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lunedì 18 ottobre 2010

Il libro del giorno (anteprima): La vecchia Legnano di Domenico Gullo (Lupo editore)




















Una storica Ducati, una macchina da cucire Singer e la gloriosa Legnano, compagna di gare e poi di lavoro nelle fabbriche del Nord: la gioia di vivere, la dedizione, lo spirito di sacrificio.
Nelle pagine di questo romanzo arbëreshe di Domenico Gullo c’è un intero paese del Sud, con i suoi poderi intorno e con le sue storie, a rivivere.
Tutto ritorna nello sguardo di allora, riportando gesti e sensazioni, sfumature dolci ed amare che hanno tracciato un percorso di abbandoni e di ritorni, ma tutto vissuto nella consapevolezza della grande forza della famiglia e della terra d’origine, alle quali il cuore adulto vuole rendere omaggio.

Il colore del melograno di Giuseppe Scelsi (Besa editrice)








Difficile dire cosa sia l’Albania, o cosa rappresenti nell’immaginario collettivo. Una cosa è certa per parlare di fatti “recenti”: dal 1946 al 1990 l’Albania è stato uno stato nazional-comunista, stalinista, anti-revisionista. Nei primi mesi del 1946, Enver Hoxha diviene il capo dello stato albanese, e concentrerà la politica del “paese delle aquile” intorno al Partito Comunista, eletto unico partito legale. Sotto questo presidente in Albania accadde di tutto e di più … la Storia ne ha parlato abbondantemente. Enver Hoxha muore nel 1985, lasciando tutto nelle mani di Ramiz Alia che nel 1991 concede le prime elezioni libere che decretano la fine formalmente del comunismo. Il paese viene scaraventato così in un’atroce presa di coscienza del suo limitatissimo sviluppo socio-economico. Per questo decine di migliaia di albanesi, proprio in quegli anni decidono di partire alla volta dell'Italia e si riversano via mare sulle coste della Puglia, lungo il litorale salentino tra Brindisi e Otranto. Questa è una “zippatura” della storia di una nazione sotto moltissimi aspetti splendida, affascinante, complessa! Una terra che si può comprendere oltre che attraverso le narrazioni che i libri di storia ci possono dare, anche attraverso gli splendidi lavori di Ismail Kadaré, o Ornela Vorpsi, o ancora gli incantevoli versi di protesta e lotta di Gezim Hajdari.o le incredibili storie degli anni del “grande esodo” raccontate da Leonard Guaci affidate alle pagine del suo lavoro dal titolo “I grandi occhi del mare” (Besa editrice). Anche questo “multiverso” di colori, odori e suoni racconta l’Albania, proprio come di Albania si parla nell’interessantissimo lavoro di Giuseppe Scelsi, uscito per Besa, dal titolo “Il colore del melograno”. Giuseppe Scelsi svolge la professione di magistrato da quasi trent’anni, e questo è il suo primo lavoro. Ora un’esordio che mi permetto di definire più che brillante, anzi splendido. La scrittura di questo autore costruisce architetture narrative così bilanciate da permettere al lettore di gustare ogni pagina, di sentire le forti emozioni di rabbia e anmarezza che ogni parola offre in questo lavoro. Si tratta di un volume dove si raccontano di crolli di ideologie, e di un popolo, quello albanese, che sulle macerie costruisce – ovviamente riferendoci allo spazio/tempo raccontato nel libro – e accumula Deriva. Il sistema del potere comunista, si rivela fragile e dai piedi di argilla, e questo non è che il confine oltre il quale c’è un baratro dalle profondità abissali. Giuseppe Scelsi ci parla di Filip Galimuna, sergente dell’esercito albanese che nel sangue ha un amore sconfinato per il pianoforte, e che in un batter d’occhi si ritrova senza “caserma”, senza uomini, senza patria, e senza donna. Quando Galimuna scappa insieme alla moglie e il più piccolo dei suoi figli dall’Albania, in Italia vengono ospitati da un collega del suo maestro di musica, Arturo Mondelli, che “respira” la genialità artistica del sergente, e lo sprona a proseguire negli studi di pianoforte, portandolo al successo nelle più importanti rassegne musicali internazionali. Ma il Destino per Galimuna, ha ancora delle sorprese, che lasceranno chi leggerà questo lavoro col fiato sospeso!

domenica 17 ottobre 2010

Il libro del giorno: Il segreto di Sebastian Barry (Bompiani)












Testimonianza autobiografica di Roseanne - Paziente dell’Ospedale psichiatrico di Roscommon dal 1957. Mio padre era solito dire che il mondo ricomincia da capo a ogni nascita. Si dimenticò di dire che finisce a ogni morte. Oppure pensò che non ce ne fosse bisogno. Visto che per buona parte della sua vita lavorò in un cimitero. Il posto in cui sono nata era una fredda cittadina. Persino le montagne se ne stavano alla larga, non si fidavano, non più di me, di quel posto oscuro. Un fiume nero la attraversava, e se per gli esseri umani era privo di bellezza, non era così per i cigni, che lo popolavano numerosi, tuffandosi a frotte nelle sue acque. Il fiume portava anche i rifiuti al mare, e frammenti di cose una volta appartenuti a qualcuno e trascinati via dalle rive, e corpi, benché di rado, oh, e poveri neonati, che talvolta erano motivo di imbarazzo. La velocità e la profondità del fiume sarebbero state un grande alleato del segreto. Sto parlando della cittadina di Sligo.

I primi due capitoli qui

Attila di Michel Rouche (Salerno editrice)












«La stirpe barbarica degli Unni in Tracia diventò talmente potente da conquistare oltre cento città, mettendo Costantinopoli quasi in ginocchio e facendo fuggire molti abitanti... Omicidi e spargimenti di sangue furono talmente numerosi da non riuscire a contare le vittime; occuparono chiese e monasteri e trucidarono monaci e giovani donne. » (Callinico, Vita di Sant'Ipazio)

Un popolo quello degli Unni legato indissolubilmente nella storia a un nome: Attila. Personaggio a cui è stato legato un soprannome: “Flagellum Dei” ("flagello di Dio"). Feroce, spietato. Si diceva che dove fosse passato l’erba non sarebbe più cresciuta. In numerosi racconti però viene descritto come un grande e nobile sovrano. Attila, “Flagellum Dei”, l’unico uomo che è stato in grado di modificare i destini dell'Impero romano. Nel nostro immaginario collettivo Attila è legato a delle pellicole alcune spassosissime altre perle preziose dell’intrattenimento cinematografico contemporaneo tipo la comica e caricaturale interpretazione di Diego Abatantuono nel film “Attila flagello di Dio”, oppure possiamo ricordare come Attila sia tra i vari personaggi del film “Una notte al museo”, dove tenta di fare fuori Larry il protagonista interpretato da Ben Stiller, o ancora si può ricordare “Attila l'Unno” un film del 2001, dove viene raccontata la guerra di valori sociali e umani di due mondi incarnati da due “grandi” del passato come appunto Attila re degli Unni e il generale romano Flavio Ezio. Ora per Salerno editrice, esce in libreria un libro che mette un po’ di ordine sulla figura di Attila, molto spesso vittima di molte leggende e falsi miti. L’opera è di Michel Rouche e ha per titolo “Attila”. In poco più di 382 pagine, l’autore riesce ad avvincere il lettore grazie ad un suo modo spigliato di scrivere per la divulgazione, presentando documenti e dando indicazioni di fonti ben precise su un’uomo che in vent'anni riuscì a cambiare per sempre la Storia. Certo Attila rimane pur sempre una figura leggendaria nella storia europea, ma questo lavoro, una volta terminato, ci pone davvero dinanzi ad un pesante interrogativo: davvero è stato un flagello di Dio, davvero è stato solo un bruto, un incolto, un distruttore? E’ stato certamente anche questo, ma non solo questo. Michel Rouche ci dimostra infatti che Attila è stato un abile stratega, un fine politico, un oculato amministratore e addirittura elegante diplomatico se si pensa alle sue inedite coalizioni strategiche, come quella tra il generale romano Ezio e il re dei Visigoti, «barbaro» tra i barbari. Inoltre godibilissimo, il capitolo al termine della pubblicazione che si occupa del mito di Attila in età moderna e contemporanea: da Corneille a Verdi e Wagner, fino alla mistificazione che ne fece Hitler.

