In un giorno d'autunno
stranamente fuori stagione, un giovane americano, arrivato in Bulgaria per
insegnare inglese, entra nei bagni del Palazzo della Cultura a Sofia e incontra
Mitko. Alto, magro, con un taglio di capelli militare e un'ostentata aria
mascolina, vagamente criminale, di quelle che vanno di moda tra certi giovani
uomini dell'Est. Mitko per vivere fa ogni tipo di affari e non esita ad accettare
soldi in cambio di qualche ora di sesso. Come a volte capita nelle nostre vite,
un incontro accidentale si rivela presto fatidico. I due si trovano
intrappolati in una relazione in cui il desiderio si trasforma in una furia
predatoria e la tenerezza sconfina nella violenza. E mentre combatte per
raggiungere un equilibrio tra il proprio famelico desiderio e l'angoscia che
questo gli provoca, il protagonista è costretto a vedersela con la sua
biografia già carica di ombre. Inquietanti somiglianze uniscono il suo passato
e il paese straniero dove si trova a insegnare. La scoperta della geografia e
delle pene della Bulgaria coincide con la scoperta della storia personale di
Mitko, del suo sfruttamento, la povertà e la malattia, ma anche della sua capacità
di mentire e di manipolare chi ama. Garth Greenwell ha un talento che raramente
si incontra in un romanzo d'esordio. La sua scrittura è precisa e carica di una
forza sconvolgente, ha una conoscenza dell'animo umano che lo assiste in ogni
momento e lo rende capace di scendere negli abissi più attraenti e vergognosi
dei nostri desideri senza mai dimenticare la grazia e la struggente generosità
che accompagnano i nostri amori disgraziati, quelli inevitabili. Un primo
romanzo che annuncia con decisione la nascita di uno scrittore.
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giovedì 13 luglio 2017
mercoledì 12 luglio 2017
Il bianco del re di Clemente Bicocchi (Nottetempo)
Il protagonista di
questo libro, un cineasta in crisi d’ispirazione, si ritrova catapultato in
Africa, nel Congo Brazzaville, sulle tracce della mitica figura di Pietro
Savorgnan di Brazzà, un esploratore italo-francese i cui metodi pacifici hanno
rappresentato il versante perdente del colonialismo: oscurato dall’astro
violento di Henry Morton Stanley, Brazzà lottò contro il sistema schiavistico,
tanto da conquistarsi l’amicizia del popolo congolese e da dare il nome alla
capitale del paese. Tra colonnelli decaduti, re esiliati, villaggi sperduti
nella foresta, compagni di viaggio improbabili e il nume tutelare e
allucinatorio del regista Werner Herzog a perseguitarlo in sogno, il
protagonista viene spinto dal caso e dall’incoscienza verso situazioni e luoghi
estremi, al centro di un intrigo politico e nel cuore segreto di una cultura
millenaria, tra i richiami indecifrabili di quell’“eccesso di realtà” che è
l’Africa equatoriale. Ma proprio quando il suo viaggio sembra rivelarsi
definitivamente insensato, riesce per qualche ora a trasformarsi nel bianco del
re, attraversando una sconnessa teoria di incontri ed esperienze
indimenticabili.
Scudi di pietra. I castelli e l'arte della guerra tra Medioevo e Rinascimento di Riccardo Luisi. Introduzione Chiara Frugoni. Per Odoya in libreria dal 27 luglio 2017
Struttura affascinante
per eccellenza, il castello è stato raccontato nelle favole e nei racconti
horror di tutti i tempi, basti pensare al castello disneyano o alla residenza
del conte Dracula. Il professor Luisi racconta, con incedere cronologico, che questa
fascinazione è facilmente spiegabile: i castelli sono strutture meravigliose e
ricche di storia. Dalle motte antiche, sviluppate su dei terrapieni e
attorniate da recinti di legno, fino alle fortezze attrezzate per resistere
anche a potenti bocche da fuoco (le bombarde per esempio) la storia degli “scudi di pietra” è una parte
della nostra storia che sarebbe un peccato rimanesse non indagata. Luisi abbina
elemento architettonico a funzione bellica, tanto minuziosamente che è facile
immaginarsi un assedio, leggendo le sue parole. Già i Normanni che invasero
l’Italia meridionale a partire dai primi decenni dell’XI secolo, a differenza
degli Ungari e al pari dei Saraceni, dimostrarono subito di avere le capacità
tecniche e organizzative per condurre lunghi assedi. Impariamo con questo
volume i nomi propri di questi elementi, dall’apparato a sporgere fino
all’imponente mastio, passando per i merli e i loro nemici, ovvero le torri
d’assedio. L’epoca medievale rivive
in questo volume anche tramite la storia
del mondo dei castelli che comprendeva i giochi come tornei e giostre, ma anche
momenti in cui i cittadini dovevano allenarsi a combattere. Ma la politica e
non solo la guerra si evolve e ai castelli si affiancarono quindi altre
costruzioni con lo stesso intento: le mura cittadine, in epoca rinascimentale. Le
questioni relative a chi impiegare nella difesa del comune, della signoria sono
affascinanti momenti di economia politica del tempo, sarà la scelta di
avvalersi di eserciti di mercenari a sparigliare le carte e affinare la
capacità di assedio delle truppe europee. Dalla motta al castello, alla rocca,
fino ad arrivare al bastione dalla tipica forma a foglia d’edera: l’aumento
della profilatura balistica (ovvero il diminuire della superficie in cui potesse
impattare un proiettile) rendeva sempre più inespugnabili queste strutture, che
spesso venivano costruite per contenere cinte murarie più antiche. Un intero
capitolo è dedicato alle donne in guerra durante assedi e guerre medievali,
sintomo di un’attualità della storiografia che Luisi abbina alla scorrevolezza
della prosa, davvero il libro da non perdere per tutti gli amanti di
architettura e Medioevo.
