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sabato 4 settembre 2010

Il libro del giorno: I segreti del Vaticano di Corrado Augias (Mondadori)





















Il termine "Vaticano" evoca immediatamente l'immagine dell'immensa piazza antistante la basilica di San Pietro e il monumentale colonnato che l'abbraccia. Tra i fedeli cattolici evoca anche la finestra da cui il papa benedice la folla festante. Ma il Vaticano è molto di più. Stato di diritto tra i più piccoli al mondo, minuscola città dentro la vasta città di Roma, di cui ha condiviso le vicissitudini e di cui costituisce "l'altra faccia", ha una lunghissima storia, ricca di chiaroscuri e di personaggi più o meno limpidi. E insieme a incredibili tesori artistici, custodisce nei suoi palazzi molti segreti legati a vicende antiche, recenti e contemporanee. Si inizia con Nerone e i primi cristiani sullo sfondo della Roma imperiale per passare poi a Costantino: la sua famosa e apocrifa donazione al papa ha per secoli rappresentato l'atto di nascita del potere temporale della Chiesa. La galleria dei personaggi è ricchissima. Oltre a templari, gesuiti, inquisitori e membri della potente Opus Dei, ci sono, naturalmente, i papi. E con loro gli artisti, ingaggiati per testimoniare, più che la gloria del Creatore, quella del committente. Un tratto sembra legare, agli occhi dell'autore, tutte queste vicende, le più antiche e le più recenti: la commistione fra cielo e terra, fra spiritualità e potere temporale, e il prezzo altissimo che la Chiesa cattolica, unica religione fattasi Stato, ha pagato e paga nel tentativo di conciliare due realtà difficilmente compatibili.

Teledurruti - Fulvio Abbate è sotto attacco da parte di hacker!!!

Daniele Gatti: attore un mistero da non svelare. Intervista a cura di Alessia e Michela Orlando



















Lei:

Ascolta, tu vedi l'universo spostarsi come un inesorabile cronometro, ma se guardi più intensamente scoprirai che esso nasconde una qualche forma di meraviglia.

( da: La zattera, atto unico di Giorgio Sangiorgi, scaricabile gratuitamente in: http://www.innovari.it/scet.htm )



DANIELE GATTI: ATTORE

UN MISTERO DA NON SVELARE

Una Lectio Magistralis di Daniele Gatti:


una intervista in cui si parla del viaggio a Lourdes di un laico: Mario Soldati; di musica; di come si impara la professione dell’attore; dove si dice molto e tanto altro lo si tiene celato, così come fa il cielo con parte delle sue regole.

Scrive Baudrillard, e ce lo insegna Umberto Galimberti nel suo Le cose dell’amore (pag. 54): L’osceno è la fine di ogni scena […]. Se tutti gli enigmi sono risolti, le stelle si spengono. Se tutto il segreto è restituito al visibile, all’evidenza oscena, se ogni illusione è restituita alla trasparenza, allora il cielo diventa indifferente alla terra […]. Non è più una prostituzione sacra, ma una sorta di lubricità spettrale.

Per noi l’obiettivo di una intervista è, di solito, lasciare intravedere ciò che si cela dietro un corpo, dietro le parole, che è molto più affascinante dell’ostentazione in piena luce. Se, poi, l’intervistato è un attore, tutto ciò assume ancor più rilievo e forse anche un senso simbolico.

Nel caso di Daniele Gatti il gioco si è sviluppato in maniera singolare: non c’era in programma l’intervista. Il primo contatto è da ascrivere tutto ai suoi meriti. Ha detto, più o meno: Michela, so che sei a Grenoble, ci sono anche io e ci resterò fino a gennaio. Mi farebbe piacere coltivare qualche progetto con te, da realizzare nelle classi in cui insegni l’Italiano. È bastato un attimo per capire chi ci fosse al di là dello schermo, dietro una mail; un attimo solo per svelare il peso specifico di un Attore: il tempo di gettare uno sguardo al suo sito, alle foto, al curriculum. Eppure, come tra un attimo chiunque potrà leggere, Daniele sa che non si finisce mai di imparare. Ce lo insegna, infatti, quando a domanda risponde: Sei molto gentile, ma non ritengo di aver raggiunto alcun livello particolare. La carriera artistica si costruisce giorno per giorno, è un continuo cammino e come dice qualcuno: “il viaggio è la sola destinazione!” Di strada da fare ne ho tanta, lo so bene.

Naturalmente il cammino artistico non è dissimile dal cammino nella vita e Daniele mostra l’attaccamento alla vita nella voglia di essere solare, di dare rilevanza alle zone luminose che lo pervadono; così come fa quando vuol continuare a essere bambino (operazione agevolata dalla compagnia dei bambini). È, la sua, una passione limpida diretta verso la vita e l’arte, che ci fa ricordare lo Stendhal: La passione non è cieca è visionaria (L’amore), che lo stesso Umberto Galimberti usa come esergo a pagina 113 del suo Le cose dell’amore. Ma la passione non sottrae a Daniele Gatti la capacità di essere concreto e di vedere lucidamente, ad esempio, i problemi degli attori in Italia. Egli ci ricorda gli antichi greci, che scoprirono la bellezza quando si avvidero dell’esistenza dell’Universo. Fu questa scoperta, l’esistenza di un “ordine bello”, ciò significa Kósmos, a far capire l’importanza di emulare l’equilibrio che si rinviene nei cieli. È da ciò che, peraltro, nasce la voglia di dare origine alla filosofia; l’urgenza di darsi delle regole che incidessero anche nei rapporti sociali, così come nei cieli si rispettano delle regole che danno l’equilibrio. Ciò accadde anche nel mondo dell’arte: affinché l’opera sia davvero d’arte è necessario che siano presenti elementi formali simmetrici. Elementi che si rinvengono nei cieli. A noi pare che a questa regola aurea alluda Daniele Gatti quando ci narra della sua esperienza. E ci pare lo faccia anche quando non svela quali siano i suoi desideri. Ma il desiderare non allude forse alle stelle? La risposta è si; ed è tanto vero e affascinante che anche nei cieli vi sono ancora misteri da svelare. È ciò che ci fa ancora alzare lo sguardo ed è per questo che l’Attore Daniele Gatti può ancora interessarci: anche per quel che non dice e non mostra della sua personalità.



