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giovedì 9 settembre 2010

Il rovescio delle foglie di Daniela Liviello (Manni)




















... che le bambine

Liberate le croci dal peso dei corpi
che il legno si crepa piagato da chiodi
ripulilte le croci dal sangue che cola
che le bambine si sporcano tendendo le mani.

"Questa poesia: la purezza muove la scrittura. Dire, e con il dire, la voce si riempie e la scrittura trova pagina. Dire, nonostante il silenzio sia il valore da custodire nel recinto balbettante del cuore. Dire! Desiderio di quiete, balsamo al mormorare continuo delle voci che fanno carne, è la poesia."
Mauro Marino

Teledurruti - Storia del mondo attraverso il mobilio da studio per medici o anche notai

Il libro del giorno: L'etica in un mondo di consumatori di Zygmunt Bauman (Laterza)



















Smantellata gran parte dei limiti spazio-temporali che delimitavano le potenzialità delle nostre azioni, non possiamo più ripararci dalla ragnatela della dipendenza globale. È questa la situazione in cui, volenti o nolenti, portiamo avanti oggigiorno la nostra storia comune. Anche se molto - forse tutto o quasi tutto - in questa storia in divenire dipende dalle scelte umane, le condizioni in cui tali scelte vengono fatte non sono a loro volta soggette a scelta. Si può essere "favorevoli" o "contrari" rispetto alla nostra interdipendenza planetaria, ma sarebbe come dire di essere a favore o a sfavore della prossima eclissi solare o lunare. Acconsentire od opporsi, però, alla forma squilibrata che la globalizzazione della condizione umana ha assunto fino a questo momento, questo sì che può fare una grande differenza.

Patrizia Caffiero su Senza Storie di Luisa Ruggio (Besa editrice)



















Deve essere successo ai piu' meritevoli almeno una volta. Una condizione vigile, un abbandono totale, insieme, tali da far riaffiorare tutti i frammenti della vita, come una calamita prendersi, orco, anche tutte le altre, precedenti, adiacenti e successive. Un buco nero. Un buco bianco. Galassia. Inferno. Paradiso. La fragile onnipotenza. La decadenza. La fierezza.
Luisa Ruggio, Sperma, dal suo blog http://astrolabioquaderniblogs.it


Oggi si chiede qualcosa di assai diverso, meno improntato all'obbedienza diretta: si chiedono semplificazioni. Si chiede di ignorare la complessità vivente delle cose. Si chiede di semplificare o di lasciarsi semplificare in modo da collocarsi liberamente di qua o di là, nelle caselle predisposte. Il potere è appunto, come avrebbe detto Foucault, un insieme di relazioni e di procedure entro cui viene a restringersi il campo di selezione degli individui, e che agisce sia a livello delle azioni sia a livello cognitivo.


Carla Benedetti, Il tradimento dei critici, Bollati Boringhieri, Torino, 2003


Il terzo libro di Luisa Ruggio, la raccolta di racconti Senza storie (Besa editrice, 2009) ha meritato ieri un Riconoscimento speciale nell'ambito del Premio Vittorio Bodini. Sulla scena dei romanzi italiani contemporanei, dentro i manufatti stampati a spron battuto nelle ultime decine d'anni mancano spesso il respiro del lavoro serrato sulla pagina e l'ombra fertile di un laboratorio costante, artigianale; mentre si insinua sempre di più nella società dei lettori, degli autori e dei critici la persuasione che seguire genericamente “l'ispirazione” e possedere scarni strumenti tecnici possa bastare a comporre un racconto valido, a strutturare un romanzo di valore. Luisa Ruggio è una scrittrice, grazie a Dio, con un proprio raffinato laboratorio di scrittura; e il suo stile non assomiglia a quello di nessun altro. Se i circuiti editoriali deludono, e i premi letterari, anche quelli prestigiosi, arrivano oggi a celebrare libri di levatura mediocre, ecco invece la risposta di un autore che crede con fermezza che la Scrittura significhi operare nel travaglio delle ottime letture. Una scrittrice che coltiva con pazienza la maturazione del proprio linguaggio originale.

Che ha dei potenti contenuti da esprimere.

La scrittura di Luisa Ruggio ha un respiro europeo: questo cavallo di razza correrà lontano.

Certe atmosfere delle pagine di Senza storie ricordano gli spazi essenziali, nitidi, intelligenti di narrazioni pirandelliane, i paesaggi aspri e aciduli di certe prove del Verga. Eppure questi racconti si nutrono del presente, di cinema, di teatro, di arte contemporanea. E dell'universo del web, a cui la gestazione di queste storie è legata.

L' esperienza della scrittrice nel suo blog Dentro Luisa http://luisaruggio.blogs.it : quello che per molti risulta ancora un non luogo, uno spazio dove rischiare di smarrire il senso, per Luisa è stato un crocevia che lei è stata capace di addensare di significato e valore, convertendolo- in condivisione con altri blogger - in un originale, pregiato remake degli estinti caffè letterari. Nella lingua utilizzata con duttilità dall'autrice troviamo termini quasi in disuso : “agitò i piedi nell'aria e vuotò l'ambascia”( Allunaggio di un uomo qualunque) ed inserti del linguaggio comune: “- Dov'eri quando Kurt Cobain si è sparato?” (Lithium)

Se occorre, l'autrice inserisce nel testo alcuni tratti distintivi del parlato regionale o locale, senza mai scivolare nel mimetismo dialettale. La resa fonetica è infatti marcata dalla differenziazione del font con il corsivo (con effetti anche fortemente spiazzanti e comici). “- Spinelli! Ah ma si' ttu Spinelli!E lo potevi dire prima!Gnerno', chill'scurnacchiat di mio figlio nun ci sta, possiamo parlare noi due indisturbando!”. (Le ricordanze)

Un rapporto entusiasmante con certi episodi dell'esistenza che dai più sono stati da tempo frettolosamente imbaulati in soffitta, come il gesto della pera data dalla nonna alla bambina che batte le mani per la gioia; la semplicità dei giochi dei bambini. Luisa Ruggio traccia davanti a noi la sua visione del mondo senza neppure passare da uno dei luoghi comuni della narrazione meridionale tipica, come ha colto Felice Blasi nella sua acuta recensione: “(...)Ma perche', ci chiediamo, la narrazione delle psicologie femminili deve essere sempre interpretata come una letteratura della fisicita'? Questi racconti, al contrario, seguono un'idea piu' generale, quella della pienezza del mondo, rinominando il quale ci si sente salvi ancora una volta: come "quando noi sapevamo ancora leggere: gli alberi, i rigagnoli, la mollica di pane, i passaggi segreti dei ragni di campagna leggeri tra le stoppie - grossi, come le spille che la merciaia si appuntava sugli involti di lana, rintanata nella bottega dei nastri - le facce salmastre della luna".

