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lunedì 24 settembre 2012

Litanie dell’acqua di Daniela Liviello (LietoColle)



La poesia della Liviello ti rimane impressa e non puoi dimenticarla, non ne puoi fare a meno, se sai di cosa stai  parlando, se conosci tutto quel retroterra simbolico, poetico, di cui si è nutrita e che fa parte di una memoria collettiva lirica che appartiene non a un sud del sud del mondo generico, no… tutt’altro! Esso è l’esplodere ritmico del veleno della ragna tarantolante e del mare di Idrusa, è l’avvelenata di Antonio Verri che s’aggrappa  tenace al sogno del “fate fogli di poesia poeti…”, della rabbia demonicamente barocca di una Claudia Ruggeri, di  un odio benevolo di un immenso Salvatore Toma verso la creaturalità bestiale e blasfema che si annida nelle notti  di luna piena sulle scogliere di Badisco, sulle menzogne dei vicoli e delle chiese di Lecce. (dalla prefazione da me curata)

domenica 23 settembre 2012

Candidato a sorpresa



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Quando l'onorevole di lungo corso, Cam Brady (Will Ferrell) commette una enorme gaffe pubblicamente, prima di una imminente elezione, una coppia di ultra milionari trama contro di lui spalleggiando un candidato rivale per ottenere la maggioranza nel loro distretto della Carolina del Nord.
Il prescelto è l'ingenuo Marty Huggins (Zach Galifianakis), direttore del locale Ufficio del Turismo. Inizialmente, Marty sembra essere la scelta meno appropriata ma, con l'appoggio dei suoi nuovi benefattori, oltre a quello di una vecchia canaglia della politica ed alle connessioni politiche della sua famiglia, diventa ben presto un degno rivale di cui il carismatico Cam dovrà preoccuparsi.
Con l'avvicinarsi delle elezioni, i due si trovano coinvolti in un'atmosfera incandescente, con insulti che si trasformano rapidamente in ingiurie, finché il loro unico scopo sarà quello di distruggersi a vicenda, in questa commedia in cui si getta fango, si pugnala alla schiena ed altre catastrofi, dal regista di "Ti presento i miei", Jay Roach che porta l'attuale circo della politica al suo logico livello superiore. Se pensavate che l'etica nelle campagne politiche avesse già toccato il fondo, questo film vi farà ricredere, dimostrando che c'è ancora molto da scavare.

La bambina che imparò a non parlare di Yasmine Ghata. Tradotto per Del Vecchio Editore da Angelo Molica Franco

Scrivere un libro sul silenzio è osare. Una figlia senza nome perde il padre all’età di sei anni e comincia a vivere nei mondi che la madre, eccentrica scrittrice, costruisce per lei con le parole. La madre esorcizza il lutto allontanando la realtà dalle parole, la figlia lo dimentica. Di giorno non si cercano: una è alla macchina da scrivere, con la sua tazza di caffè turco, l’altra, a letto fino a tardi, occupa le sue giornate immaginando la vita. La notte si ritrovano, dormono nello stesso letto, abbracciate, con le gambe intrecciate. Trovando un giorno la pipa del padre, il suo tabacco, i suoi dischi, i suoi documenti, le sue lettere, la bambina si identifica con lui e comincia a guardare la madre in modo diverso. Yasmine Ghata regala ai lettori un moderno e luminoso roman à clef che intreccia il vero e l’immaginario con consapevolezza e coraggio. È un’opera sul silenzio nudo ed eloquente, sull’amore mai espresso a parole, sulla bellezza sublime, timida e muta dei gesti e degli odori.

venerdì 21 settembre 2012

BARONE DI S. GIUSEPPE DELL’OLMO



“La terra fu acquistata nel 2001 dall’ attuale proprietario che dopo la laurea in giurisprudenza con la tesi in diritto commerciale sulla nuova figura dell’imprenditore agricolo,trasferendosi da Roma in Offida, ha voluto realizzare il suo sogno trasformandolo in realtà.Dopo il primo anno dedicato al cambiamento della potatura delle viti nel 2002 si passò alla realizzazione della cantina,realizzazione che è stata possibile grazie al consulto di esperti che hanno saputo indirizzare il proprietario sulle migliori ed innovative tecniche di lavorazione e vinificazione.
La vendemmia - Dopo un diradamento che varia a seconda delle specifiche annate e che si effettua al momento dell’invaiatura e dopo il controllo tecnico sulle uve attraverso le curve di maturazione ,si giunge finalmente alla vendemmia che si svolge tra l’ultima decade di settembre e la prima di ottobre,tempo di vendemmia che è comunque soggetto alle varianti climatiche di ogni specifico anno. La vendemmia è rigorosamente svolta a cassetta,al fine di non disperdere il mosto e far si che l’acirno arrivi intatto sopra i nostri tavoli di cernita per poi compiere tutto il circuito che lo trasformerà in mosto…”




Arriva in Italia la nuova letteratura Macedone


Besa Editrice porta in Italia, con tre appuntamenti imperdibili, dal 24 al 26 settembre 2012, la nuova letteratura macedone. Tre tappe, a Roma, Bari e Lecce, vedranno come protagoniste assolute le nuove voci di una geografia letteraria vitale e ancora, per certi versi, tutta da scoprire.

Il volume edito da Besa Editrice dal titolo “Macedonia: la letteratura del sogno” a cura di Anastasija Giurcinova vuole presentare al lettore italiano la nuova letteratura macedone, precisamente quella degli ultimi vent’anni, tramite una scelta delle pagine più interessanti della narrativa e della poesia contemporanea prodotte da autori macedoni, alcuni dei quali si sono già imposti per la loro bravura.
Si è cercato in queste pagine di presentare diverse “generazioni”, “tendenze” e “poetiche”, che fanno parte del variopinto mosaico della letteratura che si sta producendo oggi nell’ambiente macedone. Viene così presentato uno spaccato degli ultimi venti anni della letteratura macedone contemporanea, così nuova e “giovane” all’occhio occidentale, ma contemporaneamente anche “antica” ed erede di note tradizioni culturali (prevalentemente di provenienza paleoslava).
I testi letterari presentati in questo volume, nella loro pluralità di stili e linguaggi diversi, affrontano e riflettono alcune tra le più importanti questioni etniche, nazionali, artistiche e culturali che fanno parte dell’identità macedone di oggi.
Gli appuntamenti, organizzati da Besa Editrice con la collaborazione  e il patrocinio della Società Dante Alighieri  a Roma (in collaborazione con il Comitato Dante Alighieri di Skopje), l’Assessorato al Mediterraneo della Regione Puglia, l'Università di Skopje – Dipartimento di Italianistica e il  Ministero della Cultura Macedone.
Ecco, nel dettaglio, i partecipanti


