, gli occhi grandi, le braccia lunghe, i seni pieni. Sono stata madonna e prostituta. Era eccitante, molto eccitante rivedermi sulla tela. Ma non ho potuto reggere a lungo. Dirsi addio e ritrovarsi, in un alternarsi fatale, senza un senso, senza un principio e una fine, come se fosse ineluttabile: è durato per qualche anno. Stavo organizzando il nostro matrimonio, quando scappò.
Ritornò e io mi feci di nuovo catturare”. Un episodio, ma che dice tantissimo.
Fra quelle da leggere e possibilmente rileggere, le righe che sanno di Basquiat e quelle che danno del Caravaggio.

NUNZIO FESTA

giovedì 28 febbraio 2008

La teqja di Artur Spanjolli (Besa editrice)















Devo prenderne atto. La profondità di alcuni scrittori e poeti come Gezim Hajdari, Leonard Guaci, Mihai Mircea Butcovan, Ron Kubati, e ancora Anna Belozorovitch, o Diana Chuli, è veramente tetra e abissale. Non in senso dispregiativo, ovvio, ma perché il lettore tra le pagine dei loro libri, si smarrisce, perde l’orientamento, assapora un senso di continua tensione tra una lotta titanica per la sopravvivenza e un desiderio terribile di non soccombere ai diktat del ricordo, della memoria … un filo sottile che lega esistenza e rifiuto individuale di tutte quelle condizioni esistenziali, immiserenti e annichilenti. E tutto questo in angusti spazi dove l’io poetico o narrante vive in zone d’ombra sempre più grandi, all’interno delle quali a stento passa la luce. Ed è doveroso poi, dopo aver letto quegli autori, fare i conti con un altro protagonista del mondo letterario contemporaneo: parliamo di Artur Spanjolli. In molti hanno apprezzato le vicende del giovane Eduart (Besa editrice), dalla vita problematica, fatta di ristrettezze, miserie e solitudine, figura di un piccolo grande uomo, imprigionato in una doppia identità, quella di un desiderio forte e costante di diventare un sommo sacerdote nel brulicante mondo delle lettere, e quella invece di chi poi deve sottostare al soldo della Necessità, per tirare avanti. Una storia struggente che ha come sfondo l’Albania, nell’anno 1987, terra madre, popolata da fantasmi, come la bellissima Eugenia, di cui è innamorato, ma alla quale non riuscirà mai a comunicare i suoi sentimenti, e i suoi amici, impegnati nel viversi grigiamente giorno dopo giorno. Interessante anche la seconda prova editoriale Cronaca di una vita in silenzio (Besa editrice), dove si narra la vicenda di una famiglia albanese che da ricchi proprietari diventa, per una serie di contingenze storico-politiche, ovvero l'avvento del comunismo e la successiva sbornia "democratica", soggetto di un crollo economico che la porta sul lastrico. Vicenda che da Spanjolli viene presentata senza drammi, senza la volontà, che sarebbe stata piuttosto ingenua in verità, di muovere a compassione il lettore. L'alterna vicenda umana è accettata dai protagonisti con fierezza, con un atteggiamento dignitoso, e con una compostezza che sfiora quasi una pre-destinante accettazione della realtà. L’ultima fatica di Artur Spanjolli è la Teqja (Besa editrice). La narrazione delle vicende è da individuare precisamente nel 1969 durante la dittatura comunista di Enver Hoxha. Per quanti non conoscessero il tracciato politico di questo losco personaggio della Storia dell’Albania, è necessario fare un po’ di dietrologia, a partire da circa un decennio prima rispetto agli episodi contenuti nel libro. Gli anni '50 furono gli anni dei primi, difficilissimi, passi dell'Albania verso lo sviluppo economico, sociale e culturale. Il paese aveva un’economia completamente agricola, viveva di un'agricoltura primitiva segnata da rapporti economici di stampo feudale. L'Albania era quasi totalmente priva dell'industria, con un livello di istruzione molto basso: l'80-85% della