Dovevamo imparare a scrivere per dare nomi al mondo, come fa l'io-bambina dell'autrice: eppure qualcosa, forse una capacita' di leggere il mondo, e' andato perduto. L'infanzia e il ricordo sono una via per ritrovare un rapporto con la realta', le persone ed i luoghi non mediato e non tradito dal consueto immaginario meridionale”.

Felice Blasi, “Corriere del Mezzogiorno”, sabato 13.03.2010

Lo stile di Luisa. A tratti, arriva un sapore stilistico sudamericano: “Dunque è qui che sale il sangue degli uomini, dove hanno fine tutte le risse, e le donne hanno sguardi di animale fantastico, denso e stupefatto”. (Il bar degli appuntamenti mancati). A volte, traslitterazioni di senso, in cui gli oggetti si umanizzano; “L'anguria dissanguava il suo umore sul vassoio bianco e azzurro”(Allunaggio di un uomo qualunque) o dove, viceversa, il processo metamorfico riguarda gli esseri umani: “Un pianoforte che muore. In realtà fu mio nonno a morire. Il pianoforte fu - semplicemente- venduto da mio padre, fu fatto sparire, tornò in quel nulla dal quale era apparso”. (Le due variazioni sul fatto). La mitografia cinematografica è presente, e una teatralità non di superficie, se nei numerosi ritratti (Rirì, Vittoria, Melina, Maria, la cantante lirica, Davide, Carmela) presenti nell'opera l'autrice svela e sintetizza movimenti, parti di sinfonie nascoste, o visibili a pochi; ragiona dell'accordatura fra anima e corpo.

Luisa seleziona il gesto Principale, che stigmatizza chi agisce; che non riduce mai a stereotipo, a macchietta il personaggio: “Allora faceva quel gesto. Teneva uno strofinaccio da cucina stretto in un pugno, contro lo sterno e, con l'altra mano, si assicurava la balaustra del balcone come se si trovasse improvvisamente sul parapetto di una nave”. (Le ricordanze)

Oppure:

“Aveva visto sua madre andarsene verso il bosco e posare la sua fronte contro i nodi di un tronco, agitare debolmente le corde dell'altalena ricavata da un pezzo di legno sbiancato dalle piogge”.(Allunaggio di un uomo qualunque)

Una sottile e dignitosissima geremiade è presente in alcuni racconti. Si tratta, in fondo, di questo: le qualità sottili e speciali degli uomini sono pressochè invisibili. Con dignità si dice del mazzo di destini non raccolti da uno sguardo, da chi non ascolta, non è capace di andare a fondo di enigmi: “Che ne sanno i vicari indifferenti? Che gli frega se il mio canto ha radici nell'uomo?” (Il bar degli appuntamenti mancati). Si sottolinea, poi, per contrasto, quanta vita possa generare il riconoscimento di uno sguardo, capace di fare grandangolo di chi gli sta di fronte e quindi, di generare un destino: “L'ascendente di Orson Welles su Rita Hayworth. L'ombra di un pianeta sull'altro. Una lenta calligrafia che fino a un certo momento ignoriamo,un codice che ci investe col suo potere. In definitiva non altro, fuorchè uno sguardo”. (Sedici noni in bianco e nero)

“Lei all'improvviso sa che da qualche parte esiste qualcuno attraverso cui riuscirà un giorno a vedersi perfettamente, uscendo dalle acque di ogni pudore “. (L'istante)

A volte l'autrice fa intuire un possibile ampliamento dell'esperienza di condivisione su piani diversi, che riguardano l'invisibile. Questi temi sono trattati con delicatezza sognante, accurata, nebbiosa: “Aveva una potente teoria riguardo la signora della villa in fondo al bosco, perché su un tappeto di pigne indigene di soavità si fermava a raccontarle la storia dei pinoli da arrostire che hanno sempre un'anima, chiara e sottile. Ne sbucciava uno e parlava di cose al confine fra gli alberi e la natura umana.

Sormontate dalle foglie se ne stavano lì, su quelle radici che emergevano come nativi nascosti dietro i fumi voluttuosi della terra, spandendosi in un istante di silenzio”.(Tra gli alberi)

Ne La collana blu, la tela narrativa approntata è lasciata andare nell'indefinito, aperta a spiragli di incommensurabile; eppure si parte da elementi terreni, si affondano parole e denti nell'erba, nelle pietre.

Le parole di Luisa, insomma, riescono a reggere l'irruenza del fiabesco. Così accade nel bellissimo La volpe, dove l'esperienza delle prime mestruazioni di una ragazzina è catalizzatore di avvenimenti di sapore quasi leggendario: “E lei uscì. Dal fondo del buio. Aveva morbidi occhi gialli, densa aggiunta improvvisa di note violino.

Qualcosa che ti fa sentire bene da che parte è rivolta la lama del coltello”.

Il riversarsi della mitologia nel quotidiano. La sapienza quasi scomparsa, oggi, del riuscire a dilatare le esperienze, la confidenza quasi dimenticata, ormai (e comunque non più tramandata da generazione a generazione) con l'elemento poetico- magico radicato saldamente agli oggetti, alle cose, ai paesaggi, ai corpi; l'indiviso, l'assenza di fratture interne, delle nevrosi che fanno perdere tempo prezioso, che scartano la bellezza.

E'il mondo che conosce Medea prima di incontrare Giasone.

Le metafore usate a volte per descrivere un paesaggio, o per enunciare ampi significati (dove comunque non resta mai traccia di un gesto asettico o arcigno di giudizio sulle cose del mondo), possiedono delle svolte lessicali e aggettivazioni inusuali, dipingono la visione con assertività, non l'abbozzano; l'indefinito. come scrivevamo, è lasciato a un livello narrativo più alto, alla struttura, all'intreccio:

“A volte la vita sembra solo la necessità di compiere qualcosa, qualunque cosa, in un tempo minore di quello consentito”. (Ma nuit chez Roché)

Oppure:

“Capita che, cogliendola nell'atto di intenerirsi, alcuni le dicano:

- Così non farai mai i soldi!

- Lei commenta: tutto quanto c'è di meraviglioso in Shakespeare svanisce appena taluni aprono bocca!”

(Fatti proprio così)

E ancora: la sintesi di cui è capace la scrittrice stupisce, rompe il respiro del lettore, crea un'aritmia cardiaca nel racconto; è un fioretto puntato al petto del lettore, all'altezza dello sterno. Una frase rapidissima, che descrive in un lampo un personaggio e un mondo:

“Le fibbie fermate da bottoncini, tacchi che avevano dato un suono al secolo”. (Le ricordanze)

Oppure; essenziale, assoluto:

“Oltre quell'albero finiva il mondo. E cominciava il grano.”

