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giovedì 9 febbraio 2017
“Sono nato cantando … tra due mari. Radici e canto nella poetica di Franco Simone cantautore salentino” di Carlo Stasi (iQdB Edizioni di Stefano Donno) a Taurisano con SPECIAL GUEST FRANCO SIMONE presso sede ODA
Per la rassegna Autori a domicilio, con Oda Library in
collaborazione con la consulta giovanile di Taurisano, dell’Assessorato alla
Cultura del Comune di Taurisano, Acli arte e spettacolo Lecce, si
presenterà presso la sede ODA in corso Vanini 25 a Taurisano venerdì 10 febbraio
2017 ore 20,30, introdotto dal prof . Gianni De Pascalis, il libro “Sono nato
cantando … tra due mari. Radici e canto nella poetica di Franco Simone
cantautore salentino” di Carlo Stasi (iQdB Edizioni di Stefano Donno).
Interverrà l’editore Stefano Donno. SPECIAL GUEST: FRANCO SIMONE.
“Prima la musica o la poesia? Dilemma proverbiale
quasi quanto quello dell’uovo e della gallina, e di fronte al quale le menti
più sagge dell’antichità si sono rifugiate in miti rassicuranti come quello
delle comuni origini o del loro primordiale legame ritmico e sonoro. Un legame
indissolubile, in ogni caso, che ritorna puntuale ed accresciuto nelle sue
infinite sfaccettature quando si è di fronte ad un personaggio di grandissima
levatura quale Franco Simone, il cantautore di Acquarica del Capo che nella
musica ha infuso tutta la sua poetica e sensibilità. Le canzoni, è noto, si
ascoltano, si cantano, si respirano, vanno via, ma ritornano. Sono sempre con
noi e portano i ricordi. Ma rappresentano anche, in alcuni particolari momenti
storici, dei documenti straordinari in grado di indicarci il suono del
cambiamento, come quello che riguardò i mutamenti sociali, “antropologici”,
linguistici e lessicali dell’Italia del secondo dopoguerra. E a ripercorrere in
maniera assolutamente originale il percorso e l’incontro di Franco Simone con
quel processo, che non riguardava però solo l’Italia, è ora questo eccellente
pamphlet scritto dal poeta Carlo Stasi, che con grande maestria è riuscito a
mettere insieme vicende personali del cantautore, legate soprattutto alla sua
infanzia ed al periodo scolastico ed universitario, alle tante canzoni che si
sono ispirate proprio a quei ricordi. La figura che emerge è quella di un
artista non solo legata alle canzoni d’amore, che pure hanno una notevole
importanza nella sua produzione e ne hanno sancito l’iniziale fama (“Tu…e così
sia” e “Respiro” fra tutte), ma anche di un uomo che “racconta esperienze non
personali con una grande sensibilità ed una forte immedesimazione emotiva nei
drammi della società contemporanea”. Come quello collegato al problema della
deforestazione dell’Amazzonia ed alle prevaricazioni subite dalle popolazioni
indigene. Una tema, quello dell’ecologismo, sempre attuale e che troverà
collocazione nella magnifica “Amazzonia” del 1988. Ed un altro punto
sapientemente sottolineato dall’autore è la grande passione, anzi l’amore
sconfinato, che l’America Latina serba verso Franco Simone, autentico “divo” in
Sudamerica con il merito aggiuntivo di aver lanciato e portato molti talenti salentini,
come recentemente accaduto con Michele Cortese. (dalla prefazione di Eraldo
Martucci)
Carlo Stasi, poeta, scrittore e saggista di Acquarica
del Capo (Lecce), è docente di Lingua e Letteratura Inglese presso il Liceo
Scientifico “De Giorgi” di Lecce. Ha pubblicato Poesie (Gabrieli, Roma 1981),
La Speranza (Ricerche Poetiche) (Fasano 1984), Leucàsia (racconti, disegni e
poesie) (Presicce 1993, 1996, 2001), Danza dei 7 pensieri (Bollate 2001),
Leucàsia e le Due Sorelle (storie e leggende del Salento) (Cavallino 2008,
2012). Ha tenuto mostre-performances di poesia visiva a Bari (1984), Milano
(1990), Como (1996, 1997), Tradate (1997), Maglie (2000), Lecce (2001-2), ecc.
