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martedì 3 novembre 2009

L'influenza Suina A/h1n1 e i pericoli della vaccinazione antinfluenzale del dott. Roberto Gava (Macro edizioni)

Tutto quello che devi sapere per tutelare davvero la tua salute e quella dei tuoi cari:
● l’influenza A/H1N1 è molto contagiosa ma poco pericolosa;
● i vaccini antinfluenzali sono praticamente tutti inefficaci e comunque meno utili delle più comuni e banali misure di igiene personale;
● i vaccini antinfluenzali e i farmaci antivirali possono essere molto pericolosi per alcuni soggetti;
● il vaccino contro l’influenza A/H1N1 è totalmente inaffidabile, sia perché non è stato sufficientemente sperimentato, sia perché la sua efficacia è del tutto teorica, sia perché la sua innocuità è completamente ipotetica e infine perché sarà un vaccino che conterrà alte dosi di mercurio e di un adiuvante tossico che è stato aggiunto per cercare di accrescerne la bassissima efficacia;
● l’irremovibilità con cui l’OMS porta avanti la sua politica pro-vaccinazione di massa è tanto sospetta quanto antiscientifica e molti ricercatori si chiedono cosa si nasconde dietro questa vaccinazione. Già da alcuni anni i mass media trasmettono notizie allarmanti su possibili infezioni pandemiche che dovrebbero provocare milioni di morti. In questi ultimi mesi anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha preso una posizione più definita del solito nei confronti dell’influenza A/H1N1, detta “Suina”, che ha inspiegabilmente e fin da subito chiamato “Pandemia 2009”. In realtà, se si va alle fonti delle varie notizie, se si analizzano obiettivamente i dati scientifici disponibili confrontandoli con quelli della comune influenza stagionale e se si interrogano gli esperti di virologia e di epidemiologia, emergono subito molte evidenti contraddizioni. Ogni persona ha non solo il diritto, ma anche il dovere, di informarsi adeguatamente su questo argomento, sia per dare il proprio vero “consenso o dissenso informato” alla vaccinazione, ma anche per consigliare i propri familiari che non potranno né informarsi né proteggersi: i bambini e gli anziani. Questa pubblicazione nasce da un attento e approfondito studio di tutta la letteratura scientifica sull’argomento e, in particolare, è il frutto della consultazione dei ricercatori che sono notoriamente indipendenti dalle spinte commerciali che muovono i grandi interessi sanitari. Oggi non possiamo più credere a priori ai mass media, ma neppure ai grandi enti governativi che dovrebbero salvaguardare il nostro bene. Noi siamo i primi responsabili della salute nostra e dei nostri figli e se demandiamo ad altri il compito di salvaguardarla, rischiamo di perderla, talvolta anche in modo irreversibile.



Criteri scientifici di orientamento - Tutto quello che devi sapere per tutelare davvero la tua salute e quella dei tuoi cari

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lunedì 2 novembre 2009

Figure della Conoscenza in Horcynus Orca di Ignazio Licata














Né si deve trascurare quest'altro, cioè che la Sfinge fu vinta da un uomo dai piedi bucati, infatti gli uomini in genere procedono troppo velocemente e con troppa furia a risolvere gli enigmi della Sfinge; onde avviene che,avendo la Sfinge la meglio su di loro, essi si lacerino l'animo e l'ingegno in dispute, invece di dominare sulle opere e sugli effetti.
Francis Bacon - De Sapientia veterum (1609).