L’INTERVISTA

D. Qual è il luogo di Genova che più rappresenta le zone oscure di te?

Preferisco dire qual è il luogo di Genova che più rappresenta la mia parte luminosa. Si tratta di un parco bellissimo legato alla mia infanzia: Villa Durazzo Pallavicini a Pegli.

D. E quello dove emergono più facilmente, almeno in parte?

Anche a questa domanda mi piace rispondere in senso “luminoso”. Direi che più che di un luogo si tratta di una categoria di persone: i bambini. Quando mi trovo in compagnia dei bambini sto bene, hanno la capacità di fare emergere immediatamente il mio lato solare ed il bambino che è in me...

D. C’è un altro luogo al mondo che ti piacerebbe avessimo usato quale set delle precedenti domande?

Non saprei

D. C’è bisogno del tuo orecchio. Ascolta questa canzone. Basta il primo minuto. Ti va di recitarci l’incipit di ciò che ti richiama alla mente o dirci un tuo pensiero?

http://www.youtube.com/watch?v=31AxHeYEDxc

Bella canzone, grazie, non la conoscevo. Mi ha ricordato un viaggio in moto di qualche anno fa. Me ne andavo verso Sutri. Ricordo la strada fitta di alberi e il sole che filtra tra i rami, magnifico.

D. E quest’altra cosa ti suggerisce?

http://www.youtube.com/watch?v=HM_AiUBAwM0&feature=related

Questa canzone invece la conoscevo!…stimola la mia voglia di giocare.

D. L’orecchio, la voce, il linguaggio gestuale, quanto contano per un attore?

Sono gran parte di ciò che serve non solo ad un attore, ma più in generale a ciascun uomo per esistere. L’ascolto di sé e dell’altro, i gesti anche piccoli, il calore di una voce sono poi le stesse cose alla base dell’innamoramento, sono essenziali.

D. E la carne, il corpo?

Nel linguaggio dei gesti includo anche il corpo. Spesso il corpo parla di più quando è fermo, immobile, non solo sul palco o nel cinema ma anche nella vita di tutti i giorni. Anche quando è morto il corpo parla. Pensa alla pittura. Guarda la meravigliosa Pietà di Caravaggio. Qui l’artista raffigura Gesù deposto dalla croce. E’morto, il suo corpo ha un peso e continua ad esistere, ad emanare luce, e ci ricorda che Dio “si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”. Credo che quando si dice che “il corpo è il tempio dell’anima” si intenda anche questo e per questo va rispettato, onorato. Questo corpo, il corpo, ci parla. Sempre.

D. Dal tuo curriculum notiamo (senza meraviglia, giacché anche noi con Ruggero Cappuccio e Claudio Di Palma partecipammo a uno stage di fioretto con l’olimpionico napoletano del 1990 Sandro Cuomo) che nel 2006 hai partecipato a un corso di scherma (spada). È utile farlo per il teatro e l’essere attore in genere?

L’idea di sperimentarmi in cose sempre nuove mi stimola molto e nello sport mi annoio facilmente, così ho spesso voglia di cambiare, anche per acquisire nuove abilità che potrebbero essermi utili. La scherma la conoscevo già per via di mio fratello. Mi ci accostai per preparare un provino di cinema nel quale richiedevano quest’abilità. Del film non se n’è fatto niente, ma alla spada mi sono appassionato e ho continuato per due anni. E’ uno sport bellissimo e ritengo sia una grande disciplina per tutti coloro che la praticano e in modo speciale per l’attore. L’attenzione deve essere totale, è richiesto di stare sempre sull’altro, senza distrarsi mai, come nella recitazione. Ogni azione permette tante possibilità di reazione, c’è ritmo, ma senza alcuna fretta. La cosa che più mi piace di questo sport è il rispetto per l’avversario e penso che sia fra i migliori sport che si possano far praticare ad un bambino.

D. Per divenire un bravo attore e giungere ai tuoi livelli, basta seguire studi accademici, partecipare a corsi-stage, laurearsi, andare spesso a teatro, leggere molto? Potrebbe essere utile andare a bottega?

Sei molto gentile, ma non ritengo di aver raggiunto alcun livello particolare. La carriera artistica si costruisce giorno per giorno, è un continuo cammino e come dice qualcuno: “il viaggio è la sola destinazione!” Di strada da fare ne ho tanta, lo so bene.

Il mio percorso artistico è un po’ inusuale perché sono entrato alla Scuola di Recitazione che già avevo lavorato un po’, ero stato “a bottega”, come dici tu, e questo ha reso tutto più difficile. Mi sentivo senza radici e dovevo cercare di spogliarmi di tutto ciò che avevo malamente appreso per rendermi disponibile, malleabile all’insegnamento. E’stata dura. Perché quando si è insicuri si è anche superbi. In questo senso penso che la Scuola del Teatro Stabile di Genova grazie ai suoi bravi insegnanti mi abbia davvero formato dandomi degli strumenti che giorno per giorno faccio miei, adattandoli e arricchendoli con le mie esperienze.