(Notturno di Chopin, Opera 9 Numero 2)

mercoledì 8 settembre 2010

Teledurruti - Piero Fassino, ancora tu?

Il libro del giorno: Il palazzo delle pulci di Elif Shafak (Bur)




















Un professore universitario che si divide tra la passione per le donne e quella per Kierkegaard, la misteriosa Amante Blu, la stramba Igiene Tijen con la figlioletta Su, la vecchia Madama Zietta: sono gli stravaganti inquilini di Palazzo Bonbon, un edificio signorile ormai fatiscente nel cuore di Istanbul. Costruito a metà degli anni Sessanta da un ricco emigrato russo per la moglie pazza, è diventato un condominio, infestato dagli insetti e appestato da un odore terribile di cui non si conosce l'origine. Un eccentrico palcoscenico per le intricate vicende e le ossessioni dei protagonisti del Palazzo delle pulci, che intrecciano i loro destini sullo sfondo di una inquieta e vitale Istanbul, sospesa tra modernità e tradizione. Dopo lo straordinario successo della Bastarda di Istanbul, Elif Shafak ci regala un memorabile affresco della città sul Bosforo, da cui emergono i mille volti di una terra dal fascino senza fine.

E madonne sorridenti di Daniela Liviello (Manni editori)











Accanto

Maestro incantato di abissi sublimi.

La tua assenza è richiamo

invito sottile.

La tua voce ritorna dai crocicchi del tempo.

Mi stringe le mani

mi serra le labbra.

Mi dice che è l'ora di dirti chi sono.


Una raccolta poetica breve e intensa, come ultima ancora di salvezza, estrema possibilità di resistenza umana di fronte al gelo del consumismo e alla superficialità dell’apparenza che ci circondano. Dopo quindici anni di scrittura queste poesie sono venute allo scoperto.

Presentazione a cura di Mauro Marino

martedì 7 settembre 2010

Teledurruti - Su quelli che vanno su Facebook con un nickname

Il libro del giorno: Irresistibile di Danielle Steel edito da Sperling & Kupfer (collana Pandora)




















Per Maxine, sposare Blake è stata una splendida avventura. Astuto uomo d'affari, affascinante e imprevedibile, Blake ha guadagnato miliardi grazie alla sua intraprendenza. Ma la sua costante ricerca di nuove sfide lo spinge a fare continui viaggi in giro per il mondo, allontanandolo dalla famiglia. Ben presto la passione non è più sufficiente per tenere a galla il matrimonio e, quando il nome di Blake comincia a comparire sulle pagine di cronaca mondana, i due si lasciano, riconoscendo di non essere fatti l'uno per l'altra: troppo frivolo e immaturo lui, troppo seria e responsabile lei. Per cinque anni riescono a instaurare un rapporto amichevole, con visite cordiali e tre figli che entrambi adorano. Blake si tuffa a capofitto nel jet set, partecipa a feste esclusive accompagnato da donne bellissime mentre Maxine si dedica con passione al suo lavoro di psichiatra. Ma all'improvviso tutto cambia: per Maxime è l'incontro con Charles, un uomo maturo, solido e disponibile. Per Blake la svolta è un tragico evento che lo segna nel profondo. La storia indimenticabile di due persone che inseguono la felicità da direzioni opposte, ma che sono irresistibilmente destinate a incontrarsi. Un romanzo intenso e appassionante, che parla del grande amore, delle infinite opportunità che offre la vita e del coraggio di rimettersi in discussione per conquistare ciò che si vuole davvero.

“LadyMen. Una donna racconta le trans”, di Isabella Marchiolo, postfazione di Alessandro Cecchi Paone (Falzea, 2010). Intervento di Nunzio Festa




















“LadyMen” è esattamente la ricognizione, 'aggiornatissima', sulle vicissitudini e le vite delle persone trans. Al netto dei titoli scandalistici. Abolendo l'amara realtà del vasto campo della prostituzione. La giornalista calabrese Isabella Marchiolo, con l'attenzione e l'umanità d'una scrittire attenta, entra senza fare devastazioni in racconti e fatti che sono quotidianità per una fetta di popolazione che ancora non ha raggiunto il giusto traguardo della pienezza dei diritti civili. Con tono davvero “inconsueto” pure per un libro d'inchiesta, e con quindi quell'umanità che lo stesso Cecchi Paone ricorda a chiusura del lavoro, la Marchiolo spiega, grazie a un'analisi accurata della materia e a un approfondimento che ha tenuto conto di tanti aspetti della questione, dettagli che per gli eterosessuali sono, a differenza dei casi, tabù oppure scoperte. Cosa è riuscita a dirci l'autrice di questo libro? Tramite le vicende, si prenda per esempio quella di Marco Della Gatta, ex corista del Duomo di Lecce adesso diventato donna, che tipo di percorso si deve seguire, e spesso quante traversie si devono superare, per arrivare al compimento d'un obiettivo che per la persona interessata non è che la giusta riconsiderazione del corpo. Nel senso che uomini e donne sono talvolta contenuti in una scatola corporea che non li rappresenta. Che fortemente cozza contro la vera identità. Con la cura delle grandi giornaliste e la caparbietà delle scrittrici di talento, Isabella Marchiolo si pone dentro le storie, facendosi contaminare, ma lascia che le storie vengano contaminate. E giustamente non si lascia travolgere come non travolge. Il pathos, comunque, s'avverte per esempio dove l'autrice del lavoro rende visibili alcuni suoi dubbi. Ovvero quando la giornalista e scrittrice calabrese, per esempio, accenna a lei e alla piccola figlia. Questo libro, nonostante sia stato scritto non in prima persona da una dei protagonisti delle tante situazioni, e forse è persino meglio così, è essenziale per togliersi di dosso puzze varie e scaraventare lontano luoghi comuni che non tutti fortunatamente possiedono in dotazione. Fra le caratteristiche più importanti del volume, di sicuro quegli stessi passaggi dove sono riprese – insieme – storia e cronaca delle leggi in vigore e le loro conseguenze sulla persone in carne e ossa.