La discussione di una curiosa anomalia è una premessa necessaria per trattare i temi epistemologici di quello che è forse, per natura e destino, uno dei più complessi e singolari testi della letteratura contemporanea, “Horcynus Orca” di Stefano D’Arrigo (1919-1992), libro il cui mito aumenta in proporzione misteriosamente inversa al numero di lettori che ne accettano davvero la sfida. L’anomalia rilevata in questa premessa, la sottovalutazione dei complessi rapporti tra letteratura e conoscenza, potrebbe contenere un indizio di spiegazione della proporzione inversa. Si può discutere all’infinito (e lo si è fatto!), sul rapporto tra il cosiddetto “crollo delle ideologie” ed i mille rivoli di quella che ormai il mercato identifica come “letteratura contemporanea”, ma è innegabile che la trasformazione del sospetto in critica e poi della critica in processo ermeneutico illimitato, hanno favorito una convergenza asintotica tra “filologia” e furbizia mercantile, processo analizzato ad esempio dalle argute pagine di H. Bloom (Bloom 2008). Nel sistema contemporaneo autore e testo sono una palestra d’addestramento per l’esercito di “note a margine” che ha sostituito il confronto tra autore e lettore. Il “critico” non è più il mediatore culturale i cui strumenti favoriscono l’incontro tra il testo e il tempo, ma è piuttosto il funzionario che ammanta di pre-testi ( in senso letterale!) la definizione dell’opera, del suo lettore e le precise modalità d’incontro tra i due. E’ un gioco delle “perle di vetro”, un sapere la cui apparente pervasività è scambiata per ricerca di connessioni ed aspirazione all’onnicomprensività, situazione lucidamente analizzata da Hesse nella sua migliore ( e dunque meno conosciuta) opera. Pagine troppo “attuali” per non essere tentati di citarle brevemente qui. Nella “cultura della terza pagina (…) alimento principale dei lettori bisognosi di cultura”, saggi e libri vengono prodotti “su scala industriale” (…) gli autori di quei futili giochetti (…) spesso avevano persino nome di poeti, ma pare che molti di loro fossero anche scienziati e addirittura professori universitari di gran fama. Gli articoli trattavano di preferenza aneddoti tratti dalla vita di uomini e donne celebri e i loro carteggi ; s’intitolavano per esempio ‘Friedrich Nietzsche e la moda femminile intorno al 1870’ o ‘I cibi preferiti dal musicista Rossini’(…) Erano pure ricercate le considerazioni storiche su argomenti attuali nella converazione dei benestanti (…) ci si meraviglia non tanto che esistessero uomini i quali le trangugiavano come lettura quotidiana, quanto piuttosto che autori di grido, di alta levatura e di buona preparazione culturale contribuissero a fare ‘servizi’ (…) per sopperire al gigantesco consumo di quelle interessanti futilità:il termine, del resto, indicava anche il rapporto fra l’uomo e la macchina.(…) la grande massa che a quel tempo sembra sia stata avida di letture accoglieva senza dubbio tutte queste cose grottesche con serietà e in buona fede”(H. Hesse, “Il Giuoco delle perle di vetro, trad. E.Pocar, Mondadori, 1955). Che tipo di bisogno soddisfa questa “letteratura”? Sicuramente quello di gratificare l’ “io” costruendo intorno ad ogni sua scelta operata per gusto, condizione sociale ed economica, vezzo, pigrizia, noia, paura, una rete di consensi tale da poter essere barattata con un “noi” abbastanza omogeneo da offrire una sensazione di appartenenza, ed insieme sufficientemente “significativo” da individuare una “collocazione” culturale “importante”. E tutto questo indipendentemente da ciò che si legge: il lettore deve avere l’illusione che ogni testo scelto nell’universo ipersferico del mercato contemporaneo sia “qualificante” ed attesti una perspicacia intellettuale rara. Una “notte” hegeliana illuminata al neon dove tutti i libri sono buoni, almeno per una stagione.
In questo panorama si inscrive lo sviluppo impetuoso della divulgazione scientifica come genere culturale autonomo, dove l’accezione di “autonomo” va intesa nella maggioranza dei casi come narrazione promozionale intorno ad un piccolo nucleo di scienza. Anche in questo caso, “scrivere di scienza” non ha nulla a che fare con quello che effettivamente fanno gli scienziati e con la complessità artigianale del loro lavoro, ma è piuttosto il veicolo per passare al pubblico un “messaggio” esiziale di conoscenza “oggettiva”, l’evocazione della dimensione lontana ed un po’ infantile del “codice cosmico” decifrato, immagine rassicurante in un mondo di certezze vaghe ed identità “liquide”. (una bella descrizione delle false immagini della scienza è contenuta in Zbilut & Giuliani, 2009).
Inevitabile che i contatti tra arte, letteratura e scienza diventano occasionali e contingenti, legati più ad incroci puntuali di “contenuti” o mimesi di forme simboliche che feconde inseminazioni di strategie cognitive e visioni del mondo. A vegliare sull’assegnazione dei ruoli il luogo comune, dunque efficace, che la creazione artistica è espressione della più radicale soggettività, mentre la scienza è applicazione di un metodo indifferente all’osservatore ed all’osservato.
La cosa non è strana soltanto per il paese di Leopardi, - ossia, uno dei pensieri più raffinati sull’immagine meccanica della scienza del ‘700, che riconosce in Galileo uno dei padri della lingua italiana-, ma lo è ancora di più se la si considera dal punto di vista di quelli che una volta si chiamavano classici, quei testi insomma che resistono alla riduzione a capriccio interpretativo generazionale. Ci si accorgerà allora che a ben guardare la grande letteratura ha sempre riconosciuto il problema della conoscenza come un suo elemento costitutivo fondamentale, ed una parte considerevole di intere opere non tratta soltanto degli eventi emozionali di X o di Y al più in un periodo storico specifico, ma sviluppa l’analisi di queste vicende all’interno di una visione della conoscenza, spesso con temi epistemologicamente espliciti e rilevanti. Un’analisi accurata uscirebbe fuori dalle nostre intenzioni , ma per non andar troppo lontano è impossibile non accostare, se si accetta questa prospettiva, Proust ed Husserl in un comune recupero di quella fenomenologia che era stata tagliata in due dalla dicotomia cartesiana, oppure non riconoscere nel periodo d’oro che va da T.Mann a R. Musil la parabola culturale borghese del neo-positivismo fino alla sua crisi in bilico tra “l’anima e l’esattezza”. E per venire a tempi più recenti, la filosofia quantistica della Trilogia di Beckett che liquida con l’indistinguibilità di Molloy dall’uomo che ne segue le tracce, o con gli stati di sovrapposizione tra vita e morte, prima e dopo, qui e là dell’Innominabile, gli ultimi residui di un’immagine ingenuamente realistica del mondo. Sono cronaca dei nostri giorni, poi, le mirabolanti ed immaginifiche pagine di David Forster Wallace, figlio dell’entropia di Pyncon e delle perizie di Gaddis, soprattutto in Infinite Jest, ultimo ritratto di un tempo in cui anche la scienza è solo una delle tante narrazioni e metafore possibili in un universo singolarmente ricorsivo. La sfida più ardua di D’Arrigo, oggi, non è certamente né quella della lunghezza -che sembra diventata piuttosto il viatico esteriore del libro-mondo e dell’intrattenimento “infinito”-, né quella del magma linguistico della prima versione (I Fatti della Fera: FF), spianato poi in sintesi mirabile nella stesura definitiva Horcynus Orca: HO) dove le arcaiche sonorità di ciò che fu il “dialetto” diventano il seme sapienziale e musicale di una lingua antichissima e totalmente nuova, a riprova che ogni autentica acquisizione di conoscenza si rivela nella forma della descrizione del mondo, non troppo diversamente da ciò che avviene con i linguaggi scientifici. In molti si sono abbeverati segretamente alla fonte di D’Arrigo per poterlo accusare di difficile leggibilità (per le origini e la struttura dell’opera vedi l’ottima introduzione di S. Sgavicchia, 2005). Uno dei nodi concettuali più complessi, che in questa sede possiamo soltanto indicare, è l’intento del D’arrigo-a nostro parere esplicito-, di recuperare il senso primigenio della filosofia naturale identificando i suoi esiti estremi, in ogni tempo, con i confini della vita e della morte di ogni uomo, che in quanto tale è soggetto e portatore di conoscenza. Non soltanto dunque “arcaico” come ispirazione di una tensione al conoscere che trova in un modello presocratico la sua affinità più naturale, ma come ricerca di un legame tra passioni, desideri e conoscenza, tentativo di coniugare ciò che sappiamo del mondo “esterno” con i riti “magici” di svelare/ingannare il destino ultimo ed inevitabile di ognuno. All’inizio del romanzo, il 4 ottobre del 1943, ‘Ndria Cambrìa , nocchiero semplice della fu Regia Marina, ha un problema assai pratico ed urgente quanto le misurazioni della terra da cui si sviluppò la geometria prima delle astrazioni greche : attraversare lo stretto di Messina, incrocio di due mari, prosciugato dalla guerra di ogni traccia di navigazione “normale”. Non sa ancora ‘Ndria, come non lo sa nessun uomo, che il destino, nella scrittura del suo demiurgo-puparo, ha in serbo per lui ben altro, e sulle sue spalle duramente provate pesa già l’eredità di Gilgamesh, di Ulisse, della coppia Achab-Ismaele, di Prometeo e di Edipo. I 4 giorni di tempo reale in cui si svolge l’intera vicenda di impianto neorealista nascondono un tempo avviluppato estremamente dilatato che corrisponde al tempo non dei “fatti” - che della visione del mondo sono gli inconsapevoli puntelli-, ma della memoria e della conoscenza, quel viaggio interiore sin nelle profondità dell’esistenza, quella sua e dunque di tutti, che sfuma ogni residuo realista in respiro epico. Il modo per attraversare lo stretto è riuscire ad entrare nelle grazie delle femminote, indomite contrabbandiere che in questo commercio hanno reinventato il loro essere donne di mare, non appartenenti a nessuna terra ed a nessun uomo. L’irriducibilità incomprensibile del femminile è una delle chiavi epistemologiche forti dell’opera: le figure femminili sono infatti emanazioni della Natura. La “Mezzogiornara”, la feretta che compariva con il sole alto, dolce amica dei giorni lunghissimi della prima giovinezza del padre di ’Ndria, Caitanello, è il rapporto felice ed utopico con i fenomeni e le creature, che viene spezzato nel momento in cui il richiamo del bambino la conduce inconsapevolmente alla morte. Ciccina Circè, capa di fatto delle femminote, mezza puttana e sciamana, è descritta non attraverso una sua inaccessibile “vita interiore” ma per l’impatto formidabile e possente che ha sul mondo: può amare non soltanto torme di marinai come ape regina, ma cavalcare letteralmente bastimenti interi ricordandoli affettuosamente poi per nome e disposizioni erotiche, mentre la tenera Marosa, innamorata di ‘Ndria è donna “civilizzata”, tenera e di terra, unica donna che non dà al nostro eroe lo smarrimento dell’incommensurabilità, e che infatti lui ricambia con affetto, senza alcun richiamo irredimibile. E poi, naturalmente e sempre, la fera, presenza costante che attraversa lo stretto e la vita di ‘Ndria, figlio di pescatori, che dunque la vede con gli occhi di questi. La fera è preda, pericolo, viscere e carogna di impossibile fetore, guerra aperta di sopravvivenza. Come le balene per i marinai del Pequod e per il secondo in comando Starbuck, la fera non ha alcuna valenza oltre le categorie della caccia e delle sue necessità economiche. La conoscenza è tutta rivolta a risolvere i problemi pratici del vivere in mare e con il mare, e non è mai staccata dal suo contesto e da quelli che sono i modelli cognitivi dell’osservatore. ‘Ndria se ne accorgerà proprio servendo la patria in marina, quando l’ufficiale fascista e vagamente d’annunziano Broggini darà del delfino una descrizione che il nocchiero faticherà a far coincidere con la fera dell’esperienza di casa sua. Non gli sfuggirà invece l’analogia tra lo “sparare” con l’obiettivo della macchina fotografica e lo scoccare delle fiocine: in entrambi i casi lo strumento cattura un aspetto della “cosa” che è quello che si ritiene importante, a ricordarci non soltanto che la natura non è “lì”, con una forma definita una volta per tutte, ma dipende criticamente dai nostri filtri osservativi e dunque dal nostro bagaglio culturale e storico (Licata 2008).
Qual’è l’elemento primario di una scienza che vuole indagare il mondo? In H.O. D’Arrigo si rifà ad un modello empedoclino, fondato sulla forza primordiale del ‘perché?’, così evocata dal vecchio professore che indaga sul mistero delle uova d’anguilla. Non ci sono misteri nella vita, sembrano misteri. Dove e quando abbiamo l’impressione d’un mistero basta fare un piccolo sforzo e domandarsi: perché? e il cosiddetto mistero subito si risente,non è più tanto fitto e impenetrabile, la visiera, in altre parole, gli comincia a tremolare sulla faccia, al signor mistero. Eh, il perché… Il perché è parola magica, è specie d‘Apriti ,sesamo e non c‘è porta di mistero che gli può resistere. Il perché se li mangia vivi, i misteri, e quando a una data cosa, a un dato fenomeno, voi gli levate l‘apparenza strana, enimmatica, quello che resta è la natura, tutta semplice e chiara e spiegata davanti agli occhi, tale che pure un muccusello la intende e signoreggia. Basta fare quel piccolo sforzo,e domandarsi perché. Ma quello è niente, amici miei, quello di domandarselo con le labbra. Lo sforzo grande è difficile, amici miei, è che bisogna domandarselo sempre, ogni volta come fosse sempre la prima volta. Il professore è la fede nell’ordine “oggettivo” del mondo e nella sua fondamentale decifrabilità, l’operatività fattiva della scienza, la stratificazione costitutiva del suo metodo per accrescimento ordinato dei risultati in catena teorica che si pensa amplissima ma finita. Vedremo che il “positivismo” del vecchio professore, che pure ha una eccezionale forza etica, trova il suo limite nel significato della ricerca e nelle trasformazioni che essa opera in chi la persegue. Diverso sarà invece il modello di scienza che compare nel successivo Cima delle nobildonne, dove la purezza del “perché” di sapore ottocentesco diventa invece l’incubo scintillante ed ipertecnologico della scienza contemporanea, che trasforma in intervento sulla natura la conoscenza, a dispetto di ogni ordine tradizionale, con il carico di speranze e rischi connessi ad operazioni di questo genere. Ci limitiamo qui soltanto a ricordare la profetica sequenza d’inizio al luccicare di bisturi della trasformazione sessuale del bellissimo ermafrodita in donna nella clinica ipermoderna di Stoccolma, in quegli anni -il romanzo è del 1985- ancora città-modello di socialdemocrazia e scienza all’avanguardia, contrapposizione della Messina di HO. Il perché passa attraverso tre fasi essenziali, il compito di descriverle è affidato invece allo spiaggiatore con cui ‘Ndria fa un pezzo del suo cammino e che gli rivelerà l’esistenza delle femminote. Questo personaggio ha come il Professore un ruolo epistemologicamente significativo nell‘opera, ma diversamente da quello il suo parlare rivela nelle allusioni erotiche sempre più esplicite una singolare e tutt’altro che casuale contiguità tra il satiro ed il ricercatore, facendo emergere quello che a nostro parere è l’aspetto decisivo del romanzo, l’affinità tra le dimensioni del desiderio e della conoscenza, l’impossibilità esistenziale di tenere sempre netta la distinzione tra oggetto e soggetto, in un eros della scienza che trova ad esempio nell’astrologia di Keplero o nell’alchimia di Newton un segno rivelatore (Pesic 2006). Le tre fasi sono il “sentitodire“, il “vistocoglioocchi” e il più raffinato “vistocogliocchidella mente”. La doxa è il raccogliere dati in modo disordinato, senza separarli e classificarli, fase necessaria ma ingannevole del conoscere, dove i frutti genuini del perché sono mischiati ancora ad interessi e paure, distorsioni e credenze, immersi nel gioco sociale dell’intendere ed usare i frammenti della conoscenza. E venendo a noi, al vero gioco della scienza al tempo del suo appiattimento mediatico, anche la “narrazione” di intere teorie come strumento che pilota le relazioni sociali ed il consenso. Il visto cogli occhi è più onesto, e chiaro, e naturalmente la sua natura è “maschia”: Voi sapete la differenza che passa fra il sentitodire e il vistocogliocchi? E la stessa che passa, figuratevi, fra la notte e il giorno. E la notte, non so se lo sapete, è femmina e fa chiacchiere, mentre il giorno è maschio, piscia al muro e porta il fatto...
Einstein sarebbe stato d’accordo con lo spiaggiatore: il visto con gli occhi “porta il fatto”, ma di per sé il fatto non è scienza, perché una teoria è sotto-determinata dai dati, ed è piuttosto una libera creazione della mente umana, essa è “vista con gli occhi della mente”, mai regalata dai semplici e nudi “fatti di natura”. E’ ormai leggendaria la cura meticolosa della documentazione di D’Arrigo nella costruzione del suo edificio letterario: cartine dettagliate ed annotate su terre di Calabria e Sicilia, latitudini e longitudini marine, documenti storici, riviste naturalistiche, di quelle che si potevano trovare durante la lunga fase di lavorazione, quando ancora la fantasia del disegnatore e del fotografo supplivano alle manchevolezze di un’autentica documentazione scientifica in diagrammi ed immagini “trattate” da complesse griglie interpretative. Non stupisce perciò che il problema che fa da sottodominante al libro, quello delle uova d’anguilla, è un problema che attraversa il mito ed arriva in qualche modo fino alla ricerca contemporanea, quello che si definisce dunque un “problema esemplare”. La questione è inseguita da anni, senza successo, dal professore di Messina, che non riesce a trovare l’ anello di congiunzione che lo porterebbe dalle uova d’anguilla ai piccoli sciami di cicirella familiari ad ogni pescatore. L’immagine dell’embrione d’anguilla è forse la forma più poetica che sia mai stata data al problema delle origini del Tutto, metafora marina di quell’Uovo Cosmico la cui natura ed evoluzione vengono oggi sondate con acceleratori potentissimi e formidabili sequenze di equazioni. E’ noto infatti che le anguille hanno dato non pochi problemi ai naturalisti: dalla convinzione di Aristotele che fossero asessuate come i lombrichi, alla credenza diffusa che si accoppiassero come i serpenti dei vari fiumi e laghi locali per spiegarne poi l’intero ciclo migratorio. La forma contemporanea di questi enigmi antichi sono le domande ancora aperte sulla variabilità genetica delle popolazioni di leptocefali. Mistero dunque di vita e non di morte, come l’altro tema che percorre il romanzo e che riguarda il destino ultimo delle fere: Ora, il fatto di scomparire era forse morire matematico?Che ne potevano sapere loro se scomparivano perché morivano o solo perché partivano, partivano epoca fissa come anguilla e pescispada? L’avevano mai vista con gli occhi loro una carogna o una carcassa di trentenaria?Questo era, e l’ultimo enimma di quella faccia smorfiosa di sfinge, ultimo eppure primo. I due motivi dell’anguilla e della fera si fondono per assumere la consistenza dell’Inconoscibile, quella estrema resistenza del mondo ad ogni sforzo conoscitivo che pure è il fondamento della conoscenza e la sua spinta. L’apparizione dell’Orcaferonte, -“l’animalone, il ferone, l’espressione estrema delle potenze naturali-, attaccata, scodata, dilaniata dalle fere e ridotta ad un “subbuglio di schiuma e sangue”, ha in H.O. un ruolo simile a quello dell’apparizione del biancore finale di Moby Dick; anzi persino più radicale: mentre la Balena bianca sopravvive alla sfida di Achab e degli uomini del Pequod lasciando Ismaele testimone della sconfitta umana e dell’immortalità di Moby Dick, in D’Arrigo è la stessa morte dell’Orcaferonte attaccata dalle altre creature marine a testimoniare davanti agli occhi increduli dei pescatori l’immutabilità eraclitea del ciclo che tutto comprende e supera, e sfugge persino al visto con gli occhi della mente. Più la Natura si rivela più si nasconde al perché dell’uomo. Wittgenstein ha concentrato la questione nella sua scrittura lapidaria e sottilmente emozionale: il perché dell’uomo non si limita a chiedersi com’è fatto il mondo, ma tende inevitabilmente a interrogarsi sul perché il mondo è, a sancire definitivamente uno scacco perenne tra le forme parziali della scienza e le più radicate ed intime tensioni della conoscenza umana. Sarà infatti il sogno di ‘Ndrja sulla spiaggia di carcasse e cenere a dargli una paradossale visione dell’Inconoscibile, di ciò che sta nelle terre estreme della sua vita di figlio del mare: le fere anziane muoiono gettandosi nel vulcano, tornando in un magma primordiale precluso ad ogni vista umana.Come a dire che ogni conoscenza non ha un termine ultimo, ma è sempre lo spostamento ultimo di un termine, qualunque sia il suo oggetto. L’inesauribilità del mondo rimanda inevitabilmente al tempo limitato in cui il singolo uomo può contribuire a questo processo. L’unica reale possibilità che ci è offerta non è quella di Faust né quella di Prometeo, ma piuttosto la magra consolazione del destino di ‘Ndrja, che ci appare all’inizio della narrazione opaco per acquistare progressivamente una dolorosa e cristallina chiarezza. Come ogni vero cercatore non resiste agli eventi, se ne lascia attraversare ed impregnare; alla fine passerà lo stretto e sarà arricchito da mille esperienze, ma l’unico uso inconsapevole che ne farà sarà quello di andare verso la sua morte, futile ed inevitabile come alla fin dei conti è ogni morte, senza essere indifferente alla vita. Il resto è un segno a parabola, simbolico e reale, indecifrabile e intimorente. Si narra che la curiosità spinse Empedocle a gettarsi nel vulcano. Ma, puntualmente, il vulcano ne sputò il sandalo.