24/09/2012 - Roma

Macedonia. La letteratura del sogno. AA.VV. - Besa/Controluce
Roma - Galleria del Primaticcio - Palazzo Firenze - Piazza Firenze, 27 - ore. 18.00
Interventi: Alessandro Masi, segretario generale della Società Dante Alighieri,
Aleksandar Prokopiev, scrittore, vincitore del premio BALKANICA 2012
Anastasija Gjurcinova, presidente del Comitato Dante Alighieri di Skopje e Livio Muci

25/09/2012 - Bari

Macedonia. La letteratura del sogno. AA.VV. - Besa/Controluce
Bari - La Feltrinelli, via Melo 119 - Ore 17.30
Interventi: Silvia Godelli, Ass. al Mediterraneo Reg. Puglia
Anastasija Gjurcinova, dirett. Dip.to di italianistica Università di Skopje
Irina Krotkova, Direttore Relazioni Internazionali del Ministero della Cultura della Macedonia e Livio Muci

26/09/2012 - Lecce

Macedonia. La letteratura del sogno. AA.VV. - Besa/Controluce
Lecce - Cantieri Teatrali Koreja, Via G. Dorso 70 - Ore 18.00
Interventi: Anastasija Gjurcinova, dirett. Dip.to di italianistica Università di Skopje
Irina Krotkova, responsabile relazioni internazionali del Ministero della Cultura della Macedonia, e lo scrittore Aleksandar Prokopiev, vincitore del premio BALKANICA 2012.
Dialogheranno con l'autore Anna Amendolagine, direttrice Istituto Italiano di Cultura a Sofia e Salvatore Cosentino magistrato.

Info

Recensione di Alessandra Peluso su “C’è da giurare che siamo veri ... “ di VINCENZO CALÒ (Albatros)



Meditando i versi di Vincenzo Calò “C’è da giurare che siamo veri ...”, ho percepito immediatamente un’atmosfera di illusioni, delusioni, sofferenze, precarietà dell’esistenza con una voglia di liberarsi e liberare gli altri da queste condizioni destabilizzanti. Già il titolo e i versi decantati nella copertina del libro comportano una sosta dando adito a riflessioni di non poco conto: «Pensare è un dolore / a cui non posso credere. / Segno la mia persona / rivolta ai processi dove / non v’è legge che ti soccorra / ma riserve assolutamente incontestabili».  È un’animo inquieto e non certo poeta dell’equilibrio e del giusto mezzo, al quale forse non interessa giungere, ma ciò che è assolutamente incontestabile è il poeta, l’artista della verità. Mira a raggungere la verità, ossia l’amore per ciò che un uomo è e non vorrebbe diventare assumendo maschere e recitando parti di un attore solo per apparire, “per farsi manipolare in finti corsi di recupero”. I versi di Vincenzo Calò quantomai realistici invitano a riflettere anche sul tema del dolore al quale ognuno vorrebbe sottrarsi, ma che puntualmente arriva e se “tu” non sei consapevole e capace di affrontarlo, ti devasta. Il dolore, tuttavia, la sofferenza aiutano a migliorare la propria identità, a renderci veri, a non lasciarci condizionare. Al contrario del titolo, ironico e pungente, “C’è da giurare che siamo veri ...” come nell’intera silloge in cui appare una sottile venatura di ironia e sarcasmo comprenetrante con i comportamenti menzogneri dell’individuo contemporaneo.   È complesso essere veri oggi, nella società consumistica, dell’apparire, del potere: ognuno di noi infatti spesso crede di essere vero, lo giura, ma finge alle volte coscienziosamente, altre no pur di omologarsi, di sentirsi parte della modernità. «Lo si fa infatti per stare al centro dell’attenzione se pur in modo banale». (p. 24). Si legge: «Nasciamo per donarci al di fuori / Per calcolare una vergogna / Dietro ai caos organizzati / con caratteristiche fisico-chimiche intorbidite / ... ». (p. 24). “L’immagine che ci siamo creati ha assunto una Vita propria ...” incisiva ed esaustiva la breve summa che Vincenzo Calò pone a capo di ogni poesia come l’epilogo di un episodio della sua, della nostra esistenza. È straordinario notare come il poeta non si ponga al di fuori di questo assurdo meccanismo ma parla di un “noi”, nell’intera opera compare un “tu” e un “noi”, facendo chiaramente pensare ad un animo sensibile, umile, che non osa estromettersi da una realtà che vorrebbe non farne parte ma che maledettamente ne è parte, esiste e non si erge per considerarsi migliore in questo mondo fatto di apparenze e maschere. L’uso della maschera, il gioco delle apparenze, pertanto, sono temi trattati ampiamente da filosofi moderni quali Simmel, Niezsche, Ortega, e grandi letterati come Pirandello che nelle sue opere narra la perdita dell’identità, la spersonalizzazione di se stesso in ogni altro che ognuno vuol vedere. Basti pensare al grandioso “Uno, nessuno, centomila”. Il reale che si intreccia col surreale, ciò che è si trasforma in ciò che non è: «Nell’ingenuità dell’amore / Fatti guidare dalla scoperta di un legame / Il consulente al tuo fianco / ... ». (p. 26) e ancora  «Ti senti il più forte del mondo / E tieni conto di nessuna stima /Tra l’igiene del tuo badante / E il grado d’onestà dei datori di lavoro / Dando appuntamento al video-fonino / Per ringraziare di persona / Il Sole che si leva sulla tua libera isola». (p. 27). Non si può non citare D’Annunzio per sfuggire al perbenismo della borghesia, alla sua morale e al consumismo, assume la maschera dell’esteta. La sua diviene così un’esistenza costruita artificialmente per realizzare l’ideale del “vivere inimitabile”, per essere diverso, comprendendo poi che la maschera non lo porta a nulla di buono se non alla menzogna e quindi alla crisi del’estetismo, mettendo in evidenza la debolezza della persona che non riesce a realizzare i propri obiettivi. Non vuole essere maestro per nessun individuo - Vincenzo Calò - anzi forse sembra chiedere a chi maestro lo sia a dare una soluzione per lui e per la società perchè si riesca a vivere nella verità e non nella menzogna. «Sull’isola della verità / Sul mio telefonino / Trovo un’occupazione a tempo vuoto / Le nostre vite a dura prova / Tra gli eccessi di un uomo / Per risultare innovazione / Sperando di giocare ancora / A correre con un popolo /... / Per proporsi alla perfezione / Per farsi pubblicità / ... / Passare per solitudine / Alla scoperta delle origini / Di un’ombra solidificata». Così prosegue nel percorso esistenziale l’autore sostenendo che ognuno deve fare la sua parte, perchè molti non trovano la chiave dell’umanità e proseguono a passaggi. Il nostro sport preferito è farci male da soli. E come dargli torto? Siamo bravi a farci male da soli. Si individuano negli altri i limiti, gli errori, pur di rialzare le nostre fragilità, sbagliando.  Da questa amara riflessione si avvia alla conclusione - “C’è da giurare che siamo veri ...” -provvisoria, visto che l’esistenza è provvisoria e precaria, con uno sguardo del poeta nè ottimistico nè fiducioso: «Ufficializzato il clima d’insicurezza, incorporiamo una vera e propria decadenza, soffrendo il rifiuto d’aiutarci, che c’impedisce di vedere attorno». E a tal proposito tuonano i versi: «Appesi al testo di una canzone / Come incontenibile ispirazione / Per gli ospiti di una metafora / In forma extralarge. / Alle nitide immagini / Applichiamo il passato sbaragliato / Firmato dal dsinteresse / Di paesi fluidici nelle linee editoriali / Come piccoli e gracili indiani / Con la frusta dei record / Prodotti dall’insieme / Per spiegare semplicemente la nostra crescita / Tra le perdite di colore / ... / ».  E con metafore e allegorie la vita scorre tra maschere e menzogne!


