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lunedì 3 dicembre 2012

Il racconto del padre in Guscio di noce di Vanni Schiavoni. Guscio di noce di Vanni Schiavoni (LietoColle) recensito da Alessandra Peluso



La sensibilità e il senso di protezione emergono imperiose in Guscio di noce, di Vanni Schiavoni.È una raccolta di versi che esplode di energia. Racchiude l’amore verso il padre e la sua assenza/essenza. Un’introspezione di se stesso e della sua vita che appare straordinariamente raccontata e musicata in versi.

Ricercato il lessico, uno stile autentico come autentici sono i sentimenti provati dall’autore e vissuti intensamente nei versi: «(...) Non mi riusciva da lontano / di leggere in te un’esistenza / scivolata nel cantiere in disuso / dalle impressioni di un nulla perturbate / o nell’assenza significativa di nubi / per mordere le nuove / e le vecchie stagioni». (p. 16). Si legge ancora: «Per trovarmi sapevamo che la scusa / era solo uno schermo dietro i graffi / e gli intagli lasciati a suggerire: la paura aveva impegni più urgenti. (...)». (p. 17). Annaspa il passato e si impone un presente di paura, malinconia, nostalgia per un padre che non vive costante la presenza del figlio. C’è sofferenza, solitudine nei versi di Vanni Schiavoni che cerca di comprimere in tono elegiaco i versi e adotta protezione, difesa - come in un guscio di noce - verso un mondo circostante che lo spaventa, lo intimorisce e lo fa sentire “inappartenente”: «Uno scrittoio di fogli in attesa / di verità già nella mente / ma frammentate / rischiamo inoltre / lo scambio dei posti / rimescolare nella fantasia / la tua inapparenza e la mia inappartenenza / (...)». (p. 21).

Ricche di metafore ed enjambement le poesie di Schiavoni come di respiro esistenziale, filosofico: « (...) i morsi canini dei giorni estorti / cadono all’indietro in un mondo probabile / e lunga è l’attesa di sentirne il fondo / il violento barrito della calura / l’interruzione della cenere / deposta nel cucchiaio / che ci schianta». (p. 23)  Shakespiriani i versi e non a caso è riportato al principio del libro un passo dell’Amleto di Shakespeare, dalle tragedie teatrali del grande letterato inglese alle composizioni poetiche in tragedie, quelle della vita che in Guscio di noce sono rappresentate magistralmente. Così si legge: «Lì dove sempre c’è una salita / o una discesa / non questa lontana pianura bassa di terrazze / quelle diverse altane deserte dove ogni affaccio / è un quarto di suicidio nonostante (...). Ma la forma dei pianeti è fiamma / orfana dei fornelli, è sabbia / che corrode gli ingranaggi». ( p. 41).  E ancora:  «La tomba un pensiero appena percepito / che andremo a inventare su altre violenze / o dove meglio funzioni la rimozione delle catene (...). Pensare alla morte fa meno schifo / se ha l’odore di vigna bagnata / se minaccia di muri a secco la contrada vecchia / se gonfiando potessi allargare. La notte / distilla nei succhi e filtra gli abbagli / là dove il lenzuolo coperto di liquidi / sfioriva e il dorso screpolava / un tentativo radicale di imperfezione / scandiva la terra rugginosa / la disciplina che ci compone». (p. 44).

Leggendo i versi di Vanni si ritrova il genio della sregolatezza di Arthur Rimbaud. La poesia di Rimbaud  cancella i tradizionali legami logici, le categorie di spazio e tempo, causa ed effetto che per secoli avevano regolato la poesia. La parola non è soltanto un mezzo di comunicazione - afferma Rimbaud - ma ha il compito di evocare un mondo tutto fantastico, nel senso di nuovo, diverso che va al di là del reale della superficie vitale. Così i componimenti di Schiavoni appaiono nuovi, diversi, esplosivi di luci-ombre e di fantasiose verità che riguardano il poeta.

Rimbaud afferma in una lettera del 1871 a Paul Demeny che il poeta è un veggente. «Il poeta si fa veggente attraverso una lunga, immensa, ragionata sregolatezza di tutti i sensi. Tutte le forme d’amore, di sofferenza, di follia; cerca se stesso, esaurisce in se stesso tutti i veleni per serbarne la quintessenza.  (...) Egli ha un incarico dall’Umanità, dagli animali anche: dovrà far sentire, palpare, ascoltare le sue scoperte. Se quel che ci riporta di laggiù ha una forma, dà una forma: se è informe dà l’informe (...)». Ė questo Vanni Schiavoni, un poeta veggente che vede: «quello sguardo nell’agrumeto che attendeva / la luce nuova tra i filari accanto / come fossero i due mari in sovraimpressione / che maldestramente apparivano intatti e malati di un mestiere senza la passione / le grette negazioni filiformi nell’ombra / come obelischi eretti in tempi magri». (p. 53).   «Non è da questa riva ordinata / questa incognita tumefatta dal Mediterraneo / che pieghi e riponi con le vene / delle onde fatte combaciare (...)  sovraffollato di abbandoni e specchi deformanti / il ricordo di voi sospesi sull’acqua a divincolare / illuminati nella stessa pesca».

Ricchezza di senso e significato abbonda nei versi illuminanti e nostalgici, densi di amarezza che rispecchia l’animo dell’autore in questo momento della sua vita: «Dalla ferita della bocca a fiotti / irrompono le frasi e allattano / la curiosità nelle imposte / le orecchie a buccia della parete (...). percorro la separazione delle tue certezze, di qua / un quasi lutto arreca l’eresia». (p. 58).

L’eresia dei sentimenti negati e l’incapacità di comunicarli come la drammaticità di un lutto, un abbandono improvviso, che può diventare imperdonabile: «Il tuo pianto estraneo alla ruggine non è più / (...)  è come il buio arriva presto / e già assale le apparenze, dal pulviscolo / emerge un cenno fossile che era / dimestichezza una volta / e come nient’altro ci crocifigge». (p. 59)

Pertanto concludo - leggere le poesie di Vanni Schiavoni - è davvero “sorprendente”, “abbagliante”, “eloquente”.

ELIO CORIANO AL NOTE DI VINO DI RUFFANO CON “DA H1 A IL LAMENTO DELL’INSONNE”.



Note di Vino e Agave Comunicazione per la rassegna Sorsi di Cultura Di-Libri/Di-vini presentano il 5 dicembre 2012 alle ore 19,00 presso Note di Vino in via Vittorio Veneto 55 a Ruffano (Lecce), un percorso lirico  e visionario del poeta Elio Coriano che va dal suo primo componimento all’ultima pubblicazione edita da Lupo editore dal titolo “Il lamento dell’Insonne”. L’appuntamento in questione è per l’appunto “DA H1 A IL LAMENTO DELL’INSONNE”. Dialoga con l’autore Maurizio Nocera. Introduce Paolo Vincenti. Sono previsti gli intermezzi musicali di Lucio Margotta e Simone Stefanelli.