Stefano D’Arrigo I Fatti della Fera, a cura di W. Pedullà, Rizzoli Milano 2000
Stefano D’Arrigo Horcynus Orca, a cura di W. Pedullà Rizzoli, Milano 2003
Stefano D’Arrigo Cima della nobildonne, a cura di W. Pedullà Rizzoli, Milano, 2006
Siriana Sgavicchia Il folle Volo, Ponte Sisto, Roma, 2005
Harold Bloom Il Canone Occidentale, Rizzoli, Milano 2008
Samuel Beckett Trilogia, a cura di A. Tagliaferri, Einaudi, Torino 1997
Ignazio Licata La Logica Aperta della Mente, Codice Edizioni Torino 2008
Alessandro Giuliani, Joseph P. Zbilut, L’Ordine della Complessità, Jaca Book, Milano 2009
Peter Pesic Labirinto - Alla ricerca del significato nascosto della scienza
Bollati Boringhieri, Torino 2006


Ignazio Licata - Institute for Scientific Methodology, Palermo
ignazio.licata@ejtp.info

tratto da (L'Illuminista, Rivista di Cultura Contemporanea diretta da Walter Pedullà, n 25/26, anno IX, Speciale Stefano D'Arrigo,pp.189-197)

La mia Alda – Milano, 20 gennaio 2006 . (...il racconto di un incontro con Alda Merini) di Marthia Carrozzo

Giunti ormai sotto casa sua, non ci pareva quasi “vero”… Del resto, era successo tutto così in fretta che a raccontarla sarebbe certamente parsa una “follia”. Gli elementi, quelli, c’erano tutti: un sogno”profetico”, poi la notizia dello sfratto imminente diffusasi in rete e … l’evidente necessità di far presto! Un viaggio – come in ogni avventura che si rispetti! – interminabile, insonne, tra risate e inquietudini; un lunghissimo “Lecce-Milano” che avrebbe fatto capolinea, la mattina seguente (eravamo partiti da Lecce alle 21:50) nel mistero di una Milano che credevamo ammantata di nebbia, nel rispetto di ogni più bella cartolina che ritraesse la capitale meneghina. Credevamo, sì. Perché invece, contrariamente ad ogni aspettativa, quella mattina, proprio quella, Milano era lì ad accoglierci con un ridente ed inatteso sole a coccolarci l’anima, quasi a voler suggerire il buon esito che di lì a poco avrebbe avuto quella strana giornata, persa tra le vie caotiche e apparentemente distratte di una Milano impegnata e sempre di corsa, in pieno contrasto con la nostra quiete (più o meno apparente che fosse) con la calma e la dolcezza del Sud che palpitava forte nei nostri cuori nell’attesa dell’incontro. Ed eccoci, infine. Ore 6 e 20 del pomeriggio. Un saluto veloce al Naviglio Grande, poi improvvisamente… il tempo che si era fermato, pietrificato sotto il portone di casa sua. La avverti del nostro arrivo con una breve telefonata.
“Secondo piano, dalla sinistra”. Salimmo le scale un po’ increduli, poi, l’aprirsi della porta e infine… due occhi scuri, un po’ guardinghi, sorpresi forse di ritrovarsi di fronte ben quattro persone venute appositamente dal caldo del Salento al freddo di Milano solo per incontrarla. Un saluto frettoloso, poi, mi invitò ad entrare in casa. La seguì un po’ intontita, facendo, a dire il vero ben poco caso allo spazio attorno a me; ci sedemmo su due sedie messe accanto, estrassi dalla borsa la bozza di questo libro, e attesi in silenziosa trepidazione, mentre il suo guardo scorreva acuto sulle pagine aperte a caso. “Mi sembrano già belle”, disse, mentre quasi scioccamente, ma a causa della grandissima emozione che mi inondava il cuore, io incominciavo a piangere… e forse, avrei potuto vergognarmene, ma volevo
che quell’incontro fosse autentico, volevo incontrarla così, senza dire nulla, solo provando a “sentire” la bellezza di un momento. “Non faccia così: la scrittura è il peggiore dei mali!” mi disse mentre mi teneva la mano, e con l’altra mi accarezzava il viso. “No!” – ecco che era arrivato, per me, il momento di dire – “No, non è così, se la parola, se la poesia riesce ancora ad avere la forza di versi come i suoi!” le dissi. Ed è questa, Bellezza. Ed è Vita. La Vita Viva della poesia. È il suo canto: Forza e dolcezza. Tristezza e grazia. Sacralità e sensualità. Tutto questo… “Tutto”! Tutto quanto nel vibrare del verso. Il senso del viaggio si svelava lì, mentre Alda mi accompagnava alla porta, abbracciandomi e congedandomi. Le parole che riporto, mi furono poi dettate per telefono, con mia gran sorpresa una settimana dopo. “Sono un po’ sorpresa, come del resto Vanni Scheiwiller, da questa fioritura di poeti giovani che ci mettono chiaramente in imbarazzo. Non si può respingere la loro ingenuità e, in fondo, anche il loro desiderio d’affetto. Perché, ai nostri tempi lo studio, se non era più che rigoroso, veniva anche ingiustamente castigato, ma castigato da una regola ferrea che voleva castigare il giovane poeta solo per incitarlo a migliorare. Ai nostri tempi, più di tutto, abbiamo sofferto dei rifiuti dei grandi critici. Questa poetessa scrive bene,ma soprattutto piange. Ed è questo che io cerco nei nuovi poeti: un carattere più “duro”, perché, questi nuovi poeti, anche se innamorati della poesia, vanno incontro a un momento difficile. Le premesse qui sono eccellenti e ci aspettiamo che fiorisca la grande poesia.”

(26 gennaio 2006 – Alda Merini, Prefazione ad “Utero di Luna”, Besa 2007)

Nei nostri cuori, invece, di ritorno da Milano, il sorriso della Signora del Naviglio. Le labbra rosse, una lunga collana di perle ad adornarle il collo, la pacatezza del viso, i suoi gesti misurati, la grandezza della sua umiltà fiera e presente, l’ironia e la dolcezza con cui ci richiamò dal pianerottolo facendoci risalire in fretta le scale trattenendo quasi il respiro, la sua simpatia nel donarmi un quadro con tre sue foto che ora è appeso e custodito gelosamente in camera mia, la fierezza pungente del suo sguardo che, anche da lì, pare quasi tutto osservare, tutto “sentire”, silenziosa complice, che pare quasi tutto penetrare… inquieta. Con l'abbraccio che solo la poesia conosce!

domenica 1 novembre 2009

Fuori Orario di Claudio Gatti (Chiarelettere)

"Fino al 1999, quando i dati della puntualità erano inseriti manualmente, era tutto taroccato. Adesso non è più così. Ma in assenza di controlli esterni, lo spazio per l'abuso permane. Nel 2008 ben 1.754 Eurostar sono arrivati in ritardo ma registrati come puntuali."
Testimonianza, documenti alla mano, di un ex dirigente del gruppo Fs

Alla tavola delle ferrovie italiane c’è da mangiare per tutti: politici, manager, intermediari, sindacalisti, grandi aziende. Prima d’ora nessuno aveva avuto modo di provarlo. Claudio Gatti è riuscito a trovare testimonianze, rapporti riservati e email di dirigenti ed ex dirigenti, consulenti, imprenditori, fornitori: parole che rivelano un quadro allarmante frutto di disorganizzazione, sbagli, truffe, ruberie ripetute per anni e che continuano nonostante le severe denunce della Corte dei Conti. Le Ferrovie italiane come specchio della situazione e della storia del nostro Paese. Casi paradossali che sfiorano il ridicolo come la guerra tra aziende di pulizia, carri merci scomparsi (anche perché qualcuno si rivende i pezzi al mercato nero), percorsi cambiati per puro interesse elettorale, lenzuola sporche fatte passare per pulite, gare truccate, dirigenti che intrattengono rapporti incestuosi con i fornitori, treni in ritardo fatti passare per treni in orario, locomotive rotte che continuano a rompersi, legionellosi ignorata anche dopo la morte di un ferroviere, porte di vagoni che volano via, treni vecchi fatti passare per nuovi (Frecciarossa)... Tutto provato. E regali, favori, ma anche minacce, licenziamenti e vendette per la minoranza che osa opporsi. Ciò che conta non è la qualità del servizio ma la distribuzione di almeno 6 miliardi che ogni anno affluiscono nelle casse di Fs: per alimentare un sistema di collusione diffusa contro qualsiasi tentativo di cambiamento e che comporta per ciascuna famiglia italiana una tassa occulta di almeno 273 euro all’anno. Più del canone Rai. Questo libro permette di documentare la verità e può aiutare i più coraggiosi ad alzare la voce.

"Fuori orario" di Claudio Gatti, Collana: principioattivo. Pagine:256. Euro 15

Claudio Gatti (Roma, 1955) risiede dal 1978 negli Stati Uniti. Inviato speciale de “Il Sole 24 Ore”, collabora con il “New York Times”e l’“International Herald Tribune”. Nel 2005 è stato il primo giornalista a denunciare lo scandalo Oil for Food. È autore di altre inchieste sul terrorismo islamico, le economie illegali e la recente crisi finanziaria.