giovedì 20 settembre 2012

GASTRONOMIA MIGLIORI



“L’azienda - Zè Migliori, testimonial della gastronomia ascolana e delle tradizioni locali, è tornato nelle campagne del territorio a ricercare le mitiche olive ascolane oggi difese dal marchio DOP, a procurarsi personalmente il frutto quasi scomparso, base della famosa ricetta 'Oliva ascolana del piceno in salamoia DOP', integrando la personale produzione del proprio uliveto. MIGLIORI, nel corso del tempo, ha arricchito l'offerta creando varianti nella farcitura delle olive e un ventaglio di altri prodotti tipici del "fritto all'italiana".
Questo trionfo di sapori è apprezzato a livello internazionale: vanto della tipicità e della raffinata gastronomia delle Marche.”



VOLPE PASINI



“Il cuore dell’azienda, con i suoi uffici e le cantine, è composto da una villa padronale, il cui impianto originario risale al 1596, e da uno splendido complesso di immobili che circondano la villa stessa. All’interno della proprietà di 20 mila metri quadrati si trovano, inoltre, il parco secolare ed un piccolo vigneto di Ribolla Gialla che ricorda la vocazione enologica dell’azienda.  Al XVII secolo risalgono i primi documenti testimonianti con certezza la produzione vitivinicola sulla proprietà. L’azienda, da allora, ha sempre espresso una vocazione prettamente agricola, che nella seconda metà del ’900 è divenuta sempre più esclusivamente enologica. Negli anni ’70, insieme a pochi altri “produttori pionieri”, la Volpe Pasini ha portato l’enologia friulana in Italia e nel mondo e, uscendo dalla logica del vino in damigiana, concentrò le proprie energie nella ricerca qualitativa dell’eccellenza e nel vaglio di nuovi sbocchi sui mercati internazionali (soprattutto tedesco e statunitense). Attualmente la Volpe Pasini vende il 50% dei suoi prodotti all’estero, attraverso una rete commerciale solidissima ed ultratrentennale. Oggi l’azienda si presenta più vitale e competitiva di prima, avendo ritrovato quelle solide basi e quella volontà innovativa che ne hanno fatto, nel corso dei decenni, una delle più importanti del Friuli Venezia Giulia”



Heartist "Disconnected"




Dall'EP di debutto "Nothing You Didn't Deserve", disponibile (in digitale) dal 16 ottobre 2012.
Facebook: http://www.facebook.com/heartistband
"Disconnected" free download: http://www.heartistband.com