Il lamento dell’insonne di Elio Coriano (Lupo editore) - “L’insonnia come lusso silente, futuro, per chi vorrà sgambettare la catastrofe diffusa attraverso un processo di consapevolezza che annienti quanto l’umano essere abbia costruito sino ad ora. L’insonnia urlante quale scorciatoia per la corsa alla condizione arcaica, primordiale. L’insonnia affinché si arrestino tutti quegli escamotage buoni solo ad evidenziare una «deriva che travestiamo da viaggio» (…) Elio Coriano crede nel futuro, nella sua sublime morte e lo fa nell’incidente della poesia spigolosa e mai naufraga dell’ordire mieloso”. (Giuseppe Cristaldi)

Elio CORIANO - Nato a Martignano (Salento) nel 1955. Poeta ed operatore culturale, insegna italiano e storia presso l’Istituto Professionale “Egidio Lanoce” di Maglie. Con Conte Editore ha pubblicato “A tre deserti dall’ombra dell’ultimo sorriso” (Three deserts from the shadow of the last mechhanical smile – Premio Venezia Poesia 1996), nella collana Internet Poetry, fondata da Francesco Saverio Dodaro. Con le“Pianure del silenzio” tradotto in cinque lingue, ha inaugurato sempre per Conte Editore E 800 – European literature, collana diretta e ideata da Francesco Saverio Dodaro. Nel 2005 ha pubblicato per “I Quaderni del Bardo”, “Dolorosa Impotenza” e “Il Mestiere delle Parole”con dieci disegni di Maurizio Leo e la prefazione di Antonio Errico. Nel 2006 per Luca Pensa Editore, nella collana Alfaomega, ha pubblicato “Scitture Randagie”con la prefazione del filosofo cileno Sergio Vuskovic Rojo. Del 2007 è “H Letture Pubbliche (poesie 1996-2001)” Icaro editore. Nel 2004  fonda assieme a Stella Grande e Francesco Saverio Dodaro il gruppo di musica popolare Stella Grande e Anime Bianche di cui è curatore dei testi e direttore artistico. Inoltre, negli ultimi due anni, ha curato e messo in scena una sua orazione su Gramsci, chiamata FUR EWIG, accompagnato dal pianista Vito Aloisi.

Ancora in corso sempre negli spazi di Note di Vino con successo di pubblico e critica la mostra fotografica “Il Paesaggio salentino” di Roberto Rocca. Il fotografo nasce e vive a Taurisano, in provincia di Lecce. Inizia la sua carriera 'paparazzando' vip, ma durante gli appostamenti scopre l'amore per il suo Salento e la passione per la fotografia paesaggistica. Un modo per non poter mai smettere di immortalare sulla pellicola la sua modella più bella, che ritrae di giorno, di notte, abbandonata sotto il sole, oppure nascosta dietro un cielo gonfio di pioggia. Roberto Rocca, tra le sue pubblicazioni, annovera ampi servizi per la Rizzoli, nella rivista DOVE e I VIAGGI DEL SOLE; la GUIDA PUGLIA edita da Giunti Editore; con l'editore Mondadori per la rivista DIVA E DONNA e CHI; e con Hachette Rusconi per la rivista GENTE, oltre a numerose copertine di libri. È prossima la pubblicazione di un suo volume fotografico interamente dedicato al Salento.

«Le mie foto – racconta Rocca - sono degli scatti molto semplici. Non vado alla ricerca di inquadrature particolari. In compenso, però, sono molto pignolo con la luce e i colori, e quindi cerco in ogni paesaggio di far uscire il meglio che può dare. ».


Note di Vino – Nel cuore del Salento, a Ruffano (LE), dalla passione per l’enogastronomia e per la musica nasce l’enoteca wine bar «Note di Vino». Esperienza nella selezione e nella scelta delle bevande e dei cibi, il tutto accompagnato da una ricercatissima selezione musicale: jazz, blues, rock… dai concerti che settimanalmente vengono organizzati e dalle jam session dei musicisti/ clienti a cui viene messo a disposizione il palco con tutta la strumentazione (chitarra, batteria, pianoforte

Info:
http://www.note-di-vino.it/
Tel +39 340 33 86 316/ +39 340 90 98 835
Via Vittorio Veneto, 55 – 73049 Ruffano (LE) – Italia

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Come è nata la Bibbia. Introduzione generale alla sacra Scrittura di Fabio La Gioia (Phasar Edizioni)



Il libro tratta delle tematiche generali e previe alla lettura della sacra Scrittura. Suddiviso in quattro parti, nella prima – LA BIBBIA E LE SUE PROPRIETÀ – si discutono argomenti quali la Rivelazione e la parola di Dio, l’ispirazione, il contenuto e l’unità, la «verità» della Bibbia. La seconda parte – IL CANONE BIBLICO – prende in esame la formazione del canone (insieme dei libri sacri e normativi), riflettendo poi sul significato dello stesso. La terza – IL TESTO BIBLICO E LA SUA TRASMISSIONE – indaga il modo in cui i libri sacri sono arrivati fino a noi e, grazie ai metodi di critica testuale, come si è risaliti a un testo il più vicino a quello originario (di cui non possediamo copia per alcun libro biblico). La quarta – ERMENEUTICA ED ESEGESI – è dedicata alla distinzione e investigazione dei due campi di studio scientifico della sacra Scrittura.
Attraverso questo percorso si cerca di rispondere a una domanda di fondo (da cui il titolo), sottesa a tutto il libro: «Come è nata la Bibbia?».

Fabio La Gioia, sacerdote della Diocesi di Gorizia, tra le sue pubblicazioni annovera: Comprendere il Nuovo Testamento, AdP 2007; Apocalisse. Rivelazione di Gesù Cristo alla sua Chiesa, Aracne 2008. Per Phasar Edizioni è uscito nel 2010: Introduzione al quarto vangelo e alle tre lettere di Giovanni. Dal 2005 insegna sacra Scrittura nell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Trieste.