Gargoyle Books presenta "Il morso sul collo" di Simon Raven

Trama.
Inghilterra 1956: Richard Fountain - fine letterato, promettente poeta, valoroso ex ufficiale e brillante studioso di discipline umanistiche - parte per la Grecia per svolgere una ricerca sulla sopravvivenza dei riti minoici in epoca classica. In realtà il viaggio è per il giovane l'occasione di allontanarsi dal Lancaster College, tra le istituzioni più puritane dell'Università di Cambridge, dove sempre più oppressivo è diventato l'ascendente di Walter Goodrich, il suo senior tutor. Il dottor Goodrich non si limita, infatti, a vigilare sull'andamento degli studi di Richard ma mira a pianificargli l'esistenza in modo sempre più pervasivo al punto da auspicare che egli sposi sua figlia Penelope. Tale atteggiamento mette a dura prova le numerose doti morali di Richard - vigore, acuta intelligenza, tenacia, buonsenso, sobrietà, fermezza -, nonché i suoi modi irreprensibili all'insegna di un rigoroso autocontrollo, facendo emergere in lui una sorta di inafferrabile insoddisfazione, sino ad allora celata. È a Idra, un'isola dell'Egeo lontana dalla civiltà, nell'incontro con una misteriosa donna di nome Criseide che Richard si libera della sua crescente inquietudine, attratto e irretito da un oscuro culto millenario. L'attenzione sospettosa della polizia ellenica verso il ragazzo inglese induce Anthony Seymour e Piers Clarence, avvisati da un ispettore di Scotland Yard, a partire a loro volta per la Grecia in cerca dell'amico.
Il libro.
Doctors wear scarlet uscì in Gran Bretagna nel 1960, e in Italia venne pubblicato da Longanesi con il titolo Il morso sul collo nel 1968. A 41 anni di distanza, Gargoyle lo ripropone in una nuova traduzione, in linea con la sua attività di ricerca editoriale che grande importanza dà al recupero di scritti e autori oramai introvabili o inediti.Il testo è un intrigante racconto morale dove il vampirismo - declinato con un taglio e un'ambientazione insoliti - è più un parossismo che una reale fonte d'orrore, in quanto l'orrore risiede altrove, in qualcosa di assai reale e antico quanto il mondo: nel rischio di soccombere, lasciando che altri facciano scempio delle nostre energie e della nostra vitalità. Occorre, dunque, mantenersi sempre padroni di se stessi così da disporre del proprio talento e della propria intelligenza in maniera libera e liberata. Connotabile come romanzo di genere solo in superficie, Il morso sul collo si presta a più di un registro interpretativo - mise-en-scène degli eccessi emotivi, parabola di una nemesi, atto di accusa ai codici sociali, trattato sulla libertà -, e pullula di temi universali - i meccanismi della sopraffazione, i danni delle gerarchie educative, il dominio delle convenzioni dovute a ruoli sociali eteroimposti, gli effetti deleteri che la repressione può avere sull'identità - che lo rendono di pregnante attualità. Da Il morso sul collo, nel 1970, è stato tratto un film intitolato Incense for the damned (o anche Bloodsuckers), per la regia di Robert Hartford-Davis, in cui il cameo di Peter Cushing, nei panni di Walter Goodrich, costituisce l'unico motivo d'interesse.
L'autore.
Romanziere, commediografo, sceneggiatore e saggista, Simon Raven (Leicester 1927-Londra 2001) è stato tra i più eccentrici, esuberanti e caustici commentatori del costume inglese, famoso soprattutto per la satira pungente di cui fece costante bersaglio l'edonista upper class britannica della metà del Novecento.
Compiuti gli studi classici presso il King's College di Cambridge, Raven intraprese la carriera militare, ma la sua passione per il gioco e la sua promiscuità sessuale in un periodo di rigide barriere razziali (fu ufficiale nel reggimento dei paracadutisti in India e in Kenya) lo misero ben presto in gravi difficoltà. Di fronte alla prospettiva della Corte marziale per "condotta immorale", gli venne concesso di dimettersi dall'Arma senza clamore, per evitare uno scandalo nel reggimento. Da allora si dedicò completamente alla scrittura. Cinico sarcasmo e divertito humor nero sono le componenti caratterizzanti la sua produzione letteraria di Raven sia come romanziere (The feathers of death, 1959, Doctors wear scarlet, 1960, Alms for oblivion, poderoso romanzo in dieci parti che lo tenne impegnato dal 1964 al 1976) sia come autore di rinomate commedie (Aldous Huxley's Point Counter Point, 1968, Anthony Trollope's The Pallisers, 1974, Nancy Mitford's Love in a cold climate, 1980, ed Edward and Mrs Simpson, 1980). L'intera esistenza di Raven è stata una spumeggiante miscela di eccessi, dove il cibo, l'alcol, i viaggi, il cricket e il gioco hanno avuto un ruolo non secondario. Spese tutto quello che guadagnò e, dopo aver vissuto 34 anni nel Kent, alla fine fu costretto a trasferirsi in un ospizio londinese per poveri. Nel 1993 la Royal Society of Literature gli conferì il prestigioso titolo di Fellow (lo sono stati, tra gli altri, Coleridge, Yeats, Kipling, Hardy, Bernard Shaw, Doris Lessing e Tom Stoppard), a dimostrazione che il prestigio intellettuale è riconosciuto anche in disgrazia. Nel 1996 è uscita la sua biografia, The Captain, a opera dello scrittore Michael Barber.
Da Il morso sul collo:
Guardatevi da coloro che cercano di carpire la vostra anima [.] Ognuno di noi, infatti, fin da ragazzo è stato prevaricato. Dai genitori, dai maestri, dagli amanti magari, dai superiori presenti in questa sala. Chi di voi non è stato costretto, o soffocato fino a che gli mancasse il respiro? Fino a che non è rimasto inerme in balia della volontà degli altri? Può trattarsi di una persona, di un reggimento, di un Paese, di un College o di una fede: qualcosa di estraneo, in ogni caso, che vi ha succhiato il sangue [.] È importante non farsi distrarre o traviare dalle piccole miserie accademiche, da esempi di prestigio apparente, o da facili e modesti guadagni che sempre vi saranno proposti come guida per una vita di convenienza. Guardatevi nell'animo, e vi specchierete in una visione: rendetela chiara, evitando che venga offuscata da una moralità elusiva o dalle ambigue per quanto astute vanità dei vecchi. Seguitela fino in fondo: poco importa ch'essa vi conduca su un trono, in una cella d'eremita o vi faccia precipitare nella fossa di Ade.
Dall'introduzione:
Attuando un processo di esclusione, possiamo affermare che il testo non sia un noir (non ne ricorrono le atmosfere e le situazioni) né un romanzo horror (per gli stessi motivi). Forse un thriller? Parzialmente, nelle pagine conclusive, non tanto, però, da includerlo nella letteratura di genere. Forse un romanzo storico? No, se non per qualche rimando [.] Un libro sui vampiri, dunque? Qualche traccia, qualche pretesto, ma niente di definitivo. Forse Raven voleva solo scrivere un libro sull'Umanità.

Collana nuovi incubi

Gargoyle Books, presenta Il morso sul collo, di Simon Raven
Traduzione di Paolo De Crescenzo. Introduzione di Stefano Martello

sabato 31 ottobre 2009

NUOVO NUMERO DE L'ILLUMINISTA, SPECIALE STEFANO D'ARRIGO

E' disponibile il n. 25/26, IX, dell'Illuminista, rivista di cultura contemporanea diretta da Walter Pedullà ed interamente dedicata al novantesimo anniversario di Stefano D'Arrigo ((Alì Terme, 15 ottobre 1919 – Roma, 2 maggio 1992), autore dell'immenso Horcynus Orca (HO) e di Cima delle Nobildonne. Nel volume,di ben 478 pagg., si fa il punto sul "romanzo del romanzo", ossia sulla storia della critica di HO, inediti di D'Arrigo, documenti nuovi sullo scrittore siciliano e sulla genesi dei suoi lavori, e naturalmente una raccolta di testi sulla sua opera. E' presente anche il saggio di Ignazio Licata su "Figure della Conoscenza in Horcynus Orca", in ottima compagnia con lavori inediti ed editi di:Walter Pedullà, Luca Archibugi, Andrea Cedola, Jolanda Insana, Siriana Sgavicchia,Vincenzo Consolo, Geno Pampaloni, Nemi D'agostino, Gesualdo Bufalino, Gabriele Frasca, Antonio Moresco,Giorgio Caproni, Pietro Citati,Carlo Bo, Gianfranco Contini, Claudio Magris, Giorgio Barberi Squarotti, Andrea Camilleri, George Steiner.

La rivista è edita da Edizioni Ponte Sisto, Via delle Zoccolette, 25 - 00186 Roma. Telefono - 06 68 68 444. 06 68 32 623
Fax . 06 688 017 07. Email: info@pontesisto.it

Insidie di Gianluca Conte (Il Filo, collana Le cose)

Ricevo da Gianluca Conte il suo lavoro pubblicato dall’editore Il Filo, dal titolo “Insidie”. Si tratta di 31 componimenti poetici intensi senza ombra di dubbio e che non lasciano nulla al caso, soprattutto per ciò che concerne il messaggio in versi che l’autore vuole consegnare ai suoi lettori. Ci sono diversi modi per concepire la Poesia, che vanno dalla ricerca del puro sperimentalismo attraverso una sorveglianza durissima sul ritmo, sulla parola, sulla musicalità del testo, magari anche attraverso la poesia visiva ma senza però caratterizzare queste forme di lirismo in un messaggio specifico, se non appunto rinchiuso nel singolare e particolarissimo flusso di coscienza che trasborda sul foglio bianco. Poi qualcuno come Conte sceglie una prosa poetica serrata ed efficace ricca di ironia acida e perforante per scrivere del sociale, di questo momento di dis/equilibrio in cui ci troviamo a vivere. La forza di questa scelta sta nel fatto che per prima cosa stabilisce una “regola a direzione dell’ingegno” che dice come imperativo categorico di grande urgenza, di resistere al “rumore” e ai perturbamenti che la semiotica di questo mondo produce, lasciandoci sempre più soli alla deriva in un oceano di segni spesso incomprensibili. Altro aspetto importante è un desiderio di recupero della latitudine sociale del fare poesia, che assurge a meccanismo di rottura e di corto circuitazione di stereotipi, abitudini, compromessi, assuefazioni, noie, e paranoie. Il suo esserci è proprio di un nichilismo attivo, che è quello del distruggere per creare, fosse anche con il luogo comune che “ la penna ferisce più della spada”. La consapevolezza di Gianluca Conte, sta nell’aver preso coscienza che il suo Io poetico, è solo, immerso in un mondo e in una realtà che non gli appartengono e di cui non riesce a comprendere i meccanismi. Egli stesso è ragione ed etica allo stesso momento, ma intorno vi è assoluto silenzio e anzi l’emarginazione è “quello che si merita” dal momento che vige un paradossale concetto macroscopico di Giustizia, grazie alla quale il controllo sul corpo del poeta ma in generale su quello di ciascuno di noi, è portato avanti da una mefitica burocrazia illogica e lenta che determina assenza di logos, di parola, di discorso, e dunque comunicazione. A questo punto bisognerebbe sentirsi vittima di una società insensibile ai problemi del singolo e che punta solo ad andare avanti, senza farsi scrupolo di niente e nessuno? Per Conte la Poesia ci salverà!