popolazione era analfabeta. La vita media non toccava i 40 anni. Questa era l'Albania prima della guerra. A tutto ciò si dovevano aggiungere le perdite umane: 28 mila caduti su 800 mila abitanti e le distruzioni provocate dal conflitto bellico. La politica del Partito del Lavoro - chiamato così dopo il primo congresso del Novembre 1948 - aveva tre orientamenti fondamentali: l'industrializzazione, lo sviluppo dell'agricoltura attraverso la cooperativizzazione, un programma per lo sviluppo dell'istruzione e della cultura. Un programma che doveva essere consegnato in un leader, nell’Uomo del Destino: Enver Hoxha. In Albania gli anni '70 si aprirono all’insegna di diversi obiettivi, la maggior parte dei quali mossi dal desiderio di smascherare e individuare all'interno del Partito e dello Stato tutti coloro che erano contro il socialismo: mentre il Paese delle Aquile, sprofondava nella menzogna e nel collasso finanziario più insostenibile.
Questa è la base da cui parte l’autore. Leggiamo per l’appunto a pag. 37: “ Era l’epoca degli slanci comunisti, degli slogan rivoluzionari. Le parole d’ordine rivoluzionarie si sprecavano. In alto lo spirito rivoluzionario. Coscienza di classe. Organizzazione. Disciplina. Viva il Partito del Lavoro Albanese. Viva il Presidente Enver Hoxha. In una mano il piccone, nell’altra il fucile. L’Albania roccia granitica. Gloria al marxismo-leninismo. Studiamo-lavoriamo-viviamo-come in un assedio. La religione è l’oppio dei popoli. Il Popolo fa il Partito, il Partito fa il Popolo. Per le strade delle città principali, gli operai, con la mano destra stretta a pugno all’altezza dell’orecchio, salutavano i rappresentanti del Partito del Lavoro e applaudivano urlando. Viva il compagno Enver Hoxha con il suo Gabinetto dei Ministri. Viva la Cina Socialista. Il Vietnam vincerà.”. In realtà Spanjolli, usando i ricordi dei personaggi, sospinge la narrazione fino a un secolo prima al fine di raccontare le origini della famiglia Cialliku e le peripezie dei padri fondatori. Islam e Hysen Cialliku, vissuti a Likesh un secolo prima, possessori di una vasta e ricca biblioteca, nonché spiriti liberi e generosi, diventano gli agnelli sacrificali per eccellenza, vittime delle ire delle autorità locali e del crudele Seit Beu, perché avevano donato parte delle loro ricchezze ai poveri contadini del posto. Islam muore a causa del colera, e suo fratello Hysen (vissuto nella fede di Allah e nella tolleranza) muore travolto dalle fiamme per salvare i libri dall’incendio appiccato dagli sgherri di Seit Beu. Il diario del saggio Hysen, non più di trenta pagine, era stato sotterrato da Ramadan, padre di Meta, nel sacro luogo adiacente la casa (La Teqja – il monastero in cui vivevano, pregavano e venivano sepolti i dervisci, adepti di una confraternita nata intorno al secolo XVII. Nel romanzo è la tomba degli uomini sapienti, ritenuti santi) e ritrovato da Meta pochi giorni prima del novembre 1969. Una sera, in totale clandestinità, oltre che in piena dittatura comunista, otto persone della famiglia Cialliku, più un traduttore, si riuniscono a casa del vecchio patriarca Meta per ascoltare le parole del diario di Hysen Cialliku. Queste persone continueranno a riunirsi per nove sere di seguito per apprendere dalle parole dell’antenato, su quali basi può poggiare la santità di un uomo. Così a grandi linee la trama. Spanjolli costruisce un libro davvero eccezionale, in primo luogo perché riprende un costume che è ormai in fase di estinzione: quello dell’incontrarsi. Ma si tratta di una modalità che non è fine a se stessa, ma diviene per l’autore un modello per intessere relazioni fondate sul dialogo, sull’ascolto di vicende che partono dalla tradizione, che vengono tradotte (e non nel senso di tradire, ma trasportate) in