La collera di Andrea Di Consoli (Rizzoli). Intervento di Nunzio Festa



E' sicuramente un caso che abbiamo letto il nuovo sublime romanzo d'Andrea Di Consoli, "La collera", nei giorni della morte del poeta post-novecentesco del Novecento, Roberto Roversi e mentre sentivamo ancora la presenza del Damìn del Volponi del "Lanciatore di giavellotto" (non ci crederete, comunque solamente dopo aver scritto queste righe abbiam incrociato la notarella di Paris) e quando un'altra idea di Mezzogiorno è proposta e riproposta, per esempio, dal paesologo Arminio. Però tutto questo, sicuramente, in qualche maniera ha a che fare con il libro di Di Consoli. Fra fenomenologia dell'emigrazione, prima del concetto stesso di 'migrazioni', proprio quindi niente a che vedere col De Luca, racconto dell'allontanamento dalle origini e illustrazione crudele del cordone ombellicale attaccato da ovunque e sempre alle origini, Pasquale Benassìa è l'estraniato. Un personaggio che divora chi legge, certo, ma di facile analisi. Perché, innanzitutto, per quanto il protagonista della Collera abbia la maschera del forza originale che vien dal Sud senza voler quelle compromissioni della maggioranza silenziosa e "catarrosa" del Meridione, lo stereotipo voluto dal poeta nato a Zurigo e di discendenza della Rotonda di Lucania è rintracciabile viaggiando nei tempi e nei modi di Calabria, Basilicata, Puglia. Ché il narratore fa del suo manichino una figura da teatro della realtà. Ne conosciamo, dunque, di fascisti sui generis. Posizionati e rintanati nei paesi. Tipo dopo aver subito una sonora sconfitta: vedi, appunto, il dramma del rancoroso Benassià. Insomma Pasquale Benassìa dice d'odiare infinitamente la sua terra, le Calabrie e il Paese dei Mori. Tutto il Sud di "mendicanti, miserabili e vigliacchi". D'asserviti al potere di turno. Quando i comunisti e i sindacalisti son vissuti alla stregua del male peggiore che possa esistere e il potere del Mancini della Calabrie e d'altri socialisti in forma di potere che compre e corrompe. La famiglia di Pasquale è una famiglia di pastori. Pasquale, invece, rifiuta il contatto diretto con la terra e insieme ai suoi pacchetti di sigarette prova a varcare la soglia della Fiat di Valletta e Agnelli. Eppure son gli anni Settanta. Eppur la politicizzazione, specie di sinistra, della fabbrica è forte. Eppure l'operaio Benassìa non pensa che a studiare, da autodidatta puro, i pensatori che fortemente gli piacciono e a faticare senza catapultarsi negli scioperi rossi. Tanto da entrare, per dire, nelle grazie d'un capetto che rappresenta in faccia a Benassìa il nobile Nord dei buoni di spirito e ultima ricaduta del lascito delle monarchie da lui tanto vantate e sperate. Fino a quando tra l'incontro col capo-turno e una maestrina di Rivoli si mette una giovane siciliana che fa sentire la furia del suo corpo appassionato e appassionante. Una rovina, in pratica, per il Benassìa integerrimo - che dall'impatto con la forza vera del sesso è messo all'angolo. Quanto, ovviamente, dalle conseguenze, che non starem di certo qui a riportare, della dipartita improssiva della giovine. Sta di fatto che l'estraniato, certo inconsapevolmente, si trova costretto a fuggire. A tornare in Patria. A riprendere i favori che stanno ad attendere, è chiaro, dove l'erba trema. Perché lo Stato, come a lui stesso è dimostrato, non tutela e non protegge; le autorità non sono forti. Il lirismo di Di Consoli si palesa dove le prove del "tramonto da bestia macellata" abbracciano la rivolta sostanzialmente interiore di Pasquale Benassìa. Quasi celato, il lirismo. E questo scarto della società, Benessìa, non può che farsi annegare dal narratore onniscente che possiede trama e vocazione dell'opera (per questo il poetico è più in ombra). Quarant'anni or sono, pare dirci Andrea Di Consoli, stavamo quasi come oggi. L'Italia e il Sud sono posti massacrati da tanti mali. Qui un Benassìa, tra macchinette mangiasoldi e solitudine che il fascista fiero invoca quale valore aggiunto, deve per forza soccombere. L'autore, furioso polemista, nel suo personaggio carica tutta la rabbia e la disperazione che è possibile sentire. Per questo Pasquale Benassìa ci sbrana. Mettendo in ridicolo, tra l'altro, persino le figure più importanti che galleggiano nell'ambientazione del romanzo. Il confronto con la potenza del protagonista, su tutto, manco è retto dal dott. Anile o dai vari padroni socialisti di sottofondo. Lo scrittore, ancora una volta diversamente dall'indimenticabile romanzo d'esordio, "Il padre degli animali", si fa dare il destino dal suo Meridione.




mercoledì 19 settembre 2012

VALLE REALE



La Famiglia Pizzolo - C'era una volta una terra, e un uomo appassionato della coltivazione del tabacco... Nel primo dopoguerra Giovanni Alberto Pizzolo decide di investire i risparmi accumulati in diversi anni di attività di fattore per acquistare ì primi terreni. La famiglia è molto numerosa e abita in un piccolo paese ai confine fra la provincia di Verona e quella di Vicenza chiamato Zimella.
L'attività agricola inizia con la coltivazione di ortaggi per poi concentrarsi sulla produzione di tabacco da vendere nelle aste governative del monopolio di stato. Giovanni Alberto è coadiuvato dall'aiuto di quattro dei suoi figli, Augusto, Giuliano, Floriano e Giorgio. L'attività prosegue bene per molti anni fino a quando i figli si vedono costretti a prendere la gestione completa dell'attività del padre ammalato di asma. Siamo negli anni sessanta e la famiglia ha già più di ottanta dipendenti che lavorano le proprietà nel frattempo allargate.
I Pizzolo decidono di dedicarsi all’allevamento del bestiame e alle aziende agricole, abbandonando definitivamente la produzione del tabacco. Alla fine degli anni ottanta decidono anche di iniziare l’attività di produzione ed importazione di pesce da proporre alla ristorazione e alla grande distribuzione. Oggi il Gruppo Pizzolo è un gruppo agroalimentare complesso con poco meno di 400 dipendenti. Le attività spaziano dall’agricoltura alla produzione di carne chianina venduta direttamente alla ristorazione qualificata attraverso una rete di agenti con il marchio Corte Pizzolo.
Leonardo Pizzolo - Leonardo Pizzolo nasce a Verona il 28 maggio 1969. Laureato in Economia e Commercio matura le prime esperienze nell’azienda di famiglia affiancando Giorgio Pizzolo nell’attività di imbottigliamento rilevata agli inizi degli anni novanta.
Nel 1998, Giorgio e Leonardo, iniziano a coltivare un vecchio vigneto di proprietà sito all’interno dei Parco Nazionale della Majella dove la famiglia ha due allevamenti di trote fra i più importanti d’Europa. La passione per l’agricoltura ereditata dal nonno li spinge a mettersi in contatto con l’Università di Milano, nella persona del Prof. Leonardo Valenti per iniziare uno studio del Montepulciano d’Abruzzo riscoprendo le sue antiche origini di vitigno pedemontano in una zona ancora incontaminata. Infatti le prime tracce dell’esistenza di questo vitigno si trovano proprio ad un passo dall’azienda. Nasce così il progetto agronomico Valle Reale.
Luciana Biondo - Responsabile Agronomo vigneti di Popoli e Capestrano
Luciana Biondo nasce a Verbania il 19 novembre 1967. Si laurea in Scienze agrarie all’Università degli studi di Milano nell’anno 1993 con una tesi sulla gestione integrata del vigneto e consegue nello stesso anno l’abilitazione alla libera professione di Dottore Agronomo.
Inizia subito una collaborazione con l’Istituto di Coltivazioni Arboree della Facoltà di Agraria di Milano, nel team del Prof. Leonardo Valenti, occupandosi di diverse tematiche inerenti ad una moderna gestione dei vigneti (selezione clonale di vari vitigni italiani, confronti tra sesti d’impianto e forme di allevamento, valutazione di differenti tecniche colturali).
Dal 1996 al 1999, oltre alla collaborazione con l’Università, inizia ad occuparsi di assistenza tecnica alle aziende viticole, dapprima tramite un Consorzio di tutela in Lombardia poi nell’ambito di un’Associazione di produttori nelle zone di produzione delle DOCG Ghemme e Gattinara.
Nel 2000 diventa responsabile agronomico dell’Azienda Cottanera a Castiglione di Sicilia (Ct), dove matura una buona esperienza sulla conduzione di nuovi impianti vitati e sulle problematiche inerenti alla coltivazione dei vitigni internazionali. Dall’inizio del 2004, insieme a Giulio e a Leonardo, lavora al progetto di un grande Montepulciano a Valle Reale.”