É inserito in numerose antologie. Collabora con articoli, saggi, recensioni, racconti
e poesie a quotidiani e riviste, scrive testi per canzoni (ha inciso
"Tango della Tangente", Nuova Fonit Cetra, Milano 1997), ed un suo
testo poetico (“Tigi Luna”) è stato scelto e musicato dal gruppo Sud Sound
System (2001). Nel 1992 ha creato la “leggenda” di Leucasia.
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mercoledì 8 febbraio 2017
Storia delle armi da fuoco. Dalle origini al Novecento di Letterio Musciarelli (Per Odoya dal 2 marzo 2017)
Non ci sono documenti
certi sul nome del primo fortunato chimico che, miscelando zolfo, carbone e
salnitro, scoprì la formula per la polvere da sparo. Probabilmente fu scoperta
contemporaneamente in vari luoghi del mondo, non ultima la regione che fu la
culla globale delle armi da fuoco: la Val Trompia. Se è vero che alcuni testi
attribuiscono l’utilizzo di bombarde (mutuato da lombarde) ai bolognesi già dal
1216 (Muratori) e che Leonardo Aretino e Petrarca collocano a Firenze analoghi
“cannoni” all’inizio del XIV secolo, Musciarelli ipotizza che quelle armi
arrivassero dalla vicina Brescia per vari motivi: l’estrazione di metallo nella valle del Mella è accertata già in
epoca pre romana; le manifatture bresciane si occupavano di fornire armi già
dalle epoche precedenti (vedi, a prova
di ciò, l’ingente ordinativo di tali armi pervenuto alla Val Trompia durante la
III Crociata verso la fine del 1100).
Inoltre la documentazione del XVI secolo relativa alle armi fabbricate
nelle valli bresciane denota un’esperienza secolare, che alla qualità ⎼
venivano chiamati “poeti del ferro” ⎼
univa la quantità. Se si pensa che dal 1794 al 1797 furono forniti alla spagna
150.000 fucili dalle fabbriche di Brescia, si capisce che l’industrializzazione
dell’area abbia origini antiche. Fu Dante stesso che scrisse “Onde l’arena
s’accendea com’esca Sotto focil… (Inferno, canto XIV, versi 38-39)” e Boccaccio
in una nota glossa chiarisce che è proprio quello che sembra, si parla di
fucili. Tuttavia fu solo con l’introduzione su vasta scala dell’acciarino a
focile (1610-1630) che le armi lunghe
non si chiamarono più archibugi ma fucili, prendendo il nome dal meccanismo
omonimo. Le evoluzioni tecniche delle varie armi da fuoco sono qui
minuziosamente descritte e vediamo (in una delle numerose figure esplicative)
come nel 1490 fu proprio Leonardo Da Vinci a definire il caricamento a ruota;
mentre si deve a Bonaiuto Lorini (1590) il sistema a retrocarica. Le
notevoli innovazioni nostrane arrivano
fino al 1960, con Davide Pedersoli che
brevettò un meccanismo, “per sovrapposti”, nel quale i percussori agiscono
parallelamente all’asse delle canne. Le
prime armi personali “quasi tascabili” avevano dei nomi piuttosto fantasiosi
come Mazzagatto, Petrinale o Spazza-campagna. Si deve invece all’americano Colt
l’invenzione di una pistola a più colpi: l’incentivo del governo degli Stai
uniti a questa scoperta fu grande, c’era
l’immediata necessità di far fronte all’avanzata dei nativi americani... Il
lavoro di Musciarelli, seppur sintetico e ricco di indicazioni antropologiche
sull’utilizzo della potenza letale di fucili e pistole, riesce a coprire in
modo piuttosto completo l’ambito dell’evoluzione tecnica e quello della
produzione industriale, elencando con dovizia di particolari le varie armi, i
banchi di prova e i loro produttori. Il libro si chiude infatti con alcune
utili appendici, dal vademecum per il collezionista per riconoscere le armi
antiche contraffatte, fino all’elenco dei simboli dei vari produttori
dall’epoca medievale fino ai giorni nostri.
Letterio Musciarelli,
siciliano di nascita e bresciano d’adozione, è stato docente di Matematica,
preside incaricato presso la Scuola Statale di Castenedolo, appassionato di
meccanica e storia. Archivista raffinato, pubblica questo libro dopo anni di
studio e di ricerca presso biblioteche, raccolte private, musei, fabbricanti di
armi e botteghe antiquarie.