una micro-memoria collettiva di un nucleo famigliare, e che si trasformano in uno strumento per costruire un futuro nuovo, migliore, aperto. Il raccontare per Spanjolli è un’alta forma di pedagogia, di battaglia culturale da esercitarsi senza mezzi termini, perché la forza del porsi come creatore di una mitopoiesi, è centrale e addirittura iper-funzionale a divenire insegnamento per comprendere la Storia, le Storie. In secondo luogo, Spanjolli da al lettore, le consegna brevi manu, le chiavi per comprendere un mondo come l’Islam che, se non ci fossero voci autentiche come la sua, ci sfuggirebbe, perché saremmo vittime della stereotipizzazione massmediatica che vuole l’Islam un’incubatrice di estremismi e barbarie, di volontà di potenza nucleare, e attore di propaganda di evangelizzazione mondiale. Nulla di più sbagliato: “ (…) Per gli ebrei tutto finisce con i padri dell’antichità. Noè. Isaia. Abramo. Mosè. Davide. Ezechiele. Non riconoscono Gesù e non si parla neppure di Muhammad. I cristiani accettano la tradizione ebraica, ma vedono in Gesù il figlio di Dio, l’unica carne celeste, cosmica, diversa da quella umana e sono fedeli alla trinità: Padre-Figlio-Spirito Santo. I musulmani sono convinti che Muhammad sia stato l’ultimo inviato di Dio, colui che ha migliorato i concetti, ha detto il giusto universale, ha messo il sigillo della profezia. I musulmani accettano Gesù come profeta, riconoscono la verginità di Maria, ma ritengono un grave peccato il fatto di assicurarlo a Dio. Per i musulmani Dio non è stato generato da nessuno e non ha mai generato. Secondo i musulmani Gesù, nel vangelo di Giovanni, prima di morire annunciò l’arrivo di un altro Spirito della verità che avrebbe condotto alla verità piena, perché egli non parlerà da se stesso, ma dirà quanto ode. Per molti cristiani il Corano è blasfemo, nell’arco dei secoli il profeta è stato visto come un impostore e non accettano una religione che uccide il diverso in nome di Allah, che induce al fanatismo, all’estremismo, alla violenza, alla poligamia. Gesù predica in nome dell’amore e della pace. L’arcangelo Gabriele parla a Muhammad in nome di regole ben stabilite dal libro: guerra al politeismo, ai miscredenti, guerra in senso figurato, non guerra vera. E’peccato per le donne sposare i senza fede, è proibito agli uomini sposare donne atee: quelli che lo fanno sono considerati perduti. L’Arcangelo parla di far trionfare l’Islam per il mondo, se è necessario anche con la spada. L’islamismo include la tradizione ebraicae quella cristiana, mescola la Torah e la Bibbia, ma ritiene che il Corano sia l’ultima parola di Dio. I cattolici, gli ortodossi, i protestanti, i gesuiti, i francescani, gli apostolici, i musulmani (sciiti e sunniti), i sufi, i dervisci, i bektasci, gli zoroastriani, i buddisti, le tradizioni indù, i taoisti, i bahaiti, gli shintoisti, i krishna, gli shivanisti, il giainismo e le altre minoranze monoteiste sono sulla strada giusta, purchè adorino un unico Dio e purchè abbiano delle regole che non vadano contro quello che umanamente si crede giusto e positivo. Da quasi duemila anni tre libri fanno la storia del mondo: Torah, Bibbia e Corano.”. Spanjolli rispetto ad alcuni narratori italiani (come ha sostenuto in più di qualche occasione Renato Barilli sulle pagine de L’Immaginazione di Manni), non ha difficoltà ad affrontare il Romanzo, sia come prova del mettersi in gioco in quanto autore, sia come categoria della produzione scritturale. I protagonisti sono tutti ben tratteggiati, grazie ad una lingua asciutta, sobria, misurata, scandita da una paratassi plurivoca e articolata. La Teqja di Artur Spanjolli è un bellissimo esempio di come si può vedere l’Islam tra spiritualità e letteratura, una lettura in chiave occidentale.