Michel Rouche è Professore emerito all'Università la Sorbona di Parigi, esperto della Tarda antichità e dell'Alto Medioevo. La Salerno Editrice ha già proposto in edizione italiana il suo studio su Le radici dell'Europa (2005).

sabato 16 ottobre 2010

Il bizzarro museo degli orrori di Dan Rhodes (Newton Compton)




















Incipit

Di notte – in realtà sempre, ma soprattutto di notte –, quando la stradina è illuminata soltanto da un occasionale lampione, ben poco distingue il museo dagli altri palazzi della zona vecchia della città. Tutto dipinto di bianco, s’innalza per tre piani prima di rastremarsi in un tetto dalle cui tegole immacolate sporgono diverse finestrelle. Lo si riconosce tra i suoi vicini per la targa d’ottone che, in quattro lingue, ne dichiara il nome e gli orari di apertura al pubblico. Solo avvicinandosi parecchio e strizzando gli occhi nell’oscurità si riesce a leggere cosa c’è scritto, e mentre il primo giorno tiepido dell’anno volge al termine, nessuno si prende la briga di strizzare gli occhi nell’oscurità. Un gruppetto di turisti ci passa davanti senza degnarlo di uno sguardo. Svoltano a un angolo, le loro voci svaniscono e la via torna silenziosa fino a quando passa altra gente, ragazzi del posto questa volta; l’aperitivo dopo il lavoro si è trasformato in una cena e molta altra roba da bere, le loro chiacchiere rimbombano tra i palazzi alti mentre vanno a casa di qualcuno per il bicchiere della staffa. Le luci del museo sono spente, ma non significa che dentro non c’è nessuno

primi quattro capitoli qui

Poesie (1984-2010), di Claudio Damiani, a cura di Marco Lodoli, (Fazi). Intervento di Nunzio Festa





















Un gradito ritorno che è presenza per la gioia di vivere e morire. A due anni di distanza da “Sognando Li Po”, omaggio 'elegante' e sentimentale alla poesia cinese, per i tipi della sempre disponibile e attenta Fazi esce l'antologia (che raccoglie anche una piccina sezione d'inediti) del nostro poeta nazionale, quanto appartato, Claudio Damiani; una summa che si deve grazie al lavoro appassionato dello scrittore Marco Lodoli. Che, tra le altre cose, in sede di prefazione che può 'stranamente' esser un tutt'uno col libro, ricorda alcune chiavi di lettura delle poesie di Damiani. Senza fare torto a Lodoli, comunque, o senza minimamente volerlo, si può provare ad avviare altri approcci: nuove adesioni. A un libro, va spiegato, che può – non ce ne voglia l'autore – stare affianco alle opere serie e prestigiose d'altre penne sottratte alle indagini del classicismo critico d'Italia. Autori che non dimenticheremo. Sempre. E poeti, su tutto, vedi il nostro diverso Claudio Damiani. Che Damiani, premi a parte, perché di riconoscimenti ne ha ricevuti molti, e tanti ne riceverà ancora, se pur non ancora venga decantato al pari d'un Luzi e d'un Cucchi, davvero insegna – lui maestro in più significati – quanto la quotidianità sia terra di poesia. Nel sunto, “Sognando Li Po” arriva verso la fine. Prima dei nuovi versi de “Il fico sulla fortezza”: sezione in forma di silloge che affida appunto a un esemplare ed esemplare come vero fico la normale consuetudine di meravigliarci. In apertura Lodoli ha voluto sfiorare la maturazione, quella dell'adolescenza e oltre di Damiani, chiaramente spiegando quanto il “sentimento” e la freschezza delle riviste “Braci” e “Prato Pagano”, quelle d'altronde dal poeta vissute insieme all'altro intramontabile Beppe Salvia, lui, quest'ultimo, persino lucano, sia stata la differenza di tanto confronto comunque aperto nell'ex Belpaese. Poi, da presto, si prendano fra le dita alcuni versi dei due componimenti titolati entrambi “Elegia”, dal libro “Fraturno”, e iniziamo a saper il resto. Da “La mia casa” (1994), invece, s'entri, per meglio leggere, in: “(...) Che bello che questo tempo, come ogni tempo, finirà, / che bello che non siamo eterni, / che non siamo diversi / da nessun altro che è vissuto e che è morto, / che è entrato nella morte calmo / come un sentiero che prima sembrava difficile, erto / e poi, invece, era piano.” Riusciamo a non tornare a sentire più volte questi passaggi? Queste descrizioni che sono un silenzio oltre il silenzio stesso, oltre lo stesso silenzio dell'affratellamento fra pari? Sorretto, per di più, una piccola voce (o una musica?) che non è sottofondo, ma parte essa stessa del destino immortalato? L'apice è raggiunto nella “Miniera”. Solcando frammenti, vedi il dialogo con gli alunni proprio di Claudio Damiani su vita e morte, che conducono in una indimenticabile canto di “Attorno al fuoco”, una delle 'parti' più recenti dell'antologia: “Noi della resistenza non è che andiamo in strada a sparare, / né ci nascondiamo in montagna, / né scriviamo sui giornali, noi della resistenza non facciamo niente / ma quando moriremo avremo nella nostra mente / un ordine beato che chi ha consolato, (...)”. Parole sottratte alla guerra, e in special modo alle logiche di guerra, stipando in loro rabbia e specialmente orgoglio. Fiori di dignità. Un dire perfetto. Che trattiene l'impuro e nel mentre ricorda quanto impuro ci sia. Come se fosse un parlare ai figli. E dalla stessa parte dei figli. Quindi di tutti. D'ognuno. La poesia di Claudio Damiani consegna al cuore l'esistenza dell'universo naturale in una Italia solo da ripensare

venerdì 15 ottobre 2010

Il libro del giorno: IL CLUB DEGLI INCORREGGIBILI OTTIMISTI di Jean-Michel Guenassia (Salani)

















Parigi, 1959. Sono anni vertiginosi: la Seconda guerra mondiale è finita da troppo poco tempo per essere Storia, la guerra d’Algeria segna le vite dei francesi d’oltremare. Michel Marini, undici anni, figlio di immigrati italiani, esce dall’infanzia e si affaccia a un’adolescenza inquieta e piena di emozioni. Vagabonda per il quartiere, si ritrova con gli amici a giocare a calcio balilla; un giorno entra in un bistrò, il Balto. E' attratto da una stanza sul retro dove si ritrova un gruppo di uomini, che parlano un francese a volte approssimativo e portano dentro di sé storie e passioni sconosciute. Sono profughi dei Paesi dell’Est, uomini traditi dalla Storia, ma visionari che ancora credono nel comunismo.Incorreggibili ottimisti.
Frequentare il Balto vuol dire scoprire il mondo. Michel cresce con Igor, Leonid, Imré, Pavel, Tibor, Saga impara a conoscere l’amicizia, l’amore, la complessità degli ideali. Nel retro di un bistrò si litiga, si beve, si gioca a scacchi, si raccontano barzellette su Stalin, si offre se stessi e le proprie storie, storie terribili di esilio che si intrecciano sullo sfondo di un decennio epocale, tra filosofia e rock’n’roll, Sartre e Kessel, la conquista dello spazio e l’inizio della Guerra fredda. Nella tradizione del grande romanzo francese, un affresco indimenticabile di un’epoca.

