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G. W. F. Hegel, Prefazione alla
Nel periodo che va da maggio ad ottobre
Ci sono romanzi bellissimi che restano a lungo - involontariamente - segreti, vivono una vita propria, invisibile, scavano un percorso parallelo a quello dei titoli urlati, sovraesposti.
E’ difficile per questi libri uscire dal buio dell’anonimato, trovare il pubblico che meritano, avere fortuna.
E’ il caso del romanzo di Mayumi Hattori, la scrittrice giapponese scomparsa nel 2007 e praticamente sconosciuta in Italia, “salvata” dalla casa editrice Controluce che ha pubblicato“L’oscurità e la luce“, (Pagine 216, ISBN:978-88-6280-010-5 euro 15,00) un romanzo la cui potenza è resa perfettamente grazie alla traduzione di Daniela Guarino. Mayumi Hattori ha regalato ai lettori che sapranno cercare “L’oscurità e la luce“, un romanzo magnetico, polare, che costruisce con semplicità - pagina dopo pagina - il gioioso piacere di leggerlo vivendo nella propria mente una straordinaria rivoluzione percettiva, man mano che la storia si impone attraverso la dimensione del narrare. Il romanzo è il flashback di una bambina cieca, Reia, confinata in un mondo minimo - come la torre inaccessibile di Rapunzel - con il padre, un re spodestato che insieme all’inquietante guardiana Dafne e al cane Dark costituisce il suo unico contatto con il mondo. Un mondo trasfigurato dalla letteratura, dalla musica, gli odori e l’arte che scandiscono le stagioni dell’infanzia e l’adolescenza di Reia fino a restituirle un altro tipo di sguardo, delicato e profondo, che sposta anche il punto di vista del lettore trascinandolo, quasi eroticamente e senza i soliti trucchi, nella sfera del sogno e della proiezione, attualizzando il mito di Tiresia di cui scrisse anche Ovidio nelle Metamorfosi ( l’indovino reso cieco dalla dea Era per aver svelato - dopo essere stato tramutato in femmina per sette anni - che la donna prova un piacere sessuale maggiore a quello dell’uomo) e tenendo testa al carismatico “Demian” di Hermann Hesse, il capolavoro dal quale fa capolino Abraxas, il Dio demone della Gnosis. La quarta di copertina, cautamente, non svela i colpi di scena e i tanti livelli di lettura di questo romanzo-pozzo, “Konc yami to hikari” il titolo originale dell’opera che rimarca la transessualità del linguaggio senza mai abusarne e, anzi, con la leggerezza tipica dei film d’animazione di Hayao Miyazaki e i thriller psicologici di Hitchcock, David Lynch e, per la qualità ambigua delle atmosfere emotive fa pensare a “La moglie del soldato” di Neil Jordan.
In un mercato editoriale saturo di adolescenti che raccontano la perdita dell’innocenza, “L’oscurità e la luce” di Mayumi Hattori traccia il percorso inverso, la conquista dell’innocenza e la tensione sessuale, magistralmente sospesa, tra Reia e il suo mentore padre-sovrano che ricordano un’altra strana coppia magica, raccontata da Luc Besson nel film “Léon“, la ragazzina Mathilda e il sicario che la adotta dopo aver assistito all’assassinio dei suoi genitori. Non si può parlare fino in fondo di questo libro senza rivelare troppo della sua trama mozzafiato, bisogna dire che non è una storia staccata dal quotidiano. Leggendola viene in mente il romanzesco e la psicanalisi che si annidano in tanta cronaca contemporanea, un’osmosi che sembra la conseguenza naturale di un’eredità gotica, basti pensare al caso in dubbio di Sindrome di Stoccolma di Natascha Kampusch, la ragazza austriaca che nel 2006 diventò popolare dopo essere fuggita dal rapitore che l’aveva fatta letteralmente sparire nel 1998,
Elido Fazi, Acquasanta Terme (AP), 1952. Economista e scrittore, è il fondatore della Fazi Editore, per i cui tipi ha tradotto il poema epico in versi sciolti La caduta di Iperione di John Keats, e ha pubblicato L’amore della luna (2005). Nel
Dieci anni fa usciva in Italia Q e tante cose sono successe da allora, tante volte abbiamo pensato a quell'omnia sunt communia che lo caratterizzava, gli stessi Wu Ming ne hanno ragionato a più riprese fino a far nascere questo Altai (e ritardando così il secondo capitolo della trilogia iniziata con Manituana) che lo riprende, lo richiama, ma ne sposta, in modo molto efficace, il punto di vista, l'ambientazione e le conclusioni politiche :
(non farò commenti su questo punto, rischio di dire cose sbagliate come è già successo per Manituana (http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap12_VIIIa.htm).