“LadyMen. Una donna racconta le trans”, di Isabella Marchiolo, postfazione di Alessandro Cecchi Paone, Falzea (Reggio Calabria, 2010), pag. 148, euro 13.00.

lunedì 6 settembre 2010

Il libro del giorno: La psichiatra di Wulf Dorn (Corbaccio)




















Lavorare in un ospedale psichiatrico è difficile. Ogni giorno la dottoressa Ellen Roth si scontra con un'umanità reietta, con la sofferenza più indicibile, con il buio della mente. Tuttavia, a questo caso non era preparata: la stanza numero 7 è satura di terrore, la paziente rannicchiata ai suoi piedi è stata picchiata, seviziata. È chiusa in se stessa, mugola parole senza senso. Dice che l'Uomo Nero la sta cercando. La sua voce è raccapricciante, è la voce di una bambina in un corpo di donna: le sussurra che adesso prenderà anche lei, Ellen, perché nessuno può sfuggire all'Uomo Nero. E quando il giorno dopo la paziente scompare dall'ospedale senza lasciare traccia, per Ellen incomincia l'incubo. Nessuno l'ha vista uscire, nessuno l'aveva vista entrare. Ellen la vuole rintracciare a tutti i costi ma viene coinvolta in un macabro gioco da cui non sa come uscire. Chi è quella donna? Cosa le è successo? E chi è veramente l'Uomo Nero? Ellen non può far altro che tentare di mettere insieme le tessere di un puzzle diabolico, mentre precipita in un abisso di violenza, paranoia e angoscia. Eppure sa che, alla fine, tutti i nodi verranno al pettine...

Documentare il ricordo di Angela Leucci

















Parlare del sindacalista Pietro Refolo, esiliato sotto il Fascismo e principale attore delle lotte contadine nel meridione, nel 2010 non è cosa facile. Soprattutto perché manca un apparato documentario che attesti la sua storia, in un periodo così particolare, in cui discendiamo da una fase politica in cui chi andava al confino nel Ventennio, secondo qualcuno in realtà era andato in vacanza. Eppure c’è qualcuno che non dimentica il ruolo di Refolo nella storia del Salento, facendolo assurgere a simbolo di un’intera genia di uomini che andavano controcorrente, contro il sistema e solo per la salute pubblica: le lotte contadine sono state in fondo l’omologo di quello che avveniva tra gli operai dei paesi industrializzati. In una terra in cui la terra è il bene più economicamente importante, il benessere lavorativo dei contadini non solo garantisce una continuità all’interno del sistema economico chiuso, come poteva essere quello dei primi anni del secolo scorso, ma soprattutto permetteva alle persone di passare dalla servitù alla “dipendenza”, nel senso più moderno del termine. Così a Francesco Luperto, giovane studente di cinematografia a Roma, è venuto in mente di realizzare un cortometraggio su queste tematiche, dal titolo “Pietro Refolo, il volto della democrazia”. La realizzazione del documentario contiene numerose interviste dell’epoca su nastro, le testimonianze di storici e politici, come Ennio Romano, Salvatore Coppola, Piero Schirinzi. Il tutto con intermezzi tratti dalle cronache dell’epoca, scorci delle campagne del nostro Salento: un buon ritratto, sufficientemente (a causa della scarsità di notizie) esaustivo su Refolo, montato da un altro giovane studente di cinema, Giovanni Ermes Vincenti. Il risultato nel complesso è molto buono, anche se alcune scelte possono apparire ingenue o fuori luogo, come quelle musicali, Yann Tiersen a parte, oppure la testimonianza di uno storico che ne filmato si vede palesemente leggere. In sostanza però, trattandosi di uno dei primi lavori, con le attenuanti rappresentate dalla scarsità di mezzi, con cui solitamente i filmaker devono fare i conti all’inizio, il giudizio non può essere che positivo. Soprattutto perché con questo corto, Luperto e Vincenti sono riusciti a raggruppare tutto ciò che esiste della storia di Pietro Refolo, prima che tutto venga smarrito ancor più.

domenica 5 settembre 2010

Teledurruti - Fulvia, Fulvio e Carla Abbate mai più senza fantasia!

Il libro del giorno: Miral di Rula Jebreal (Rizzoli)




















Miral è una bambina, quando tra le mura bianche della città di Gerusalemme le vicende dello scontro tra israeliani e palestinesi cominciano a scandire la sua vita: la morte tragica della madre, il coinvolgimento della zia in un attentato terroristico, la decisione del padre di affidarla all'accoglienza del collegio di Hind Husseini. Sarà questa donna, capace di porsi con ostinata pazienza al servizio del suo popolo, a insegnarle l'ardore della lotta politica e il coraggio di sperare nella libertà, ma anche la saggezza e la pazienza. La storia rievocata da Rula Jebreal sul filo dei suoi ricordi personali unisce tre generazioni di donne accomunate da un destino che è quello di un popolo e di un Paese. Nadia la ribelle, Fatima la combattente, Hind la tessitrice di futuro. E Miral il cui nome arabo è quello del tulipano giallo dal profumo inebriante, che sboccia nel deserto dopo la pioggia. Come l'autrice di questo libro. Miral conoscerà i pericoli dell'impegno, vedrà amici morire e altri perdersi nell'illusione della lotta armata, e come lei sarà salvata da un amore più forte, quello per la verità. Scegliendo la carriera di giornalista dovrà farsi sorda alle sirene della passione e dell'appartenenza e affrontare la scelta dolorosa dell'esilio. Il romanzo vero di una pluralità di vite, una scrittura capace di evocare colori e profumi di un passato perduto e tutta la nostalgia per un futuro di pace che sembra destinato a non arrivare mai.

Mai lontano dall’istante di Leandro Picarella (LietoColle)















«Gli arpeggi si ripetevano, /continuamente,/ si ripetevano./ I suoni crescevano./ Rumori./ Sibili di venti lontani./ I canti mai cantati/ dritti al cuore./Gli occhi chiusi senza un motivo,/umidi senza un motivo,/ o forse un motivo che non ricordavi.» Sono i versi di Leandro Picarella in “Mai lontano dall’istante” (LietoColle, 2010).

L’Istante è una vera e propria catastrofe per quanti ritengono prezioso il Tempo, sia perché viene messa a dura prova la forza e la possibilità del pensiero stesso, sia perché esso è il vero e proprio “point breack” del logos filosofico e poetico dell’uomo, la pietra d’inciampo, che fa capitombolare la logica lasciando libero spazio e arbitrio al Caos.

Nell’Istante la Poesia ad esempio prende in visione ogni singolo accadimento del reale, lo riempie di significato e luce, tanto da nascondere tutte quelle deboli prospettive dell’anima che non sono in grado per propria forza di guardarsi allo specchio del proprio io poetante e superarne i confini. Sulla metrica dell’Istante esce ora per LietoColle una bella raccolta di versi di Leandro Picarella, dal titolo emblematico di “Mai lontano dall’istante“.

Il volume si compone di cinque sezioni, rispettivamente TRINACRIA, FRAGILEMARE, ULTIMO STRATO DI PELLE, SCALFITTURE, CENTO GIORNI E CENTO NOTTI. Leandro Picarella è nato ad Agrigento nel 1984. Dal 2006 vive e lavora a Firenze. Ha vinto nel 2009 il premio letterario Vita Nova di Lido Adriano (RV). “Mai lontano dall’istante” è la sua opera prima. Si tratta di poesie che pongono problemi e domande a chi vuole imparare a capire la vita. E se si segue la strada tracciata dall’autore, bisogna star pur certi che ci si imbatterà in percorsi non sempre agevoli, anzi forse pericolosi, e compagni di viaggio che quasi mai saranno solidi appigli o spalle a cui affidarsi nei momenti di difficoltà.