Una fuga di notizie lo costrinse
A lasciare in fretta il posto di lavoro.
Non sarebbe mai arrivato in tempo
Lo sapeva.
Con una maglietta al sangue di zanzara
Spiaccicata a pancia piena
Bella bevuta/mangiata fatta a spese del dormiente
La dottoressa si avvicinò
Languida e sensuale
A lui
Ignorante inconsapevole
Del danno arrecato al sistema

L'ultimo valzer dei tiranni di Ramtha (Macro edizioni)

L'Ultimo Valzer dei Tiranni - La Profezia Rivisitata raccoglie gli insegnamenti e le predizioni che Ramtha fece più di vent’anni fa sui drastici cambiamenti in arrivo, dallo sconvolgimento naturale allo scompiglio economico e politico. La NUOVA EDIZIONE di L'Ultimo Valzer dei Tiranni, è AMPLIATA E AGGIORNATA e contiene RIVELAZIONI sul 2012. Ramtha spiega le forze che si nascondono dietro questi cambiamenti e i molti eventi che nel corso della storia – incluso il nostro prossimo futuro – sono stati attentamente pianificati da pochi. Molte cose predette da Ramtha tre decenni fa trovano oggi chiara conferma in molti titoli di prima pagina dei giornali, eppure c’è dell’altro in arrivo. Sebbene il futuro possa sembrare cupo e sconfortante, Ramtha prevede l’avvento di un destino più grande, con l’aiuto di civiltà avanzate che amano l’umanità: gli albori della supercoscienza – una nuova era – e una razza umana più evoluta. Che cosa vi riserva il futuro? Che cosa si sta affacciando all’orizzonte del nostro pianeta e della nostra civiltà? Come prepararsi al meglio per i cambiamenti? Ramtha ha insegnato sui “giorni che verranno” – i giorni che sono già qui – fin dalla sua prima apparizione alla fine degli anni ‘70. L'Ultimo Valzer dei Tiranni è un libro illuminante, una guida per trovare una via di fuga dalle imminenti catastrofi economiche e ambientali che ci aspettano. Una nuova edizione, ampliata e aggiornata, della precedente profezia di Ramtha.

Dall'introduzione di JZ Knight:

Le profezie sul 2012 sono solo una grande montatura?
«Le prospettive del mondo al momento sono a dir poco fosche, e ancor più fosche se includiamo anche il 2012. Tuttavia, non ci mancano né le risorse di volontà e di ispirazione,né il desiderio di liberarci dalla cupidigia che ci ha condotti sull’orlo del precipizio. Possiamo scegliere se lasciarci guidare nell’abisso oppure se avere una seconda chance per procedere verso un futuro più luminoso».
JZ Knight

Dal mio umile punto di vista credo che il 2012 sia diventato una data di preoccupata incertezza per la maggioranza delle persone di tutto il mondo. La famosa data del 2012 deve la sua triste fama in gran parte alle tradizioni religiose che prevedono una fine apocalittica della civiltà. Riferimenti a una guerra feroce e sanguinosa culminante in una fine catastrofica e terribile per l’umanità sono contenuti nelle dottrine del Cristianesimo, dell’Induismo, del Giudaismo, della New Age spirituale e in altre. Conferme a una tale visione del 2012, oltre che dalle comunità religiose, provengono anche da numerose sette, visto che le caratteristiche fondamentali di queste profezie sono state “viste” da profeti, visionari, sensitivi, medium e sciamani di tutti i generi. Innumerevoli libri di autori come Nostradamus, Edgar Cayce, Graham Hancock, Zecharia Sitchin, Peter Russell, Whitley Strieber, per nominarne solo alcuni, hanno incrementato la crescente paura di una catastrofe a livello mondiale per quella data. Il calendario Maya termina nel 2012, lasciando presupporre che accadrà qualcosa di catastrofico. Il recente libro di Zecharia Sitchin, The End of Days: Armageddon and Prophecies of the Return, parla del ritorno degli Anunnaki e del dodicesimo pianeta, forse in rotta di collisione con la Terra. Il libro dell’Apocalisse nella Bibbia, terrificante visione della punizione dei peccatori, racconta come sarà la “fine dei tempi” e del ritorno di Gesù, in data ancora incerta. Siamo avvertiti che una cometa colpirà la Terra, che la Terra ruoterà sul suo asse, che ci sarà un rovesciamento del campo magnetico della Terra, che la Terra entrerà in un nuovo campo di forza nello spazio, ecc.

È possibile che tutto questo sia solo una montatura per incutere paura? Gli scettici potrebbero completamente respingere tutto questo, e sono pagati per farlo, ma che cosa dicono gli scienziati del mondo e che cosa ci dicono le loro scoperte?

Quando la scienza interviene sul nostro immediato futuro ambientale – e le notizie sono piuttosto nere – noi tendiamo a prestarvi ascolto. La scienza sposta il tema del cambiamento globale dalla profezia ai fatti. Quelle irritanti frange estremiste che creano paura, quei forieri di morte occupano inconsciamente la nostra mente, mentre la luminosa luce scientifica brilla e rivela chiarezza sul fatto che è il nostro stile di vita, sono i nostri trasporti, servizi, fabbriche, rete elettrica, cellulari e tecnologia wireless basati sul petrolio che rilasciano carbonio nell’atmosfera. Sono i residui tossici provenienti dalle nostre fabbriche, dalle concerie, dall’industria tessile, della carta, dai laboratori ad alta tecnologia, che inquinano i fiumi uccidendo e creando mutazioni nei pesci, distruggendo le rive e arrivando alla fine negli oceani. Sono nostre tossine! Non sono acque di scolo di qualche antico Dio, ma le nostre! Questi sono fatti scientifici che riempiono quotidianamente notiziari, talk show, libri, blog di rete, riviste, giornali scientifici e periodici. Il nostro disagio rispetto al futuro è reale. E con una nuova tormentata consapevolezza che ci sia qualcosa di terribilmente sbagliato nel nostro mondo e che corriamo il pericolo di perderlo, ci chiediamo: “Il mondo finirà? Accadrà nel corso della mia vita? Accadrà durante la vita dei miei figli?”. Queste sono domande difficili per la scienza perché essa non è in grado di fissare alcuna data certa, ma può solo indirizzarci verso possibili risultati in una incerta cornice temporale. Nella nostra ricerca di risposte l’incertezza e la paura ci rimandano così a quei forieri di morte. E qual è la loro risposta? Il 2012! Secondo me lo strenuo lavoro di Al Gore nell’illuminare le persone e i governi sul riscaldamento globale, esposto nel suo brillante libro An Inconvenient Truth, spiega chiaramente il devastante impatto che sei miliardi e mezzo di persone hanno avuto sul nostro mondo. In ogni angolo del globo è evidente l’avanzare e l’aggravarsi della distruzione ambientale. Al Gore, che assieme alla Commissione Intergovernativa sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite ha vinto il Premio Nobel per la Pace nel 2007, sottolinea che al cuore della crisi sta la relazione tra lo sviluppo tecnologico, la fiducia riposta nell’energia del petrolio e l’esplosione demografica. La scelta politica di ignorarne le conseguenze future ci ha posti in diretta rotta di collisione con gli ecosistemi del pianeta che intrinsecamente sostengono la nostra vita. L’umanità ha causato il riscaldamento globale e, giorno dopo giorno, i danni si stanno avviando a diventare emergenza planetaria. Le calotte polari si stanno sciogliendo a una velocità allarmante. Il livello dei mari si sta alzando. I ghiacciai montani che ci forniscono l’acqua potabile si stanno sciogliendo. Il mantello di neve delle montagne sta scomparendo. Abbiamo ondate di calore record, uragani, tifoni e siccità. Alcuni continenti stanno sprofondando e fiumi e laghi stanno scomparendo. Recentemente, a preoccupare è il movimento delle correnti oceaniche del mondo tutte collegate assieme nel cosiddetto circuito globale chiuso in cui la corrente di acqua calda del Golfo fluisce verso la costa est dell’America e poi si fonde con le correnti profonde di acqua fredda provenienti dalle acque artiche del nord. Gli scienziati descrivono questo circuito come una gigantesca “pompa termosalina” perché è azionata dalla temperatura e dalla salinità dell’acqua. Questa pompa imprime forza al flusso continuo delle correnti oceaniche mondiali. Attualmente gli effetti del riscaldamento globale hanno ridotto il precario equilibrio di questa pompa fino al quarantanove percento della sua capacità.

Che cosa accadrebbe all’Europa se si fermasse completamente? Comparirebbe forse nel corso di una sola notte una lastra di ghiaccio su gran parte del Nord America e sull’Europa? Sarebbe una nuova era glaciale?

Gli scienziati sono preoccupati perché sanno che è già accaduto in passato. La ricercatrice oceanografica Ruth Curry teme che il rapido scioglimento dei ghiacci della Groenlandia che alimentano di acqua dolce e fredda l’adiacente circuito delle correnti oceaniche, sostanzialmente ne travolgano il delicato equilibrio. Il recente rallentamento della velocità delle correnti al quarantanove percento è dovuto allo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia. Gli scienziati hanno stabilito che in un remoto passato questo stesso fenomeno ha arrestato il sistema provocando un’era glaciale.

Siamo pronti all’ipotesi che accada di nuovo? Accadrà nel 2012? Dove sta, allora, la montatura rispetto al 2012? Si tratta solo di una convergenza di voci antiche e recenti, di profeti di molte e diverse possibilità di distruzione globale?

L’antico calendario Maya termina il 23 dicembre 2012. Questa data apocalittica è forse la fine del mondo? Tutte quelle voci profetiche convergono su questa data. È solo una montatura? Forse, ma quelle voci si fondono bene con quelle di più di una cinquantina di scienziati che stanno suonando l’allarme del cambiamento climatico. Ignorare il consenso scientifico sulla reale minaccia di fine del mondo che comporta il cambiamento climatico e le sue implicazioni sulla nostra attuale società ci condurrà a una incontestabile fine – la fine della speranza. La montatura è una interpretazione del dubbio. In una nota della Compagnia del Tabacco Brown & Williamson si afferma: “Il dubbio è un nostro prodotto poiché è il miglior strumento che esista nella mente del pubblico in generale per competere coi dati di fatto. È anche lo strumento per stabilire una controversia,” come citato nel libro di Al Gore An Inconvenient Truth.

Possiamo cambiare il nostro immediato futuro? Possiamo evitare il 2012?

Sì, ma dovremo cambiare il modo in cui viviamo, e abbiamo quattro anni per farlo. Anche la politica dei nostri governi deve cambiare. Possiamo scatenare le nostre menti verso nuove geniali tecnologie e soluzioni energetiche innovative che annullino gli effetti del riscaldamanto globale. Il compito è spaventoso, ma deve cominciare da ognuno di noi. Sia che crediamo che il mondo si stia avvicinando alla sua fine oppure no, dovremmo cambiare la nostra vita come se fosse così. Potete trovare nuovi modi innovativi per il consumo energetico nelle vostre case e luoghi di lavoro. Se non potete permettervi una nuova macchina elettrica, andate in bicicletta o a piedi. Imparate a coltivare ciò che mangiate, iniziando con le verdure. Arate i vostri prati e giardini e create orti. Svuotate i vasi di fiori del vostro patio e piantate pomodori, patate, zucche e piante aromatiche e, per esempio, fertilizzatele biologicamente. Ricordate, i fertilizzanti industriali contengono tossine che finiscono nell’ecosistema e nell’acqua potabile. Mangiate meno carne, a meno che non alleviate bestiame voi stessi. Non bevete acqua da bottiglie di plastica con vuoto a perdere, ma bevete da bottiglie di vetro riutilizzabili. Imparate a filtrare l’acqua del vostro rubinetto. Non comprate prodotti imballati in plastica. Non utilizzate sacchetti di plastica per la spesa ma mettetela in una borsa di materiale non nocivo per l’ambiente. Spegnete le luci quando non le utilizzate. Piantate alberi ovunque. Mettete molte piante vive nella vostra casa perché rimuovono l’anidride carbonica dall’aria ed emettono puro ossigeno. Mettete da parte cibo, medicine e vestiti – specialmente vestiti caldi – per due anni. Se vivete vicino all’oceano, ripensate alla vostra vulnerabilità e a quella della vostra famiglia vivendo vicino all’acqua e prendete in considerazione la possibilità di spostarvi in luoghi più elevati. Se potete scavare un pozzo per l’acqua, fatelo e testatene la purezza. Queste sono sagge considerazioni per migliorare la vostra vita e quella della vostra famiglia che Ramtha profeticamente ci ha suggerito più di vent’anni fa, come vedrete in questo libro. Sono cambiamenti necessari che miglioreranno il vostro senso di sicurezza e la vostra preparazione. Questi cambiamenti, in essenza, sono un investimento nella sicurezza futura che vi aiuteranno ad avanzare e a evitare una incombente calamità. Le prospettive del mondo al momento sono a dir poco fosche, e ancor più fosche se includiamo anche il 2012. Tuttavia, non ci mancano né le risorse di volontà e di ispirazione, né il desiderio di liberarci dalla cupidigia che ci ha condotti sull’orlo del precipizio. Possiamo scegliere se lasciarci guidare nell’abisso oppure se avere una seconda chance per procedere verso un futuro più luminoso. Nessun inganno, nessuna montatura, dipende solo da noi.