fonte Musicaos.it

lunedì 25 febbraio 2008

Marquez e le sue puttane tristi




















E’ sempre una questione di Tempo. Nel Tempo possono svilupparsi una serie di dinamiche tali, da contenere l’intero spettro dell’esistenza umana (vita, morte, amore, paranoia, spersonalizzazione, personalizzazione reclusiva, oltraggio al pubblico pudore, immoralità, moralismo, restaurazione, pornografia, erotismo, immigrazione clandestina, prostituzione organica e intellettuale, controllo, fanatismo, finzione, etc…) e non solo. La Metafisica nel Tempo, trova allocativamente la sua ex-sistenza fondazionale, a prescindere da sviluppi dialettico-materialistici propri della Storia. E sebbene il Tempo e la Storia abbiano scelto una sintassi e una grammatica strettamente categoriali, la Metafisica continua ad affermare la presenza di un multiverso le cui interne determinazioni costringono chiunque o qualsiasi cosa si trovi fenomenologicamente assorbita, a vivere cineticamente un’aspetto del Destino che è già determinato a priori. In questa spettrale triangolazione psico-cosmica (parafrasando Manlio Sgalambro), tutto si gioca sulle opzioni selezionate soggettivamente per la Sopravvivenza. Non ci sono regole, o leggi! E’ una scelta casuale! Può andare bene, come può andar male! O meglio, la scelta può soddisfare o meno parametri di comfort difensivi, nell’affrontare quel dato segmento che sono le nostre vite, ancora una volta sottosuddivisibili in micro strutture che interessano la mente, il linguaggio e l’ambiente, al di là della singolare percezione di complessità. Gabriel Garcìa Marquez, in questo suo ultimo lavoro, Memoria delle mie puttane tristi, sceglie di giocare le sue doti scritturali, su nano porzioni categoriali concernenti il Tempo, la Storia, e la Metafisica.
Il Tempo:Certamente osservando Nancy Hagen, Jenny Kinght, Kae Lee, rese eterne dall’obiettivo di Peter Lindberg, magari su qualche catalogo, o sulle riviste pop-patinate, il Tempo viene a cristallizzarsi nel dominio del qui, ora e per sempre. Ma questo accade su qualsiasi tipo di supporto: l’Eterna Giovinezza tra le pagine di opere immortali, nelle foto, nei film, nei fumetti, nei videogames, nei siti web, sui blog. Col Tempo però si può perdere Memoria, ma attraverso gli occhi, qualcosa ci permette di operare una scelta multimodale, che tramite gli altri sensi, ci porta al presente, o ci trasporta nel passato, il nostro o di chissà chi altro! Spesso l’associazione di idee è sufficiente per ricordare attimi, vicissitudini, ad osservarci e a osservare lo svilupparsi delle cellule,dei muscoli, degli organi, degli arti, dal loro fiorire sino alla definitva consunzione. La scelta dell’opzione divulgativa per la Sopravvivenza, dataci da Marquez, la leggiamo a pag. 133: “ (…) mi attraversò l’idea che la vita non fosse qualcosa che scorre come il fiume impetuoso di Eraclito, ma un’occasione unica di girarsi sulla graticola e continuare ad arrostirsi dall’altra parte ancora per novant’anni”.
La Storia: La successione degli eventi che si svolgono nel mondo, la narrazione di tali eventi e l’interpretazione del loro significato, cronaca documentata e ordinata dello svolgimento di qualsiasi attività artistica, culturale, scientifica, ciò che è veramente accaduto, ma anche quello che sarebbe stato se … o ciò che non si sarebbe mai verificato, diventando quindi Meta-Storia e aprendo le porte d’accesso, senza nessun tipo di Fire Wall che tenga, alla Metafisica! E meta-storica è la vicenda, la storia, narrata da Gabriel Garcìa Marquez, in questo splendido libro. La voce, è quella dell’anziano protagonista, un giornalista bizzarro, eccentrico, redattore del giornale “Diario de la Paz”,(nel XX secolo in cui il progresso fa volare gli aeroplani, e uno Junker, gettando in volo dal suo aereo un sacco di lettere, inventa la posta aerea) alla soglia dei novant’anni. Leggiamo a pag. 11: “ Non ho bisogno di dirlo, perché si nota a leghe di distanza: sono brutto, timido e anacronistico. Ma a forza di non volerlo essere sono riuscito a fingere tutto il contrario. Fino a questo giorno presente, in cui decido di raccontarmi come sono per mia stessa e libera volontà, anche solo per sgravarmi la coscienza (…)”. Estimatore sottile di musica classica e di mignotte, si ritrova ad innamorarsi di una prostituta adolescente, Delgadina, scoprendo il piacere di contemplare il corpo nudo di una donna che dorme ( i rendez-vous puntualmente organizzati dalla vegliarda maitresse Rosa Cabarcas, nel suo bordello) “senza le urgenze del desiderio o gli intralci del pudore”. E’ l’amore, che scopre il professore, quello che non ha mai cercato in tutte le donne che ha incontrato e conosciuto, lui che riteneva l’amore non uno stato dell’anima, ma un segno dello zodiaco, lui che finalmente prende consapevolezza del fatto che l’amore gli aveva insegnato troppo tardi, che ci si veste e ci si profuma per qualcuno, e che non aveva mai avuto qualcuno per farlo.
Metafisica: Delgadina! Attraverso di lei, Marquez, rende omaggio alla bellezza femminile, al corpo di una fanciulla descritto in tutto il suo esplosivo sbocciare, utilizzando magistralmente uno stile, che gli permette di tracciarne i contorni del viso, delle membra, e di ogni sfumatura di un’anima in silenzio, corrosa e stupita dall’ossessivo oscillare di Eros e Thanatos. Fanciulla vista come una gigantessa generatrice in potenza di vita, prolifica nella lussuria come nella castità, tra sangue e fuoco. E mentre ritrae quel corpo, lascia al professore l’ingrato compito di una presa di coscienza, l’ultima forse, in cui viene a galla dalle più profonde abissalità della coscienza, tutta la potenza di una blasfema immobilità! Un rapporto quello tra il professore e Delgadina, che lambisce anche dolci terre della pedagogia sessuale, dove l’eccitamento prodotto dalla contemplazione estatica di quel giovane corpo, viene ricambiato con il tentativo dell’uomo di sublimare quella fanciulla povera, analfabeta,vergine, bellissima (pronta pur di sbarcare il lunario, a donare le sue grazie al professore) attraverso le dolci pagine, durante quegli incontri monointenzionali e monodirezionali, del Piccolo Principe o qualche brano di musica classica. Un po’ da filosofia nel boudoir. Un libro quello di Gabriel Garcìa Marquez, intenso, commovente, malinconico, che costringe il lettore a non staccarsi dalla pagina, per tutta il tempo impiegato e necessario a finire l’intero volume. La bravura di Marquez viene riconfermata anche in questo lavoro, dove la capacità diegetica dell’autore, determina una compattezza e simmetria per tutto l’intreccio, che non da spazio ad alcun vuoto, o appesantimento del testo. Immancabile nella vostra biblioteca!