Benedetto il frutto di Federica Francesca Ricchiuto (Libellula edizioni). Intervento di Francesco Caccetta













Salire e scendere le scale della vita, dei ricordi, della propria esistenza, è esercizio non facile: a volte gioioso e spensierato in quel tuffarsi voluttuoso nella magia del passato, di quell’essere fanciullo, ma altre ancora faticoso e dolente, rapido e spietato nel riaprire ferite mai rimarginate o crudele nell’aprire la stanza dei rimpianti e delle vergogne, dei conflitti e delle sconfitte. Un affannarsi nella fragilità e nella grandezza intrinseca dell’essere umano preso integralmente con le sue paure, le sue angosce, le sue speranze, i suoi aneliti verso l’alto, le sue esaltazioni ma anche con le sue intime storture, con i suoi vizi e con le sue aberrazioni. Ed è in questo ambito che ci porta la lettura di Benedetto il frutto di Federica Francesca Ricchiuto. Una storia che è di tutti i giorni, un racconto di vita e di tempi, di uomini ma soprattutto di donne, di amori e di passioni, di colpe e di paure, di slanci alti di sentimento, di lancinanti tormenti e di conflitti interiori. Pagine scritte con punti alternati, di dritto e di rovescio, per introdurre il lettore e la coscienza a due mondi diversi, a due storie lontane e contrastanti ma paradossalmente identiche, a due donne figlie del loro tempo, ad una condizione femminile che lega indissolubilmente la donna alla vita. Escono così fuori prepotentemente, ma con grazia descrittiva e con pienezza di contenuti, due donne, due mondi, due società storicamente, culturalmente, moralmente, socialmente ed economicamente diverse. Da un lato una società a noi non troppo lontana ma ormai profondamente distante e diversa, forse più semplice, più ordinata secondo schemi che il tempo ha scolpito nel suo lento fluire, che si muove secondo partiture di modo e di maniera, e che rappresenta l’ambito storico e temporale di Maria, figlia del suo tempo, dell’Italia meridionale del dopoguerra, vittima di una condizione femminile ad autocoscienza limitata. Dall’altra la società odierna, moderna, complessa, dai molteplici aspetti, espressione della velocità e della continua evoluzione, frutto della contestazione, della interminabile libertà, è la società di Marta, contraltare naturale di Maria. Marta libera per un’autocoscienza piena, o forse apparentemente piena, ebbra dell’Io e del sé. Libera da condizionamenti ma schiava del successo, del lavoro, della macchina complessa della costruzione della carriera, dell’affermazione, dell’autostima. Maria, donna sola, schiava della maldicenza, del giudizio altrui, della paura ancestrale delle colpe e del peccato, vittima del sopruso e dell’abuso, di quella violenza che è rimasta per troppo tempo e per troppi anni nascosta, ama profondamente la vita che ha in sé nel rispetto e nel segno di un Dio, preda delle sue convinzioni, di una religiosità che è quasi connaturale. Per Maria Dio c’è sempre e lo si avverte continuamente, nelle parole, nelle speranze, negli atteggiamenti. Marta è la diversità moderna che costantemente si alterna a Maria, che pagina dopo pagina dispiega la sua figura femminile, tormentata, la sua solitudine da un dio, tutta presa dalla macchina consequenziale della vita programmata e tecnologica, schiava della superbia del tempo moderno, di una sorta di hybris oggi tutta femminile, che trova sponda nella tracotanza della scienza, schiava del culto di se stessi, schiava di una sete di appagamento personale. Maria che oscura se stessa e la sua felicità in onore di una vita, Marta che sopprime una vita in ossequio al suo futuro ed a se stessa. Maria che vive e parla di amore, Marta che perde un amore e soffoca il suo amore. Fra le due donne, fra le loro realtà, la figura di Antonio che vive una personale nemesi storica, che osserva l’assurdo della vita: “proprio nel momento in cui scopriva di essere il frutto di un orribile atto, un figlio non voluto, nella sua stessa vita arrivava un figlio non voluto”. Antonio che è frutto delle scelte difficili, che è figlio dell’amore, ritrova così se stesso, la sua identità attraverso Maria. Un amore che vince sempre la partita finale, un amore che conosce la pietà ed il perdono e che và oltre, oltre tutto, oltre il tempo, oltre gli uomini, oltre le cattiverie e le debolezze, oltre le tentazioni, oltre le avversità. Un amore che arriva a comprendere le ragioni altrui, quelle di Maria e quelle di Marta, che spinge ed incoraggia a superare tutto e tutti. Un amore profondo e ritrovato che pronuncia al termine un “io non ti abbandono” che è in fondo la speranza della vita e dell’uomo e che è la ragione stessa di Benedetto il frutto, il suo intimo e sottile messaggio, il suo respiro ed il suo alito.


giovedì 14 ottobre 2010

Il libro del giorno: Il colore del melograno di Giuseppe Scelsi (Besa editrice)








Quando il solido muro della ideologia va in frantumi, migliaia di albanesi si ritrovano in preda alla più grande disperazione. Il sistema si sgretola, le rigidità di un regime che si è chiuso per decenni su se stesso si piegano alla furia di uomini e donne, idee e sentimenti vengono travolti. Anche Filip Galimuna, sergente dell’esercito albanese con la passione per il pianoforte, perde tutto in un sol colpo: si ritrova a capo di una caserma vuota, i suoi uomini l’hanno abbandonato, preferendo il miraggio di una fuga verso l’Italia, e la sua donna, Iliria, lungi dal dargli quel conforto che egli cercava, si allontana da lui innamorandosi di un uomo i cui traffici di quei momenti hanno reso uomo di successo. In preda alla più cupa disperazione, Filip si fa coinvolgere in un traffico di armi, il cui ricavato però finisce nelle mani sbagliate e fa crollare le sue ultime illusioni e speranze. La vicenda volge a un epilogo drammatico, ma non inatteso. Quando Galimuna fugge con la moglie e il più piccolo dei suoi figli dall’Albania, a dargli ospitalità in Italia è un collega del suo maestro di musica, Arturo Mondelli, che intuisce la genialità artistica del sergente, lo incoraggia a proseguire negli studi di pianoforte e lo porta al successo nelle più importanti rassegne musicali internazionali. Ancora una volta, tuttavia, il richiamo dei vecchi miti riemerge prepotente quando il caso gli offre la possibilità di vendicare la morte del figlio più grande. Ma questa volta qualcosa è cambiato.

Giuseppe Scelsi è magistrato da quasi trent’anni. Il colore del Melograno è il suo primo romanzo, in cui ha voluto dare volto e parola di narrazione alle sovrastrutture del suo percorso professionale, ma con una dose di amarezza e rabbia senza pari.