JZ Knight

"I ghiacciai della Groenlandia si sciolgono più velocemente del previsto"
AFP News, Copenhagen, 24 settembre 2008
"Le riserve alimentari più ridotte degli ultimi 50 o 100 anni: sta emergendo una crisi alimentare globale"
Associazione Nazionale Consorzi Agrari USA, 11 maggio 2007
"Che cosa sarà a minacciare la ricchezza in questo nuovo secolo? Il terrorismo, la guerra di religione o il collasso del sistema finanziario?"
Barton Biggs, Wealth, War, and Wisdom (Ricchezza, Guerra e Saggezza), 2008
"Questo destino – quei cambiamenti di cui ho parlato così tanto tempo fa nel vostro tempo – sta arrivando a piena manifestazione. Andate a vedere. Ciò che vi suona ovvio ora, era poco ovvio allora". Ramtha

La profezia rivisitata
ISBN: 9788862290791

Prezzo € 15,30
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Due più uno. Luisa Ruggio+Dario Congedo/Giorgio Distante per questo Halloween al Fondo Verri














Fondo Verri, Presidio del libro di Lecce (stagione autunno-inverno 09/10). Anteprime delle Mani e l’Ascolto 2009/2010 – IX edizione. Iniziativa promossa dalla Regione Puglia - Assessorato al Mediterraneo in collaborazione con l' Associazione Presìdi del libro. Sabato 31 ottobre, alle 21.00

Al Fondo Verri la scrittrice Luisa Ruggio presenta Congedo/Distante duo un progetto nato nel 2006 dalle idee che accomunano i due musicisti pugliesi. Il duo costituito da Dario Congedo e Giorgio Distante è il pretesto di un laboratorio sonoro: la ricerca attorno all'improvvisazione musicale legata a due strumenti cardine: tromba e batteria. L'interplay che si crea durante la performance fa emergere l'amalgama tra questi due strumenti e il loro sound unito da un collante invisibile: l’elettronica live. Il repertorio creato dai due musicisti di formazione statunitense - che vantano collaborazioni coi grandi nomi della scena musicale contemporanea – è un insieme di brani inediti alternati ad improvvisazioni in cui anche l’elettronica è intesa come elemento interattivo. La performance mescola atmosfere che dal jazz si muovono verso la musica etnica, rivelando una strepitosa intesa che consente movimento sonoro a due tra i talenti più raffinati espressi dal territorio. Per l'occasione Luisa Ruggio leggerà dal suo nuovo libro, "Senza Storie" (Besa), una raccolta di racconti prossima alla stampa che sarà presentato in anteprima nazionale alla Città del Libro di Campi il 27 novembre prossimo. Quest'antologia, dopo i romanzi "Afra" (Besa) e "La nuca" (Controluce) affronta il tema del contrasto tra mondo reale e mondo immaginario.

Luisa Ruggio, giornalista e scrittrice, vive e lavora a Lecce. Ha scritto saggi sul cinema e la psicanalisi. Il suo romanzo d'esordio, “Afra”, edito da Besa nel 2006, ha vinto tre premi letterari. Con le edizioni Controluce nel 2009 ha pubblicato “La nuca”, “favola gotica sul potere del desiderio, una storia che è anche un commovente omaggio alla scrittura, un tributo alla potenza incantatoria della parola, sull'osmosi tra filosofia occidentale e favola orientale e un falso storico sulla vita immaginaria dell'alchimista di Soleto Matteo Tafuri. È autrice del blog dedicato alla scrittura "Dentro Luisa" (www.luisaruggio.blogs.it).

Fondo Verri, Presidio del libro di Lecce, Via Santa Maria del Paradiso 8 (pressi Chiesa del Rosario – Porta Rudiae), 73100 Lecce. tel.fax: 0832 304522. Mail: marinoma8@fondoverri.191.it

venerdì 30 ottobre 2009

L'uomo più felice del mondo di Matthieu Ricard e Guido Ferrari

L'uomo più felice del mondo: così è chiamato Matthieu Ricard (ex-biologo dell'Istituto Pasteur e monaco buddhista) dai suoi colleghi scienziati che, studiandone il cervello, hanno constatato che 30 anni di meditazione hanno atrofizzato le aree preposte alla depressione rendendo molto più attive del normale quelle del benessere. "Meditare - spiega Ricard - è mirare a uno stato di lucidità, compassione e pace interiore immenso da cui affrontare le difficoltà; pensiero, parola e azione sono allora sempre adeguati, e perciò fonte di bene per sé e per gli altri, invece che di stress". Abbiamo ora la prova scientifica che il training meditativo può stabilizzarci nella felicità. Per la prima volta nel Dvd L'uomo più felice del mondo, l'esperienza e la saggezza di un monaco buddista, biologo, filosofo, e scrittore: Matthieu Ricard è autore inoltre di diverse opere fra cui "Dal Big Bang all'Illuminazione", uno straordinario dialogo con l'astrofisico Trinh Xuan Thuan che approfondisce i temi di cui parla questo video. Un video con la presenza di un grande maestro che con semplicità ti aiuterà a mettere in atto i cambiamenti per cambiare e ti donerà i benefici di un training meditativo quotidiano.

Imparerai cosa significhi:


* "svuotare la mente": un processo in cui si prende gradualmente dimestichezza con ciò che siamo davvero
*distaccarsi da comportamenti abituali negativi
*creare nuove reti neuronali
*rilassarsi nel momento presente nonostante le difficoltà e le sfide dell'esistenza
*coltivare le qualità umane fondamentali quali altruismo, compassione, gioia di vivere, equilibrio emotivo
*eliminare le "tossine mentali" delle emozioni conflittuali
*vivere nella libertà dalle dinamiche dell'ego

In COEDIZIONE con Edizioni AMRITA


Matthieu Ricard, monaco, scienziato e interprete del Dalai Lama per la lingua francese, è autore di diverse opere fra cui Il monaco e il filosofo, dialogo con suo padre Jean-François Revel, e Dal Big Bang all’Illuminazione, uno straordinario dialogo con l’astrofisico Trinh Xuan Thuan, in cui si approfondiscono i temi di cui parla questo video.

Guido Ferrari
, giornalista e regista, è autore di molti documentari e interviste televisive con personaggi del calibro del Dalai Lama, Karl Popper, Erich Fromm, Erwin Laszlo, Marie-Louise von Franz, Jean Starobinski.

Come la meditazione cambia il cervello: le scoperte delle neuroscienze
ISBN: 9788864120249

Prezzo € 18,50


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OSCAR NIEMEYER, ? , (REVAN, LITERATURA BRASILEIRA – CONTOS E CRONICAS). Di Adriana Maria Leaci













Um pequeno volume de apenas 58 páginas. A primeira edição é de 2004 mas, promete continuar sendo editado, pois o seu conteúdo não se resume somente nos textos do autor. Naturalmente foi concebido completamente por ele mesmo, desde o texto até os projetos gráficos da capa e das ilustrações internas. Oscar Niemeyer construiu esse livro como construiu todas as suas obras arquitetônicas: usando a própria genialidade a serviço de quem possa admirá-la. Dando si mesmo e compartilhando com o leitor os seus pensamentos sobre a infinidade de temas que estão contidos numa vida inteira. Na sua vida. Oscar se aproxima ao seu público, como sempre, colocando a vida acima de tudo, contando das suas fragilidades, das suas memórias, dos seus amigos, do seu pensamento político, da desiguadade social, de todos os problemas que afligem o seus país e da sua esperança num Brasil melhor. Trata-se de um verdadeiro diálogo que o autor faz com os apaixonados, ou não, pela arte e pela cultura. Niemeyer está para fazer 102 anos no próximo dia 15 de dezembro. Não há nada de velho nele. Será para sempre um legado com o futuro."

Attract Wealth Home Study Guide by Joe Vitale, Mark J. Ryan, Joe Sugarman, Dr. John Turner and others

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What are the 7 ways to attract wealth in today's economy? The Attract Wealth Home Study Course gives you precisely the information and inspiration you need to learn just that, and hit the ground running. "This is the best seminar I have ever been to!" — Dr. Joe Vitale.
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- What Oprah told Rev. Will Bowen about wealth and how she experiences it.
- How one, seemingly minor unconscious belief could be the single thing blocking you from experiencing what you really want. (And how to transcend it!)
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- How to accept, transcend and even welcome failure... and why failing is a good thing.
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- The seven steps to attracting money in any economy... and how you can implement all of them right now.

giovedì 29 ottobre 2009

Serie del ritorno, di Stefano Massari. Presentazione di Milo De Angelis, La Vita Felice (2009). Recensione di Nunzio Festa

I nuovi versi di Massari, del poeta di questa Serie del ritorno, sono un grumo di fresca dolcezza che prende la morte e la fa parlare come un elemento vivo. Con l’obiettivo, raggiunto, di rinfrescarla al chiarore della via d’uscita più bella; e salvifica. La gioia che esce dalla catastrofe. Stefano Massari, che è già autore di sillogi difficilmente dimenticabili, adesso entra col petto nel buio, ci rimane, e sa come uscirne. Le parole usate da Milo De Angelis in sede di prefazione all’opera sono una delle maniere migliori che si potessero usare per lo scopo. “Bisogna leggere questi versi. Hanno un’urgenza mortale, hanno la tensione di chi compie un atto decisivo, un atto oscuro e antico dove s’intrecciano salvezza e catastrofe. Bisogna credere, letteralmente, a ognuna di queste parole. Portano con sé un urlo, ce l’hanno addosso, sono infestate dall’urlo dei morti. Perché questo è un libro scritto vicino alla morte. Con improvvise rinascite, barlumi, terre felici. La morte sembra dettarlo a viva voce. L’addio è incessante. La parola è tempestosa. Chiede, invoca, comanda, crolla. Tutto avviene sul bordo dei pozzi. Una minaccia ignota la insegue, la spinge nelle vie buie del mondo e della mente, come in certe pagine russe, dove l’assoluto si sfiora nel grido e nella bestemmia, come in certe imprecazioni notturne dei Karamazov, dove l’assassino più infame legge nelle linee della mano una strana pietà”. La parola di Roberto Massari, quella parola che tenta d’andare a capo ma a volte rimane sullo stesso rigo e segue regole al di fuori dell’imposizione della regola, perché così nasce e vuole, è proprio viva di morte. Ma con la forza di un presente che vede il sole. Senza luccicore soleggiato. Stefano Massari è proprio uno dei poeti dell’assoluto che potrebbe comodamente entrare a far parte di quelli elenchi sbrindellati, ma che possono servire a scoprire voci di generazioni spesso tenute al margine. Massari, differenze a parte, ha pezzi di somiglianza, tanto per fare un esempio, con Antonella Anedda. E per Stefano Massari la visibilità meritata dovrebbe allo stesso modo a questo punto arrivare. Massari però fa una poesia che non prende in considerazione tempi e leggi. Fa poesia di vita. Linguaggio vitale e temi immortali sono il punto che sconfigge le morti, grazie a questo poeta romano di nascita e che lavoro in Emilia Romagna. L’attesa ora è tutta per la prossima creatura.