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sabato 4 settembre 2010

Il libro del giorno: I segreti del Vaticano di Corrado Augias (Mondadori)





















Il termine "Vaticano" evoca immediatamente l'immagine dell'immensa piazza antistante la basilica di San Pietro e il monumentale colonnato che l'abbraccia. Tra i fedeli cattolici evoca anche la finestra da cui il papa benedice la folla festante. Ma il Vaticano è molto di più. Stato di diritto tra i più piccoli al mondo, minuscola città dentro la vasta città di Roma, di cui ha condiviso le vicissitudini e di cui costituisce "l'altra faccia", ha una lunghissima storia, ricca di chiaroscuri e di personaggi più o meno limpidi. E insieme a incredibili tesori artistici, custodisce nei suoi palazzi molti segreti legati a vicende antiche, recenti e contemporanee. Si inizia con Nerone e i primi cristiani sullo sfondo della Roma imperiale per passare poi a Costantino: la sua famosa e apocrifa donazione al papa ha per secoli rappresentato l'atto di nascita del potere temporale della Chiesa. La galleria dei personaggi è ricchissima. Oltre a templari, gesuiti, inquisitori e membri della potente Opus Dei, ci sono, naturalmente, i papi. E con loro gli artisti, ingaggiati per testimoniare, più che la gloria del Creatore, quella del committente. Un tratto sembra legare, agli occhi dell'autore, tutte queste vicende, le più antiche e le più recenti: la commistione fra cielo e terra, fra spiritualità e potere temporale, e il prezzo altissimo che la Chiesa cattolica, unica religione fattasi Stato, ha pagato e paga nel tentativo di conciliare due realtà difficilmente compatibili.

Teledurruti - Fulvio Abbate è sotto attacco da parte di hacker!!!

Daniele Gatti: attore un mistero da non svelare. Intervista a cura di Alessia e Michela Orlando



















Lei:

Ascolta, tu vedi l'universo spostarsi come un inesorabile cronometro, ma se guardi più intensamente scoprirai che esso nasconde una qualche forma di meraviglia.

( da: La zattera, atto unico di Giorgio Sangiorgi, scaricabile gratuitamente in: http://www.innovari.it/scet.htm )



DANIELE GATTI: ATTORE

UN MISTERO DA NON SVELARE

Una Lectio Magistralis di Daniele Gatti:


una intervista in cui si parla del viaggio a Lourdes di un laico: Mario Soldati; di musica; di come si impara la professione dell’attore; dove si dice molto e tanto altro lo si tiene celato, così come fa il cielo con parte delle sue regole.

Scrive Baudrillard, e ce lo insegna Umberto Galimberti nel suo Le cose dell’amore (pag. 54): L’osceno è la fine di ogni scena […]. Se tutti gli enigmi sono risolti, le stelle si spengono. Se tutto il segreto è restituito al visibile, all’evidenza oscena, se ogni illusione è restituita alla trasparenza, allora il cielo diventa indifferente alla terra […]. Non è più una prostituzione sacra, ma una sorta di lubricità spettrale.

Per noi l’obiettivo di una intervista è, di solito, lasciare intravedere ciò che si cela dietro un corpo, dietro le parole, che è molto più affascinante dell’ostentazione in piena luce. Se, poi, l’intervistato è un attore, tutto ciò assume ancor più rilievo e forse anche un senso simbolico.

Nel caso di Daniele Gatti il gioco si è sviluppato in maniera singolare: non c’era in programma l’intervista. Il primo contatto è da ascrivere tutto ai suoi meriti. Ha detto, più o meno: Michela, so che sei a Grenoble, ci sono anche io e ci resterò fino a gennaio. Mi farebbe piacere coltivare qualche progetto con te, da realizzare nelle classi in cui insegni l’Italiano. È bastato un attimo per capire chi ci fosse al di là dello schermo, dietro una mail; un attimo solo per svelare il peso specifico di un Attore: il tempo di gettare uno sguardo al suo sito, alle foto, al curriculum. Eppure, come tra un attimo chiunque potrà leggere, Daniele sa che non si finisce mai di imparare. Ce lo insegna, infatti, quando a domanda risponde: Sei molto gentile, ma non ritengo di aver raggiunto alcun livello particolare. La carriera artistica si costruisce giorno per giorno, è un continuo cammino e come dice qualcuno: “il viaggio è la sola destinazione!” Di strada da fare ne ho tanta, lo so bene.

Naturalmente il cammino artistico non è dissimile dal cammino nella vita e Daniele mostra l’attaccamento alla vita nella voglia di essere solare, di dare rilevanza alle zone luminose che lo pervadono; così come fa quando vuol continuare a essere bambino (operazione agevolata dalla compagnia dei bambini). È, la sua, una passione limpida diretta verso la vita e l’arte, che ci fa ricordare lo Stendhal: La passione non è cieca è visionaria (L’amore), che lo stesso Umberto Galimberti usa come esergo a pagina 113 del suo Le cose dell’amore. Ma la passione non sottrae a Daniele Gatti la capacità di essere concreto e di vedere lucidamente, ad esempio, i problemi degli attori in Italia. Egli ci ricorda gli antichi greci, che scoprirono la bellezza quando si avvidero dell’esistenza dell’Universo. Fu questa scoperta, l’esistenza di un “ordine bello”, ciò significa Kósmos, a far capire l’importanza di emulare l’equilibrio che si rinviene nei cieli. È da ciò che, peraltro, nasce la voglia di dare origine alla filosofia; l’urgenza di darsi delle regole che incidessero anche nei rapporti sociali, così come nei cieli si rispettano delle regole che danno l’equilibrio. Ciò accadde anche nel mondo dell’arte: affinché l’opera sia davvero d’arte è necessario che siano presenti elementi formali simmetrici. Elementi che si rinvengono nei cieli. A noi pare che a questa regola aurea alluda Daniele Gatti quando ci narra della sua esperienza. E ci pare lo faccia anche quando non svela quali siano i suoi desideri. Ma il desiderare non allude forse alle stelle? La risposta è si; ed è tanto vero e affascinante che anche nei cieli vi sono ancora misteri da svelare. È ciò che ci fa ancora alzare lo sguardo ed è per questo che l’Attore Daniele Gatti può ancora interessarci: anche per quel che non dice e non mostra della sua personalità.



L’INTERVISTA

D. Qual è il luogo di Genova che più rappresenta le zone oscure di te?

Preferisco dire qual è il luogo di Genova che più rappresenta la mia parte luminosa. Si tratta di un parco bellissimo legato alla mia infanzia: Villa Durazzo Pallavicini a Pegli.