Gabriel Garcìa Màrquez, Memoria delle mie puttane tristi, Mondadori, pp.146

fonte Musicaos.it

sabato 23 febbraio 2008

Il pittore e il pesce















Domenica 9 marzo alle 17 a Piacenza siete tutti invitati
presso la Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi
s’inaugura l’opera di Carlo Dalcielo intitolata

“Il pittore e il pesce”

e ispirata all’omonima poesia di Raymond Carver.

L’opera è curata da Bruno Lorini e Giulio Mozzi. Il libro è edito da Minimum fax.

Tutte le informazioni nel sito dedicato:
http://ilpittoreeilpesce.wordpress.com


In particolare, la poesia di Raymond Carver:
http://ilpittoreeilpesce.wordpress.com/01-il-pittore-e-il-pesce/

Il progetto dell’opera:
http://ilpittoreeilpesce.wordpress.com/1-il-progetto/

Il trailer dell’opera:
http://ilpittoreeilpesce.wordpress.com/2008/02/03/il-pittore-e-il-pesce-il-trailer/

Il saggio critico di Gabriele Dadati e Stefano Fugazza:
http://ilpittoreeilpesce.wordpress.com/03-introduzione-in-italiano/

Il racconto “Carlo non sa leggere” di Carlo Dalcielo:
http://ilpittoreeilpesce.wordpress.com/05-carlo-non-sa-leggere-it/

Lo storyboard dell’opera:
http://ilpittoreeilpesce.wordpress.com/2-lo-storyboard/

Lo storyboard in YouTube:
http://ilpittoreeilpesce.wordpress.com/2008/02/01/il-pittore-e-il-pesce-lo-storyboard/

L’elenco degli artisti partecipanti:
http://ilpittoreeilpesce.wordpress.com/5-artisti-partecipanti/


fonte Musicaos.it

giovedì 21 febbraio 2008

Il mondo di Erika















Fondo Verri a.c.

Presidio del Libro di Lecce

(stagione culturale inverno 2008)

in collaborazione con la Libreria Icaro

Domenica 24 febbraio, ore 19.00

Il mondo di Erika!

Incontro con Erika Scarano



Dove guarda un adolescente? Una ragazza, un ragazzo oggi, nell’affollamento mediale?

C’è l’amore, la necessità di comprendersi nello scambio, nell’unicità e nell’idealità di un incontro. C’è il mondo virtuale, quello dei blog, il “my space” sempre più sponda di uno svelamento profondo, nell’invenzione di una lingua che permette il dire, il venire al mondo nascosti nelle maglie della rete. C’è la strada, la scuola, la parrocchia. Le socializzazioni coi pari.

Poi, c’è la scrittura. Che è inventare, guardare, affabulare e fantasticare.

E’ farsi autori, nel cercare dentro sé le leve per nutrire una vocazione, per maturarla.

Erika Scarano, giovanissima e prolifica autrice salentina, ha pubblicato con le Edizioni del Grifo tre intensi libri: "Il segreto di Villa Clamberry: memorie di un fantasma", "Il circolo della vita" e, in ultimo "Il rogo della strega". Titoli che intrigano.

Erika è attratta dall’occulto, è affascinata dal paranormale. Cerca il dialogo col mistero, il contatto con chi non è. “Devono esserci le tenebre affinché qualcuno possa conoscere lo splendore della luce” così recita la presentazione di un suo libro e con lei scopriamo un altro modo d’essere adolescenti, la piega di una immaginazione per molti versi inaspettata che vale la pena indagare.

lunedì 18 febbraio 2008

Barack Obama ... Yes, we can













Domani 19 febbraio alle 19,00 presso la libreria Palmieri di Lecce, in via Trinchese, incontrerò il curatore del volume di Barack Obama dal titolo "Yes, we can" per i tipi di Donzelli, Empedocle Maffia.

Questa la scheda del libro.