Ilchi Lee, Brain respiration: fai respirare il tuo cervello (Bis edizioni)

La Brain Respiration o Respirazione Cerebrale è un metodo per la cura della propria salute psicofisica. Che cosa bisogna fare per tenere in allenamento il nostro cervello e fare in modo che rimanga tonico e giovane anche se l'età avanza? In commercio ci sono molti giochi interattivi che permettono di calcolare l'età cerebrale e tenerla in costante allenamento. Ma questi possono bastare? Il cervello, attraverso l'attività delle sue onde cerebrali, segna l'inizio e la fine della nostra vita, registra e conserva ogni avvenimento che viviamo e è la sede di quelle facoltà che distinguono l'uomo dagli animali. Ma, soprattutto, il cervello rappresenta la porta di congiunzione fra il corpo, la mente e lo spirito. In Brain respirarion Ilchi Lee ci presenta una serie di facili esercizi che tutti possiamo fare in modo semplice: per sviluppare le facoltà del cervello bisogna prima di tutto nutrire il suo software con buone informazioni e successivamente curare l'hardware lasciando che il cervello respiri e si rilassi a proprio piacimento.

Ilchi Lee - E' considerato il filosofo del cervello oltre che educatore. Le sue tecniche di allenamento sono ampiamente usate in molte organizzazioni in tutto il mondo. Attualmente è impegnato nella ricerca e nell'innovazione educativa che possano portare a costruire un mondo di pace.

Per una mente più creativa, serena e produttiva
ISBN: 9788862280686

Prezzo € 12,67
invece di € 14,90 (-15%)


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mercoledì 28 ottobre 2009

Gaia e la fine dei giorni di Stuart Wilde (Macro edizioni)

Gaia e la Fine dei Giorni - Oltre il 2012 è un’opera straordinaria e appassionante, in cui Stuart Wilde ci offre le chiavi per accedere a uniche e sofisticate comprensioni metafisiche. Secondo l’autore siamo nell’era del ritorno della dea Kali, l’Era della Distruzione, in cui l’intelligenza del pianeta (Gaia) riprenderà in mano la Terra in difesa della natura, degli animali e dei bambini. Nei mondi spirituali sono attualmente in corso battaglie condotte dalle forze della luce contro le entità oscure, al solo scopo di liberarci. Wilde parla di un potere che chiama Logos Solare, che verrà sulla Terra per produrre una rinascita descritta come il Rinnovamento. Per questo Stuart Wilde chiama il periodo che ci separa dalla fatidica data del 2012 la “Fine dei Giorni”: non perché il mondo finirà, ma perché sarà la fine del mondo come tutti noi oggi lo conosciamo. Il vento divino della grazia vi offre speranza e fortuna e può curare ogni cosa. Vi garantisce una protezione invisibile, una guarigione miracolosa. Vi dona visioni attraverso quella che chiamo “informazione pura”, i download o dati scaricati che vi arrivano direttamente in forma di visioni, percezioni extrasensoriali e sogni. La grazia vi conduce in dimensioni e piani di apprendimento al di là di tutto ciò che l’umanità ha scoperto fino ad ora. La grazia annulla le tenebre in cui vivete e vi libera. La grazia è puro amore, è un grande dono, la Sacra Guaritrice; ma è ancora poco conosciuta.
Mistico e visionario, Stuart Wilde è tra i più noti esperti di evoluzione spirituale e tra i più famosi conferenzieri del mondo anglosassone. È autore di numerosi testi sulla coscienza e la consapevolezza, tradotti in quindici lingue.
In Italia i suoi libri sono pubblicati da Macro Edizioni: Il Sesto Senso, Il Sé Infinito, Le Leggi dell'Abbondanza, Affermazioni, I Gladiatori di Dio, I Prossimi Cambiamenti, Per Far Soldi Basta Averne un Po’, Il Tuo Potere Invisibile e Silenzioso, I Segreti della Vita, L’Arte della Redenzione, Miracoli e La Forza.

Oltre il 2012
ISBN: 9788862290746

Prezzo € 14,03
invece di € 16,50 (-15%)


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Dove nessuno può arrivare - DAVID RUBÍN (edizioni Tunué). Recensione di Mauro Gulma

Una lotta tra il coraggio dell’uomo e i limiti della sua mente, in bilico tra la crudezza della realtà e il lirismo dei sentimenti. Edito da Tunué, Dove nessuno può arrivare è una storia d’amore dai risvolti amari tra Ulisse, ex-pugile, e Ana.
Il primo, insoddisfatto del suo ego e stufo della criminalità che serpeggia nella sua cittadina, si improvvisa supereroe, abbandonando Ana al suo destino, che la porta a sposarsi con un ricco uomo d’affari, meno passionale e sognatore di lui.
Ciò la spinge a condurre una vita piatta e monotona, finché un giorno giunge alla porta del suo appartamento Ulisse, ferito e malmenato…
Capolavoro tra sentimento e sogno, partorito dal geniale e poliedrico David Rubìn, che con tratti semplici ed efficaci ha la capacità di raggiungere il cuore del lettore come una freccia di cupido, facendolo innamorare a prima vista della novella che ha sottomano. Rubìn coinvolge attivamente il lettore, facendolo immedesimare sin da subito nel/nei protagonisti. Una nota di riguardo anche per l’introduzione scritta da Miguelanxo Prado, uno degli indiscussi maestri del fumetto spagnolo, che descrive Dove nessuno può arrivare come: «Un lavoro contenuto, con pochi personaggi e una struttura ambiziosa molto ben intrecciata. Ha qualcosa che personalmente ritengo molto speciale in narrativa: tempo e silenzi».
Un mix di sentimenti contrastanti, come dolcezza e amarezza, faranno capolino pagina dopo pagina, sviluppandosi in un binario temporale tra passato e presente, svelando debolezze e virtù del protagonista, che si improvvisa giustiziere in lotta contro il crimine, ma soprattutto contro se stesso, nella disperata ricerca del suo ego; fino a raggiungere un finale che lascia libera interpretazione al lettore, co-protagonista indiretto di quest’opera dal gusto agrodolce.

martedì 27 ottobre 2009

Il codice del Tempo di Gregg Braden (Macro edizioni)

Secondo l’antico popolo dei Maya il tempo è una danza infinita di cicli, che si ripetono costantemente era dopo era. Cicli più piccoli all’interno di cicli più grandi. In base al loro calendario alcuni dei più importanti cicli temporali che riguardano la Terra si chiuderanno nel 2012, in coincidenza con il solstizio d’inverno. Dall’altra parte, i più moderni studi astronomici sostengono che quello stesso giorno il nostro pianeta si troverà nel punto più lontano dal centro della nostra galassia e tuttavia in un allineamento particolare con esso. Questo comporterà una serie di conseguenze legate alla fine di un’era e all’inizio di un nuovo ciclo per il pianeta e l’umanità intera. Ma cosa accadrà veramente il 21 dicembre dell’anno 2012? Gregg Braden ci offre una visione chiara e approfondita delle conclusioni a cui gli studiosi di diverse discipline stanno giungendo in merito alla data cruciale del 2012. Egli illumina da una nuova ottica il passato della nostra civiltà e getta luce su ciò che ci riserva il futuro. Pagine ricche di scienza e spiritualità nelle quali le scoperte della matematica dei frattali applicate ai cicli cosmici e individuali sono trattate con il linguaggio semplice e divulgativo che caratterizza tutte le opere di Braden. Il Codice del Tempo mostra chiaramente come le condizioni che hanno creato la storia si ripetano, riflettendo gli schemi che si trovano in natura e come, sapendo questo, sia possibile affrontare i momenti critici per evitare gli errori del passato.

E come possiamo sapere quello che ci aspetta?


Grazie al Computo del Codice Temporale che Braden illustra minuziosamente all’interno di quest’opera. Un calcolo matematico che permette di scoprire, a partire da un evento del passato conosciuto, personale, come un trauma o un importante successo, o collettivo, come una guerra o una dichiarazione di pace, lo schema e i tempi secondo i quali si ripeteranno le condizioni affinché possa verificarsi un evento simile.

Uno strumento prezioso per orientarsi nelle scelte più significative di quest’epoca.

Un libro straordinario che consente di comprendere a fondo la complessa situazione in cui l’umanità è venuta a trovarsi, le incredibili opportunità che abbiamo in questo momento e come fare per non lasciarsele sfuggire.

Il segreto del 2012 e l'arrivo della nuova era
ISBN: 9788862290739

Prezzo € 15,73
invece di € 18,50 (-15%)


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Nichi Vendola su Tonino Bello danza la vita a cura di Maria Occhinegro e Maria Gabriella Carlino (Lupo editore)

