Un romanzo potente e avvincente che, con tinte da NOIR psicologico, indaga le pieghe dell'animo umano e ci fa riflettere sulla difficoltà di tracciare una linea netta e definitiva tra sanità e follia. È un caso urgente, gli dicono. E il professore in pensione, ottantenne rivoluzionario e riconciliatore, fa la valigia. L'istituto di igiene mentale che ha diretto per vent'anni è ancora come lo ha lasciato: stesse stanze, stesse voci nei corridoi, stessa pace incrinata, all'ombra del muro di cinta; e anche qualche vecchio paziente da riconoscere con affetto amaro. Tutto com'era, serenamente illogico: un'elegia della demenza. Durante la sua permanenza accadono fatti gravi. Sei pazienti sgozzati. Sei pazienti e un gatto. Apparentemente nessun movente, nessuna logica. E mentre gli inquirenti cercano una risposta razionale, l'anziano professore s'inoltra per i tortuosi camminamenti della follia, verso i sottintesi irraggiungibili nelle parole dell'unico testimone; e anche verso un passato – quello dei malati, ma soprattutto il proprio – costellato di sofferenze ormai ridotte al silenzio, seppure mai del tutto sopite: la malattia del fratello, quella della moglie, la paternità mancata. Ed eccolo, adesso, il professore in pensione, mentre tenta di interpretare il linguaggio dei matti per risolvere un giallo che non sente più suo, sciogliendo con lunghi bagni e molte sigarette la sensazione ferrosa della vecchiaia; ridotto a una stanza vuota. A chiedersi cosa rimane, oltre le favole che ci si racconta per vivere, per distrarsi: se qualche cosa o solo un altro tipo di niente. Eppure, attraverso la riproduzione di un disordine coglie un segno, un’angolazione, un indirizzo. È così che anche per lui, ossessionato da un passato incombente, si apre forse una nuova stagione di libertà.
Giuseppe Aloe, con una scrittura esperta e toccante, costruisce un romanzo in cui il vertice dell'esperienza umana pare non risiedere nelle certezze della normalità ma nella possibilità d'entrare nella pazzia per poi uscirne; e nell'abitudine a percepirsi mai stabili. Sempre con qualche sasso nella scarpa; con qualche demone con cui fare i conti, prima o poi.
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