Come è nata la Bibbia. Introduzione generale alla sacra Scrittura di Fabio La Gioia, 2011, ISBN 978-88-6358-087-7,  euro16,00, pp. 270

Scarica l'anteprima del libro in formato PDF

Phasar Edizioni

domenica 2 dicembre 2012

LA LETTERA DI CARLO CHIRI (LUPO EDITORE)



Una brillante professione non risolve l'inquietudine interiore di Joffrey, che da anni gira a vuoto in cerca di se stesso e delle ragioni del proprio fallimento sentimentale. Seguendo il consiglio di un collega francese appassionato di storia dei Templari e di miti, va in cerca di un misterioso "precettore" che potrebbe aiutarlo a risolvere il suo malessere esistenziale e finisce in una sperduta campagna presso i ruderi di un'antica costruzione le cui mura recano traccia di oscuri simboli....
Comincia così per lui un percorso magico e rivelatore che, portandolo su piani temporali diversi, lo guiderà nell'intricato puzzle dell'errore umano e delle fragilità che segnano da sempre le anime sofferenti. Una serie di incontri straordinari e l'amicizia di due generosi compagni di viaggio lo sostengono nel suo tormentato cammino, ma è dagli occhi di una bambina che giungerà l'illuminazione.
L'appassionante storia di un'identità perduta e ritrovata, della battaglia quotidiana di chi cerca la forza di "guardarsi in faccia" e di perdonarsi. Un affascinante viaggio tra gli archetipi della coscienza collettiva.

sabato 1 dicembre 2012

La congiura degli opposti di Maria Benedetta Cerro. Recensione di Alessandra Peluso su La congiura degli opposti, di Maria Benedetta Cerro, LietoColle 2012



La congiura degli opposti: un accordo segreto delle contraddizioni. Meraviglioso, finalmente, sembrano aver raggiunto un equilibrio le contraddizioni dell’anima nella poesia di Maria Benedetta Cerro. «Poi dalla congiura degli opposti / guarì il poeta». (p. 25) È un tacito accordo, una compresenza dove a volte prevale la vita, la passione, l’amore; altre volte la morte, la sofferenza, l’abbandono. Così come un viandante - percorre l’anima bramosa di Cerro - l’intera silloge. «Chi anche solo in una certa misura è giunto alla libertà della ragione, non può poi sentirsi sulla terra nient’altro che un viandante - per quanto non un viaggiatore diretto a una meta finale: perchè questa non esiste». (F. Nietszche, Umano troppo umano).
«Sospesi avanti al suo respiro / intenerite sfide. / - Portami oltre». (p. 41). E: «Non questo cielo / -  non oggi - Il presente mi è estraneo / e forse / non esiste» (p. 100). Sono profondi i versi di Maria Benedetta Cerro, svettano alti come le sue “torri”: «Una torre così fiera, che guarda il cielo e ugualmente la volgarità del suo abisso, che vuole assolutamente erigersi, disperatamente sventolare il palio delle sue trombe». (p. 86). Eh già, perchè salire la torre comporta il suo opposto scendere negli inferi, nell’abisso di un’anima che si perde rapita da una passione e non può concordarsi ora che l’amore l’ha travolta: «L’amore ha il cuore duro / spranga / sferza. / A volte sul tamburo del sangue / richiama la dispersa mente. / L’amore spacca l’interezza. / Dura / persino la tenerezza». (p. 67). Non si può non lasciarsi rapire dalla Congiura degli opposti, «le parole sono come calamite / che tolgono agli occhi la ragione del divergere» e si resta affascinati dallo stile di Maria Benedetta Cerro che scrive il suo silenzio e lo fa ascoltare chiaramente ad ogni orecchio attento che vuol percepire la poesia, sentire il profumo di libertà dei “fiori di peonia” e assaporare l’esistenza con i suoi opposti.
Si legge: «Hai messo al mio grido / un recinto di spinose corde. / Cosa vuole da me / la tua dannata morte. / Che io canti la sua allegria / senza lacci ai piedi / portandomi al braccio la sua cappa bruna. (...) Per udirmi cantare / hai voluto il mio grido segregare / e un silenzio allestire grave come la fine». (p. 69) Ed ancora:  «Le coppe delle magnolie corrotte. / Era questo l’odore della vita? Ma ancora / insubordinata e lieta / senza di me / in altri da te / canta le sue vittorie». (p. 96) Ė un idillio che lascia il segno, nutre l’anima del lettore, inquietandola - e non può essere altrimenti - come un Dioniso che danza incessantemente, avvertendo il bisogno impellente di condividere il genio folle di Cerro. Tuttavia, i versi raccolti nel libro La congiura degli opposti fanno approdare la mia mente nell’incantevole mondo baudelaireiano. «Avrei con ardore baciato il tuo nobile corpo e / passato il tesoro di profonde carezze dai tuoi freschi / piedi alle tue trecce nere, / se qualche sera, o regina crudele, con un pianto / ottenuto senza sforzo tu potessi solamente / offuscare lo splendore delle tue fredde pupille». (C. Baudelaire, Spleen e ideale) Anche Baudelaire contrappone nelle sue poesie il bene e il male, la vita e la morte, l’amore, la bellezza, l’angoscia di vivere privilegiando sensiblità, irrazionalità, malinconia. Si rifugia nella poesia, prediligendo l’onirico e la propria solitudine. Così si legge: «Di sera le angosce si chiamavano per nome / sulle soglie guardavano moltiplicarsi l’assenza della luna. / Erano alti i cancelli / non si vedeva l’estremità di niente / ma l’indice fissava nella verticalità una dimora prossima all’altezza. (...) - La nenia in un angolo si cantilenava - / Gabriele dell’Addolorata contò le sette spade / ripose il teschio / poi partì per trent’anni». (p. 111). È chiara l’originalità della poesia di Benedetta Cerro, come è evidente la capacità di rivelare le sue emozioni utilizzando un linguaggio aulico, «è colei che se l’ignori sguaina lo strale». Non si può né si deve ignorare. La sua poetica colpisce come frecce che lasciano il segno e si sente, lo si ascolta, lo si riconosce come un pianoforte quando suona le sinfonie di Liszt. Così come si vive anche l’impronta filosofica sempre in bilico tra poesia e prosa, rifuggendo da ogni classificazione di genere e lo si comprende nel riferimento che la poetessa fa nell’incipit della sua opera a Edmond Jabès. La conclusione pertanto appare provvisoria, non si può mettere fine a riflessioni riguardo l’esistenza, la filosofia cantata in versi e in prosa nell’opera poetica La congiura degli opposti in siffatta maniera: «Gli uccelli cantavano / nei pentagrammi. Gli alberi / si cercavano nella geografia dei tarli. / L’infanzia si calò il silenzio / sugli occhi. E si distese. / Piansi in terza persona. / Non avevo lacrime mie. / Ma si recitavano / attraverso la mia voce / tutte le poesie (...)». (p. 119). E come far morire il viandante di Nietszche, lo Zarathustra - è impossibile - poichè è eterno il suo cammino nell’eterno ritorno.
 