“The Doors” – The Doors in direzione del prossimo whiskey bar di Giuseppe Calogiuri (iQdB Edizioni di Stefano Donno) alla Biblioteca di Cavallino
“The Doors” – The Doors in direzione del prossimo
whiskey bar di Giuseppe Calogiuri, con prefazione di Daniele De Luca
(Unisalento) edito da iQdB Edizioni di Stefano Donno si presenta il 9 febbraio
2017 ore 18,00 presso la Biblioteca Comunale di Cavallino G. Rizzo in via
Amendola. Interverrà insieme all’autore, l’editore Stefano Donno.
“Ci vuole coraggio. Sì, ci vuole molto coraggio nel
chiedermi di scrivere una prefazione a un libro su di una band degli anni '60.
Perché, anche a voi che leggete, qual è il primo pensiero che vi viene in
mente? Sicuramente uno di quegli insopportabili gruppi frikkettoni, hippie,
pacifisti, lenti e insulsi sul modello di Mamas&Papas o Jefferson Airplane
(ne sono certo). Per fortuna, anche in quegli anni terribili dal punto di vista
musicale qualche luce affiorava nel buio. E, forse, una luce più di tutte,
quella di The Doors! Ed è di questa luce che questo libro vi parla. Meglio, ve
la racconta. E Giuseppe Calogiuri, conoscendo questa mia debolezza, ha saputo
trovare lo strumento e il coraggio giusto. Ma, forse, è necessario andare per
ordine... Il 4 gennaio 1967 The Doors pubblicano il loro primo album omonimo.
Non siamo in un anno qualsiasi, quel 1967 segnerà la storia degli Stati Uniti,
prima, e dell'intero mondo occidentale, poi. Già da qualche anno le forze
armate di Washington combattono lontano da casa una guerra non ufficiale.
Dall'inizio del suo mandato presidenziale, il “progressista” John F. Kennedy ha
cominciato a prendere i ragazzi del suo paese per scaraventarli dall'altra
parte del mondo. The Golden One (citando The Human League), figlio di una
famiglia arricchitasi spropositatamente grazie al commercio illegale di alcol,
ha precipitato gli Stati Uniti nel fango del Vietnam. Il suo successore, Lyndon
B. Johnson, ha continuato il lavoro. Anzi, lo ha portato alle estreme
conseguenze. Il 7 agosto 1964, il Congresso americano – approvando la H.J. Res.
1145 (conosciuta come la “Risoluzione del Tonchino”) – ha consegnato al
Presidente un assegno in bianco per portare le truppe ovunque ritenesse
necessario. È l'inizio della presidenza imperiale. E' anche l'inizio, in
pratica, della coscrizione obbligatoria per i giovani americani. Quella carne
fresca serve. È indispensabile per combattere nelle paludi e nelle giungle del
sud-est asiatico. Nel 1968, saranno ben 500.000 i soldati impiegati in Vietnam
(con infiltrazioni anche in Cambogia e Laos per inseguire i charlie). In questo
clima, le Università sono le istituzioni che, più di altre, risentono della
guerra. I ragazzi che “vincono” alla perfida lotteria della coscrizione hanno
solo tre scelte: 1) accettare l'arruolamento; 2) scappare, magari in Canada
(come Jack Nicholson); oppure 3) scegliere la strada dell'obiezione di
coscienza. La terza è una scelta difficile, ti mette fuori dalla società e, per
questo, ci vuole un coraggio enorme. Un campione sportivo all'apice della
carriera rifiuterà più volte l'arruolamento e il 20 giugno del 1967 sarà
giudicato colpevole di tradimento. Quell'uomo era Muhammad Ali! Una nuova
strada doveva essere trovata. E qui la musica sarà fondamentale come mezzo di
aggregazione per tutti coloro i quali volevano fare qualcosa. Il 1967 regalerà
alla costa occidentale degli Stati Uniti la Summer of Love e al Vecchio
Continente la spinta alla rivolta studentesca, che in Europa inizierà nel
maggio dell'anno dopo. La scintilla partita dall'Università di Berkeley, in
California, diventerà fiamma viva in altri atenei, per trasformarsi in incendio
a Parigi. Il Monterey Pop Festival del giugno 1967 sarà il pretesto che
permetterà agli studenti di unirsi, confrontarsi e cogliere tutti i segnali che
artisti come Jimi Hendrix o The Who sputavano dal palco. Segnali che, in un
modo o in un altro, volevano dire rabbia. Beh, The Doors sono figli e, insieme,
strumento di quella rabbia e di quella società americana che è confusa e
terrorizzata dai suoi stessi leader. Una società che ha visto cadere i propri
miti politici con l'assassinio di Kennedy, o quelli sportivi, con l'arresto di
Ali, e che vede, continuamente, partire i propri ragazzi verso luoghi lontani e