La mia possessione. Come mi sono liberato da 27 legioni di demoni di Francesco Valasuso e Paolo Rodari (Piemme)

Fino a 31 anni Francesco non immaginava neanche lontanamente quale realtà avesse preso possesso del suo corpo. Fino all'incontro con un sacerdote esorcista che un giorno, pregando su di lui, fa venire allo scoperto Satana. E ben 27 legioni di demoni. Per Francesco è l'inizio di una quotidiana lotta con le forze delle tenebre per riuscire a liberarsi dagli spiriti demoniaci che finalmente sono usciti allo scoperto, dopo averne segretamente condizionato l'esistenza per lunghissimi anni. Sì, perché tutto ha avuto origine da una messa nera e da un rito di consacrazione a Satana che Francesco ha subito quando aveva appena 4 anni... Un'intera vita trascorsa dunque come posseduto dal demonio. Finché, dopo oltre 500 incontri di preghiera, Francesco giunge alla completa liberazione. E a riprendersi quella vita con la moglie, curando la galleria d'arte della famiglia ad Alcamo cui temeva di dover rinunciare. Una testimonianza sconvolgente che insegna a conoscere, a difendersi e a combattere il male presente nella vita di ognuno di noi.

martedì 18 settembre 2012

Una vita libera di Walter Bonatti (Rizzoli)


"Uno sguardo cristallino, morale fino all'ingenuità, sulle cose del mondo, della società, della politica, uno sguardo che sembra calibrato sui ghiacci, sulle rocce, sugli orizzonti della natura più che sugli ambigui paesaggi umani." Questo sguardo limpido, così ben descritto da Michele Serra, è la prospettiva dalla quale Rossana Podestà racconta un uomo libero: oltre l'alpinista, l'esploratore, il reporter, il fotografo e lo scrittore. Il volume prende le mosse dai sogni di un ragazzo che segue il volo delle aquile nei cieli bergamaschi e gioca sul Po immaginando oceani e deserti, dando fuoco alla fantasia attraverso la lettura dei grandi scrittori d'avventura, da London a Defoe, Melville, Conan Doyle e Hemingway. Le pagine ripercorrono, attraverso testi e immagini, le imprese alpinistiche e i viaggi nei cinque continenti, e danno voce a pensieri ed emozioni. Gli oggetti fotografati portano l'impronta di un uomo straordinario che si è misurato con pareti inviolate, è sopravvissuto a grandi tragedie, ha scoperto terre estreme e inospitali, si è avvicinato, con rispetto e curiosità, ad animali feroci e a popoli primitivi. Un libro "a due voci", la testimonianza di un confronto costante e onesto con se stesso e con le forze della natura, ricco di ricordi personali, testi mai pubblicati dai suoi taccuini di viaggio, scritti di amici. 


Il manoscritto. Come la riscoperta di un libro perduto cambiò la storia della cultura europea di Stephen Greenblatt (Rizzoli)



Nel 1417, in un'epoca in cui per impadronirsi di un testo antico si poteva rubare o uccidere, l'umanista Poggio Bracciolini scoprì in un monastero tedesco l'unica copia sopravvissuta del poema filosofico di Lucrezio, "De rerum natura". Oggi "Il manoscritto" racconta l'impatto delle idee di Lucrezio - intorno agli atomi, agli dèi e alla loro assenza, alla felicità umana - su artisti e pensatori come Botticelli e Giordano Bruno, Montaigne e Shakespeare, Freud e Einstein. Con il passo e la felicità del narratore Greenblatt dimostra in queste pagine che i grandi libri cambiano la storia del mondo.

TWO DOOR CINEMA CLUB | WHAT YOU KNOW




The official video for Two Door Cinema Club's new single 'What You Know' released in the UK on 7th February 2011. Taken from their debut album 'Tourist History' on Kitsuné/Co-Op.

Video directed by Lope Serrano at CANADA
http://www.lawebdecanada.com

'Tourist History' can be bought from the following places in the UK:
Rough Trade - http://bit.ly/touristhistoryroughtrade
HMV - http://bit.ly/touristhistoryhmv
Play.com - http://bit.ly/touristhistoryplay
Amazon - http://bit.ly/touristhistoryamazon

For other countries, you can find retailers here:
http://bit.ly/tdcctouristhistory


http://www.twodoorcinemaclub.com
http://www.myspace.com/twodoorcinemaclub
http://www.facebook.com/twodoorcinemaclub
http://www.twitter.com/tdcinemaclub

Le confessioni di Noa Weber di Gail Hareven (Giuntina)



Noa Weber è una donna di successo, una scrittrice celebre e un personaggio di spicco nell'ambiente culturale di Gerusalemme. È una donna desiderabile e quando ha voglia di fare l'amore si sceglie un uomo, anche per una notte soltanto. Apparentemente è libera e rifugge da ogni legame del cuore. Eppure vive in schiavitù di un unico amore: Alek, lo studente anarchico immigrato dalla Russia che l'ha sposata poco più che adolescente solo per evitarle il servizio militare. Da questa unione nascerà anche una figlia, ma Alek se ne andrà lontano per vivere la sua vita. Noa aspetta il suo ritorno, aspetta che lui la chiami. E tutte le volte che lui la vorrà, lei correrà, ovunque lui sia, senza chiedere di più.

Why aren’t we all still talking about the monkeys that glow in the dark. By Stephanie Grice




As an English teacher in the south of Italy, people often raise their eyebrows when I say that I am, in fact, a biochemist. When I try to talk to them about science, they often laugh and tell me to go to Milan. Or Canada.

I am particularly interested in bioengineering, meaning technologies that use a combination of molecular biology, chemistry and physics to change the form of living organisms. The power of modern-day bioengineering is astonishing. What is more astonishing, however, is how few members of the general public seem to know or care, and how little open discussion there is about the ethical issues surrounding these technologies.