Riccardo Luisi, storico
e ricercatore toscano, ha collaborato per anni con Chiara Frugoni, una delle maggiori
storiche italiane, specialista del Medioevo e di Storia della Chiesa.
Appassionato studioso di storia medievale e della relativa iconografia, ha
pubblicato suoi contributi all’interno dei volumi L’affare migliore di Enrico.
Giotto e la cappella Scrovegni di Chiara Frugoni (Einaudi 2008) e Il Villani
illustrato: Firenze e l’Italia medievale a cura di Chiara Frugoni (Le Lettere
2005), nonché in varie riviste tra cui Storia e Dossier, Médiévales, Medioevo,
Castella.
martedì 11 luglio 2017
Le otto montagne di Paolo Cognetti (Einaudi)
Vincitore Premio Strega
2017. Vincitore Premio Strega Giovani 2017. Vincitore del Premio ITAS del Libro
di Montagna 2017, Sezione Migliore opera narrativa.
La montagna non è solo
neve e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di
vivere la vita. Un passo davanti all'altro, silenzio, tempo e misura. Lo sa
bene Paolo Cognetti, che tra una vetta e una baita ambienta questo potentissimo
romanzo.
«Qualunque cosa sia il
destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa.»
Pietro è un ragazzino
di città, solitario e un po' scontroso. La madre lavora in un consultorio di
periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico,
un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di
rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, fondativa: in
montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi
delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella
tragedia, e l'orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e
nostalgia. Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa,
sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in
quel luogo "chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe
che ne ostacola l'accesso" ma attraversato da un torrente che lo incanta
dal primo momento. E li, ad aspettarlo, c'è Bruno, capelli biondo canapa e
collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si
occupa del pascolo delle vacche. Iniziano così estati di esplorazioni e
scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri. Sono anche
gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, "la cosa più
simile a un'educazione che abbia ricevuto da lui". Perché la montagna è un
sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito più vero:
"Eccola li, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di
sassi squadrati, un pino". Un'eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà
a Bruno.
Una giornata di Ivan Denisovic-La casa di Matrjona-Alla stazione di Aleksandr Solzenicyn. Curatore: O. Discacciati (Einaudi)
«Sì, è insolito, anche
lo stile, la lingua è insolita, non l'ho capito subito. Comunque mi sembra una
cosa forte, molto» - Nikita Chruscev
Pubblicata nel 1962
sulla rivista «Novyj Mir» e l'anno successivo in volume (100 000 copie
immediatamente esaurite), l'Ivan Denisovic è stata la prima opera a raccontare
la vita nel Gulag, e a farlo dal punto di vista della grande letteratura russa,
nel solco di Tolstoj e Dostoevskij ma usando una prosa ellittica e spigolosa,
piena di espressioni di registro basso. Un capolavoro stilistico messo a fuoco
da questa nuova traduzione, basata sull'edizione definitiva riveduta e corretta
dall'autore. Le precedenti derivavano dalla prima edizione del racconto, frutto
di compromessi tra l'autore e gli apparati di censura. Non meno importanti gli
altri due racconti che Solzenicyn riuscì a pubblicare nella breve finestra
degli anni del disgelo: La casa di Matrëna e Accadde alla stazione di Kocetovka,
che da sempre si accompagnano all'Ivan Denisovic. Le tre opere qui raccolte
rivelano molto del rapporto, complicato, tra i russi e la loro terra. Una
giornata di Ivan Denisovic si occupa della nostalgia per una terra espropriata
nella collettivizzazione e dell'amore per il lavoro dei campi al quale il
protagonista sostituisce il rispetto per una terra circoscritta da filo
spinato, dove, nonostante tutto, mani callose e screpolate dal freddo cercano
di costruire qualcosa di degno, che li riscatti dall'abbrutimento. Accadde alla
stazione di Kocetovka affronta il dramma del patriottismo sovietico declinato
in una toponomastica intesa come assiologia e usata per distinguere i buoni dai
cattivi. La casa di Matrëna sposta invece l'attenzione del lettore sulle campagne:
Solzenicyn abbandona i kolchoz per tornare al villaggio quale luogo deputato
all'ambientazione delle vicende narrate. Da un certo punto di vista, come è
stato detto, si tratta del «ritorno dall'Unione Sovietica alla Russia, dalla
pianificazione del futuro alla nostalgia del passato». - dalla prefazione di
Ornella Discacciati
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