Credo che il Salento sottovaluti il livello di alcune voci che nel ’900 sono rimbalzate come voci di livello planetario. Ne cito tre: Vittorio Bodini, Carmelo Bene, Tonino Bello. Tre voci che hanno travalicato i limiti territoriali, e che hanno fatto del Salento, non una piccola patria, ma un trampolino di lancio per rivolgersi al mondo, per tuffarsi in oceani più larghi. La prima cosa che mi ha colpito quando ho conosciuto Don Tonino Bello è stata la voce. Spero che voi abbiate l’opportunità di fare, in questo percorso di formazione, uso di materiali audiovisivi. Perché non si può capire lo spessore di questo personaggio se non si ascolta la sua voce. Alcuni discorsi possono sembrare specialistici, come le lezioni fatte ai catechisti, ma vi invito ad ascoltarle comunque, e soprattutto vi prego di ascoltare il documento vocalmente più struggente che abbia mai ascoltato in vita mia: l’ultima omelia, l’omelia del ti voglio bene, l’omelia del congedo, l’omelia dell’addio. La voce è il primo elemento. Il secondo elemento di Don Tonino, scusate se parto dalla fisicità, sono gli occhi. Capita a me oggi, avendo superato la soglia dei cinquanta anni, di riflettere in maniera un po’ più impegnata sulla malattia e sulla morte. La malattia e la morte bussano alle porte delle nostre case in maniera, diciamo, più pressante. E ho nei miei occhi quelli di Don Tonino in un giorno particolare, quello dell’ultima volta che l’ho incontrato, l’ultima volta che ho condiviso una lunga discussione con lui in una stanza di ospedale, al policlinico Gemelli di Roma, tre ore faccia a faccia. Di quell’incontro, per me, ancora oggi, è centrale lo sguardo. Don Tonino era smagrito, piagato dalla malattia, con i capelli rasi, aveva una canottiera. Quando ho bussato ed ho aperto la porta, si è girato, e quest’uomo consumato dalla malattia, era tutto occhi: vivi, assediati dalla sofferenza, eppure interrogativi, palpitanti. Gli occhi e la voce. In questi anni ho sempre pensato che bisognasse “usare” Don Tonino con molta cautela. Ho partecipato ad un convegno soltanto una volta, e soltanto per urlare una frase giovanile: «Non fatelo Santo!».Al primo convegno commemorativo ho urlato così. I santi stanno sulle nuvole e hanno un’aureola in testa. Noi li preghiamo non in quanto esempi di comportamento quotidiano, ma proprio perché stanno in cielo; li ammiriamo senza trarne alcuna conseguenza. Invece tutta la scrittura, l’esperienza, il percorso di Don Tonino sono il contrario di questa nuvola che si allontana e che ci guarda dauna esemplarità irraggiungibile.
Lui ci provoca, lui ci interroga, lui ci chiede di dire parole che abbiano significati, lui ci stimola, lui ci consola. Mi manca molto Don Tonino.La consolazione non significa l’uso retorico delle parole,la consolazione significa fare i gesti della fraternità, significa avere cognizione del dolore del mondo e avere cognizione del nostro reciproco dolore. La consolazione significa percepire la solitudine dell’altro. Qualche riflessione su Don Tonino. Danzare la vita, cosa significa danzare la vita? Il Dio che danza la vita era un’immagine che Don Tonino amava molto, e che apparteneva al pensiero e alla riflessione di alcuni straordinari protagonisti della vita religiosa italiana. David Maria Turoldo, Ernesto Balducci erano coloro che costruivano la loro scrittura sul tema del Dio che danza la vita. Che cos’è il Dio che danza la vita? È il contrario del Dio giudice, del Dio gendarme del mondo, del Dio implacabile che occhiuto entra nelle nostre vite, ci controlla, del Dio esattore delle tasse, del Dio che non ci fa sconti rispetto alla liturgia del dogma. Il Dio che danza la vita è innanzitutto il Dio che si fa compagno dell’umanità, che sente la bellezza della vita. Nella Genesi c’è una celebrazione infinita della bellezza della vita, come nel Cantico dei Cantici ed in tutto il contesto vetero testamentario. Un’esplosione di immagini che rappresentano la celebrazione della bellezza del genere umano, della bellezza del vivente, della bellezza della vita «...corri o mio fanciullo come la gazzella sul monte degli aromi», così si conclude il Cantico, il canto dell’uomo alla ricerca di un Dio, che lo accompagna danzando la vita. Se non c’è un poco di questa leggerezza nella fede, la fede giunge come una specie di camicia di forza, come una cintura di castità, pesante e granitica, e non come il tocco della Grazia. Questo significa danzare la vita, fare in modo che la fede non sia un impegno formale, una promessa cattiva. Don Tonino insegue il Dio che danza la vita. Quando Don Tonino diventa Vescovo della mia Diocesi, Molfetta-Terlizzi-Ruvo-Giovinazzo, sono anni difficili. C’è un grande fermento nella chiesa. In America Latina è stata costruita la straordinaria vicenda della Teologia della Liberazione, contro la quale la Curia romana lancia fulmini e saette. Don Tonino vive intensamente questi giorni, in una duplice dimensione. Da un lato è figlio del Concilio, figlio dell’enciclica Gaudium et spes, cioè di quella straordinaria vicenda che fu il Concilio Vaticano II; dall’altro si trova in una fase particolare, in cui comincia l’opera di normalizzazione nei confronti di una parte di questa predicazione sociale che aveva forse travalicato certi confini. Io lo guardai con sospetto, posso raccontarlo adesso. Lo vedevo come uno che usa belle parole per irreggimentarci. Avevo frequentato soprattutto tutto il cattolicesimo del dissenso, ero stato amico di don Giovanni Franzoni, avevo una corrispondenza con don Marco Bisceglie, con Davide Maria Turoldo, prendevo il treno per andare a Fiesole a sentire le prediche di Padre Balducci. Perché a vent’anni ero tanto innamorato di Dio quanto disamorato della Chiesa. E quando venne questo Vescovo, pensai, attraverso l’ascolto di queste parole fascinose, che fosse furbizia semantica, che stesse per fregarci. Lo contestai nel primo incontro. Lo contestai, contestando il suo rapporto con la Chiesa. Lui ascoltò l’intervento provocatorio di questo giovane, che era naturalmente tutto imbevuto delle teorie della Teologia della Liberazione, e non mi rispose dandomi in testa, come mi aspettavo, perché ero stato baldanzoso, e mi meritavo naturalmente di essere affrontato. No, mi rispose dicendomi che avrebbe voluto approfondire le parole,i discorsi, che avrebbe voluto venirmi a trovare, mi disse: «Ma tu frequenti una sezione di partito? Vengo a trovarti, vengo sull’uscio della tua sezione, sediamoci sul marciapiede, sui gradini, parliamo». Io pensai: «Ma guarda che tipo! Questo ci vuole fregare!». Qualche giorno dopo cominciò a fare dei gesti un po’controcorrente. Aprì l’Episcopio. La sede del Vescovo, per noi di Molfetta, era più o meno il Castello dell’Imperatore, un luogo irraggiungibile. Ricordo quando il vescovo arrivava e i miei genitori mi portavano a vederlo e mi dicevano: «Guardalo lì», come si diceva ad un principe feudale, perché era irraggiungibile. Don Tonino aprì l’episcopio agli sfrattati, agli immigrati. Prese quella sua macchinetta scalcinata e cominciò a girare nei paesi della diocesi, a cercare barboni, alcoolisti, tossicodipendenti. Capitò a molti di noi di incrociarlo di notte, magari tornando da una discoteca, mentre lui era alle prese con un fagotto umano, che stava recuperando, che stava consolando, che stava caricando sulla sua automobile, portandolo su di un giaciglio. Era come permanentemente sulla Gerico-Gerusalemme, sempre su quel tragitto, tutta la sua vita dentro quel tragitto. Questo fu un primo scandalo. Molti rimasero turbati. Anche il clero rimase turbato. Un Vescovo deve parlare di poveri, deve dedicare le sue omelie ai poveri; ma un Vescovo che esce di notte, che si confonde con quella umanità marginale, un Vescovo che puoi incontrare in uno spigolo buio dove c’è un’umanità perduta, è un Vescovo particolare. Poi il bollettino diocesano, Luce e Vita. Andai a vivere a Roma e telefonavo tutte le mattine ad un mio amico d’infanzia, che era il Direttore di Luce e Vita, per farmi leggere gli editoriali di Don Tonino Bello, appunto la lettera al fratello ladro, le prime lettere sul razzismo, sui fenomeni delle nuove povertà. Con un’idea che fu anch’essa sconvolgente. Anzi due idee che segnarono quella vicenda: la prima il volto, l’etica del volto. Dov’è il Cristo? Nelle prediche? Nel tabernacolo? È in cielo? È avvolto in qualche magia della liturgia? Dov’è il Cristo? È nel volto, nel volto dei poveri. È nel volto di Massimo, che è ladro. È nell’etica del volto, l’etica più cancellata da questa cattiva modernità. Noi abbiamo sostituito l’etica del “Volto” con l’etica del volto, bisogna riscoprire quest’etica del “Volto”, e praticare l’irrinunciabile richiesta della ricerca del “Volto”. Questo era il punto decisivo. Non dimenticava mai Don Tonino, che il Tempio è il corpo di ogni persona, è la dignità di ogni persona. Questa è stata per noi una lezione sconvolgente, di cui abbiamo tanto bisogno oggi in cui si giudica “all’ingrosso”, in cui la vita delle persone viene divisa per appartenenza, in cui il genere umano si esprime con “contese” incandescenti su aspetti delicati che riguardano la fragilità delle vite. Oggi in cui rischiamo di tornare a considerare le persone diversamente abili o le persone di altra razza o fede come persone dotate di un grado di dignità o di diritti inferiore al nostro. Don Tonino oggi non è un santino, non è una bella giornata che ci concilia con sentimenti di bontà. È una provocazione contro il nostro conformismo, contro la nostra ipocrisia, contro la nostra pigrizia culturale e contro l’idea che oggi siamo tornati ad un mondo nel quale sono importanti i segni del potere, mentre Don Tonino predicava il “Potere dei Segni”, che aprono percorsi nuovi. La seconda idea fu poi il tema della pace, che non fu semplicemente sciorinare delle citazioni, come quelle di Isaia, che dice «forgeranno le loro spade in vomeri», cioè trasformeranno strumenti della guerra in strumenti del lavoro. Aggiunge Isaia che nessun popolo leverà le armi contro un altro popolo, e nessun uomo si eserciterà più nell’arte della guerra. Isaia dice queste tre cose, che Don Tonino fa sue e che gli creeranno qualche problema con le gerarchie ecclesiastiche. Bisogna convertire l’economia di guerra in economia di pace. Bisogna educare i popoli alla risoluzione pacifica dei contenziosi tra le nazioni. Bisogna educare ogni individuo ad assumere la non-violenza come parametro della relazione con l’altro. Questo significa cancellare nella discussione pubblica la convinzione che l’altro interlocutore sia nemico. L’altro è diverso, ed è portatore della tua ricchezza. Il mondo nuovo che annuncia Don Tonino è il mondo della convivialità delle differenze, in cui le differenze non si fanno la guerra, ma si arricchiscono, si scoprono. Questo può appartenere al piano della suggestione letteraria. Ma Don Tonino fa firmare a tutti i Vescovi di Puglia un documento contro l’installazione degli F16 a Gioia Del Colle. Fa una battaglia contro la regione Puglia che aveva offerto alcune migliaia di ettari delle Murge per costruire dei poligoni militari, trasformando quindi un pezzo del territorio pugliese in delle servitù militari. Fa una battaglia contro l’ingrandimento del porto di Taranto per accogliere la nave militare Garibaldi. Dice nome e cognome degli oggetti che, sul suo territorio, contrastano concretamente il percorso di pace. E costruisce un documento, firmato da tutti i Vescovi pugliesi, che resta una pietra miliare della nostra storia civile, affinché? la Puglia diventi non un arco di guerra verso
i paesi del sud del mondo, ma diventi un’arca di pace. E sostiene fermamente, nell’epoca in cui Gheddafi lanciò un missile verso l’isola di Lampedusa, che non si poteva accettare quella provocazione per generare una risposta fatta di militarismo e di rincorsa delle armi. Fece tutto questo e scioccò la politica, il mondo dei benpensanti, con i giornali, con i loro più noti giornalisti, che scrissero di tutto
contro Don Tonino, alla fine perseguitato. «Beati i perseguitati a causa di giustizia. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio». Quante cose diciamo la Domenica che non hanno conseguenza nella nostra vita, perché per noi la fede è stato lo scudo di una grossa ipocrisia sociale. Don Tonino rompe questo scudo. C’è un’ultima cosa che ci tengo a sottolineare. Era la prima volta che mi capitava un prete, un Vescovo, che non aveva una specie di laser negli occhi. Quello che scruta nel recinto dei tuoi peccati. Era la prima volta che avevo di fronte un prete che, a modo suo, volesse convertirmi. Gli chiesi il perché, ma quel colloquio appartiene ai doni che Dio ha voluto dare alla mia vita. Io non capivo questa latitudine dell’amore che c’era in Don Tonino, poi l’ho capita leggendo i suoi testi. Che cos’è l’amore per Don Tonino? L’amore è una voce del verbo morire.
Cos’è, pensai, letteratura sadomaso? Poi riflettei e fu bellissimo. Amore significava uscire fuori da sé, accogliere l’altro, per morire delle proprie certezze. Se tu vuoi accogliere, un po’ devi morire. L’atto dell’accogliere, l’atto dell’amore è un atto di grande cambiamento. Per questo, amore voce del verbo morire.
È difficile detto così, ma lui l’ha detto in maniera più bella: «Dicono che gli uomini sono angeli con un’ala soltanto, devono tenersi abbracciati per poter volare».
È il volo più bello che con queste parole ci ha regalato Don Tonino, un volo che è difficile, chiusi come siamo nelle nostre classi, educati agli status symbol, al Grande Fratello, ai video-telefonini, con cui talvolta riprendiamo la povertà degli altri e le nostre miserie. Noi adulti che abbiamo poco insegnato ai più giovani. Però c’è un punto all’interno del quale ciascuno di noi deve fare i conti con la
propria fragilità, con la propria solitudine. Un punto in cui ci accorgiamo di avere un’ala soltanto e di aver bisogno di quella che Don Tonino chiama un’ala di riserva. No, non ci sono ali di riserva, se vogliamo volare dobbiamo abbracciarci a qualcun altro. Solo così, ci ha detto Don Tonino, e gli siamo grati per questo, possiamo imparare a volare.

dalla prefazione al volume

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