D. E quello dove emergono più facilmente, almeno in parte?

Anche a questa domanda mi piace rispondere in senso “luminoso”. Direi che più che di un luogo si tratta di una categoria di persone: i bambini. Quando mi trovo in compagnia dei bambini sto bene, hanno la capacità di fare emergere immediatamente il mio lato solare ed il bambino che è in me...

D. C’è un altro luogo al mondo che ti piacerebbe avessimo usato quale set delle precedenti domande?

Non saprei

D. C’è bisogno del tuo orecchio. Ascolta questa canzone. Basta il primo minuto. Ti va di recitarci l’incipit di ciò che ti richiama alla mente o dirci un tuo pensiero?

http://www.youtube.com/watch?v=31AxHeYEDxc

Bella canzone, grazie, non la conoscevo. Mi ha ricordato un viaggio in moto di qualche anno fa. Me ne andavo verso Sutri. Ricordo la strada fitta di alberi e il sole che filtra tra i rami, magnifico.

D. E quest’altra cosa ti suggerisce?

http://www.youtube.com/watch?v=HM_AiUBAwM0&feature=related

Questa canzone invece la conoscevo!…stimola la mia voglia di giocare.

D. L’orecchio, la voce, il linguaggio gestuale, quanto contano per un attore?

Sono gran parte di ciò che serve non solo ad un attore, ma più in generale a ciascun uomo per esistere. L’ascolto di sé e dell’altro, i gesti anche piccoli, il calore di una voce sono poi le stesse cose alla base dell’innamoramento, sono essenziali.

D. E la carne, il corpo?

Nel linguaggio dei gesti includo anche il corpo. Spesso il corpo parla di più quando è fermo, immobile, non solo sul palco o nel cinema ma anche nella vita di tutti i giorni. Anche quando è morto il corpo parla. Pensa alla pittura. Guarda la meravigliosa Pietà di Caravaggio. Qui l’artista raffigura Gesù deposto dalla croce. E’morto, il suo corpo ha un peso e continua ad esistere, ad emanare luce, e ci ricorda che Dio “si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”. Credo che quando si dice che “il corpo è il tempio dell’anima” si intenda anche questo e per questo va rispettato, onorato. Questo corpo, il corpo, ci parla. Sempre.

D. Dal tuo curriculum notiamo (senza meraviglia, giacché anche noi con Ruggero Cappuccio e Claudio Di Palma partecipammo a uno stage di fioretto con l’olimpionico napoletano del 1990 Sandro Cuomo) che nel 2006 hai partecipato a un corso di scherma (spada). È utile farlo per il teatro e l’essere attore in genere?

L’idea di sperimentarmi in cose sempre nuove mi stimola molto e nello sport mi annoio facilmente, così ho spesso voglia di cambiare, anche per acquisire nuove abilità che potrebbero essermi utili. La scherma la conoscevo già per via di mio fratello. Mi ci accostai per preparare un provino di cinema nel quale richiedevano quest’abilità. Del film non se n’è fatto niente, ma alla spada mi sono appassionato e ho continuato per due anni. E’ uno sport bellissimo e ritengo sia una grande disciplina per tutti coloro che la praticano e in modo speciale per l’attore. L’attenzione deve essere totale, è richiesto di stare sempre sull’altro, senza distrarsi mai, come nella recitazione. Ogni azione permette tante possibilità di reazione, c’è ritmo, ma senza alcuna fretta. La cosa che più mi piace di questo sport è il rispetto per l’avversario e penso che sia fra i migliori sport che si possano far praticare ad un bambino.

D. Per divenire un bravo attore e giungere ai tuoi livelli, basta seguire studi accademici, partecipare a corsi-stage, laurearsi, andare spesso a teatro, leggere molto? Potrebbe essere utile andare a bottega?

Sei molto gentile, ma non ritengo di aver raggiunto alcun livello particolare. La carriera artistica si costruisce giorno per giorno, è un continuo cammino e come dice qualcuno: “il viaggio è la sola destinazione!” Di strada da fare ne ho tanta, lo so bene.

Il mio percorso artistico è un po’ inusuale perché sono entrato alla Scuola di Recitazione che già avevo lavorato un po’, ero stato “a bottega”, come dici tu, e questo ha reso tutto più difficile. Mi sentivo senza radici e dovevo cercare di spogliarmi di tutto ciò che avevo malamente appreso per rendermi disponibile, malleabile all’insegnamento. E’stata dura. Perché quando si è insicuri si è anche superbi. In questo senso penso che la Scuola del Teatro Stabile di Genova grazie ai suoi bravi insegnanti mi abbia davvero formato dandomi degli strumenti che giorno per giorno faccio miei, adattandoli e arricchendoli con le mie esperienze.

Penso che studiare, leggere molto, andare a teatro e al cinema siano cose molto importanti, tutto ciò che ci fa crescere e riflettere è necessario, e non solo per l’attore! L’attore però mettendo in scena un personaggio con le circostanze che gli sono date -per come la vedo io- si trova ad incarnare (sul palco o dietro la telecamera) vari archetipi dell’uomo nei diversi aspetti della sua personalità e questo comporta una grande responsabilità e anche una disponibilità all’approfondimento. Certamente non si può vivere tutte le vite, ciascuno di noi ha dentro di sé l’essenziale da cui partire per lavorare su un personaggio, ma per quanto mi riguarda, ho sempre trovato che coltivare i miei molteplici interessi mi è stato d’aiuto sul lavoro, per capire meglio le circostanze di un personaggio e le sue istanze, le ragioni che lo muovono e gli fanno dire certe cose. In fondo, come dice Neruda “La mia vita è una vita fatta di tutte le vite”.

Le raccomandazioni servono o danneggiano anche chi le riceve?

Circa le raccomandazioni non ti so dire perché non ne ho mai ricevute, mi sono sempre sudato quello che ho fatto e - senza sentirmi migliore – ti confesso che ciò mi procura una felicità piena. A volte è capitato che registi che si sono trovati bene con me abbiano segnalato il mio nome ad altri per un progetto. Questo è bello, è un segno che hai lavorato bene, seriamente. Una conferma importante. Poi c’è sempre da superare l’audizione. Credo che quello delle raccomandazioni sia un problema molto italiano e, comunque, se non c’è del talento alla base, le raccomandazioni non possono garantire una carriera duratura. Il cielo è pieno di meteore, ma per costruire la casa sulla roccia la strada è lunga e bisogna lavorare molto.