Barack Obama rappresenta, non solo politicamente, l’America del cambiamento. Ogni volta che gli Stati Uniti si trovano di fronte a una situazione che mette in discussione il loro ruolo storico nel mondo contemporaneo, si ripropone per gli americani la questione: che cosa legittima la nostra aspirazione a porci alla guida del mondo? A questa domanda vi sono due modi di rispondere. Il primo cerca le ragioni nel passato, nell’o­rgogliosa rivendicazione di un modello. Il secondo cerca le ragioni nel futuro, nell’in­di­viduazione dei nuovi scenari possibili, nel cambiamento. È l’America della frontiera, l’Ame­rica di Truman, di Roosevelt, di Kennedy, quella che ciclicamente si ripresenta, e che trova in Obama oggi il suo nuovo, consapevole banditore.
L’America non è stata mai così a rischio e impaurita come dopo l’11 settembre. Mai co­sì in crisi è apparsa la sua capacità «convenzionale» di dominare i conflitti, di fronte a un nemico, come il terrorismo, del tutto «non-convenzionale». Mai come oggi si sono rivelate fragili la forza propulsiva del suo sistema economico, la sua sicurezza energetica, la sua capacità di aggregazione del melting-pot etnico, linguistico, religioso che la costituisce.
La risposta di Barack Obama alla crisi a­me­ricana non consiste – come superficialmente è portata a pensare larga parte del­l’o­pinione pubblica «progressista» nostrana – in una sorta di pacifismo arrendevole, o di solidarismo «buonista», o di anticapitalismo intento a sminuire la forza della competizione e del mercato. Obama è un candidato nero, ma non è il candidato dei neri. Si oppone alla guerra in Iraq (e lo ha fatto fin dal primo momento), ma vuole aumentare la forza e la qualità dell’apparato militare del suo paese. Vuole chiudere Guantanamo, ripristinare la legalità interna e internazionale, chiama al rispetto dei diritti civili, ma sostiene tutto ciò per poter condurre con maggiore forza e determinazione la lotta mortale contro il terrorismo fondamentalista. Si batte – primo tra i leader ame­ricani di ogni tempo – per una nuova sensibilità ambientale su scala mondiale, ma è attento all’in­novazione tecnologica, allo sviluppo, alla cre­scita. E ancora, Obama porta nel cuore della politica americana una motivazione, uno spirito, un afflato che sono profondamente religiosi, ma sa essere assolutamente laico nel di­segnare, su temi come l’abor­to, il controllo del­la natalità, l’etica della vita, gli scenari di un nuovo pluralismo e di una nuova tolleranza. So­prattutto, Oba­­ma non promette il cambia­mento. Al contrario, lo sollecita, lo chiede agli americani. E al tempo stesso, lo «certifica», lo rende possibile: «Yes, we can». Solo attraverso questa assunzione collettiva di responsabilità l’America potrà essere credibile nel chiedere lo stesso cambiamento al mondo intero.
Qualunque sia l’esito elettorale, Obama ha già ottenuto di schierare, di mettere in campo l’America del cambiamento. Nelle parole del giovane leader, è un mondo nuovo e diverso che prende corpo. Per una parte crescente del suo paese è l’ultima declinazione del sogno ame­ricano. Ma tra qualche mese, questa speranza potrebbe segnare la storia di tutti noi.

Barack Obama è nato a Honolulu il 4 agosto 1961, da padre del Kenya e madre del Kansas. Da piccolo ha vissuto per alcuni anni in Indonesia. Dopo la laurea in Scienze politiche alla Columbia University, si è trasferito a Chicago, dove ha lavorato per anni ai programmi di assistenza ai poveri della città. Nel 1991 si laurea in Giurisprudenza a Harvard. Nel 1996 è stato eletto senatore nello Stato dell’Illinois. Dal 2004 siede al Congresso di Washington. Il 10 febbraio 2007 si è candidato alla presidenza degli Stati Uniti per i Democratici. È sposato e ha due figlie.

domenica 17 febbraio 2008

Gezim Hajdari e la poetica dell’esilio.

















L’Albania è un paese che poeticamente ha molto da raccontare. La scrittura poetica di Hajdari non è solo un lavoro sull’elaborazione della separazione e del lutto, ma è un canto su tutto ciò che si lascia alle proprie spalle, su tutti quegli oggetti dell’esistenza che nel loro divenire pre-annunciano la perdita, lo svanire, la distruzione. Una modalità poetica che cerca instancabilmente di ricucire lo iato esistente tra vita e transitorietà dello scorrere del tempo, amore e separazione. Separazione per un poeta migrante non vuol dire semplicemente: incurvarsi sotto la nostalgia per le radici, per i confini, per la lingua. Essa costituisce un tendere la mano all’uomo per conoscersi meglio e comprendere meglio il mondo, stabilizzando un colloquio nuovo con l’Alto e con gli uomini. La separazione diventa salvezza per il poeta e la sua arte.
Hajdari costruisce una sua geografia personalissima di temi poetici che va oltre le categorie dell’Esilio, dell’Addio e dell’Identità. Parte dai Balcani per attraversare l’Europa, l’America, l’Oriente e l’Asia., ma anche il Paradiso e l’Inferno, il passato e il futuro. Abbraccia vari aspetti antropologici, letterari, sociali, politici ed etici, insomma, un percorso che tenta, con il passare del tempo, di diventare una enciclopedia umana. Nella sua penultima raccolta poetica Mal di Luna pubblicata dalla Besa editrice di Nardò (Lecce) il lettore subisce il fascino di una parola scarna, ridotta all’osso dal dolore, che penetra fino alle radici profonde dell’essere, recuperandone l’essenza, e rivelandone soprattutto il dilaniante disagio esistenziale, quel male di vivere di cui si intesse la cifra versica hajdariana. Mal di Luna costituisce un corpus poetico la cui tradizione è data dallo sradicamento di ogni tradizione, l’identità dal confronto con elementi in cui non ci si può riconoscere, la sua forza da una rabbia politica che non concede compromessi, la meta dal ricordo di una patria che si vorrebbe ma non si può dimenticare.