"Scienza e Verità” di Giovanni Paolo II a cura di Mario Castellana con in appendice scritti di Arcangelo Rossi e Demetrio Ria (Pensa MultiMedia)












Mi sono sempre interrogato se possa essere risolto un problema che penso sia grande quanto è lunga la storia del pensiero scientifico e la storia della Chiesa. Mi riferisco ad un grattacapo intellettuale non da poco, ovvero quello riguardante un’ipotetica soluzione dell’articolato rapporto tra Scienza e Fede. Che siano realmente due universi assolutamente distinti e distanti, i cui contenuti si escludono elidendosi reciprocamente? Possibile che si debba da ambo i lati argomentativi trovarsi dinanzi ad un confine, impossibile da valicare? Ora il pensiero scientifico, e la riflessione sul pensiero scientifico che è propria dell’epistemologia, è ricchissima certamente di una serie di stravolgimenti teorici che fanno ancora parlare di sé. Faccio riferimento a quei fenomeni psico/cosmici destinali per il genere umano che vanno da Galileo, o Copernico, o Isaac Newton sino alla teoria della relatività di Einstein, o all’intransigente scetticismo panico di Piergiogio Odifreddi. Ma senza ombra di dubbio si tratta di manifestazioni teoriche insufficienti vuoi concettualmente vuoi strutturalmente, a superare la dicotomia tra mondo della Fede prettamente astratto, dogmatico, spirituale, a/sistemico, e in/vericabile e il mondo della Scienza, fatto di dati, numeri, quantità, misurabilità, insomma di fenomeni metodologicamente dimostrabili. Ma senza portarla molto per le lunghe, in noi comunque rimarrà quella vocina, la solita vocina del demone socratico o se le vogliamo dare un’aspetto più rassicurante e pop, il solito “grillo parlante” che ci indurrà a farci delle domande del tipo: “Dio ha mai giocato a dadi con l’Universo?” (proprio come Einstein) o ancora “il Caso e il Caos sono i nostri veri genitori adottivi?”. Ma poi rassegnati dal peso di queste domande ( e ci chiediamo se poi veramente utili per pagare le bollette o tirare a campare) ci diciamo sottovoce che porsi ancora interrogativi di natura etico/epistemlogica, ovvero se la Scienza dispone di strumenti ermeneutici tali da rendere plausibilmente chiari i confini tra fenomeno e “noumeno” (ovvero entità di carattere metafisico come direbbe Platone), è assolutamente lezioso. Forse … Esce infatti per Pensa MultiMedia di Lecce a cura di Mario Castellana docente presso l’Università del Salento di Epistemologia e Scienza della Filosofia un libro che non può che suscitare interesse e curiosità. Il titolo è “Scienza e Verità” di Giovanni Paolo II a cura dello stesso Castellana con in appendice scritti di Arcangelo Rossi e Demetrio Ria. Tutto il libro ruota attorno al felice obiettivo di fornire uno spaccato più ampio di un personaggio carismatico, religioso, politico, immenso come lo fu Giovanni Paolo II. Un pontefice che ha dimostrato costantemente come ( a parte la forza ch’egli attingeva dalla sua Fede) il dialogo, il chiedersi sempre come poter migliorare l’oggi e il domani attraverso anche la ricerca scientifica, costruendo magari futuri spiritualmente e tecnologicamente eco/compatibili per l’uomo, poteva essere la strada più idonea per realizzare il “migliore dei mondi possibili”. Forse che avevamo sulla nostra strada un papa epistemologo, e non lo sapevamo? Sicuramente! Intanto Egli guardava alla riflessione scientifica come una strategia di pensiero indispensabile per fornire gli strumenti idonei a capire i “massimi sistemi” e bilanciarne e compenetrarne armoniosamente gli aspetti più acuminati. Dunque questo lavoro è la raccolta per eccellenza, degli interventi sulla scienza all’inizi del pontificato di Giovanni Paolo II, che si rivela in questo modo un Papa poliedrico che comunque ha considerato la riflessione epistemologica uno strumento utilissimo ad indicare alcune rotte, sia al pensiero scientifico che alla ricerca teologica, per raggiungere quei luoghi deputati a fare i conti con l’esperienza della verità. Questi scritti, che precedono la Fides et Ratio, fanno affiorare una particolare ‘immagine della scienza’ coniugata anche con una vera e propria pastorale della scienza, con cui sia il mondo dei laici che il mondo dei credenti devono confrontarsi per avviare insieme un dialogo di arricchimento reciproco, una volta che si è preso coscienza dei limiti di quelli che Benedetto XVI ha chiamato rispettivi ‘restringimenti ideologici’.

mio intervento pubblicato su Paese Nuovo

mercoledì 13 ottobre 2010

Il libro del giorno: Il successo in 31 giorni di John Demartini (Bis edizioni)








Quanti giorni ci vogliono per arrivare al successo e cambiare la nostra vita in meglio? Solo 31! Vi sembra impossibile? Eppure John Demartini, il famoso studioso che deve la sua fama a The Secret, con Il successo in 31 giorni senza stress ci dimostra che è possibile, insegnandoci un metodo pratico e completo per raggiungere il successo senza stress. Il successo in 31 giorni senza stress contiene un piccolo e prezioso segreto per ogni giorno del mese, su tutti gli aspetti fondamentali che contribuiscono alla nostra ricchezza e serenità. Demartini non lascia nulla al caso e ci apre la mente su ogni possibile variabile che può rendere la nostra vita straordinaria, indicandoci come agire per muoverci in tal senso. Vivere nella ricchezza e senza stress è veramente possibile se cominciamo col prenderci cura di noi stessi, visualizzare i nostri desideri e affermare ciò che vogliamo essere. In 31 giorni impareremo che il successo parte dalle piccole cose: una corretta alimentazione, un buon riposo, uno stile di vita sano e tanti altri accorgimenti che ci aiutano ad entrare in armonia con noi stessi. E, naturalmente, ad accrescere il nostro status economico sempre senza sforzi e inutili pressioni.

Demartini ci conduce così alla consapevolezza suprema che ogni persona ricca e felice possiede: con la giusta mentalità ognuno di noi è in grado di condizionare il contesto che lo circonda e rendere il mondo un posto fantastico in cui vivere sereni

2013. L’alba della nuova era a cura di Enzo Braschi e Giorgio Boccaccio (Verdechiaro edizioni)








Ho appena terminato di leggere con discreto interesse “2012 - L'Ascesa della Terra alla Quinta Dimensione. Messaggi del Maestro Confucio e del Maestro Kuthumi” di Ute Kretzschmar per i tipi di Bis edizioni. Libro stimolante per lasciare le briglie sciolte alla fantasia o ( a seconda dei casi e per via subliminale) ai propri timori per un futuro non sempre plausibilmente “eco-compatibile”. Si tratta di un lavoro che ha una forte componente mistica e che comunque va controtendenza rispetto alle teorie catastrofiste sul 2012 che animano accesi dibattiti un po’ in tutto il mondo. Infatti in base a quanto asserito poco prima, Ute Kretzschmar, l'autrice del volume che stiamo prendendo in considerazione, è in contatto con i Maestri ascesi Confucio e Kuthumi che sostengono che il nostro mondo si sta avvicinando ad un salto evolutivo caratterizzato dal passaggio alla quinta dimensione, che segna il recupero del legame ancestrale con il divino . Ma non è il solo libro che mi sento di consigliare in questa sede. Da poco è uscito per i tipi di Verdechiaro Edizioni un singolare volume a cura di Enzo Braschi e Giorgio Boccaccio dal titolo emblematico, ma almeno rassicurante, di “2013. L’alba della nuova era”. E dunque abituati come siamo a guardare sempre più atterriti al 2012 come una data in cui tutto ciò che conosciamo scomparirà, o perché ci sarà una tempesta solare che riporterà il mondo al medioevo, o perché ci sarà l’inversione dei poli e dunque estinzione in tutti i sensi, o perché torneranno “gli dei” e non sappiamo se siano pro o contro genere umano, quest’opera consegna delle chiavi di lettura alternative e decisamente positive rispetto a tante paranoie “millenaristico/apocalittiche”. I due autori pertanto hanno voluto offrire al pubblico, conoscenze davvero importanti per una comprensione quanto più esaustiva possibile del “fenomeno 2012”. E questo collezionando una serie di voci (11 per la precisione) tra le più autorevoli. Così è stata realizzata questa straordinaria mappa cognitiva sul 2012 che prende in considerazione diluvi universali, terremoti, tempeste solari, bambini Indaco, teschi di cristallo, frequenze vibrazionali sino addirittura all' alimentazione. Il tutto condito da forti legami multidisciplinari che rendono questo prodotto veramente unico nel suo genere. I curatori hanno ritenuto che la cosa più importante non sia tanto ciò che potrebbe accadere nel 2012, quanto piuttosto come potrebbe essere la vita di tutti quanto noi dal 2013 in poi. Questi i “contributors”: Giovanna Battistini, Giorgio Boccaccia, Richard Boyland, Enzo Braschi, Claudio Cannistrà, Fausto Carotenuto, Nikola Duper, Giuseppe, Luigi Esposito, Massimo Fratini, Antonio Giacchetti, Fabrizio Mainetti, Giuliana Roda, Paola Sani