I recently designed a lesson for a group of advanced students using a TED talk about bioengineering1 given by Paul Wolpe, the chief bioethicist for NASA. He begins his presentation with the chilling statement: “...for the first time in history, we have the power to design bodies...” He then goes on to show images of cross-species animal hybrids (including “everyone’s favourite, the zorse”, which appears to have the head and backside of a zebra but the body of a horse), animals that glow in the dark under UV light (including the famous “glow-in-the-dark monkeys” which caused the media storm in 2009), and insects and mice with electrodes inserted directly into their brains which enable their movements to be remotely controlled. None of the students had ever heard of these technologies and most were too horrified to contribute to the class discussion about bioethics at the end of the lesson.

Any scientists reading this will probably be muttering “but this is old news”. Yes, that’s precisely my point. To the world of science this is old news, but to the vast majority of the general public it’s still science fiction. Let’s take the glow-in-the-dark animals as an example. The green fluorescent protein (known as GFP) was isolated from jellyfish (Aequoria victoria) in 1962, the gene responsible was sequenced in 1992, and in the mid to late 1990s the gene was successfully expressed in bacteria, worms, insects, plants and mice. Glow-in-the-dark rabbits and pigs followed soon afterwards. The first glow-in-the-dark primate was engineered in 2001 but it wasn’t until 2009 that scientists reported the creation of primates which could pass the gene onto their offspring. In the same year, it was announced that the first glow-in-the-dark dog had been produced. It was only then that the ethical debate hit the international headlines with full force. Finally, in 2011, glow-in-the-dark cats. And most people are still oblivious to it all.

If the students’ lack of awareness was surprising, their horror was understandable. I, myself, was disturbed by what I saw. I was also very excited by the implications for medical research, particularly into the understanding and treatment of neurodegenerative diseases. It’s important to understand that making animals glow in the dark is not the scientists’ objective. The fluorescent protein is simply a marker: it shows the scientists that they can introduce a foreign gene into an animal embryo such that the gene is retained and expressed in most if not all of the tissues of the adult animal. Now that they have found a technique that works, they can introduce a gene that causes human disease into an animal to create a model of that disease. The closer the animal is genetically to a human being, the more accurate the model, which is why scientists are so keen to work on monkeys. Scientists at the Yerkes National Primate Research Centre in Atlanta, Georgia, USA, have already created a monkey with some of the physiological and behavioural features of Huntington’s disease. This research could, I repeat could, save thousands (even millions) of lives in the future, although it’s far too early to tell. An ethical dilemma. In short, I found myself sitting rather uncomfortably on the fence. I felt the need to discuss it all with someone, with everyone – with friends, with colleagues, with the man who makes my cappuccino every morning – but my efforts were usually met with disbelief, disgust, fear or indifference, and more than just a pinch of ignorance.

Why aren’t people more aware of these technologies and more willing to contribute to the ethical debate? To the non-scientist, making animals glow in the dark is surely almost as incredible as putting man on the moon, and considerably more thought-provoking. How is it possible that, despite the best efforts of science communication, those furry luminaries have remained in the shadows? Newspapers dedicate few column inches to science, and even fewer front pages, and The Times is the only national UK newspaper to have a dedicated science supplement. News programmes on TV rarely include science-related reports in their headline stories and prime-time popular science programmes seem to concentrate on physics and environmental science and rarely delve into the world of genetics. The situation needs to change.

Even if people were ready and willing to talk, who would they talk to? Why aren’t there more outlets for people to express their opinions? There need to be more internet forums, helplines and TV talk shows where scientists and non-scientist members of the public discuss these issues openly. Bioethics should be taught alongside science in schools so that children grow up asking questions.

Laws are being made. Guidelines are being written. And it’s happening now. It shouldn’t just be the clever scientists in Milan, or the people at NASA, or the EU and US Governments who make the decisions. Every man, woman, child and grandparent should be aware of these advancements in science, weigh up the scientific and ethical pros and cons as best they can, and have their say. And the powers that be should listen.

So, shall we go to the bar and talk?

Stephanie Grice


Perché ancora non stiamo tutti parlando delle scimmie che brillano al buio?

Essendo io un'insegnante di inglese nel sud Italia, la gente spesso inarca le sopracciglia con stupore quando dico che, in realtà, sono una biochimica. Quando provo a parlare con loro di scienza, spesso ridono e mi dicono di andare a Milano. Oppure in Canada.

Sono particolarmente interessata alla bioingegneria, cioè alle tecnologie che utilizzano una combinazione di biologia molecolare, chimica e fisica per cambiare la forma degli organismi viventi. Il potere della moderna bioingegneria è sorprendente. Quello che è ancora più sorprendente, tuttavia, è quanti pochi membri del pubblico generale lo conoscano e se ne preoccupino e quanta poca discussione aperta ci sia sui problemi etici che circondano queste tecnologie.

Recentemente ho progettato una lezione per un gruppo di studenti avanzati usando un discorso TED sulla bioingegneria1 proposto da Paul Wolpe, il bioeticista capo della NASA. Egli inizia la sua presentazione con l'agghiacciante affermazione: "...per la prima volta nella storia, abbiamo il potere di progettare corpi...". Passa poi a mostrare immagini di ibridi tra specie animali diverse (tra cui "preferito da tutti, lo zorse", che sembra avere la testa e parte posteriore di una zebra, e il corpo di un cavallo), animali che brillano al buio alla luce UV (tra cui le famose "scimmie che brillano al buio", che hanno alzato un polverone nei media nel 2009), e gli insetti e i topi con elettrodi inseriti direttamente nel cervello che ne permettono il controllo a distanza dei movimenti. Nessuno degli studenti aveva mai sentito parlare di queste tecnologie e la maggior parte erano troppo inorriditi per contribuire alla discussione in classe sulla bioetica alla fine della lezione.

Ogni scienziato che legga questo testo probabilmente borbotterà che questa è una notizia vecchia. Sì, ed è proprio questo il punto. Per il mondo della scienza questa è una notizia vecchia, ma per la stragrande maggioranza della popolazione è ancora fantascienza. Prendiamo gli animali che brillano al buio come esempio. La proteina verde fluorescente (nota come GFP) è stata isolata dalle meduse (Aequoria victoria) nel 1962, il gene responsabile è stato sequenziato nel 1992, e nella seconda metà degli anni 1990 il gene è stato correttamente espresso in batteri, vermi, insetti, piante e topi. I conigli e maiali che brillano al buio sono arrivati poco tempo dopo. Il primo primate che brilla al buio è stato progettato nel 2001, ma solo nel 2009 gli scienziati hanno segnalato la creazione di primati che potessero passare il gene alla prole. Nello stesso anno, è stata annunciata la produzione del primo cane che brilla al buio. È stato solo allora che il dibattito etico ha colpito i titoli delle testate internazionali con tutta la sua forza. Infine, nel 2011, i gatti che brillano al buio. E la maggior parte delle persone è ancora ignara di tutto.