giovedì 14 febbraio 2008

Inquinato il cuore
















Inquinato il cuore
da un decoder inquinato
ossido acido scarico avanzo
il cuore digitale sottoterrestre
inquinato al plasma 42 pollici
il cuore nero il cuore
rubato il cielo negato.
Inquinato il cuore
da boccheggi saltelli puttanaio in grande bordello
in telesalotto in telecerone
che torni la clava e l’aquilone.
Ossido acido scarico a pranzo
per cena l’avanzo
il cuore nero il cuore
secca viola tra due pagine
il cuore è un segnalibro
tra noi pagine sbagliate.



Pierluigi Mele


fonte iconografica www.futurix-news.blogspot.com

martedì 12 febbraio 2008

Da Finibusterrae. Spettacolo teatrale - frame



















Del Sud, l’attesa è vizio e virtù.
Il Sud è un’auto che sembra sprofondare ma resta sul ciglio del burrone, in bilico tra sole e schianto, me ne fotto e pianto.
Aspetta.
Il posto di lavoro, lo stato, il padrino, il terno al lotto.
È umano.
È la debolezza su cui poggia l’arroganza del potere.
La sua mediocrità la nostra.
Quella di chi stende il tappeto rosso ad ogni imbonitore di regime, musicante, velina, intellettuale da cazzeggio, agli eventi, alle vetrine, alle sagre senza amore, ai trallalleru senza notte, senza core, alle svendite in diretta, ai premi Barocco Salento Valentino.
Premieranno anche Riina con l’olio della poesia.
Venghino, signori, venghino!
Io mi scorno di questo marketing, di questa marchetta, del sud che non sono, del sud che non siamo, di chi a bocca aperta aspetta un sud che non c’è.

di Pierluigi Mele

fonte iconografica www.borderlands.it

lunedì 11 febbraio 2008

Fabrizio. Di Pierluigi Mele




















FABRIZIO




Vedremo altri soli
domani, o giù
nella stiva sono questi
i migliori. Ditemi
allora chi scoprire
chi ignorare di nuovo,
quale faccia mettere
in fila alle note,
quale ascia interrare
quale freccia nell’aria.

La signora naviga,
ormeggia alla baia
di cose sicure,
una mano alla mano
di ogni paura.
Riprende il viaggio
tra il fondo e la cima
perché l’uomo
che muove è felice
di averlo cantato.

Solo un caffè chiedo
signora, ho nicotina
a farne di strada,
a svuotare il tempo
e lasciargli un inchiostro.
Stasera discuto una tesi
col buio che tira,
la stella che manca
alla mia collezione.
Avrai caffè ancora
signora, sono notti
che non dormo
e sono certo
di averti sognato.
Sei la stessa dei sogni,
solo l’occhio è più scuro,
quello che guarda
la terra che sembra affondare.

Un ottico, una lampadina
va bene, un cerino
per vedere ai miei piedi.
Ci sono cicche e non sono le mie,
qualcun altro è venuto,
i minori che ho intonato
mi dici, sono i primi
a viaggiare su questa nave.
Ti chiamo signora
e mi piaci così.
Mi hai detto dammi del tu
senza piegare la testa,
perciò ti accordo signora
per chi non s’inchina
e per me, libertà,
e anarchia signorina.

Un calcio dopo l’altro
al cuore a vederlo più alto
volare davvero.
L’ho pulito dal fango
a contare i calci
che ha preso
e al fango l’ho reso
perché non cambiasse.

Da un pettirosso
ho avuto i miei figli,
dai vicoli i fiori,
dai monti prigione
ma è stato fragile
signora tornare
e vedere com’eri.
Ancora un caffè,
voglio sapere
che fanno le acciughe
e che salma è domenica.
Lo suonerò forse
in dialetto, belìn
di un potere, rifarti
il trucco non basta.

Un oceano,
un altro signora,
sarà Nina
a issare le vele.
Le altre ridono
su questa nave,
le tante cantate
sono vere signore
come Nancy
e forse la vita.