Enzo Braschi - Attore televisivo e cinematografico, dal 1996 prende parte ogni anno alla Danza del Sole (la cerimonia più sacra dei Nativi delle Grandi Pianure del Nord America.

Giorgio Boccaccio - Life communication coach. E' considerato uno dei massimi esperti Europei nel campo della comunicazione personale e dell'arte oratoria. Ricercatore nel campo dei suoni del linguaggio verbale umano, della parola ed esperto di cibernetica, di tematiche connesse alla leadership, team-work e problem solving; ha formato in più di venti anni, moltissime persone a risvegliare il proprio potenziale umano e si sono affidati alla sua consulenza studenti, insegnanti, counsellor, professionisti, uomini dello spettacolo, sportivi, operatori della comunicazione, testate giornalistiche, uffici stampa, venditori, consulenti, enti, oganizzazioni, imprenditori, politici e persone comuni. Nel 2006 esce il suo primo libro: Usa le parole giuste, Ed. Psiche2, Torino Per maggiori informazioni sul suo lavoro visitate il Web Site: www.giorgioboccaccio.com

martedì 12 ottobre 2010

Il libro del giorno: Capatosta di Beppe Lopez (Besa editrice)













Al suo apparire, nel settembre del 2000, il romanzo Capatosta di Beppe Lopez (Mondadori) si impose subito all’attenzione dei lettori e della critica per quattro peculiarità: perché scritto in un linguaggio mai prima di allora usato in letteratura, un idioletto ricavato dall’autore intrecciando italiano parlato e un materiale dialettale – quello pugliese – considerato “minore”; perché ambientato in un mondo mai prima descritto, un Sud né contadino né operaio, né rurale né cittadino, né magico né metropolitano, come sospeso in una fase astorica di inconsapevolezza collettiva e individuale; perché dava voce a una plebe estranea ed estraniata dalla storia e dalla stessa letteratura; perché incentrato su un personaggio forte, memorabile, in assoluto – come è stato detto – “uno dei ritratti femminili più belli della narrativa italiana”.
Il testo di questa edizione – che vede la luce esattamente a dieci anni dalla prima – è frutto di un’attenta rilettura, di revisioni e di correzioni alle quali l’autore ha ritenuto necessario e doveroso sottoporre la stesura “sperimentale” del 2000, restituendoci quello che può già considerarsi un “classico” della narrativa meridionale a una più adeguata altezza di coerenza e accuratezza linguistica.

Beppe Lopez, intellettuale a tutto tondo, ha scritto il suo primo romanzo (Capatosta) nel 2000, dopo un’intera vita dedicata al giornalismo e ai giornali, come cronista politico, inchiestista, direttore di quotidiani e di agenzia, polemista e saggista (Il giornale che non c’è, 1995; Il quotidiano totale, 1998; La casta dei giornali, 2007; Giornali e democrazia, 2009). Il suo secondo, grande romanzo è del 2008: La scordanza. Si è dedicato anche al racconto storico, pubblicando nel 2005 Mascherata Reale (Besa) e nel 2009 Il principe nel groviglio.

Booktrailer: Un caso di Stalking (Edizioni Voiler). Da fine ottobre in distribuzione



Ilaria Ferramosca di Parabita e Gian Marco De Francisco di Taranto saranno protagonisti alla prossima edizione di Lucca Comics & Games con la presentazione del loro fumetto molto atteso da pubblico e critica e pubblicato per la casa editrice salentina Edizioni Voilier. Si tratta di Un caso di Stalking, un romanzo a fumetti il cui scopo é quello di sensibilizzare i lettori su un tema drammaticamente attuale come lo stalking, piaga sociale e reato recentemente fatto oggetto di una legge statale che introduce pene severe per chi lo commette. Edizioni Voilier conferma con Un Caso di Stalking la sua vocazione per il fumetto d’autore e il suo sguardo sensibile nei confronti della società reale.

lunedì 11 ottobre 2010

Il libro del giorno: Pagine milanesi di Leonardo Sinisgallli (Hacca edizioni)





















“In questi testi del periodo milanese si coglie la sensazione che Leonardo Sinisgalli sia passato dalle soleggiate latitudini romane a un luogo freddo e inospitale.
«Sono giunto in questa città una sera d'inverno» – annota il 3 dicembre 1933 – «faticosamente il sangue ha fatto abitudine agli agguati della nebbia» (Introduzione a Milano). Ma è solo un'istantanea fotografica, un'impressione dettata dalla solitudine del paesaggio di Lambrate, il «quartiere dell'estrema periferia» come scrive nell'omonimo corsivo del 2 giugno 1934, dove prende dimora inizialmente. Ben presto, infatti, trapela il volto di una civitas in movimento, dedita freneticamente al lavoro nelle fabbriche e ai commerci, disposta non soltanto a concedere accoglienza al nuovo arrivato senza troppi indugi, ma anche a mostrarsi nel suo aspetto luminescente, quale crocevia dove convergono le nuove generazioni di talenti e trovano asilo le tendenze europee d'avanguardia.
È il momento in cui Sinisgalli si trasferisce da Lambrate a Corso Monforte e poi in Via Rugabella, passeggia sotto i portici di Corso Vittorio Emanuele, ascolta il grido delle fioraie in Piazza San Babila, si ferma ai tavolini del Caffè Craja e del Ristorante Savini, segue le mostre di Kandinsky al Milione, accompagna Le Corbusier all'Esposizione Aeronautica presso il Palazzo dell'Arte, visita gli studi di Cantatore, Fontana e Soldati, ne ammira i dipinti, ne esamina le forme e i colori. Si è spostato allegoricamente e fisicamente dalla periferia al centro, si è inserito nel pieno del frastuono urbano, vive la città obbedendo ai precetti dello spleen baudeleriano.
Alla luce di tali considerazioni non è un azzardo affermare che gli scritti milanesi di Sinisgalli dell'«Italia Letteraria» presentano i caratteri della promenade e del diario, vantano cioè un'origine pubblica e privata, sono contemporaneamente cronache di una topografia culturale e frammenti di un viaggio interiore”.