Aggiungo un'ultima cosa: la bellezza di certe frasi che restano appiccicate addosso a chi legge, la bellezza di certe immagini vivide e, soprattutto, la bellezza della lingua usata sapientemente per rendere quel crogiuolo di civiltà e di popoli che era il mar Mediterraneo nel XVI secolo.
Un libro bellissimo, una prova entusiasmante per il collettivo Wu Ming, giunto ormai ad una piena maturazione artistica che porterà in futuro sicuramente altre storie memorabili come questa. Leggete, meditate e diffondete.
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Ormai non mi stupisco più di alcun viaggio. Solitamente, se c’è da andare vado, mi affido e vado. Scelgo il conducente e vado. Mi accade con i libri e non solo. Ma se la partenza sempre mi riempie di curiosità, l’arrivo solo di rado mi è affine. Questa volta con “ Le ragioni della passione”, nuova raccolta di scritti firmati da Antonio Errico per Kurumuny editore, non si è trattato soltanto di viaggiare, ma di progettare il viaggio fin nei più piccoli dettagli. Il percorso mi è parso sin da subito familiare quanto arduo. Affascinante senza ombra di dubbio. Si tratta, è bene dirlo con chiarezza, del percorso più importante della vita: quello della didattica, della formazione. Pane quotidiano per Antonio Errico, dirigente scolastico di consolidata esperienza, per me nuova, desiderata e sapida abbuffata. Un cammino elaborato per tappe e poi custodito come uno scrigno in questo volumetto prezioso, di un Errico Maestro, che sa moltiplicarsi in un caleidoscopio di citazioni, stimoli, memorie, desideri. Tre le chiavi didattiche offerte dall’autore quelle contraddittorie e per questo ancor più sapide della Verità/ della Menzogna, quella del Bene/ del Male, quella della Bello/ e del Brutto. E dunque tutto il vivere che c’è nel mezzo espresso in piccoli saggi. Si parte dal Novecento, favola triste ormai giunta alla su conclusione, qui percepita come groviglio da districare. Si procede un bandolo per volta. La verità, il bene, il bello del Novecento. Poi l’alba degli anni 2000, la sua frattura, il suo cinismo, la sua solitudine. È Edgar Morin ( in realtà Edgar Nahoum) la prima guida scelta da Errico per accompagnare il lettore lungo sei snodi filosofici di tipo interdisciplinare e sociologico, che partono dal passato per guardare al futuro. Snodi quali la naturale cecità della conoscenza, ad esempio, che ci obbliga oggi ad insegnare alle generazioni future che sforzarsi di conoscere è (e sarà) sempre insidioso. Ogni discente, ribadisce con forza Errico, deve imparare a confrontarsi con la parzialità delle cose, con la loro illogicità, la loro frammentarietà, perché da quella naturale cecità deriva un obbligo assoluto a comporre frammenti, cocci di un vaso in frantumi, sviluppando sempre più adeguate tecniche di composizione. La condizione umana è di per sé molteplice e va intesa come confronto dinamico tra nessi culturali, infatti, e così anche la terra. Siamo parte di una identità terrestre complessa. Viaggiamo su questo pianeta e di questa composizione materiale e spirituale non possiamo non tener conto. Pertanto l’etica del genere umano deve essere un’aspirazione morale, una volontà ferma, una forma di oculata obbedienza alla forza della vita stessa di cui siamo parte, che dovrebbe indurci alla solidarietà, alla comprensione, alla compassione. Da molti è stato detto che una società si sviluppa da sempre solo in condizioni di solidarietà. Errico, da grande romanziere quale è, sa bene che la letteratura, come la vita, è compassione e che questo può (deve) essere insegnato. E da questo viaggio deriva il nostro futuro.
Apprendimento e racconto. Apprendimento e libri. Se ne deduce con gioia che la scuola a cui aspira Errico è una scuola che insegna a leggere, secondo un’etica superiore che aspira a dare nuovo valore (e nuovo vigore) alla pagina e spinge il lettore verso l’esterno, verso il mondo, verso le necessarie relazioni umane, verso sempre nuovi viaggi. Anche attraverso il conflitto, o il dubbio o la noia. Persino attraverso l’apparente silenzio. Perché al centro del mondo non c’è l’uomo, ma piuttosto la ricerca della migliore rappresentazione del mondo stesso.
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