impronunziabili per tornare, poi, in casse avvolte dalla bandiera a stelle e
strisce. Una generazione di giovani e adolescenti che si rifugia sempre più
nelle droghe. Magari nuove droghe come l'LSD, che aprono nuove porte. E queste
porte sono quelle già narrate da William Blake e che Jim Morrison, Ray
Manzarek, Robby Krieger e John Densmore faranno proprie e attraverseranno con
l'arroganza, l'incoscienza e la rabbia dell'età. Arroganza, incoscienza e
rabbia che non si possono non condividere e abbracciare. Abbracciare anche da
parte di chi, come me, è cresciuto con e nel punk, prima, e nella new wave,
dopo. Un triade di valori e sentimenti che tutti insieme risiedono in quella
prima prova discografica e che, qui, Giuseppe Calogiuri analizza e descrive con
sapienza tecnica assolutamente invidiabile (almeno da parte di chi crede che
conosciuti due accordi si possa e si debba formare una band!). Quello che avete
tra le mani non è un ennesimo libretto sulla band di Los Angeles, no. Sono
pagine che vi faranno fare un passo avanti sulla strada della conoscenza di un
album fondamentale. Un disco con veri gioielli. E alcuni sono gioielli
sfrenatamente gotici: come non citare la bellezza fulminante di The Crystal
Ship. Pezzo che, per il chiaro riferimento a leggende celtiche, avrebbe
sicuramente fatto innamorare i membri della Confraternita Pre-raffaellita di
vittoriana memoria. Il dolore che trasuda freddo e umido da End of the Night o
l'incestuoso sangue che sgorga da The End. Pezzo, quest'ultimo, che non può non
ricordare In Cold Blood di Truman Capote e a causa del quale, soprattutto, sono
certo, il Re Inchiostro Nick Cave avrebbe venduto l'anima per poter scrivere
una murder ballad come quella. Insomma, ora basta, inutile aggiungere altro.
Giuseppe Calogiuri vi ha invitato, vi ha aperto le porte e, come avrebbe
cantato Ian Curtis: “This is the Way... step inside!” (Prefazione di Daniele De
Luca)
Giuseppe Calogiuri (1978) è nato a Lecce e qui vive e
lavora come avvocato specializzato in diritto d’autore e degli artisti. Alla
professione affianca l’attività di chitarrista ed ha all’attivo un decennio di
militanza nella prima tribute band salentina dei Doors, con la quale ha portato
il sound della band di Los Angeles in giro per la Puglia. Giornalista e
scrittore, tra i suoi lavori “Una buona giornata” (premio “Corto Testo”),
“Tramontana” (Lupo Editore, 2012), “Cloro” (Lupo Editore, 2016).
iQdB edizioni di Stefano Donno / Sede Legale e
Redazione: Via S. Simone 74 / 73107 Sannicola (LE) / Mail – iquadernidelbardoed@libero.it
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martedì 7 febbraio 2017
Un cervo in metropolitana di Desmond Morris (Mondadori)
"Questo libro
parla della gioia di osservare il mondo. È un testo autobiografico, però non
riguarda tanto me quanto le cose che ho visto. Sono affascinato dal mondo che
mi circonda e da quello che sono riuscito a vedere e a registrare in
sessant'anni di osservazione, prima come studioso del comportamento animale e
poi come studioso del comportamento umano. Per tutta l'infanzia sono stato
attorniato da animali: dividevo con essi perfino la carrozzina. Da grande ho
studiato zoologia e sono diventato etologo. I miei studi sul comportamento
animale mi hanno condotto allo Zoo di Londra, dove ho ricoperto la carica di
conservatore dei mammiferi. Poi le mie ricerche sugli scimpanzé mi hanno spinto
ad analizzare il più affascinante di tutti gli esemplari: la scimmia nuda. In
questo libro introdurrò il lettore nei vari scenari della mia vita: da uno
studio televisivo nello Zoo di Londra a una casa di geishe a Kyoto; da una
sperduta tribù africana a un casinò di Las Vegas; dalla 'dolce vita'
mediterranea alla dura realtà della malavita di Los Angeles. Ammetto che ho
spesso sorriso del lato più leggero della vita o riso di gusto delle bizzarre
manie e idiosincrasie dell'umanità, ma non me ne scuso. È indubbiamente una mia
debolezza, ma credo che renderà più gradevole la lettura." Con strepitoso
humour britannico, Desmond Morris racconta in questo libro la sua carriera di
uomo di scienza e divulgatore, e i tantissimi incontri con animali straordinari
e altrettanto straordinari esseri umani, da Dylan Thomas a Joan Miró, a Yoko
Ono, Stanley Kubrick e Marlon Brando. Un libro imperdibile per chi ama gli
animali, illuminante per tutti.