Penso che studiare, leggere molto, andare a teatro e al cinema siano cose molto importanti, tutto ciò che ci fa crescere e riflettere è necessario, e non solo per l’attore! L’attore però mettendo in scena un personaggio con le circostanze che gli sono date -per come la vedo io- si trova ad incarnare (sul palco o dietro la telecamera) vari archetipi dell’uomo nei diversi aspetti della sua personalità e questo comporta una grande responsabilità e anche una disponibilità all’approfondimento. Certamente non si può vivere tutte le vite, ciascuno di noi ha dentro di sé l’essenziale da cui partire per lavorare su un personaggio, ma per quanto mi riguarda, ho sempre trovato che coltivare i miei molteplici interessi mi è stato d’aiuto sul lavoro, per capire meglio le circostanze di un personaggio e le sue istanze, le ragioni che lo muovono e gli fanno dire certe cose. In fondo, come dice Neruda “La mia vita è una vita fatta di tutte le vite”.

Le raccomandazioni servono o danneggiano anche chi le riceve?

Circa le raccomandazioni non ti so dire perché non ne ho mai ricevute, mi sono sempre sudato quello che ho fatto e - senza sentirmi migliore – ti confesso che ciò mi procura una felicità piena. A volte è capitato che registi che si sono trovati bene con me abbiano segnalato il mio nome ad altri per un progetto. Questo è bello, è un segno che hai lavorato bene, seriamente. Una conferma importante. Poi c’è sempre da superare l’audizione. Credo che quello delle raccomandazioni sia un problema molto italiano e, comunque, se non c’è del talento alla base, le raccomandazioni non possono garantire una carriera duratura. Il cielo è pieno di meteore, ma per costruire la casa sulla roccia la strada è lunga e bisogna lavorare molto.

D. Improvviso cambio di scena: nessuno dubita che Mario Soldati sia tra i più fini ed eleganti scrittori che l’Italia abbia mai avuto. Scrisse anche di un viaggio UNITALSI in treno, verso Lourdes (abbastanza critico rispetto al luogo geografico e alle iniziative che vi si assumono); si occupò ad altissimi livelli di cinema; amò gli Stati Uniti d’America. Abbiamo ragioni per credere che ti apprezzerebbe molto. L’ipotesi è questa: è ancora tra noi, cosa scriveresti, sottolineandolo, nel tuo curriculum per proporgli un lavoro?

Non sapevo che Soldati avesse scritto anche di un viaggio a Lourdes, ma conosco questa sua frase: “Tutto il mondo soffre di avere perduto la religione. E quasi tutta la poesia di oggi non è, in un modo o nell'altro, che il rimpianto di una religione perduta”. Non so se fosse realmente critico rispetto a Lourdes, ciò che è vero è che chi affronta quel pellegrinaggio è alla ricerca di un incontro con Dio. Come scrivo nel mio libro, Lourdes è un luogo pieno di contrasti, dove, contrariamente a come avviene nel mondo, le persone sofferenti e gli ammalati, riscoprono la gioia di esistere nell’abbraccio della Vergine Maria. Personalmente in quello stesso luogo anche io ho vissuto un’esperienza intima che amo definire di “conversione”, ma questo te lo racconto un’altra volta…Per rispondere alla seconda parte della tua domanda, penso che se Mario Soldati fosse ancora tra noi gli chiederei innanzitutto di incontrarlo per ascoltare cosa ha da raccontare, poi gli farei delle domande. Infine gli direi che il cinema italiano ha ancora tanto bisogno di lui…

D. Cosa gli proporresti o vorresti ti proponesse?

Beh, un ruolo in un suo film. Inoltre gli chiederei dei consigli sulla base della sua esperienza.

D. A chi altri vorresti proporre una tua idea? E da chi vorresti essere diretto?

Sono tanti i registi con i quali vorrei lavorare o lavorare ancora.

D. Immaginiamo che giungerai alla regia (crediamo tu non l’abbia ancora fatto), prima o poi. Hai in mente qualche progetto?

In realtà ho nel sacco qualche assistenza alla regia e qualche regia mia. Ti dirò che mi piace molto dirigere, accompagnare gli attori alla scoperta di un personaggio. Per questo anche il lavoro di coach mi gratifica.

Al momento sto muovendo i primi passi nella produzione. Ci sono progetti che desidero realizzare, cose che amerei fare e magari non vengono prodotte, così cerco di riempire questo vuoto, anche se fare produzione in Italia non è semplice. Attualmente in questo senso sto lavorando ad un atto unico che ho già presentato con successo in occasione di un evento estivo e poi alla produzione di un testo su San Francesco d’Assisi che ho tradotto e adattato dal francese, e che mi vedrebbe diretto da Jurij Ferrini. Ma parlarne è ancora presto…

D. Credi sarebbe possibile realizzarlo oggi, in questo momento esatto? Quali gli eventuali ostacoli?

Certo che sarebbe possibile! Più che di ostacoli parlerei di ritardi dovuti a ragioni burocratiche, ritardi nell’erogazione dei contributi…ma posso dire di aver trovato anche tante persone in gamba che hanno preso a cuore il mio progetto e fanno quello che possono per sostenerne il valore.

D. Iniziamo un viaggio insieme. Sei bendato. Sulla pelle ti giunge la sensazione che sia aumentata l’umidità. Ti ritrovi in una cella. Vedi solo dei tetti. Capisci che sei a Venezia. Ti ricorda qualcosa?

Sono Otello, alla fine del dramma?…

D. Intendi fuggire. Non puoi fare altro, per evitare il plotone di esecuzione. Hai a disposizione pochi minuti. La pesante porta è aperta. Ma lo è anche l’unica finestra, quella che ti porta sui tetti, appunto. Puoi scegliere anche un’arma da portare (qualcuno le avrà lasciate magari per tenderti un tranello) tra: un coltello arrugginito e sbrecciato; una pistolaccia; una fionda. C’è anche una corda. Quale scegli? Segui le tracce lasciate da Casanova o che fai?

Se sono il personaggio che hai in mente tu prendo la corda e mi calo dalla finestra, anche se molto dipenderà dall’altezza, dato che soffro di vertigini…se invece sono Otello, penso che morirò di dolore.