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Tempo di Natale, tempo di regali … tempo di Libri con Phasar Edizioni
























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venerdì 30 novembre 2012

Educazione e contesti sociali di Frederic M. Thrasher. A cura di Maurizio Merico (Kurumuny)



Il volume raccoglie tre saggi di Frederic M. Thrasher pubblicati nel «Journal of Educational Sociology» tra il 1927 e il 1934. Nel tentativo di coniugare la proposta teorica e metodologica elaborata dalla Scuola di Chicago con l’approccio normativo proprio della sociologia educativa statunitense, Thrasher individua nell’analisi sociologica dei contesti sociali uno strumento decisivo per la comprensione delle istituzioni educative e dello studente, la risoluzione dei problemi scolastici e lo studio dei processi di educazione informale. Attorno a questo elemento, che costituisce il suo contributo più significativo alla sociologia educativa, nei saggi qui tradotti per la prima volta in italiano Thrasher sviluppa un’analisi che attraversa i temi lungo i quali si è articolata la sua opera: le bande giovanili, il rapporto tra educazione e prevenzione della delinquenza, i caratteri dell’educazione informale, gli effetti del cinema sul comportamento dei giovani e il coordinamento dei servizi comunitari. L’attenzione a questioni che continuano ad attraversare il dibattito sociologico contemporaneo unitamente al carattere innovativo di un approccio capace di coniugare, nello studio dei processi educativi, analisi etnografica, ecologica e statistica, da un lato, e la necessità di individuare le possibili applicazioni dei risultati di ricerca ai problemi educativi, dall’altro, segnano gli estremi all’interno dei quali riconoscere la contraddittoria ricchezza di un percorso che si è costantemente mantenuto sul crinale tra «l’educazione come arte e la sociologia come scienza».

"Cambiare con creatività", Autori Vari (Phasar Edizioni)



Le esperienze professionali e accademiche di diversi autori, che fanno parte della community di www.psicolab.net, hanno dato il via a un progetto sulla Formazione come strumento di cambiamento. Si tratta di punti di vista diversi su un campo, quello della Formazione Outdoor, ancora poco compreso e conosciuto. Uno sguardo creativo e al contempo rigoroso di formatori, coach, professori e giornalisti sul mondo della Formazione Esperienziale. Una Formazione vitale che si rinnova nei contenuti e nelle modalità, una Formazione sempre più necessaria sia in campo aziendale che personale, una Formazione che è percorso e stile di vita.

La decontestualizzazione dall’ambiente abituale, per effettuare attività insolite e maggiormente creative, è una delle chiavi per ottenere cambiamenti duraturi. Questo permette infatti di abbattere le diffidenze e porre tutti i partecipanti allo stesso livello di partenza: su un campo da rugby, su un palcoscenico o in un rifugio di montagna poco importa il mio ruolo aziendale o sociale. Tutti devono mettersi in gioco per contribuire al raggiungimento del risultato finale. In tali contesti diventa importante collaborare per svolgere compiti elementari o difficili. Così i partecipanti possono acquisire nuove capacità di relazionarsi, abbattere precedenti schemi e diffidenze, scoprire aspetti nuovi nei propri compagni e in se stessi.

Le organizzazioni si trovano continuamente a dover fronteggiare cambiamenti di ogni tipo, adattando i propri obiettivi, la propria struttura ed il modo in cui si pongono sul mercato. Per questo chiedono uno sforzo costante di adattamento e di miglioramento ai propri membri. E le nozioni teoriche e specialistiche, per quanto importanti nello svolgimento di qualsiasi professione, non sono sufficienti perché le persone, in una qualsiasi realtà, hanno bisogno di comunicare e di imparare continuamente per raggiungere il duplice e fondamentale obiettivo che garantisce il successo: essere soddisfatti soddisfando a nostra volta le aspettative dell’organizzazione.

Autori del libro: Fabio Croci, Laura Cioni, Giovanna Coppini, Paolo Svegli, Silvia Corridoni, Valentina Ristori, Angela Cardi, Stefania Ciani.
Curatore: Lapo Baglini.

Visita il sito dell’autore

"Cambiare con creatività", Autori Vari (Phasar Edizioni), 2008, €12, ISBN: 978-88-6358-013-6, pp. 120

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giovedì 29 novembre 2012

La "magnitudine" delle Palafitte di Anna Bergna (Palafitte, di Anna Bergna, LietoColle 2012). Intervento di Alessandra Peluso


L’originalità del poetare di Anna Bergna si nota immediatamente nei primi versi «incontro un profumo di fiori gialli, / ma è inverno, indugio nelle mani del cielo / cariche di questo incanto»(p. 16) e nel comporre il dipinto Palafitte in due differenti cornici quali La terra, il cielo ed il cognome e Sfamavo avannotti in Engadina.
Il genio poetico è insito nei versi di Anna Bergna. Si lascia ispirare dalla natura, dalla bellezza della città di Como, dai suoi paesaggi: le montagne, il lago, i pesci, l’airone: «Un airone stava sul legno ad ali chiuse, statua dal collo / cipressino, sazia di vanagloria» (p. 39) e gli stati d’animo emergono su «Palafitte che non sanno dove tenere i piedi quando la magnitudine si innalza» (p. 59).
La magnitudine dell’autrice è chiara come «quel ramo del lago di Como, che volge a Mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli» (Alessandro Manzoni). E si legge e si ascolta la musicalità e la bellezza nelle lunghe descrizioni dei versi: «Sul porfido disabitato del mattino, trascinavano pagine e / nervature decalcificate; nuotavano mute a infrangersi contro il destino grigio di una diga. / Eppure i cigni arcuando il bel collo beccavano il pane, i / gabbiani scoccavano frecce di luce, i bambini correvano su / impossibili scale, le polacche affiancavano anziani dispersi / dietro al bronzo di Mafalda». (p. 23). La quotidianità è raccontata nelle poesie di Anna Bergna con particolare cura e predilezione nel catturare immagini come il diaframma di una macchina fotografica per fermarle e ricordarle in eterno.
Si legge: «Notte: le luci della funicolare ormeggiano la città alla boa / lunare. / Il Gabbiano ha già lasciato il porto, nel suo ventre trasparente / teste reclinate stanno a pelo d’acqua. (...). La luna talvolta si specchia e talvolta annegando ritrova le ossa». (p. 31). E ancora: «all’alba, / dietro le quinte viola, / si distendono schiene innevate / e tu contro le onde arranchi, / risalendo deserti pontili (...)». (p. 32). Il lettore non può non rimanerne ammirato e attratto dai versi dell’opera poetica Palafitte.
Inoltre, è evidente l’amore per la libertà. Un’esigenza quasi che si manifesta nella presenza libera e leggiadra dei gabbiani. Questi uccelli dolcissimi che ricorrono spesso nelle poesie di Bergna. L’autrice ama la libertà, vogliosa di superare i confini segnati dalle montagne - la libertà, la leggerezza - in contraddizione con la finitezza del lago o l’imponenza che costringe alla finitudine delle montagne e appare desiderosa di volare via, come un gabbiano, libera contro ogni ristrettezza del pensiero umano, libera da ogni giudizio e pregiudizio.  
Come Umberto Saba, l’autrice adopera le parole dell’uso quotidiano e i temi, nei quali ritrae gli aspetti della vita quotidiana, anche i più umili e dimessi: luoghi, persone come il pescatore, paesaggi, animali, anzichè Trieste - la città di Saba - troviamo Como con le sue strade, le montagne. Non a caso la raccolta poetica Palafitte contiene una poesia di Umberto Saba. Lo stile di Anna Bergna però non è semplice, come quello del poeta, ma ricercato, complesso a tratti, indice di una personalità forte, sensibile, introversa.
Così si legge: «Tutto è gradazione di vuoto, / edificato nel luogo di uno spostamento. / Onda che sale, si appiana, / sale, si appiana / e correndo si illude / di aver lasciato il mare. / Brividi coscienziosi dell’inanimato». (p. 68). E i versi nei quali identifica non solo se stessa nella bellezza della sera, rassicurante e tenebrosa nello stesso tempo, ma vede anche gli altri, nella generosità di condividere la sua gioia, l’unicità, l’individualità con gli altri, con l’“ognuno”: « (...). Tra tutti i nuotatori della sera, / l’universo guardava me ed io lo fissavo dritta, dimentica di / tutto, ubriaca di grandezza. Folate ininterrotte di riverberi / (...). Ora mi commuove sapere che la sera regala ad ognuno una / strada ugualmente dorata, ad ognuno la stessa maestosa / illusione d’essere Custode del Segreto». E questo segreto che non si dipana nemmeno nell’ultima poesia, al contrario la generosità: «Generoso, e più in alto, dentro le radiazioni azzurre di luce / rinfranta, e ancora più in alto, nel nero intergalattico, rivedrei / tutti i ricordi nostri e segreti e unici. / Ma tu non sei mortale, non nella mia esistenza, ed io posso / piegare il collo sui tuoi passi». (p. 76).
L’autrice si congeda con questi versi mistici, leopardiani, e un segreto che trascina con sé e che tenta di condividere con i lettori amanti e amati, il segreto per un amore perduto, per l’abbandono di una persona cara, per la sofferenza e l’amore per la sua terra che desidera condividere generosamente con ognuno di noi.