D. Improvviso cambio di scena: nessuno dubita che Mario Soldati sia tra i più fini ed eleganti scrittori che l’Italia abbia mai avuto. Scrisse anche di un viaggio UNITALSI in treno, verso Lourdes (abbastanza critico rispetto al luogo geografico e alle iniziative che vi si assumono); si occupò ad altissimi livelli di cinema; amò gli Stati Uniti d’America. Abbiamo ragioni per credere che ti apprezzerebbe molto. L’ipotesi è questa: è ancora tra noi, cosa scriveresti, sottolineandolo, nel tuo curriculum per proporgli un lavoro?

Non sapevo che Soldati avesse scritto anche di un viaggio a Lourdes, ma conosco questa sua frase: “Tutto il mondo soffre di avere perduto la religione. E quasi tutta la poesia di oggi non è, in un modo o nell'altro, che il rimpianto di una religione perduta”. Non so se fosse realmente critico rispetto a Lourdes, ciò che è vero è che chi affronta quel pellegrinaggio è alla ricerca di un incontro con Dio. Come scrivo nel mio libro, Lourdes è un luogo pieno di contrasti, dove, contrariamente a come avviene nel mondo, le persone sofferenti e gli ammalati, riscoprono la gioia di esistere nell’abbraccio della Vergine Maria. Personalmente in quello stesso luogo anche io ho vissuto un’esperienza intima che amo definire di “conversione”, ma questo te lo racconto un’altra volta…Per rispondere alla seconda parte della tua domanda, penso che se Mario Soldati fosse ancora tra noi gli chiederei innanzitutto di incontrarlo per ascoltare cosa ha da raccontare, poi gli farei delle domande. Infine gli direi che il cinema italiano ha ancora tanto bisogno di lui…

D. Cosa gli proporresti o vorresti ti proponesse?

Beh, un ruolo in un suo film. Inoltre gli chiederei dei consigli sulla base della sua esperienza.

D. A chi altri vorresti proporre una tua idea? E da chi vorresti essere diretto?

Sono tanti i registi con i quali vorrei lavorare o lavorare ancora.

D. Immaginiamo che giungerai alla regia (crediamo tu non l’abbia ancora fatto), prima o poi. Hai in mente qualche progetto?

In realtà ho nel sacco qualche assistenza alla regia e qualche regia mia. Ti dirò che mi piace molto dirigere, accompagnare gli attori alla scoperta di un personaggio. Per questo anche il lavoro di coach mi gratifica.

Al momento sto muovendo i primi passi nella produzione. Ci sono progetti che desidero realizzare, cose che amerei fare e magari non vengono prodotte, così cerco di riempire questo vuoto, anche se fare produzione in Italia non è semplice. Attualmente in questo senso sto lavorando ad un atto unico che ho già presentato con successo in occasione di un evento estivo e poi alla produzione di un testo su San Francesco d’Assisi che ho tradotto e adattato dal francese, e che mi vedrebbe diretto da Jurij Ferrini. Ma parlarne è ancora presto…

D. Credi sarebbe possibile realizzarlo oggi, in questo momento esatto? Quali gli eventuali ostacoli?

Certo che sarebbe possibile! Più che di ostacoli parlerei di ritardi dovuti a ragioni burocratiche, ritardi nell’erogazione dei contributi…ma posso dire di aver trovato anche tante persone in gamba che hanno preso a cuore il mio progetto e fanno quello che possono per sostenerne il valore.

D. Iniziamo un viaggio insieme. Sei bendato. Sulla pelle ti giunge la sensazione che sia aumentata l’umidità. Ti ritrovi in una cella. Vedi solo dei tetti. Capisci che sei a Venezia. Ti ricorda qualcosa?

Sono Otello, alla fine del dramma?…

D. Intendi fuggire. Non puoi fare altro, per evitare il plotone di esecuzione. Hai a disposizione pochi minuti. La pesante porta è aperta. Ma lo è anche l’unica finestra, quella che ti porta sui tetti, appunto. Puoi scegliere anche un’arma da portare (qualcuno le avrà lasciate magari per tenderti un tranello) tra: un coltello arrugginito e sbrecciato; una pistolaccia; una fionda. C’è anche una corda. Quale scegli? Segui le tracce lasciate da Casanova o che fai?

Se sono il personaggio che hai in mente tu prendo la corda e mi calo dalla finestra, anche se molto dipenderà dall’altezza, dato che soffro di vertigini…se invece sono Otello, penso che morirò di dolore.

D. Quale direzione prendi? In quale città e in quale epoca vorrai ritrovarti fra due giorni insieme al cavallo che trovi nei pressi?

Gerusalemme, al tempo di Gesù di Nazareth, vorrei poter ascoltare la sua voce una volta…

D. Il destino, se vuoi il caso o una tua decisione, in un salto spazio-temporale, ti portano nell’attuale Grenoble. Sei davanti a venticinque ragazzini di scuola primaria per insegnare i rudimenti della recitazione. E sono loro a darti la prima lezione: noti i vari colori e hai la prova concreta di quanto il colore della pelle sia un falso problema. Da dove cominci per spiegargli il mondo del teatro? E il mondo tout court? E le ingiustizie?

Beh, mi è già capitato e prima di tutto domanderei loro cosa pensano che sia il teatro…quanto alle ingiustizie del mondo se fanno la scuola primaria ne sanno sicuramente già qualcosa! Poi, credo che li farei salire uno ad uno sulla cattedra, per fargli cambiare il punto di vista, come ne: “L’Attimo fuggente”, film che adoro!

D. Puoi portare in Italia quei venticinque alunni francesi. Dove li porteresti? Chi gli faresti conoscere? Cosa gli faresti mangiare?

Penso che li porterei a vedere il mare dall’alto di una montagna, in Liguria Il golfo visto così sembra un grande teatro antico, no? Circa il mangiare… credo che le trofie al pesto e un pezzo di focaccia genovese almeno una volta nella vita debbano assaggiarli!!

D. Sei certo che quei ragazzini avranno un futuro nel mondo dell’arte. Consiglieresti loro il teatro?

Se vivessero in Italia non credo. Gli attori nel nostro Paese non hanno diritti, nessuna tutela. Sebbene gli intermittenti dello spettacolo siano moltissimi, a nessuno sembra interessare. E certi reality alimentano l’impressione che questo sia un mestiere che tutti possono fare. In Inghilterra e in Francia c’è un’altra dignità anche se il problema esiste. Poi distinguerei la recitazione come professione, che comporta una grande passione e molto sacrificio (non amo molto suddividere in teatro, musical o di cinema, per me l’attore deve spaziare nelle diverse discipline se ne ha la possibilità), dall’hobby che si può fare a livello amatoriale, per se stessi, per conoscersi meglio e più a fondo. Nel primo caso, comunque, è bene non prendersi troppo sul serio!