D. Quale direzione prendi? In quale città e in quale epoca vorrai ritrovarti fra due giorni insieme al cavallo che trovi nei pressi?

Gerusalemme, al tempo di Gesù di Nazareth, vorrei poter ascoltare la sua voce una volta…

D. Il destino, se vuoi il caso o una tua decisione, in un salto spazio-temporale, ti portano nell’attuale Grenoble. Sei davanti a venticinque ragazzini di scuola primaria per insegnare i rudimenti della recitazione. E sono loro a darti la prima lezione: noti i vari colori e hai la prova concreta di quanto il colore della pelle sia un falso problema. Da dove cominci per spiegargli il mondo del teatro? E il mondo tout court? E le ingiustizie?

Beh, mi è già capitato e prima di tutto domanderei loro cosa pensano che sia il teatro…quanto alle ingiustizie del mondo se fanno la scuola primaria ne sanno sicuramente già qualcosa! Poi, credo che li farei salire uno ad uno sulla cattedra, per fargli cambiare il punto di vista, come ne: “L’Attimo fuggente”, film che adoro!

D. Puoi portare in Italia quei venticinque alunni francesi. Dove li porteresti? Chi gli faresti conoscere? Cosa gli faresti mangiare?

Penso che li porterei a vedere il mare dall’alto di una montagna, in Liguria Il golfo visto così sembra un grande teatro antico, no? Circa il mangiare… credo che le trofie al pesto e un pezzo di focaccia genovese almeno una volta nella vita debbano assaggiarli!!

D. Sei certo che quei ragazzini avranno un futuro nel mondo dell’arte. Consiglieresti loro il teatro?

Se vivessero in Italia non credo. Gli attori nel nostro Paese non hanno diritti, nessuna tutela. Sebbene gli intermittenti dello spettacolo siano moltissimi, a nessuno sembra interessare. E certi reality alimentano l’impressione che questo sia un mestiere che tutti possono fare. In Inghilterra e in Francia c’è un’altra dignità anche se il problema esiste. Poi distinguerei la recitazione come professione, che comporta una grande passione e molto sacrificio (non amo molto suddividere in teatro, musical o di cinema, per me l’attore deve spaziare nelle diverse discipline se ne ha la possibilità), dall’hobby che si può fare a livello amatoriale, per se stessi, per conoscersi meglio e più a fondo. Nel primo caso, comunque, è bene non prendersi troppo sul serio!

D. C’è differenza tra la parola a teatro, in televisione, a cinema?

Direi di si. Sono linguaggi completamente differenti perché si servono di mezzi differenti e perché parlano in luoghi diversi. Mi spiego meglio. A teatro il pubblico è lì con l’attore, il corpo e la voce sono predominanti, anche il silenzio lo è. La luce. Al cinema il pubblico è più passivo perché è il regista che sceglie cosa fargli vedere, su cosa spostare la sua attenzione. Ma non è negativo perché nel tragitto verso casa, il film, se è bello, è ancora dentro di noi. Recentemente ho avuto la fortuna di vedere al cinema il primo “Francesco d’Assisi” della Cavani. L’impatto è stato così forte che non sono riuscito a parlare per un giorno intero. Non una parola. La televisione invece deve tenere conto di tante variabili, fra cui la disattenzione di chi ascolta. Chi fa televisione non può prescindere da questo. Anche se alcuni prodotti, sempre meno, sono di buona qualità. Sempre di più, (a mio parere purtroppo), la televisione è continuamente accesa nelle nostre case quasi fosse una della famiglia, con i problemi che questo comporta. Ti confesso che ho scelto di non averla.

D. Ci dici i nomi di tre autori, di tre attori-attrici, di tre teatri da spedire nell’Universo per dire di noi, di questa Terra?

Mammamia. Per dire di noi come siamo oggi? Meglio di no… Se invece intendi nella storia, vediamo… per gli autori: Dante Alighieri, Pascoli e Montale. Per gli attori te ne dico quattro: Laurence Olivier, Klaus Kinskj, Eleonora Duse e Jeremy Irons. Quanto ai teatri non riesco a scegliere.

D. C’è un testo che vorresti recitare e non ti è stato ancora possibile farlo?

Sì, ma sembra che presto ce la farò!

D. Ci avviamo al termine. Facciamo una ipotesi concreta. Abbiamo un testo che l’autore ci ha messo a disposizione dicendoci testualmente: questo testo è a vostra disposizione; fatene ciò che vi va. Io sospendo il progetto di metterlo in scena a Bologna.

Noi lo abbiamo letto con attenzione e giacché vi gioca un ruolo fondamentale il mare, crediamo debba essere letto da un attore che sappia riconoscere l’odore della salsedine tra mille altri. Ecco: noi decidiamo di farlo leggere a te. Tu, che non ci conosci e nulla sai dell’autore, lo leggeresti davvero?

Certamente, ne sarei lusingato.

Valuteresti la possibilità di metterlo in scena senza pregiudizi?

Valuterei. Se non mi piacesse però, lo direi.

Sarebbe più semplice se a proportelo fosse, ad esempio, Alessandro Gassmann?

Per valutare, generalmente, uso altri criteri…vuoi chiedermi qualcosa? J

Quali potrebbero essere i problemi da dover affrontare e risolvere, se il testo potesse non solo essere adatto a te ma avesse anche serie possibilità di successo?

Se fosse così non ci sarebbero problemi da affrontare, sarebbe molto bello, no?

E qualora si decidesse di allestire una messa in scena, sarebbe necessario un piano di comunicazione professionale o basterebbe il tam tam?