(dall’introduzione di Giuseppe Lupo)

Andrea Di Consoli

Tre di Melissa P. (Einaudi, Stile Libero))












Di Melissa P. non ho letto solo “In nome dell’amore”. Per il resto posso dire che padroneggio l’argomento, tanto che ho seguito il viaggio di questa ex adolescente catanese fino ai confini delle terre dell’eros nei suoi recenti reportage italiani sul sesso, sulle pagine del “Corriere della Sera Magazine”, ora “Sette”. Tirando un po’ le somme possiamo dire che ha scandalizzato (se così si può dire anche se sarebbe meglio dire che di lei si è parlato molto in giro) con “Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire” nel 2003 per i tipi di Fazi. Un po’ di brezza scritturale chiara e suadente poi spirava in “L’odore del tuo respiro” sempre per Fazi nel 2005: "Ho disegnato, ma non ero capace di colorare senza sbavare lungo i bordi. Ho comprato una chitarra, ma avevo paura che le corde mi tagliassero le dita. Ho scritto e qualcosa dentro di me si è mosso. Ho scritto, ho scritto, ho scritto tanto, e poi sono diventata famosa. E quella cosa che avevo liberato è ritornata indietro e mi ha invasa. Uccidendomi." Ora Melissa P. esce per i tipi di Einaudi , con “Tre”, con la consueta predisposizione alla triangolazione amorosa e alla verticalizzazione sessuale, che vede come protagonisti Larissa (poetessa decadente), Gunther (mirabolante allevatore di pappagalli) e George (nomade fotografo dalle grandi doti) . Tra noia e paranoia, ovvero tra pulsioni sessuali di “young adult” che sperimentano la dimensione letteraria psico/narcotica e pseudo/artistica della loro creatività e complicità in una Roma ( c’è anche una toccata e fuga a Buenos Aires) che fa da spettatrice a questa “mattanza” di giovani vite, tuttavia il lavoro si presenta con un interessante epilogo che forse già da metà libro può essere intuito dal lettore. «Nessuno pensò alla parola amore, nessuno ebbe l'impressione che si trattasse di un'avventura erotica di breve vita. Si stavano rigenerando, idratando gli angoli secchi, levigando le escoriazioni». La scrittura, rispetto alle precedenti prove convince, il bilanciamento e l’intersecarsi delle storie e le azioni e le vite dei protagonisti, rivelano che Melissa P. finalmente ha trovato la sua strada. Ma, c’è un ma! Ovvero quello che a mio modesto parere non può considerarsi vincente, è quella lieve patina di sospetto che mi fa dire: “ Melissa P., è davvero cresciuta? Siamo di nuovo a una finzione di finzione di finzione che mescola il prodotto editoriale confezionato a dovere con una pre/preparazione attoriale dello scrittore al ruolo, da "esporre" oppure c’è in tutto questo discorso una vera e propria tenuta di stile? Melissa P. , è altro da Isabella Santacroce!

domenica 10 ottobre 2010

Il libro del giorno: Alexandre Dumas Storia di uno schiaccianoci (Edizioni Angolo Manzoni)




















Incipit - PROLOGO. Norimberga, 2010.

Da qualche giorno, la piccola Maria, è attratta dalla porta chiusa della soffitta, in casa della nonna. La nonna si chiamava Maria, proprio come lei, come la bisnonna e… Che strano, quasi tutte le donne della famiglia, tranne sua madre e una prozia, si chiamavano Maria.
La porta della soffitta è lì, massiccia, chiusa da una grossa chiave annerita dal tempo. La piccola Maria la guarda, poi, finalmente, la fa girare: tac tac, un rumore secco, come di noci rotte, due giri. Ora appoggia la mano sulla maniglia, che cede facilmente. La porta si sta aprendo, si apre, gira piano sui cardini, senza rumore:
- Vieni, vieni, piccola Maria, ti stavamo aspettando.
La bimba entra, senza paura. La soffitta riceve luce da una finestrella aperta sul tetto. Non è buio, lì dentro, non è sporco e non fa freddo. [...]

prime 15 pagine del libro

Illustrazioni: Leonardo Ríos - Allegato CDMP3

Voci narranti: Franco Collimato e Simona Massera

Età: da 9 anni in poi

Nasce sul web un modo nuovo, fresco e divertente per leggere i libri






Il sito www.10righedailibri.it che verrà lanciato il 10 ottobre 2010 è un'iniziativa mirata a incentivare la lettura, la scrittura e a diffondere la cultura e l’uso del libro anche attraverso la rete. L’idea è nata a dicembre 2009 su Facebook, per opera di lettori appassionati e professionisti, tutti volontari, e oggi conta oltre 10.000 iscritti! Il sito www.10righedailibri.it propone gli incipit e i primi capitoli scaricabili di alcuni libri novità e anteprime, d'accordo con case editrici come, Salani, Elliot, Castelvecchi, Arcana, Ponte alle Grazie, Newton Compton, Fazi, Bompiani, Edizioni Angolo Manzoni, Avagliano, Il Maestrale, Asengard, Reverdito, Vallecchi, Il Saggiatore, Testepiene, Sperling & Kupfer, Gambero Rosso, Fandango, Garzanti e tanti altri in entrata. È come sfogliare il libro in libreria e carpire alcune frasi dai capitoli, giusto per vedere se la lettura ci affascina o no... In questo modo il lettore potrà fare delle scelte più mirate stando comodamente seduto alla propria scrivania. Ma non solo: i lettori potranno inserire i loro commenti e i passi ritenuti più emozionanti delle opere che si è appena finito di leggere. Naturalmente tutto con 10 righe. Il 10.10.10 partirà così il primo test di 10 righe dai libri: i lettori potranno leggere 10.000 righe dai libri postate sul gruppo Facebook e potranno sperimentare l’immissione delle 10 righe nel sito…

www.10righedailibri.it: il sito appena nato che già vanta numerosi tentativi d’imitazione! Sarà la nuova Settimana Enigmistica dei libri? In home il 10 ottobre il contatore riprenderà il conto alla rovescia per nuove sorprese: questa volta si parte con i giochi!

10 Righe dai libri

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info@10righedailibri.it

www.10righedailibri.it

Trittico in quote rosa di versi: Marta Arrizza, Tiziana Cazzato, Nadia Turriziani























Marta Arrizza esordisce con “Parole allo specchio” una raccolta di versi intensi pubblicata da Ibiskos edizioni nella collana minimal. La scelta di ogni singola parola, pur nell’immediatezza dell’esordio, sceglie il dialogo con un’alterità troppo profonda per reggerne l’impatto emotivo. “Parole allo specchio” frutto comunque di innumerevoli sedimentazioni, cerca attraverso il respiro poetico un ritmo dell’oltre perennemente in bilico tra introspezioni ed estroflessioni osservative, che indagano un reale comunque magico e a volte oscuro. (Fuggi – Fuggi dal rumore che non sai ascoltare/ e dalle parole che non vuoi udire/. Vai lontano, rincorri la tua ombra,/ apri le mani al cielo e vai via./ Non tornerai,/ non dimenticherai/ e solo i tuoi passi/ sentirai). La mia seconda scelta per questo trittico in quote rosa di versi, è la raccolta pubblicata dalla casa editrice salentina Libellula, dal titolo “Fiori di campo” di Tiziana Cazzato che non è all’esordio ma ha già pubblicato "Macchie d’Inchiostro” con le edizioni Il Filo di Roma . Prosa poetica toccante soprattutto per i contenuti che mirano alla costruzione di un sentimento di solidarietà, adiacenza e amore verso il prossimo, realmente umanitario, realmente di vicinanza all’essere umano, quasi metafisico. Dice l’autrice di questi versi: “…mi piace vederli più come dei fiori di campo: come questi, le parole nascono spontaneamente nel mio cuore, con il semplice desiderio di perpetuare un angolo di vita, la più piccola emozione. Offro questi miei fiori a tutti coloro che avranno voglia di coglierne il profumo e apprezzarne il colore…”. (Al sopraggiungere della sera/ la vita indossa gli abiti/ da noi preferiti/ e inizia a ballare/ sulla musica/ dei nostri sogni). Ho avuto modo di conoscere a apprezzare Nadia Turriziani in una sua precedente produzione narrativa dal titolo “Sul sottile filo del desiderio” (Diamond editrice, 2010). Un libro carico di sensualità e di veri e propri uragani di erotismo. Ora quest’autrice realizza un e/book dal titolo emblematico di “Aria, acqua, terra e fuoco”. Lo si può acquistare a questo link: http://www.compraebook.it/178/Aria-Acqua-Terra-e-Fuoco.html. La poesia che la Turriziani propone ha una musicalità che proviene da ancestrali forze “elementali” ovvero secchezza e freddezza, secchezza e calore, umidità e freddezza, umidità e calore, creando un gioco dove contrari e opposti hanno solo una qualità differente. Dunque una poesia dove la forza dell’Amore altro non è che l’essenza stessa del mondo, che ha più piani di esistenza dalla morte alla vita e viceversa. Poesia dalla forza creatrice che viene fondamentalmente dal caos dall’Eros, senza compromessi e senza censure.