D. C’è differenza tra la parola a teatro, in televisione, a cinema?

Direi di si. Sono linguaggi completamente differenti perché si servono di mezzi differenti e perché parlano in luoghi diversi. Mi spiego meglio. A teatro il pubblico è lì con l’attore, il corpo e la voce sono predominanti, anche il silenzio lo è. La luce. Al cinema il pubblico è più passivo perché è il regista che sceglie cosa fargli vedere, su cosa spostare la sua attenzione. Ma non è negativo perché nel tragitto verso casa, il film, se è bello, è ancora dentro di noi. Recentemente ho avuto la fortuna di vedere al cinema il primo “Francesco d’Assisi” della Cavani. L’impatto è stato così forte che non sono riuscito a parlare per un giorno intero. Non una parola. La televisione invece deve tenere conto di tante variabili, fra cui la disattenzione di chi ascolta. Chi fa televisione non può prescindere da questo. Anche se alcuni prodotti, sempre meno, sono di buona qualità. Sempre di più, (a mio parere purtroppo), la televisione è continuamente accesa nelle nostre case quasi fosse una della famiglia, con i problemi che questo comporta. Ti confesso che ho scelto di non averla.

D. Ci dici i nomi di tre autori, di tre attori-attrici, di tre teatri da spedire nell’Universo per dire di noi, di questa Terra?

Mammamia. Per dire di noi come siamo oggi? Meglio di no… Se invece intendi nella storia, vediamo… per gli autori: Dante Alighieri, Pascoli e Montale. Per gli attori te ne dico quattro: Laurence Olivier, Klaus Kinskj, Eleonora Duse e Jeremy Irons. Quanto ai teatri non riesco a scegliere.

D. C’è un testo che vorresti recitare e non ti è stato ancora possibile farlo?

Sì, ma sembra che presto ce la farò!

D. Ci avviamo al termine. Facciamo una ipotesi concreta. Abbiamo un testo che l’autore ci ha messo a disposizione dicendoci testualmente: questo testo è a vostra disposizione; fatene ciò che vi va. Io sospendo il progetto di metterlo in scena a Bologna.

Noi lo abbiamo letto con attenzione e giacché vi gioca un ruolo fondamentale il mare, crediamo debba essere letto da un attore che sappia riconoscere l’odore della salsedine tra mille altri. Ecco: noi decidiamo di farlo leggere a te. Tu, che non ci conosci e nulla sai dell’autore, lo leggeresti davvero?

Certamente, ne sarei lusingato.

Valuteresti la possibilità di metterlo in scena senza pregiudizi?

Valuterei. Se non mi piacesse però, lo direi.

Sarebbe più semplice se a proportelo fosse, ad esempio, Alessandro Gassmann?

Per valutare, generalmente, uso altri criteri…vuoi chiedermi qualcosa? J

Quali potrebbero essere i problemi da dover affrontare e risolvere, se il testo potesse non solo essere adatto a te ma avesse anche serie possibilità di successo?

Se fosse così non ci sarebbero problemi da affrontare, sarebbe molto bello, no?

E qualora si decidesse di allestire una messa in scena, sarebbe necessario un piano di comunicazione professionale o basterebbe il tam tam?

Bisogna chiarire cosa si intende per professionale. Quando lavoro preferisco un’equipe di attori professionisti per tante ragioni, ma soprattutto per rispetto nei confronti del testo, del lavoro e di me stesso. Perché recitare per me non è solo una passione, è anche un lavoro e il lavoro ha delle regole. Per divulgare l’evento certamente il tam-tam è importantissimo, lo uso spesso anche io.

D. Ultima domanda. E stavolta desideriamo che tu torni bambino: ecco, questa è la vera Lanterna Magica. Sfrega pure, sai cosa sta per succedere…

Si, ma non lo dico…

venerdì 3 settembre 2010

Premio Vittorio Bodini: da Mario Desiati a Giulio Ferroni












L’appuntamento volto a dare lustro e commemorazione al poeta salentino Vittorio Bodini, che ha segnato un importante fase della letteratura italiana, della poesia e della cultura del Novecento, ritorna puntuale come ogni anno nel Comune di Minervino.

L’iniziativa ha visto nelle passate edizioni, il susseguirsi di personaggi illustri: i poeti Elisa Biagini, Milo De Angelis, Maria Gallinari, Michele Mirabella, Antonio Errico, Piero Manni, Donato Valli, Lucio Giannone; l’attore Bruno Armando, Calantonio Mozzanti.
Nelle ultime edizioni ha premiato Carmen La Sorella e Tiziano Scarpa.

Per l’edizione di quest’anno, nella ricorrenza del quarantennale dalla morte del poeta (e in occasione della terza riedizione delle Opere Complete), il Comune di Minervino, intende dare maggiore visibilità all’evento e dare continuità al progetto, rivolgendo il premio verso una platea sovraregionale. A tal proposito, presso le sale dell’ex convento di Sant’Antonio verrà allestita una retrospettiva dedicata al Poeta, dal titolo “ Bodini: ritratto di un tempo”. La mostra allestita con il materiale gentilmente concesso dalla Famiglia, raccoglie disegni, lettere e ritratti del Poeta, le opere dei fratelli Barbieri, documenti attestanti il rapporto di amicizia e di collaborazione artistica tra Bodini, Lorca e Alberti. E a questo sodalizio artistico è dedicata una sezione specifica della mostra su concessione dell’Museo Provinciale.

Il vernissage della mostra è previsto per il giorno 4 settembre, ore 19.30
intervengono
Livio Muci (per Besa Editrice, la casa editrice che pubblica le opere complete di Vittorio Bodini)
Giulio Ferroni (storico della letteratura, critico letterario e giornalista autore del recente “Scritture a perdere”, Laterza, 2010)
Laura Marchetti (antropologa)

A seguire la proiezione del Film DON GIOVANNI, regia di Carmelo Bene, con l’inedito VITTORIO BODINI attore.

Domenica 5 settembre, a Cocumola (Minervino – Lecce) il calendario degli appuntamenti prevede la presentazione del libro di Giulio Ferroni "Scritture a perdere. La letteratuta negli anni zero".
Introduce Rosella Santoro.
A seguire Ilio Palmariggi presenta la V edizione del PREMIO BODINI, che sarà conferito allo scrittore Mario DESIATI (Fandango), scrittore e critico letterario.
Un riconoscimento speciale verrà consegnato a Luisa Ruggio (autrice di “Afra”, “La nuca” e del recente “Senza storie”, Besa Editrice/Controluce). Le letture delle poesie di Bodini saranno a cura di Paola Gassman, le musiche di Daniele Durante.

L’evento, curato dall’ag. TITANIA di Lecce, rientra nel programma della terza edizione del FESTIVAL ERGO SUM, curato da Alessandra PIZZI, con il patrocinio della Provincia di Lecce.

Il Premio Bodini, si avvale altresì del co- finanziamento della Regione Puglia, Assessorato al Mediterraneo.

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