lunedì 6 febbraio 2017
“Leonte” (Gaffi editore, 2017) di Antonio Bettelli in anteprima il 9 febbraio 2017 a Mestre
È il 27 maggio 2011.
Tra due giorni i Caschi Blu della missione UNIFIL in Libano ricorderanno i loro
caduti e, fra questi, anche i soldati italiani dell’Operazione Leonte. Alle ore
15.55, un ordigno esplode sul ciglio della superstrada che collega la capitale
libanese con l’antica città fenicia di Sidone. Le agenzie stampa battono la
notizia: un soldato italiano è morto. Poco dopo, il portavoce dello Stato
Maggiore della Difesa dichiara “Nessun ferito rischia la vita”; ma il nostro
autore che è lì, con l’incarico di addetto per la difesa presso l’ambasciata
italiana, sa che adesso, a distanza di quattordici anni dagli ultimi caduti del
nostro contingente in Libano, un altro soldato italiano potrebbe lottare tra la
vita e la morte. Da quel giorno, la passione del ventenne Giovanni Memoli si
intreccia drammaticamente con le vicende della Terra dei Cedri, un Libano
mostrato dall'autore nella chiave giusta a comprendere i sommovimenti interni
della scena geopolitica mediorientale. Leonte tiene amalgamati ricordo privato,
confessione professionale, ripensamento dell’intera esistenza a metà del
cammino. È una storia narrata isolando un preciso segmento di tempo: prende
forma tra scenari chiassosi, quelli di una Missione il cui senso si riassume
nel quotidiano lambire il pericolo. Confessione appassionata di un uomo per il
quale matrimonio, paternità, lealtà nella gerarchia, fame di solitudine, sete
di conoscenza di mondi stranieri, altrettanto dei segreti del proprio animo che
di quelli altrui – tutto è ugualmente cruciale.
Antonio Bettelli è un
ufficiale dell’Esercito Italiano, più volte impegnato nelle operazioni di
supporto alla pace in vari ambiti internazionali. Tra questi, vi sono l’Iraq
del post Saddam, nella provincia meridionale del Dhi Qar, l'esordio
dell'Operazione Enduring Freedom in Afghanistan, monitorata dal comando
operativo di Tampa in Florida, e nel Libano, dove ha lavorato come Addetto per
la Difesa presso l’Ambasciata Italiana a Beirut e come comandante del Sector
West della missione UNIFIL nel sud del Paese. Antonio Bettelli presta ancora
servizio nell’Esercito Italiano.
Scrive di lui Lisa
Ginzburg: “Con questo esordio nella scrittura, Bettelli sembra trovar modo di
ricomporre tessere di un mosaico interiore necessario a mantenere intatta la
sua passione di vivere. Immagini non ancora sbiadite, capaci di guidare il
lettore nella supposizione di cosa possa essere toccare da vicino la minaccia
della guerra e la possibilità della morte, ma senza mai perdere la speranza”.
Presentazione in
anteprima nazionale giovedì 9 febbraio
all'Aperitivo con l'autore a cura del Circolo Culturale “Walter Tobagi”
all’Hotel West Bestwern Bologna di Via Piave 214 a Mestre alle ore 18.00 del
romanzo-verità “Leonte” (Gaffi editore, 2017) che il generale Antonio Bettelli
ha dedicato alla vicenda, umana e professionale, del giovane soldato Giovanni
Memoli, rimasto cieco a 28 anni durante la missione di pace “Leonte” e
ritornato oggi a servire l’esercito nei “Ruoli d’onore”.
venerdì 3 febbraio 2017
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