Se la mancanza di consapevolezza degli studenti era sorprendente, il loro orrore era comprensibile. Io stessa ero turbata da quello che avevo visto. Ero anche molto entusiasta delle ripercussioni sula ricerca medica, in particolare nella comprensione e nel trattamento delle malattie neurodegenerative. È importante capire che rendere fluorescenti al buio gli animali non è l'obiettivo degli scienziati. La proteina fluorescente è semplicemente un marker: mostra agli scienziati che possono introdurre un gene estraneo in un embrione animale così che il gene sia espresso e mantenuto nella maggior parte, se non tutti i tessuti, dell'animale adulto. Ora che hanno trovato una tecnica che funziona, possono introdurre un gene che provochi una malattia umana in un animale per creare un modello di tale malattia. Quanto più l'animale è vicino geneticamente all'essere umano, tanto più è preciso il modello, ed è per questo gli scienziati sono così desiderosi di lavorare sulle scimmie. Gli scienziati del Centro Nazionale di Ricerca sui Primati, di Yerkes, ad Atlanta, Georgia, Stati Uniti d'America, hanno già creato una scimmia con alcune delle caratteristiche fisiologiche e comportamentali del morbo di Huntington. Questa ricerca potrebbe, ripeto potrebbe, salvare migliaia (se non milioni) di vite in futuro, sebbene sia troppo presto per dirlo. Un dilemma etico. In breve, questa possibilità mi ha messa in una posizione piuttosto difficile. Ho sentito il bisogno di discutere il tutto con qualcuno, con tutti - con gli amici, con i colleghi, con l'uomo che mi fa il cappuccino ogni mattina - ma i miei sforzi di solito accolti con incredulità, disgusto, paura o indifferenza, e con più di un semplice pizzico di ignoranza.

Perché la gente non è più consapevole di queste tecnologie e più disposta a contribuire al dibattito etico? Per i non-scienziati, far brillare al buio gli animali è incredibile quasi quanto mettere l'uomo sulla luna, e di certo molto più stimolante. Come è possibile che, nonostante gli sforzi di comunicazione della scienza, quei lumi pelosi siano rimasti nell'ombra? I quotidiani dedicano qualche trafiletto alla scienza, e ancor meno copertine, e il Times è l'unico quotidiano nazionale britannico ad avere un supplemento dedicato alla scienza. I notiziari in TV raramente includono servizi relativi alla scienza nei loro titoli principali e i programmi di divulgazione scientifica in prima serata sembrano concentrarsi sulla fisica e sulle scienze ambientali e raramente approfondono il mondo della genetica. La situazione deve cambiare.

Anche se le persone fossero pronte e disposte a parlare, con chi parlerebbero? Perché non ci sono più sbocchi per le persone per esprimere le proprie opinioni? Ci dovrebbero essere più forum su internet, più servizi di assistenza telefonica e più talk show televisivi in cui scienziati e non-scienziati, membri del pubblico, possano discutere apertamente di tali argomenti. La bioetica dovrebbe essere insegnata a fianco alle scienze nelle scuole in modo che i bambini crescano facendo domande.

Si emanano leggi. Si scrivono linee guida. E sta accadendo ora. Non dovrebbero essere solo i brillanti scienziati di Milano, o le persone della NASA, o dei governi dell'UE e degli USA a prendere le decisioni. Ogni uomo, donna, bambino e nonno dovrebbe essere a conoscenza di questi progressi della scienza, valutarne i pro e i contro scientifici ed etici come meglio possono, ed esprimere la propria opinione. E i poteri dovrebbero ascoltare.

Allora, andiamo al bar e ne parliamo?

Stephanie Grice

lunedì 17 settembre 2012

Allmen e il Diamante Rosa di Martin Suter (Sellerio)



Maria Wern è un'investigatrice della polizia svedese che in passato ha risolto molti casi complicati. Lavorando a contatto con un mondo per lo più maschile, e con un capo che la sottovaluta, è costretta a lottare con tutte le sue forze per affermarsi professionalmente. Sta cercando di venire a capo della scomparsa di un uomo, quando una mattina si risveglia ferita e dolorante sul freddo pavimento di un capanno ancora avvolto nel buio. È ferita, non ricorda nulla e non sa dove si trova. Quando allunga una mano, scopre con orrore che accanto a lei c'è un cadavere. Come è finita in questa trappola? Maria può solo affidarsi ai propri ricordi: stava seguendo il caso di Clarence Haag, un agente immobiliare svanito nel nulla, senza lasciare tracce. Potrebbe essere suo il corpo senza vita che giace con lei in quella cella? O forse è Odd Molin, il suo ambiguo socio in affari? In ogni caso, chi li ha ridotti così e perché? A Maria non resta che scavare ancora più a fondo nella sua memoria, alla ricerca di qualche fondamentale indizio. Deve riuscire a salvarsi la pelle e a trovare il colpevole di quel misterioso delitto, prima che sia troppo tardi...

Riposa in pace di Anna Jansson (Newton Compton Editore)



Maria Wern è un'investigatrice della polizia svedese che in passato ha risolto molti casi complicati. Lavorando a contatto con un mondo per lo più maschile, e con un capo che la sottovaluta, è costretta a lottare con tutte le sue forze per affermarsi professionalmente. Sta cercando di venire a capo della scomparsa di un uomo, quando una mattina si risveglia ferita e dolorante sul freddo pavimento di un capanno ancora avvolto nel buio. È ferita, non ricorda nulla e non sa dove si trova. Quando allunga una mano, scopre con orrore che accanto a lei c'è un cadavere. Come è finita in questa trappola? Maria può solo affidarsi ai propri ricordi: stava seguendo il caso di Clarence Haag, un agente immobiliare svanito nel nulla, senza lasciare tracce. Potrebbe essere suo il corpo senza vita che giace con lei in quella cella? O forse è Odd Molin, il suo ambiguo socio in affari? In ogni caso, chi li ha ridotti così e perché? A Maria non resta che scavare ancora più a fondo nella sua memoria, alla ricerca di qualche fondamentale indizio. Deve riuscire a salvarsi la pelle e a trovare il colpevole di quel misterioso delitto, prima che sia troppo tardi...

