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sabato 10 gennaio 2009

Cristiano Ferrarese - 1976 (Hacca)

I matti non sono rivoluzionari. I matti non cambiano il mondo. Chi li ha strumentalizzati per fini ideologici, ha commesso un crimine. I matti sono malati: malati gravi che non sovvertono il mondo, ma che sono interiormente devastati da crolli, deformazioni visive, angosce, certezze assurde e sentimenti apocalittici. I matti non sono «buoni» e rassicuranti, né sono gli sconfitti del capitalismo, o le vittime dell'ordine sociale. I matti non vedono verità che altri non vedono. I matti hanno la testa infilata nelle centrifuga, e hanno il cuore in tumulto, come un tornado (e le mani bollenti di febbre). I matti parlano una lingua che non si capisce. E solo le «anime belle» fanno finta di capirci qualcosa. Nella trilogia di Cristiano Ferrarese - giunta al suo secondo tempo, dopo 1967 e prima di 1985 - la follia è ancora un «altrove» di questo mondo. E sempre, in Ferrarese, la metamorfosi, la mania, la paranoia sanno trasformarsi in discorso civile e politico. Il suo «delirio», però, non è utilizzabile dai turisti dell'antipsichiatria. E' un denudamento osceno. E non è una calligrafia dell'inferno, questo 1976. Non vi è il romanzo, il maledetto romanzo «cartesiano». La narrazione è sbriciolata, come dopo una granata. C'è solo odio, rabbia, nostalgia - e amore impossibile. Come nel paranoico per eccellenza (sua altezza Louis-Ferdinand Céline), anche qui la totalità è frantumata e sgretolata, e le parole mai sono belle, ma dette con sublime violenza: singhiozzando, piangendo, odiando, in una dolorosa condizione che è, insieme, sorgiva e terminale.

Andrea Di Consoli
www.hacca.it

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