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Gli “Spacca il Silenzio” al Note di Vino



Evento Speciale al Note di Vino di Ruffano.  Domenica 2 dicembre 2012 alle ore  20.30 ci sarà il live di “Spacca il Silenzio”.  Trio campano composto dai due fratelli napoletani Luigi e Feliciano Grella e dal batterista Cristiano Delfino. La peculiarità del gruppo sta nel sound marcatamente acustico (Luigi molto raramente imbraccia l'elettrica) ma non per questo necessariamente soffice e delicato, anzi, la loro scommessa sta proprio nell' esprimere forza ed energia senza abusare dell'elettrificazione e dell'amplificazione. Luigi, autore dei testi e della musica, è scrittore e poeta prima ancora che musicista e per questo le parole delle loro canzoni hanno spessore letterario anche prese in se stesse. Nel 2012 è vincitore per la Sezione Testo Canzone (Premio Leo Chiosso), dell’ XI edizione InediTO, premio Colline di Torino, al Salone del Libro. Gli "Spacca il Silenzio!" affidano le "cose da dire" ad un impianto musicale semplice ma suggestivo: chitarra acustica, basso elettrico e batteria, che sanno dialogare fra loro attraversando con naturalezza e trasversalmente i linguaggi del pop, del jazz, del rap ma anche della canzone d’autore. Musica anche di forte impatto live, come hanno avuto modo di constatare gli spettatori dei loro concerti... Nel 2006 firmano il loro primo contratto discografico con la "NOPOP music development devices" di Guido Elmi, entrando così a far parte dell’antologia "BANDS a new adventure in Rock", distribuita da EMI Italia.

Nel 2009 promossi da Mei Audiocoop coproducono, sempre affiancati da Guido Elmi, "Extended Play 2009", che vede la partecipazione di Lucio Dalla al clarinetto.
L’EP riscuote una notevole approvazione dalla stampa di settore invogliando le molteplici radio a trasmettere i 4 brani che lo compongono.


Nel 2012 producono l’LP LIVE “Incisioni fonomeccaniche elaborate durante i concerti di”, un prodotto “vero e vivo” che corrisponde alla loro identità, un’antologia di un percorso a tappe, dove le tappe sono i concerti, ideato come un album fotografico dove ogni foto racconta una diversa location italiana ed esperienze fatte di sacrifici, sogni, gioie, sudore, vita, incontri e ovviamente musica.


Nel frattempo prosegue intensa l’attività live, In Italia e sorprendentemente anche in Europa (dal 2007 racchiuse in otto differenti tournèe, Inghilterra, Russia, Olanda, Germania, Svizzera, Austria), dove il nome "Spacca il Silenzio!" comincia a circolare e da dove sono sempre arrivate riconferme per tour futuri.


Hanno condiviso il palco con: Vasco Rossi, 99 Posse, Niccolò Fabi, Black Friday, Riccardo Sinigallia, Gem Boy, Skiantos, Pietra Montecorvino, Osdorp Posse, Nomadi, Andrea Mingardi, Gianluca Grignani, Angelo Branduardi.


PRODUZIONE

2012. CD “Incisioni fonomeccaniche elaborate durante i concerti di”
2009. CD “Extended Play 2009”
2007. CD “Bands a new adventure in Rock” - Nopop music development devices / EMI

2012. AA.VV. “Libera Veramente Vol. 3” – XL / La Repubblica / L’Altoparlante
2011. AA.VV. “La Musica libera. Libera la Musica” - MEI / Magazzini Sonori / RER
2010. AA.VV. “Pronto chi Kanta? Collection 2010” - RadiostarTv

DVD “Roxy Bar” n°15 a cura di Red Ronnie
DVD “Roxy Bar” n°20 a cura di Red Ronnie
DVD “Roxy Bar” n°24 a cura di Red Ronnie

2007/2012. Tour - 8 tour esteri (Inghilterra, Russia, Olanda, Germania, Svizzera, Austria)



Note di Vino – Nel cuore del Salento, a Ruffano (LE), dalla passione per l’enogastronomia e per la musica nasce l’enoteca wine bar «Note di Vino». Esperienza nella selezione e nella scelta delle bevande e dei cibi, il tutto accompagnato da una ricercatissima selezione musicale: jazz, blues, rock… dai concerti che settimanalmente vengono organizzati e dalle jam session dei musicisti/ clienti a cui viene messo a disposizione il palco con tutta la strumentazione (chitarra, batteria, pianoforte

Info:
http://www.note-di-vino.it/
Tel +39 340 33 86 316/ +39 340 90 98 835
Via Vittorio Veneto, 55 – 73049 Ruffano (LE) – Italia