"Le promesse non muoiono mai" (Besa Editrice) di Domenico Medea ha vinto il "Premio Letterario Ofelia Giudicissi"

"Le promesse non muoiono mai" (Besa Editrice) di Domenico Medea ha vinto il "Premio Letterario Ofelia Giudicissi". Questo premio costituisce un importante riconoscimento ad opere Arberesche dei comuni della Calabria, che evocano l'opera della poetessa Ofelia Giudicissi. Il premio è stato consegnato all'autore il 14 agosto 2012, a Pallagorio, dal Sindaco Umberto Lorecchio, con un'introduzione del Prof. Antonio Blandino.

LE PROMESSE NON MUOIONO MAI. IL LIBRO.
"Andrea Reres è un giovane ingenuo e idealista che convive con la domanda fondamentale della sua vita: “Chi è mio padre?” Un giorno ritrova una lettera del Settecento firmata col suo stesso nome: era di un suo progenitore. Così Andrea, con fantasia romanzesca, intrusioni comiche e biografiche e con una “storica ricercazione”, comincia a costruire la storia della sua famiglia. Ne rintraccia i personaggi principali e si accorge come la sua storia coincida con quella di una intera comunità, con la rivendicazione della memoria e con qualche grido di passione civile per le terre del Sud così lontane e spesso dimenticate dalla Storia, proprio come la sua Panume che non a caso nella sua lingua, parlata dai suoi abitanti di origine balcanica, significa “senza nome”."

Domenico Medea vive a Firenze ed è nato a Pallagorio, un piccolo borgo di origine arberesca, in provincia di Crotone. Ha pubblicato tre racconti: L’errore (2000), Nel sabato di festa (2001), La chitarra di Santana (2003), tutti vincitori o finalisti di premi letterari.



AMANDA PALMER - Want It Back



WANT IT BACK è il primo singolo estratto da "Theatre Is Evil", nuovo album della talentuosa AMANDA PALMER, uscito il 10 settembre 2012. L'album è stato finanziato da 24.883 fan, attraverso la piattaforma Kickstarter, iniziativa salutata con molto clamore.
I fan hanno risposto all'appello della stessa Amanda donando da 1 a 10.000 dollari, raggiungendo e superando di gran lunga i 100.000 $ necessari per finanziare la produzione del dusco. Le donazioni si sono fermate a 1.192.793 dollari.

La cantautrice, già Dresden Dolls, è accompagnata in quest'avventura da una nuova band denominata The Grand Theft Orchestra.



Official music video by Amanda Palmer & The Grand Theft Orchestra performing "Want It Back" from the album 'Theatre Is Evil.' Produced by Jim Batt.
Singer, songwriter, piano-slayer and super-blogger Amanda Palmer is preparing to release her first new studio album in four years, in conjunction with her new band, The Grand Theft Orchestra, featuring Michael McQuilken, Chad Raines and Jherek Bischoff. Entitled Theatre Is Evil, the album was recently recorded in Melbourne with producer John Congleton (St. Vincent, Murder By Death, Modest Mouse, Xiu Xiu), and is due out in September. Palmer and GTO will embark on a six-city summer tour, unveiling the new album as a series of intimate performances alongside a dynamic visual art exhibit featuring 30 contemporary artists to include Frances Bean Cobain, Shepard Fairey, Kristin Hersh (Throwing Muses), David Mack and Cynthia Von Buhler.

"Palmer is set to join Radiohead and Nine Inch Nails as the artists that people tend to mention when they talk about the new music business." - Billboard

domenica 16 settembre 2012

Calexico - "Para"




"Para" by Calexico from the new album 'Algiers,' out September 11th!
N. America/AUS/NZ Pre-Order at http://www.anti.com/store
Europe Pre-Order at http://calexico.frocksteady.com/music.html

Tre bare bianche di Antonio Ungar (Feltrinelli)



Il romanzo racconta l'incredibile storia di José Cantoná, un giovane solitario e senza qualità, sempre in vestaglia e boxer, indolente, che fa la prima colazione a base di vodka. Vive nell'immaginaria Miranda, riconoscibilissima però nell'odierna Colombia. Ebbene, José è anche il sosia perfetto di Pedro Akira, leader dell'opposizione al presidente dittatore Tomás del Pito. Akira viene ucciso in una trattoria italiana della capitale con tre colpi di pistola in mezzo alla fronte. È in ospedale, morto, ma la cosa resta segreta. José viene contattato dal principale collaboratore di Akira e, strappato alla sua routine, si ritrova a dover impersonare il leader dell'opposizione almeno fino alle elezioni, prima in ospedale come degente e poi in pubblico. Ma la faccenda si fa sempre più pericolosa e, coinvolto in un vortice di eventi, combattuto tra l'amore per un'infermiera che lo contraccambia appassionatamente e l'insinuante attrazione per il ruolo che interpreta, finisce per acquisire una dignità che neppure lui immaginava di possedere. La storia inizia con toni che dall'ironico sconfinano nel grottesco, e pagina dopo pagina assume sempre più spessore; il protagonista evolve da caricatura a dolente eroe suo malgrado, in un crescendo di coinvolgimento per il lettore, passando dalla superficialità di una visione scanzonata e sprezzante della sanguinosa realtà della Colombia alle viscere dei drammi individuali e collettivi di un intero continente.

Sofia si veste sempre di nero di Paolo Cognetti (Minimum Fax)



"Sofia si veste sempre di nero" è la nuova prova narrativa di Paolo Cognetti, autore di "Manuale per ragazze di successo" e "Una cosa piccola che sta per esplodere". Nei suoi racconti, cesellati con la finezza di Carver e Salinger, Cognetti ha saputo rappresentare con sorprendente intensità l'universo femminile. Ed è ancora una donna la protagonista del suo nuovo libro, un romanzo composto da dieci racconti autonomi che la accompagnano lungo trent'anni di storia: dall'infanzia in una famiglia borghese apparentemente normale, ma percorsa da sotterranee tensioni, all'adolescenza tormentata da disturbi psicologici, alla liberatoria scoperta del sesso e della passione per il teatro, al momento della maturità e dei bilanci. Con la sua scrittura precisa e intensa, Cognetti ci regala il ritratto di una donna torbida e inquieta, capace di sopravvivere alle proprie nevrosi e di sfruttare improvvisi attimi di illuminazione fino a trovare, faticosamente, la propria strada.

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