(Un amore da sogno - Uno spicchio di luna / Nel cielo limpido /Rende l’atmosfera / Più romantica. /Un sogno il mio. / Il riflesso del tuo corpo / Fievole nel lago / Trasforma il paesaggio/ alpestre / In una favola. / Il tuo odore / Meraviglioso / Indimenticabile / Ricopre il mio corpo./ Sei stupendo! / Un dio greco / Scolpito generosamente / Dalla natura. / Il profilo perfetto / Che dà luce e colore / A questo quadro idilliaco. / Un sospiro / Scuote il tuo torace / Ed un ricciolo ribelle / Scende birichino / Sul tuo volto estasiato. / Sento ancora / Le tue mani / E le tue labbra / Scorrere sulla mia/ schiena. / Il peso piacevole / Del tuo corpo / Che mi fa mancare/ Percettibilmente il fiato)

sabato 9 ottobre 2010

Il libro del giorno: Maripol (Little Red Riding Hood) edito da Damiani editore

















L’opera di Maripol come art director, designer e film producer ha influenzato la musica pop, la moda e l’arte sin dai primi anni Ottanta. In questo volume, per la prima volta, Maripol mostra i suoi quaderni di appunti, pieni di disegni, fotografie e riflessioni, offrendo l’opportunità di cogliere la sua personalità artistica. Con un penchant per la moda ereditato dalla madre e dalla nonna Mathilde, Maripol è stata un modello naturale per i miti e le leggende che hanno accompagnato la sua giovinezza, a partire dalla vittoria di un concorso scolastico per il miglior travestimento come Cappuccetto Rosso. Appena uscita dall’accademia di belle arti, grazie alle sue sculture da indossare e ai suoi gioielli fatti con oggetti industriali, Maripol si trasferisce a New York per lavorare con Fiorucci. Materiali, stoffe e profumi non sono estranei a una ragazza cresciuta in Africa... Da questo esordio promettente, le sue idee hanno permeato l’arte, la musica e la moda di ben tre decenni. Madonna, Keith Haring e Basquiat sono solo alcune delle personalità di spicco influenzate, filmate e fotografate da Maripol, che attualmente collabora alla linea di accessori di Marc Jacobs. Il materiale presentato in questo volume, attraverso diari mai pubblicati, rivela il genio e la fragilità di un'innocente ragazza cresciuta in fretta in un mondo di lupi grossi e cattivi...

"Nero. Autobiografia di un neonazista guarito" di Frank Meeink e Jody M. Roy (Piemme)









«Noi non siamo nemici, ma amici. Noi non dobbiamo essere nemici. Possiamo essere stati tesi dalle nostre passioni, ma ciò non deve rompere i nostri legami d'affetto. Le corde mistiche della memoria suoneranno se toccate ancora, come sicuramente saranno, dai migliori angeli della nostra natura.». Era il 1988. Lo ricordo come se fosse ieri. Al cinema danno “American History X” un film del 1998 diretto da Tony Kaye. La pellicola è dedicata al tema del razzismo nazi e xenofobo negli Stati Uniti. American History X lo vado a vedere di nascosto dai miei. Ci rimango sotto. Ci rimango sotto a Derek che, dopo aver trascorso tre anni in gatta buia per aver ucciso un ragazzo di colore che stava tentando di rubargli l'auto (skinhead con tanto di svastica tatuata sul petto e camera arredata con cimeli nazisti), si dà da fare in atti di violenza e vandalismo e fa parte di una locale organizzazione di giovani neonazisti che viene finanziata da Cameron Alexander, proprietario di una casa editrice che pubblica libri propagandistici e dischi di gruppi musicali che inneggiano alla supremazia bianca. E ci rimango sotto anche a un libro che è uscito in questi giorni dal titolo “Nero. Autobiografia di un neonazista guarito” di Frank Meeink e Jody M. Roy edito da Piemme. In parole povere la storia di Frank Meeink di padre italiano e madre irlandese la cui vita è fatta sin dall’inizio di disordine e violenza. Che cosa ne può nascere se non un essere umano che cresce di odio in odio verso tutto e tutti, con una voce che si ripete giorno e notte, notte e giorno: “Io non sono negro!”. Già perché per Frank non essere “negro” vuol dire vincere sulla parte più vulnerabile di se stessi, quella più bisognosa d’aiuto, che rimane nell’ombra, nell’oscurità, dove tutto è “nero”!. Frank viene sbattuto fuori di casa alla veneranda età di 13 anni, passa da un affidamento all’altro sino al carcere, epilogo naturale e totale della sua vita. Poi il cameratismo, degli skinhead. Assorbe come una spugna e manda giù, tesi deliranti sulla razza ariana, sugli ebrei e il loro complotto giudaico-massonico, sui «negri». Festeggia addirittura il compleanno di Hitler, si fa tatuare una svastica sul collo, si esalta in una spirale di violenza e assurdità, tra cui pestaggi a barboni, gay, a tutti i «diversi». Frank è uno che a sedici anni diventa leader di una delle più famigerate gang di naziskin. Poi il Ku Klux Klan. E diventa un mito. In carcere poi, dovunque vada, qualcuno legato al mondo nazi lo protegge dai rischi peggiori. Ma Frank scopre in carcere che le battute razziste non fanno più ridere come prima e questo è già indice di tradimento. Libro terribile, ma nello stesso tempo da non perdere soprattutto perché ci insegna a capire da un punto di vista socio/culturale la temperatura psicologica di una parte malata d’America che a tutt’oggi sembra comunque godere di ottima salute!.

«Il mattino del 19 aprile 1995 mi infilai in una gastronomia, presi un panino preconfezionato e andai alla cassa. Il commesso era incollato a un piccolo televisore sistemato dietro il banco. «Cosa succede?» domandai. «Hanno fatto saltare in aria un edificio.» «Sul serio? Dove?» «Oklahoma City.». Poco dopo l’esplosione tutto il mondo era davanti al televisore. Perfino io e gli altri spacciatori abbandonammo il nostro angolo fra Second e Porter per seguire quello che era accaduto. Ci ammucchiammo in una stanza di una malandata villetta a schiera di South Philly. » (estratto dal libro)

venerdì 8 ottobre 2010

Il libro del giorno: Uomini e orsi Una breve storia di Bernd Brunner (Bollati Boringhieri)







Il primo, sorprendente racconto della storia che l’uomo ha scritto insieme agli orsi.

