Pierluigi Spagnolo
descrive quarant’anni di tifo estremo in Italia, arrivando a tracciare un
ritratto a tinte fosche della situazione odierna degli stadi. Il racconto si
sviluppa a partire dalla nascita dei primi gruppi ultras che si ispiravano alla
tifoseria inglese, nei primi anni Settanta, per proseguire col conclamarsi del
fenomeno (e la canonizzazione di alcuni “rituali” e modalità) negli anni
Ottanta; il movimento troverà il proprio
apice negli anni adiacenti a Italia Novanta
per poi scemare a causa di criminalizzazione del tifo estremo dal vivo a
favore di un tifo più redditizio: è l’avvento del cosiddetto calcio moderno. La
cronistoria dettagliata dei fatti di sangue e le relative reazioni delle
istituzioni (incremento del controllo e della repressione, anche tramite leggi
ad hoc) è solo una parte del quadro, ammonisce l’autore: il popolo degli ultras
in Italia è sempre stato trasversale ad ogni categoria sociale e i violenti
sono solo una parte dei tifosi, anche in curva. Per questa lucida ed attuale
analisi, Spagnolo si giova (e cita) i gradi nomi della letteratura di
riferimento come Desmond Morris, Valerio Marchi e Roberto Stracca (ai quali è
dedicato il volumetto). Nei primi anni Settanta nascono i Boys della Roma, uno
dei gruppi più longevi, nati lo stesso anno degli Ultrà del Napoli (1972), nel
1973 è il momento della Fiorentina e poi “a caduta” nel 1974 gli Ultras del
Bologna e dello Spezia, poi nel 1975 i Panthers della Juventus, nel 1976 le
Brigate Neroazzurre dell’Atalanta, i primi Ultras del Bari e i Rangers del
Pescara etc etc. Gli anni Ottanta, oltra alla nascita di altre tifoserie come i
Mods, del Bologna nel 1982, vedono svilupparsi le coreografie spettacolari. La
curva proprio in quegli anni è battezzata come “casa” dagli ultras. Il primo gigantesco bandierone “copricurva” è
del 1981-1982 (Sampdoria) e le fantasie
cromatiche dei primi gruppi, della Juve e della Reggina, del Torino come del
Pescara, si scatenano anche utilizzando migliaia di piatti di plastica con i
colori delle squadre che, come altre coreografie “creano un effetto da
applauso”. Spagnolo si dilunga nella descrizione dell'aspetto performativo.
Inno per inno, slogan dopo slogan: la “liturgia” del tifo estremo. Ben presto, però, le coltellate
e i roghi dei vagoni si prendono tutta l’attenzione mediatica. Il caso Luigi
Spagnolo (1995) in cui il genoano morì sotto il fendente di un giovane milanista,
segnò un vero e proprio punto di svolta, all’interno delle curve stesse. Il
“movimento”, che comunica spesso per slogan coniò “Basta Lame, Basta infami”
per fare pulizia dai professionisti della violenza. Gli anni Novanta segnarono
anche il momento in cui i club videro l’affare non più nel tifo allo stadio, ma
in quello alla televisione: la pay TV dà la stura a quello che poi diverrà il
“calcio moderno” che da un lato lucra sul tifo (per esempio con il cosiddetto
spezzatino) e dall’altro allontana le tifoserie dallo stadio con un processo
che dai DASPO arrivano fino alla “tessera del tifoso”…
Gli ultimi anni hanno
visto la morte del poliziotto Raciti e quella assurda di Gabriele Sandri. Ma
anche il famosissimo Derby del Bambino morto, in cui i capi ultras romanisti
fermarono la partita conferendo con il capitano Totti in base a voci infondate
fino all'attualissimo, raccapricciante “suicidio” di un tifoso juventino che
sarebbe stato la chiave per capire i rapporti tra il potentissimo club torinese
e la ‘ndrangheta… Spagnolo ci lascia però con un barlume di speranza, parlando
di alcuni gruppi nati dal basso come l’Atletico San Lorenzo a Roma, l’Ideale a
Bari, del Quartograd a Napoli, del Brutium a Cosenza, e del Centro Storico
Lebowski a Firenze. Questi gruppi potrebbero essere la chiave per un lento
ritorno a un tifo più genuino, che, dopo il deserto che allarmismo e grossi
club hanno creato in questi anni, potrebbe far tornare gli stadi un posto dove
socializzare e cantare slogan per la propria squadra.
Pierluigi Spagnolo è
nato a Bari nel 1977. Giornalista professionista, dal 2012 vive a Milano ed è
un redattore della Gazzetta dello Sport, dopo aver lavorato al Corriere della
Sera, a City e al Corriere del Mezzogiorno. Ha frequentato le curve degli stadi
di calcio per oltre vent’anni. Ha scritto il romanzo noir L’estate più piovosa
di Milano (Meridiano Zero, Bologna 2015) e il saggio Nel nome di Bobby Sands
(L’Arco e la Corte, Bari 2016).