Ho freddo, ho sbagliato
stagione a partire,
la pietà ha aperto
sul petto una falla,
un papavero
e non posso vederlo,
ti credevo guarito
invece fai sangue.
Andiamo signora,
se sogno vuol dire
che ho primavera.
La morte è una rosa,
io m’innamoro di tutto.


Pierluigi Mele






PIERLUIGI MELE

Nato in Svizzera nel 1967, vive e lavora nella provincia di Lecce. Ha pubblicato i libri di poesia: Lavare i fuochi (Libroitaliano, 1995), I mestieri si rubano con gli occhi (Edizioni Moscara, 2002), Tramontalba (Edizioni Moscara, 2003). Di prossima uscita il suo primo romanzo Mezzaluna.
Vincitore Premi Poesia e Teatro Dario Bellezza, Lerici Pea, Festival Internazionale del Mediterraneo.
Presso le Università di Perugia e La Sapienza di Roma, sono state svolte due tesi di laurea sulla poesia e l’attività culturale di Mele dal titolo Il Lessico dell’Illusione e Sociologia del Salento.
Particolarmente apprezzato da Maria Corti, Rina Durante, Annalisa Cima, Eugenio De Signoribus, Wanni Scheiwiller e Oreste Macrì.
Svolge attività di pedagogia e didattica dello spettacolo, curando laboratori di recitazione, dizione e scrittura. Dirige il Teatrolaboratorio Le Lune, realizzando spettacoli di ricerca basati su parole, musica e danza.
Ha aperto le edizioni 2006 e 2007 de La Notte della Taranta con alcune letture di suoi scritti davanti ad un pubblico di oltre 100.000 persone.

Per il teatro ha scritto, diretto e interpretato: Bosco Segreto, spettacolo per voce e musicista su poesie di Salvatore Toma; Favolerie, spettacolo sui miti dell’Eneide rivisitati in chiave contemporanea; Luci su Otranto, spettacolo di luci, suoni e immagini sulla storia letteraria di Otranto; Pornò, spettacolo sul “cuore” della Grecìa Salentina; Hydrusa, spettacolo sul mito della giovane donna otrantina nel mezzo della “presa” turca di Otranto; Perditempo, spettacolo di teatro-ragazzi sul tema della fantasia; Lectura Dantis, spettacolo per voce, immagini e suoni elettronici; MurAli, spettacolo per parole, musica e immagini sulle barriere architettoniche e mentali; Prendimi, spettacolo sul Sud oltre i luoghi comuni sul Sud; Tramontalba, spettacolo-concerto per voce, suoni, immagini e danza su poesie di Mele; Quaderno d’Acqua, spettacolo per voce, danza, suoni e immagini su poesie di Mele, Bodini, Bene, Garcia Lorca; Kilim, spettacolo-concerto sui temi delle migrazioni con il patrocinio della Fondazione Fabrizio De Andrè; Api, spettacolo-concerto per voce, musica, danza, mangiafuoco ed Api; Finibusterrae, spettacolo su Otranto, Castro, S. Cesarea, Leuca; La Fiaba del 29 settembre, fiaba d’amore per voce e danza.

fonte iconografica www.setino.it

domenica 10 febbraio 2008

Agnese Manganaro & Sarah Jane Morris


























AGNESE MANGANARO live support a SARAH JANE MORRIS

Nelle due prossime date italiane del Tour europeo di SARAH JANE MORRIS, la nota jazz singer inglese
gia´ voce dei Communards e fresca reduce dalla registrazione a New York del nuovo album di Marc Ribot, ha scelto la giovanissima esordiente
AGNESE MANGANARO (cantautrice salentina che sta ultimando la registrazione del suo album d´esordio)
per aprire i suoi due prossimi concerti italiani.


Il martedi´ 12 Febbraio al Teatro Metropolitan di Palermo (viale Strasburgo 352),
e il mercoledi´ 13 Febbraio al Teatro Metropolitan di Catania (via Sant´Euplio, 21).

In entrambe le date l´esibizione di AGNESE MANGANARO (in duo con Luca Tarantino) iniziera´ alle 21.30,
mentre il concerto di SARAH JANE MORRIS (con la sua band) avra´ inizio alle 22.15

martedì 5 febbraio 2008

Il funambolo sull'erba blu. Il nuovo libro di Maria Pia Romano



















SEDIMENTANDO

Mi sono amputata le gambe
per imparare a correre
sul filo teso delle utopie

a mezzogiorno
ho assorbito istanti
senza dare nomi

a mezzanotte
ho slacciato parole
lasciandomi salvare

è carezza il silenzio

da Il Funambolo sull'erba blu (Besa editrice)

I prodotti qui in vendita sono reali, le nostre descrizioni sono un sogno

I prodotti qui in vendita sono per chi cerca di più della realtà

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