Bisogna chiarire cosa si intende per professionale. Quando lavoro preferisco un’equipe di attori professionisti per tante ragioni, ma soprattutto per rispetto nei confronti del testo, del lavoro e di me stesso. Perché recitare per me non è solo una passione, è anche un lavoro e il lavoro ha delle regole. Per divulgare l’evento certamente il tam-tam è importantissimo, lo uso spesso anche io.

D. Ultima domanda. E stavolta desideriamo che tu torni bambino: ecco, questa è la vera Lanterna Magica. Sfrega pure, sai cosa sta per succedere…

Si, ma non lo dico…

venerdì 3 settembre 2010

Premio Vittorio Bodini: da Mario Desiati a Giulio Ferroni












L’appuntamento volto a dare lustro e commemorazione al poeta salentino Vittorio Bodini, che ha segnato un importante fase della letteratura italiana, della poesia e della cultura del Novecento, ritorna puntuale come ogni anno nel Comune di Minervino.

L’iniziativa ha visto nelle passate edizioni, il susseguirsi di personaggi illustri: i poeti Elisa Biagini, Milo De Angelis, Maria Gallinari, Michele Mirabella, Antonio Errico, Piero Manni, Donato Valli, Lucio Giannone; l’attore Bruno Armando, Calantonio Mozzanti.
Nelle ultime edizioni ha premiato Carmen La Sorella e Tiziano Scarpa.

Per l’edizione di quest’anno, nella ricorrenza del quarantennale dalla morte del poeta (e in occasione della terza riedizione delle Opere Complete), il Comune di Minervino, intende dare maggiore visibilità all’evento e dare continuità al progetto, rivolgendo il premio verso una platea sovraregionale. A tal proposito, presso le sale dell’ex convento di Sant’Antonio verrà allestita una retrospettiva dedicata al Poeta, dal titolo “ Bodini: ritratto di un tempo”. La mostra allestita con il materiale gentilmente concesso dalla Famiglia, raccoglie disegni, lettere e ritratti del Poeta, le opere dei fratelli Barbieri, documenti attestanti il rapporto di amicizia e di collaborazione artistica tra Bodini, Lorca e Alberti. E a questo sodalizio artistico è dedicata una sezione specifica della mostra su concessione dell’Museo Provinciale.

Il vernissage della mostra è previsto per il giorno 4 settembre, ore 19.30
intervengono
Livio Muci (per Besa Editrice, la casa editrice che pubblica le opere complete di Vittorio Bodini)
Giulio Ferroni (storico della letteratura, critico letterario e giornalista autore del recente “Scritture a perdere”, Laterza, 2010)
Laura Marchetti (antropologa)

A seguire la proiezione del Film DON GIOVANNI, regia di Carmelo Bene, con l’inedito VITTORIO BODINI attore.

Domenica 5 settembre, a Cocumola (Minervino – Lecce) il calendario degli appuntamenti prevede la presentazione del libro di Giulio Ferroni "Scritture a perdere. La letteratuta negli anni zero".
Introduce Rosella Santoro.
A seguire Ilio Palmariggi presenta la V edizione del PREMIO BODINI, che sarà conferito allo scrittore Mario DESIATI (Fandango), scrittore e critico letterario.
Un riconoscimento speciale verrà consegnato a Luisa Ruggio (autrice di “Afra”, “La nuca” e del recente “Senza storie”, Besa Editrice/Controluce). Le letture delle poesie di Bodini saranno a cura di Paola Gassman, le musiche di Daniele Durante.

L’evento, curato dall’ag. TITANIA di Lecce, rientra nel programma della terza edizione del FESTIVAL ERGO SUM, curato da Alessandra PIZZI, con il patrocinio della Provincia di Lecce.

Il Premio Bodini, si avvale altresì del co- finanziamento della Regione Puglia, Assessorato al Mediterraneo.

Il libro del giorno: Il segreto del gelso bianco di Antonella e Franco Caprio (Besa editrice)
















Questo romanzo è la vera storia di un segreto, confidato da una bambina dapprima a un albero di gelsi bianchi e poi affidato alle pagine di un diario. Diario che chiede di divenire romanzo e che quindi narra anche di se stesso. Ma è soprattutto la storia di una donna, Marianna, della sua famiglia e di un piccolo paese che nel tempo si evolve pur restando avviluppato alla sua essenza rurale. Una saga che si dipana nell’arco di tutto il XX secolo, tra la Murgia pugliese, gli Stati Uniti d’America e la città di Torino, narrando l’avventura di affanni quotidiani, di sentimenti e amori, di gioie e di sofferenze, di superstizione e di religiosità, di maldicenza e di solidarietà. Il tutto velato da un alone di magia e condito con il sale dell’ironia.


Antonella Caprio è nata nel 1964 a Torino dove vive ed esercita la professione di insegnante. In passato ha collaborato con alcune case editrici per progetti didattici.

Franco Caprio è nato a Torino nel 1961 e vive a Conversano (Ba). Esercita la professione di medico. Ha pubblicato vari articoli per riviste scientifiche.

Il segreto del gelso bianco è il loro primo romanzo, scritto a quattro mani.