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Cittadini a 5 stelle. La partecipazione in rete che vince sui partiti di Matteo Incerti con Federico Pizzarotti (Aliberti). La consapevolezza del futuro. L'intervista sul 1984 con Ferdinando Adornato di Enrico Berlinguer (Aliberti). Gli indipendenti di sinistra. Una storia italiana dal Sessantotto a Tangentopoli di Giambattista Scirè (Ediesse ). Intervento di Nunzio Festa



Con enorme interesse e favore abbiamo accolto e letto il libro-intervista di Matteo Incerti al "nuovo" sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, "Cittadini a 5 stelle". Innanzitutto, evidentemente per l'adesione all'attualità della pubblicazione; non recentissima, tra l'altro, se si considerano i tempi dell'editoria 'moderna', ma - certamente - (almeno) recente. In seconda istanza in quanto il "fenomeno Grillo" e, soprattutto, le azioni e la vita del MoVimento 5 stelle ha sempre sortito in noi interesse: di segno positivo come di segno negativo, d'altronde. In ultimo perché avevamo davvero la voglia d'ascoltare la voce d'un primo cittadino che si concede in risposte d'ampio respiro. Allora, a lavoro fatto, possiam dire una serie di cose. Intanto che Incerti non lavora da giornalista puro, in questo caso. In quanto in primis avrebbe dovuto dimostrare che l'intervista era finalizzata a esternare solamente il lato, per così dire migliore, di Pizzarotti e degli 'stellati', dei fan più accaniti di Beppe Grillo. Il libretto, dunque, appare utile. Più che utile, anzi. Praticamente essenziale. Ma per dimostrarci, e ne avevamo un po' bisogno, quanto e come un neo-amministratore del MoVimento risponde alla prova dei tempi classi della politica. Dopo aver vinto elezioni garantite, in un certo qual modo, dalla politica intesa in senso davvero classico. A nostro modesto avviso, Pizzarotti cade. Più volte. La sua "prosa" è almeno ripetitiva. Gli stessi concetti sono rimestati, allargati e rimpiccioli alla bisogna. Senza dar giudizi politici, perché intanto siamo difronte alla grande novità della partecipazione reale, provata, concreta e fattiva del "cittadino", molte incognite sul futuro, già di Parma, ci rimangono. Detto ciò, messa a confronto l'intervista d'Incerti a Pizzarotti con quella d'Adornato al capo del Pci Enrico Berlinguer sul 1984, riproposta sempre da Aliberti, col titolo "La consapevolezza del futuro", quest'ultima c'appare un oggetto da studiare nelle università. Ché Ferdinando Adornato come prima cosa si pone il problema di presentarsi. Poi senza timori porta il segretario del Partito Comunista a ragionare su temi imprescindibili, per rispondere a domande che mai sfiorano il terreno della banalità. L'intervista originaria, va ricordato, uscì su uno speciale che l'Unità aveva dedicato all'arrivo del 1984 (in connessione ideologica col romanzo d'Orwell - speciale al quale aderino con loro testi decine d'intellettuali e artisti internazionali). Il dialogo è intenso. L'attenzione di chi legge non può venir meno. Enrico Berlinguer tra le altre cose, pe dire dei contenuti, "rilegge" George Orwell e spiega che non si dovrebbe aver remore nell'accettare l'innovazione tecnologica. Il pensiero di Berlinquer si potrebbe sintetizzare anche con questa parole: nuovi mezzi a disposizione potranno far avanzare l'umanità. Una certa affinità, forse, tra gli argomenti proposti da Berlinguer nel'83 e a duemilaedieci inoltrato dagli stellati c'è. Epperò Berlinguer non aveva dubbi sulla necessità d'uscire dal dominio del localismo. Al contrario, tecnicamente, degli stellati. Magari persino per questa semplice ragione Enrico Berlinguer è rimasto nella storia. Alla stregua d'altre personalità che fecero parte d'un segmento parlamentare, diciamo pur sapendo di semplificar troppo, che ruotava dalla parti sempre del Pci. L'aiuto, questa volta, c'arriva dal saggio firmato dallo storico Giambattista Scirè, "Gli indipendenti di sinistra". Scirè, attraverso materiali e analisi, descrive cosa fu proprio questo gruppo parlamentare che, fra gli altri, vide l'adesione di uomini che si chiamarono Carlo Levi e Altiero Spinelli, passando per persone che ancora si muovono come Stefano Rodotà e Adriano Ossicini (nonostante quest'ulimo sia tra i più anziani reduci di quell'esperienza). Lo studio di Scirè, strutturato in maniera inattaccabile e felice nello svolgimento, ha il grande merito di ragionare sulle correlazioni del lavoro di Parri e altri con i fatti più importanti del secondo Novecento italiota. Se Pizzarotti e altri dicono di venir dalla Resistenza, intendendo l'adesione a quei valori morali, buona parte degli Indipendenti di Sinistra lottarano direttamente contro il fascismo. E da sinistra rivendicavano: "come valori irrinunciabili la libertà, la democrazia, il pluralismo, la laicità, rifiutando sia l'ideologismo e il centralismo democratico del movimento operaio, sia la stretta dipendenza dalla gerarchia ecclesiastica e l'interclassismo democristiano". Cattolici e laici, erano. Senza compromessi di sorta agivano.

30 Novembre 2012 – “Vane alla Svizzera”, Mino De Santis in concerto a Bellinzona. Intervista ad Alessandro Montefusco a cura di Luciano Pagano



Mino De Santis, ha percorso il Salento e la Puglia, in lungo e in largo, portando la sua musica e le sue storie nelle piazze della sua terra. Dopo essere già approdato in Trentino Alto Adige, in occasione dello Sky Wine 2012, accompagnato dagli Ululati di Lupo Editore, la nuova etichetta musicaleditoriale della talentuosa casa editrice salentina, si prepara ad un nuovo viaggio, un viaggio moderno e allo stesso tempo antico. È l’ora di una nuova “storia”, alla maniera di quegli emigranti che, tanti anni fa, andavano in Svizzera, con la speranza in tasca, questa volta per portare versi, musica, e cultura. Una tradizione artistica, quella a cui si lega De Santis, che costituisce un vero e proprio filone, e che in questi mesi è divenuta più che mai attuale. Mino De Santis sarà a Bellinzona, il 30 novembre prossimo, ospite proprio di una persona che, come racconta De Santis nelle sue canzoni, è partita negli anni sessanta, lasciando la sua Galatone, per trovare fortuna. Questo tipo di occasioni di solito sono il pretesto per parlare di un artista e della sua arte, questa volta approfitterò per fare alcune domande al signor Alessandro Montefusco, che lavora in Svizzera da più di quaranta anni e che si è reso artefice di questa occasione di scambio tra il suo Salento e la sua Svizzera.