Simbolo di spazi selvaggi e inviolati, ma anche dei più teneri giochi infantili, l’orso ha stregato l’uomo sin dalla preistoria. Bernd Brunner ci porta attraverso il tempo e lo spazio per farci scoprire i risvolti inattesi di un rapporto burrascoso, fatto di cacce, inseguimenti, fughe, ma anche di rarissimi e preziosi momenti di condivisione. Uomini e orsi, con le sue ricche illustrazioni, introduce il lettore alla nostalgia per una vita libera e brada, che proprio come gli orsi non si lascia addomesticare o costringere nei limiti angusti della cosiddetta civiltà. Molti sono stati gli uomini preda di una vera e propria «orsessione», come recita uno dei capitoli del libro, di un’attrazione, talvolta fatale, che li ha spinti a sfidare i propri limiti. Brunner ci racconta le loro e altre storie, in un caleidoscopio di fiabe, miti e credenze che cattura dalla prima all’ultima pagina.

Bernd Brunner, studioso e scrittore eclettico, si è occupato soprattutto di storia delle idee e della cultura in rapporto al sapere scientifico. Ha studiato a Berlino e Seattle e ha collaborato con il Bard Graduate Center for Studies in Decorative Arts and Culture di New York, con la Bancroft Library della University of California a Berkeley e con il Goethe Institut di San Francisco. I suoi libri sono stati tradotti in numerose lingue.

In anteprima un estratto de "Il mio primo omicidio " di Leena Lehtolainen (Fanucci)




















Jyri si svegliò con un atroce bisogno di orinare. In bocca quel sapore acre che in genere ti lasciano whisky, birra, aglio e una serie infinita di sigarette. Si domandò se in casa avrebbe trovato della Fanta. Il mattino dopo una sbornia era quella la sua medicina preferita, se la situazione non era grave al punto da richiedere una birra. La mattina era divinamente bella. Tuulia e Mirja erano sedute in terrazza e s’occupavano della colazione. Tutto quel ciarlare sulle virtù dei vari formaggi lo divertì – in realtà le due donne non si sopportavano. Ma dal momento che una era il miglior soprano e l’altra il miglior contralto dell’ASPROF, l’Associazione degli studenti delle province orientali di Finlandia, erano costrette a fare buon viso a cattiva sorte. Mirja era la perfetta incarnazione del contralto, bruna, rotondetta, tenebrosa. Perfetta per la parte della zingara nel Trovatore di Verdi: come si chiamava poi... la zingara, insomma. Il sole abbagliante lo colpì agli occhi, tanto che il capo gli rintronò. Per sicurezza mandò giù due tachipirine, anche se era convinto di essere ormai immune al trattamento. Fanta non ne trovò, ma c’era succo d’arancia. Il mondo gli si mostrava nel suo splendore più deprimente: il mare scintillava, gabbiani strepitavano vicino al pontile, si annunciava un pomeriggio canicolare. Cantare con quella calura non sarebbe stato tanto facile. «Allora, Jyri, pesante la spranghetta?» fece Tuulia in tono canzonatorio. Anche lei aveva un’aria pallida, di sicuro nessuno aveva dormito granché quella notte. Ma che problema c’era? A lavorare si andava solo l’indomani. «Gli altri dormono ancora?» «Piia è andata a fare un bagno. Altri non ne ho visti. Sarebbe ora che si alzassero, se vogliamo combinare qualcosa.» Mirja lo disse con un tono acido, i poltroni non le garbavano affatto. Il miglior doppio quartetto dell’ASPROF si era radunato nella villa dei genitori di Jukka in vista di un impegno importante, a suo parere, per fare le prove e non per fare baldoria. Tutto qui. Per cui sveglia, un bel caffè in canna, poi sotto coi vocalizzi. Jyri si tirò su. Un bel bagno non sarebbe stato una cattiva idea. L’acqua era sui venti gradi, quel che ci voleva. Si diresse caracollando verso il pontile di legno. Sulla spiaggetta accanto alla sauna scorse Piia, decentemente ricoperta da un bikini. Jyri non se la sentì di andare così lontano, per cui, alla faccia del pudore, giù le brache e oplà, in mare. Anche Jukka era in mare, galleggiava sull’acqua bassa vicino agli scogli. Doveva avere un mal di testa furibondo, almeno a giudicare dal buco enorme che esibiva sul cranio. Per il resto, non aveva l’aria troppo sveglia... Jyri si sentì rivoltare lo stomaco, e precipitarsi a vomitare sulle canne vicino alla riva fu l’unico sollievo. Gli ci volle un paio di minuti per risollevarsi e riuscire a tornare sulla veranda, dove adesso c’era anche altra gente. La sua voce limpida e invidiata di primo tenore non bastò ad articolare chiaramente le parole. «Che diavolo ci fai, così, con le chiappe al vento?» gli fece Tuulia. «Jukka... là, al pontile, oh Cristo... Forse è morto! Annegato!» «Ma di che cazzo parli?» Antti si precipitò verso la riva, Mirja gli corse dietro. Un attimo, e la donna tornò indietro per fiondarsi sul telefono. I numeri delle emergenze erano nitidamente riportati accanto all’apparecchio. Dalla terrazza udirono la sua profonda voce di contralto rivolgersi affannata alla polizia, e solo dopo cercare un’ambulanza.Dove mai ti trascina la corrente? Ero sotto la doccia, impegnata a sciacquare via il sale dalla pelle, quando il telefono squillò. Sentii il mio annuncio nella segreteria, poi la voce di un collega che mi chiedeva di richiamare al più presto. Il riposo domenicale era durato, con mia sorpresa, più del previsto, ma non ero riuscita a rilassarmi, nemmeno sulla spiaggia. Per qualche motivo m’ero sentita in dovere di trascorrere la prima bella giornata libera dell’estate a indorarmi al sole, sebbene detestassi fare vita di spiaggia. Per tutto l’inverno avevo frequentato assiduamente la palestra, ragion per cui il mio fisico era presentabile come non accadeva da anni. A parte qualche cuscinetto di cui non mi sarei mai sbarazzata, visto il ritmo con cui mandavo giù le birre. Interruppi la segreteria e composi il numero del commissariato. Il centralino mi passò Rane. «Ciao, bellezza! Tra un quarto d’ora sarò davanti a casa tua. Ho già impacchettato tutto. C’è un cadavere a Vuosaari, una pattuglia ce l’ha segnalato una mezz’oretta fa. Serve niente dal tuo ufficio? Arrivo! Si riparte, mi dissi, mentre cercavo nell’armadio qualcosa di presentabile da indossare. La gonna della divisa l’avevo lasciata in ufficio, a Pasila, sicché dovevo ricorrere ai miei jeans più decenti. I capelli erano bagnati, ma il fon non avrebbe fatto altro che scarruffare la mia zazzera rossiccia. Mi sforzai di stendere una specie di trucco sulla faccia arrossata, e feci un paio di smorfie nello specchio. L’immagine che mi rimandava era tutt’altro che quella di una rispettabile poliziotta: gli occhi verdognoli sembravano presi a prestito da un gatto, riccioli stopposi e ribelli con riflessi rossastri accentuati dalla tintura («il segreto chi lo sa, solo io e Melody...»). Il tratto che in me destava l’impressione più irriverente era il nasino all’insù che il sole aveva picchiettato di lentiggini. La mia bocca qualcuno l’aveva definita sensuale, il che significava, in soldoni, che avevo il labbro inferiore accentuato. Era proprio questo donnino, adesso, con l’aria di una mocciosetta, che doveva andare a far rispettare la legge e l’ordine là in fondo all’estremo lembo di Vuosaari? La sirena di Rane si fece sentire da lontano. Lui adorava farla andare a tutto volume, come metà dei poliziotti finlandesi.I morti non c’era rischio che se la filassero, ma questo la gente non era tenuta a saperlo

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