Consiglio di lettura: Le città della notte rossa di William Burroughs (Elliot edizioni)



















"Nulla è vero. Tutto è permesso". In questa frase è riassunta la poetica del romanzo. "Le città della notte rossa" è la storia di un pirata del XVIII secolo, il Capitano Mission, fervente sostenitore della libertà e dell'uguaglianza, nonché acerrimo nemico di ogni forma di tortura e schiavitù. Basandosi su questi principi egli creò in Madagascar una colonia a cui diede il nome di Libertaria, che ben presto però venne spazzata via insieme al suo fondatore. Ma cosa sarebbe accaduto se Mission fosse sopravvissuto insieme alla sua utopica Libertaria? Da questa suggestiva ipotesi prende vita uno dei capolavori della produzione di Burroughs, un romanzo nel quale si avvicendano creature che provengono sia dal mondo reale che da quello fantastico o fantascientifico e che tracciano una nuova storia a partire dal XVII secolo per approdare a un futuro non remoto. (Prefazione di Fernanda Pivano)

La casa del Madonno di Costantino Pascazio (L'Autore Libri Firenze)


















Da poco ho finito di leggere un libro a dir poco meraviglioso. Parlo de “Le Città della notte rossa" di William Burroughs edito da Elliot. Come meravigliosa e immensa è la prefazione di Fernanda Pivano Lo consiglierò più avanti. Tre righe solo per dire che dopo le letture a titolo personale al termine dell’estate, si riprende con il dovere di cronaca culturale, con tutti i pro e i contro del caso. Ma a volte le “rilassanti” sorprese non mancano. La “Casa del Madonno”, ad esempio, è un racconto lungo incentrato sull’arte e sul ruolo significativo e miracoloso che l’espressione creativa è in grado di innescare. La Luce, quella interiore, è la protagonista del lavoro di Costantino Pascazio uscito per i tipi de “L'Autore Libri Firenze”. Una Luce in grado di illuminare i lati oscuri del pensiero e delle azioni umane. Una Luce interiore che sovrasta silenziosa e segna le vicende dei protagonisti del romanzo, tra cadute e ascese, tra propositi luminosi e inquietanti zone d’ombra. Il dottor Elle, protagonista di questo suggestivo romanzo, profondamente turbato per aver fallito nel salvare la vita di un suo paziente, un noto artista, decide di lasciare il suo prestigioso e sicuro posto di lavoro per dedicarsi agli altri realizzando, con la collaborazione di un gruppo di sicuri amici, una casa di accoglienza per minori.

Il racconto parte dunque narrando le vicende che conducono alla realizzazione della “Casa del Madonno” così chiamata per via di un quadro dal singolare soggetto posto all’ingresso della struttura, e si addentra nella descrizione della vita quotidiana dei piccoli ospiti, attraverso episodi a volte esilaranti a volte commoventi, che mostrano come lo stretto rapporto di fiducia e affetto tra tutti quelli che hanno contribuito a realizzare il progetto sia stato uno strumento indispensabile di arricchimento e di crescita individuale. La serenità della vita della casa, faticosamente costruita nel trascorrere dei giorni, sarà sovvertita da un incidente occorso ad alcuni piccoli ospiti che sconvolgerà l'equilibrio della piccola comunità conducendo a sviluppi imprevedibili. Libro dei buoni sentimenti, forse un po’ troppo “inattuale” rispetto alle tendenze scritturali dell’odierna letteratura.


giovedì 2 settembre 2010

Il libro del giorno: Teledurruti di Fulvio Abbate (Baldini e Castoldi Dalai)




















Protagonista di questo romanzo è un ingegnoso disoccupato, tale Aldo Bologna, che decide di dar fondo a tutti i suoi risparmi, in via di estinzione, per mettere in piedi una scalcagnata emittente televisiva, che chiamerà Teledurruti, alla memoria di Buenaventura Durruti, un eroico anarchico della rivoluzione spagnola. L'improvvisata emittente diventerà il luogo d'incontro di incredibili personaggi e strampalate idee.

Consiglio di lettura: Non è un paese per vecchie di Loredana Lipperini (Feltrinelli)




















"I vecchi sono numeri. Numeri che ci fanno paura, come quell'uno su tre che riguarda la percentuale di anziani che abiteranno il nostro paese di qui ai prossimi anni. I vecchi non si vedono: nei piccoli paesi capita ancora di incontrarli al braccio di una badante dalle braccia larghe. Nelle città, qualora si avventurassero fuori di casa, vengono superati in corsa, con una scrollata di spalle e uno sbuffo di insofferenza. I vecchi non esistono: appaiono di rado in televisione, specie se di sesso femminile. O meglio, si vedono a volte quelle rare e preziose donne impossibili da ignorare, come Rita Levi Montalcini o Margherita Hack. Quanto alle altre, a volte si mimetizzano fra ospiti e comparse sotto i cinquantacinque anni (la soglia di apparizione televisiva per le donne) fingendo di esserne coetanee, o accettando di recitare l'antico ruolo della megera. I vecchi non vendono, non piacciono, non hanno appeal: su quotidiani e telegiornali appaiono soltanto quando sono vittime di una truffa o di un colpo di calore. O quando, se donne, osano innamorarsi di un uomo più giovane. Se concepiscono dopo i sessant'anni, sono la vergogna del loro sesso. Dura, comunque, poco: una copertina, un articolo nelle pagine interne la settimana successiva, un trafiletto, e tutto è dimenticato. I vecchi danno fastidio. È sempre stato così: ma adesso, e soprattutto nel nostro paese, avviene qualcosa di diverso. C'è una sola generazione. Quella dei cinquanta-sessantenni." (dall'introduzione)