Sig. Montefusco, il 30 novembre prossimo, per festeggiare il 15° anno di attività dell’autocarrozzeria Isolabella, avete deciso di invitare Mino De Santis per tenere un concerto, invitando tutti i vostri amici e clienti più affezionati a quella che si prospetta essere una vera e propria festa, le chiedo, da quanto tempo lavora in Svizzera, e quali sono i ricordi a cui è più affezionato, sia in Italia che in Svizzera?

Sono in Svizzera dal 1966. Dopo il periodo scolastico ho iniziato a lavorare, precisamente dal 1970, nel Canton Jura a Delémont, dove la mia famiglia si era trasferita. I ricordi a cui sono più affezionato di quel periodo è senz’altro il Salento della mia infanzia trascorsa a Galatone in contrada “Inferno” (braghe corte e piedi scalzi). Della Svizzera sicuramente ricordo di più gli amici della mia gioventù.

Le statistiche e i giornali ci raccontano di giovani italiani che, sempre più numerosi, studiano e accumulano la propria esperienza per partire e abbandonare il nostro paese; la sua esperienza è stata simile? Ci può raccontare come sono stati i primi anni, anche per i più giovani, come è stato avviare un’attività?

A 12 anni, al termine della prima media, raggiunsi la mia famiglia. Mio padre lavorava assieme a tanti altri Salentini nel Canton Jura (è il cantone di lingua francese). Lì completai i miei studi obbligatori e trascorsi il mio periodo di apprendistato come carrozziere, per 4 anni. L’attività in proprio la incominciai, per la prima volta, nel 1977, avevo 23 anni, per altri quattro anni. In seguito provai altre strade professionali. Dopo avere messo su famiglia e dopo avere scoperto il Canton Ticino, dove il clima era sicuramente più favorevole rispetto alla Svizzera del nord, mi sono trasferito con la mia famiglia. In questo splendido Cantone dopo un periodo di lavoro come dipendente con mansioni di responsabilità presso una concessionaria di autovetture ho colto l’opportunità di rilevare una carrozzeria già esistente, spinto dal desiderio di lavorare in proprio. Ed è proprio questo obiettivo di indipendenza che mi ha incoraggiato a creare e sviluppare la mia impresa. La motivazione che mi ha spinto a fondare la mia impresa è stata la fiducia nelle mie capacità di artigiano.

Dopo tanti anni, grazie al suo lavoro, lei si sarà perfettamente integrato nella sua città; cosa si sente di suggerire a qualcuno che volesse intraprendere il suo stesso percorso?

Se dovessi aggiungere ancora qualcosa a quanto scritto più sopra suggerirei di sviluppare le proprie capacità e metterle al servizio degli altri lavorando con professionalità, con lo spirito di servizio nei confronti degli altri e non mettere per forza come primo scopo l’arricchimento.

Mino De Santis, nelle sue canzoni, affronta spesso il tema dell’emigrazione e del lavoro, mostrandone tutti gli aspetti, può darci anche lei il suo augurio e invito al concerto del 30 novembre?
Mino De Santis nella sua canzone “Vane alla Svizzera” tratta il tema dell’emigrato con molto sarcasmo, sarcasmo che condivido in parte anche perché parallelamente esiste un’emigrazione salentina che ha saputo integrarsi perfettamente nella società svizzera raggiungendo dei traguardi tutto rispetto e arricchendosi di questa nuova realtà, senza per questo rinnegare le proprie radici. Invito quindi tutti quelli che lo desiderano a raggiungerci il 30 novembre per festeggiare con noi.

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C’era una donna … di Monica Negri (Phasar Edizioni)



Un racconto autobiografico, una denuncia morale sull'arroganza e l'indifferenza dei piccoli poteri. "Questa storia nasce dalla necessità di esorcizzare quanto accaduto durante pochi anni che hanno cambiato la nostra vita. Quando abbiamo assistito al disgregamento fisico e morale di una persona a noi molto vicina e alla fine di un periodo sostanzialmente sereno, quando abbiamo scoperto quanto si può essere soli in mezzo agli altri e a quali livelli di meschinità possa giungere l'animo umano. Una storia che non nasce come una denuncia, anche se moralmente deve essere considerata tale, ed è solo questa la ragione per cui non vengono volutamente fatti nomi. Una storia vera, una storia come mille altre che si consumano nel quotidiano senza che quasi nessuno ne parli" (Monica Negri)
C’era una donna … di Monica Negri (Phasar Edizioni), 2000, 7,23 euro,  ISBN: 88-87911-02-9, pp. 112
Scarica l’anteprima in pdf: 

mercoledì 28 novembre 2012

A Liberrima a Lecce l'attesissimo romanzo di Giuseppe Calogiuri dal titolo "TRAMONTANA" (Lupo Editore)



Appuntamento imperdibile. Prima presentazione dell'attesissimo romanzo di Giuseppe Calogiuri dal titolo "TRAMONTANA" edito da Lupo editore, nella magnifica cornice della Libreria Liberrima. Modera l'incontro Augusta Epifani.

Una inquietante sequenza di oscure morti e sparizioni agita le acque di una tranquilla cittadina del sud coinvolgendo indistintamente rampolli di buona famiglia, onesti professionisti e modesti lavoratori. L’apparente gratuita casualità dei fatti mette in allerta il fiuto di Michelangelo Romani, giornalista del Messaggero Quotidiano, e di Sandro Gennari, direttore di TeleCittàUno, che decidono di investigare nonostante la servile prudenza dei rispettivi editori quando l’indagine sembra infastidire le poltrone di politicanti affaristi o turbare antiche coscienze. Affiancati dalla fedele Carla, i due amici si mettono ostinatamente in cerca di polverosi “scheletri” negli armadi più insospettabili, seguendo l’esile filo di una traccia che appare sempre più sfuggente, in attesa del segnale anomalo rivelatore. Cosa sa il vecchio colono Antimo? E chi è il cinico giustiziere? Un giallo tutto salentino in cui lo studio delle atmosfere d’ambiente si sposa con la scrittura elegante e il gusto della suspense.

Giuseppe CALOGIURI classe 1978.  Nato a Lecce e qui vive e lavora come avvocato specializzato in diritto d’autore e degli artisti. Già cronista e reporter per quotidiani e riviste locali, all’avvocatura associa l’attività di chitarrista blues e jazz. Scrittore sin dall’età giovanile, ha esordito nella narrativa nel 2005 (premio “Corto Testo”). Scrive su ogni pezzo di carta gli capiti tra le mani. Tramontana è il primo romanzo della serie con protagonista il giornalista Michelangelo Romani.