Teledurruti - Stefano Bonaga suggerisce cinque libri di filosofia

PERCHÉ PROPRIO A NOI? di Alessia e Michela Orlando



















Non sappiamo come tutto sia potuto accadere. Da dove nasce davvero l’acqua e la sua necessità di scendere a valle, raggiungere il mare, poi evaporare e riavviarsi a vivere inconsapevolmente una esperienza simile, ma mai uguale? Da dove nasce la forza di coesione che lega ogni atomo della roccia? E c’è differenza tra questa forza e quella che lega gli atomi che formano il corpo di una donna? E da dove nasce la potenza esplosiva della nitroglicerina? È una serie di domande che ruotano intorno alla esigenza di arrendersi, talvolta, alla evidenza, senza tentare di capire come certi fenomeni accadano. Tuttavia, lo si sa, tutto si evolve. Se è così nel mondo fisico, senza aggiungere, ad esempio, nulla di drammatico alla evoluzione del carbonio che si fa brillante e di questo che via via degenera sino a ritornare volgare materia, accade lo stesso nel mondo delle relazioni umane. Accade lo stesso nel mondo delle comunicazioni interpersonali. Tutto si evolve. È stato ed è il destino dell’essere umano; è stato ed è l’evoluzione della comunicazione, della stessa parola. Sappiamo di termini non più usati; di lingue che ogni giorno si estinguono; di altre lingue parlate da così poche persone che al loro morire cessa di esistere quella linfa vitale che lega un popolo, una tribù, una famiglia. Ciò ti induce a tornare a qualche interrogativo. Come mai i giovani di oggi inventano nuovi modi per comunicare? Che senso ha essere rasta o praticarsi piercing? Che senso ebbe essere capellone? Qui tutto pare più facile: è la ricerca della propria identità che ti motiva. Indossare una divisa ti agevola. E tutto sembra muoversi dentro confini precisi; e tutto sembra avere delle frontiere; e tutto sembra rispondere alla logica dell’acqua, della sua evoluzione, irregimentata in un itinerario immodificabile. Certo, vi è chi ha parlato dei giovani chiamandoli bamboccioni. Ma esistono davvero? Quanti sono? E come mai nessuno dice di centinaia di migliaia di giovani che si muovono con ogni mezzo verso altri Paesi europei, verso il mondo in genere? Negli ultimi due mesi abbiamo lavorato a Parigi, Eurodisney: sono tredicimila i giovani che vi lavorano. Provengono da ogni Paese europeo, anche dall’Est; e ve ne sono molti che sono stati pure in U.S.A.. E come mai nessuno si accorge che molti di essi non hanno nella mente alcun cavallo di Troia, nessuna idea di trappola da tendere ad altri, nessun pregiudizio, nessuna idea belligerante? E ci chiediamo nuovamente come ciò sia potuto accadere. Non c’è stata una regola fissa a determinare la cancellazione delle frontiere mentali. Immaginiamo che ognuno potrebbe raccontare la propria vicenda. La faccenda resterebbe priva di regole: non c’è una grammatica da spiegare e fare apprendere per coniugare la voglia di libertà e di stare bene. Ciò significa mangiare i ciib della nazione che ti ospita, parlare la sua lingua, vivere normalmente le sue consuetudini. Raccontiamo qualche vicenda per rendere appena appena meno misteriosa la faccenda. Avevamo sei o sette anni quando ci portarono a Neviano. Fummo ospitati da un signore di quel paese, dove pare che avesse nevicato di agosto, e da ciò il nome: la moglie era napoletana. E che ci faceva lì, come ci era capitata? A noi sembrò normale, anche se Napoli era molto lontana. E quando a dodici anni andammo a Parigi, non ci sembrò di notare alcuna differenza fisica, alcun muro, alcuna frontiera, con l’Italia. Così accadde andando in Grecia, in Spagna