"Bus de la Lum. Foiba infame e discussa" di Silvano Mosetti (Phasar Edizioni)



Sull’estremo confine del Friuli-Venezia Giulia, pochi metri al di qua del Veneto, si apre un inghiottitoio naturale profondo 180m: il Bus de la Lum. Esplorato la prima volta nel 1924 dalla Società Alpina delle Giulie, nel 1949 l’Autore portò il suo Gruppo a una riesplorazione, trovando sul fondo i resti di parecchi infoibati. Un anno dopo, su incarico del Ministero Difesa-Esercito, lo stesso Gruppo dei triestini riportò in superficie quanto restava di ventotto salme, sospendendo il recupero per la presenza di alcune bombe inesplose. La narrazione riesce a scavare nel dolore di una madre, emblema di tutti i parenti di infoibati, un sentimento di commossa rassegnazione e consente di sperare in una totale pacificazione etnica con gli Slavi, oggi auspicata ma non ancora pienamente realizzata.
Silvano Mosetti è nato nel 1924 a Trieste, dove muore l’8 marzo 2008.
Presidente del Gruppo Triestino Speleologi dal 1949 al 1957, vi è rimasto socio per ventisei anni. Dopo vari incarichi ecclesiali, assolti sia in ambito locale sia a livello nazionale, è stato presidente diocesano di Azione Cattolica nel capoluogo giuliano per due mandati triennali conclusi nella primavera 1983. In “Chi ha sete venga”, pubblicato dalla Elle Di Ci alla fine del 1995, ha curato una copiosa raccolta di schede per i “centri di ascolto” operanti in varie diocesi italiane.
Nel concorso letterario “L’Autore”, indetto nel 2002 per opere inedite da Firenze Libri, su 1466 partecipanti anche stranieri alle tre sezioni (narrativa, poesia, varia), è risultato tra i diciassette finalisti per la narrativa con “Noi degli abissi”, stessa opera qui presentata col titolo “Bus de la Lum”.
"Bus de la Lum. Foiba infame e discussa" di Silvano Mosetti (Phasar Edizioni), 2008, 12€, ISBN: 978-88-6358-001-3, pp. 184

"A piedi nudi sulla sabbia" di Giovanni Galperti (Phasar Edizioni)

Doveva pensare a qualcosa il profeta Isaia quando diceva: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annunzia la pace che annunzia la salvezza». Poteva magari pensare al mio catechista Daniel, della missione di Gounou Gan al Ciad, nel bel mezzo dell’Africa. Io a Isaia e a queste sue parole pensavo ogni volta che vedevo Daniel togliersi le scarpe – se scarpe potevano essere – e venire davanti all’altare, sempre all’ombra di un albero, per commentare il Vangelo. Non ho capito né Isaia né il Vangelo. E neppure il gesto di Daniel. Daniel sorriderebbe, se leggesse, sorpreso di ritrovare qualcosa di se stesso in queste pagine scritte – a piedi nudi – dopo e prima averlo conosciuto. Qualcosa cui non aveva mai pensato.
"A piedi nudi sulla sabbia" di Giovanni Galperti (Phasar Edizioni) , Phasar Edizioni, 8,00€, 978-88-63580-63-1, pp. 112, 2010
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lunedì 26 novembre 2012

Giorgio Faletti esce per Einaudi con “Da quando a ora”. Imperdibile!



“E poi c’era la gente. Sono cresciuto sentendo raccontare aneddoti inverosimili, che erano impossibili da credere ma ai quali era un piacere prestare fiducia, non fosse altro per rispetto all’impegno e alla buona fede di chi li riportava. Il vero talento di un contaballe è quello di essere il primo a credere alle sue stesse fantasie: quelle erano innocue, non belligeranti, senza un secondo fine se non quello di passare qualche istante al centro dell’attenzione, l’unico lusso che in quei momenti era concesso concedersi. Ogni persona che ricordo era una voce, una storia, un soprannome, un abbigliamento, una piccola o grande sopportata povertà, una piccola o grande felice follia. Ognuno rappresenta oggi nel mio vissuto un esempio di ammirevole fatica per uscire dalla prima senza dimenticare la seconda. Nel campo sterminato del possibile, ognuno è una frase, ognuno è una canzone, ognuno è un romanzo. «Il libro di Faletti è una canzone d’amore alla vita, la sua e quella degli altri». (Antonio D’Orrico)


Tutto comincia ad Asti, al numero 33 di corso Torino: è lì che nasce, «bambino fatto in casa», Giorgio Faletti. Sono passati 62 anni, che lui ha impiegato facendo il comico, il musicista, l’attore, il pittore, e naturalmente lo scrittore. Scorrendo l’elenco delle sue imprese (e parliamo solo di quelle professionali) sembra che Giorgio Faletti abbia vissuto mille vite. Di sicuro, scopriamo leggendo il suo nuovo libro, ne ha vissute due: Quando e Ora sono le prime due sezioni che compongono questa autobiografia fatta di musica e parole. A fare da spartiacque una frase secca che mette i brividi: «Poi, senza preavviso, sono morto». Dell’ictus che lo ha colpito nel 2002 Faletti non ha mai raccontato molto. Lo fa adesso, a dieci anni di distanza, «perché consegnare a una pagina quella confidenza significherà liberarsene una volta per tutte, sarà come appendere una carta moschicida che invece di imprigionare gli insetti blocca i brutti ricordi». Dopo quella frase nel libro la scrittura cambia, dalla prima persona si passa alla terza e Faletti gioca a raccontarsi come fosse un personaggio dei suoi romanzi. Quello che non cambia è lo sguardo che tiene insieme passato e presente, e che sceglie di raccontare, senza imbarazzo né autocompiacimento, il rovescio della medaglia. Le difficoltà, le sfide perse, i fallimenti che si nascondono dietro una vita di successi. E che, paradossalmente, di questi successi sono il nutrimento: «La felicità la vivo, - ha detto Faletti a Silvia Nucini in un’intervista per Vanity Fair. – Sono le malinconie, l’amaro in bocca che mi ispira». E nelle pagine di Da quando a ora l’autore ci racconta com’è che funziona l’ispirazione, mettendo in parole quei momenti intimi, quegli attimi di vita da cui, nel tempo, sono nate le sue canzoni. Le stesse raccolte nei due Cd, incisi per l’occasione, in cui Faletti interpreta i suoi maggiori successi (Quando) e dodici pezzi inediti (Ora). Così, ad esempio, leggiamo la storia di una fotografia e di un amore finito, e scopriamo che da quella storia è nata una canzone, Nudi, e possiamo ascoltarla, quella canzone, magari leggendo il testo pubblicato nell’ultima sezione del libro…
«Quando si arriva alla fine di un progetto come questo, - scrive l’autore nei Ringraziamenti in coda al libro, - è arduo stabilire se è stata raccontata a parole della musica o se sono stati musicati momenti di vita». In un caso o nell’altro, Da quando a ora è di sicuro un viaggio nel tempo che fa sorridere e commuove.

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