Si torna a porsi domande che non devono essere riscontrate da risposte: cosa fece Guido Piovene quando scelse di viaggiare per l’Italia e raccontarla? Tenne forse presente il luogo dove era nato o volle liberarsi della propria storia, per essere più libero di narrare le altre, quelle in cui di certo si sarebbe imbattuto? E cosa fece Pasolini nel suo proprio viaggio? E cosa fecero lo stesso Pasolini e Moravia nel viaggio in Africa? E cosa fecero Mogol e Lucio Battisti nel loro viaggio a cavallo? Possiamo solo opinare, alla luce di ciò che hanno scritto, ripreso, cantato, che fecero il vuoto mentale, aprendosi alle nuove suggestioni. Era l’unico modo per dire parole nuove attraverso vari strumenti artistici. E, tralasciando le solite categorie, ovvero se questi viaggiatori fossero di destra o di sinistra, c’è chi potrebbe negare che abbiano prodotto una visione innovativa, ampia, chiara del mondo? Ancora: cosa fece Leonardo da Vinci coltivandosi sia come scienziato che artista e letterato? Non allargò forse i confini della mente umana cancellando barriere, confini. E cosa fece Giorgio Bassani aprendo vari fronti polemici per salvare boschi, strade, monumenti, senza badare al luogo geografico dove si trovassero. Per lui era assurdo che la Certosa di Padula (SA), ben lontana dalla sua Ferrara, dopo essere stata impiegata come certosa, caserma, campo di concentramento, crollasse irrimediabilmente verso una condizione di rudere. E cosa fece Zanotti Bianco quando ci fu lo tsunami di Messina e Catanzaro, lasciò che tutto si estinguesse definitivamente o intervenne personalmente rimboccandosi le mani, così come fece anni dopo per la zona di Paestum? Eppure era piemontese! Sembra, ormai, meno rilevante la domanda del titolo: come mai sia accaduto a noi. Ma sia accaduto cosa? Beh, è semplicissimo: ci è semplicemente accaduto di vedere luoghi bellissimi in zone che ci ostiniamo a chiamare Italia, Francia, Spagna, Grecia e così via, dimenticando che tutto si colloca sulla e nella Madre Terra. Altre ce le hanno narrate e sono in Germania, in Ungheria, in Colombia, in mille altri posti. E, come era inevitabile, ci è accaduto di incontrare gente bellissima in ogni luogo. E non parliamo, ovviamente, del solo contenitore, dei corpi fisici. Altre persone bellissime ce le hanno raccontate. Purtroppo il vero limite è quello fisico in genere che non ti consente di mantenere i rapporti a cui tieni, se non al prezzo di estenuanti levatacce: il fuso orario, ad esempio, è un problema serio. È un problema che si affronta, ad esempio, per mantenere i rapporti con Maryury Useche. È una bellissima ragazza colombiana, di Bogotà. È stata in Europa, a Grenoble, per insegnare il suo bellissimo spagnolo-castigliano ai francesi. Così come noi abbiamo insegnato il nostro Italiano, una nella stessa Grenoble e l’altra ad Ajaccio. Grenoble e Ajaccio: due luoghi che non potranno essere dimenticati. Ritornando a Maryury Useche: 22 anni e una anima tanto ampia da non poter essere narrata. Eppure della Colombia si dice peste e corna; di quella nazione si dice solo dei fatti di cronaca peggiori, nessuno che dica mai della sua storia, di una occupazione spagnola cruenta che ne minò finanche la cultura. O tentò di farlo, giacché Maryury è anche la storia dei suoi avi. Con la stessa Maryury Useche compariremo nel libro Mahayavan-Racconti delle terre divise. Si tratta di un nuovo Universo letterario, dove sono confluiti i racconti dei migliori specialisti di genere (i nomi sono sulla bellissima copertina illustrata da Luca Oleastri). Si tratta di narrativa Heroic fantasy. Il nostro racconto si intitola FIGLIO DEL FUOCO; quello di Maryury lo abbiamo tradotto dallo spagnolo-castigliano: si intitola PANDEMONIUM ed è bellissimo. Crediamo ci sia tutta la bellezza dell’autrice, della sua terra, della sua gente. Ci siamo chieste come mai Edizioni Scudo abbia inventato questa opportunità. Abbiamo scoperto come è andata la faccenda: una notte Luca Oleastri, illustratore e specialista di fantasy noto in tutto il mondo, si sveglia e telefona a Giorgio Sangiorgi. Sono i titolari di Edizioni Scudo. Noi non c’eravamo, ovviamente, ma sappiamo che il primo dice più o meno: Giorgio, in questo mondo va tutto a rotoli. Che ne dici se inventiamo un nuovo Universo e lo facciamo riempire di tutto ciò che hanno in mente gli scrittori che vorranno farlo? L’altro, che non si adira facilmente, deve aver tratto un respiro profondo e: Va bene. Qualche giorno dopo Giorgio Sangiorgi aveva già predisposto il regolamento (le poche diritte da rispettare) e una mappa dell’Universo da inventare a cura degli scrittori. Inutile dire che gli stimoli offerti da questa vicenda, intriganti quanto misteriosi, ci indussero a scrivere. Lo facemmo con tanta irruenza da sbagliare tutto: avevamo scritto, in non più di un giorno, un racconto che distruggeva il mondo neppure nato. E lo spedimmo. Ci arrivò immediatamente una mail di Giorgio Sangiorgi, per noi un perfetto sconosciuto in quel momento: Stelle, apprezzo molto la buona volontà, ma avete già distrutto un mondo ancora non formatosi. Che ne dite di riprovarci? Cosa era accaduto: avevamo scritto senza leggere le idee guida. C’era da superare una serie di problemi: su quelle terre divise, dalla struttura diversa tra loro (vi era il mare, fiumi, zone aride, zone caldissime, zone gelide, caverne, popoli di diverso grado culturale, un cielo da riempire…) dovevamo sviluppare la loro vita genti per noi sconosciute, inventate da altri autori, ben diverse da quelle la nostra Terra ci ha finora esposto; e tutto sarebbe poi stato ricondotto a unità da raccordi scritti dallo stesso Sangiorgi. Dopo qualche giorno il nostro racconto era pronto. Neppure un’ora dopo la spedizione Giorgio Sangiorgi ci comunicava che andava bene. Ma noi non eravamo contente: è stato poi integrato con altre vicende, altre sette-otto pagine, corretto, riveduto, rispedito, sottoposto a editing. Alla fine di settembre sarà pubblicato. Ripensando, poi, alla storia da noi narrata, ci siamo accorte che non è facile sganciarsi dal nostro mondo. Su questa terra sono accaduti troppi fatti tragici e altrettanti bellissimi, per pensare a un mondo nuovo liberandosi del tutto di quelle esperienze. E perché si dovrebbe farlo? Non è forse meglio conoscere ciò che è successo e costruire un mondo migliore? Quante vicende mai narrate si potrebbero raccontare? Forse che gli indiani di America non hanno fatto la stessa fine di tanti altri popoli di cui non si è detto nulla? E sugli stessi indiani di America è stata detta tutta la verità? E perché ciò è accaduto e accade? Ci siamo date una risposta: solo per ragioni economiche, perché spesso quei popoli vivono in territori ricchissimi di materie prime. È quello il peccato originario che devono pagare: essere nati su falde petrolifere, su bacini diamantiferi, su montagne d’oro o di rame. Ultima domanda: non era più semplice, non saremmo stati anche culturalmente più ricchi, se avessimo capito che tutto ciò che è sulla e nella Madre Terra appartiene a tutti coloro che l’abitano?


PERCHÉ PROPRIO A NOI?

Come può nascere un racconto di genere Heroic fantasy

MAHAYAVAN-Racconti delle terre divise.

Figlio del fuoco (Alessia e Michela Orlando) e Pandemonium (Maryury Useche)

mercoledì 1 settembre 2010

Einstein secondo me a cura di John Brockman (Bollati Boringhieri, da domani in libreria)









Un Einstein inedito, i mille volti che non ti aspetteresti di un genio. Tutti conosciamo Einstein, o pensiamo di conoscerlo: il vecchietto geniale e bizzarro che scorrazza in bicicletta per i viali di Princeton, con i suoi capelli bianchi e scarmigliati, o che fa irriverenti linguacce ai fotografi. Ma cosa c’era dietro questa superficie ormai cristallizzata, come per altre icone del Novecento, in migliaia di gadget, poster, magliette, tazze, magneti per il frigo, pupazzi? Chi era davvero Einstein e soprattutto che cos’è stato per quelli che l’hanno conosciuto o le cui biografie si sono indirettamente incrociate o sovrapposte alla sua? Ventiquattro scienziati, o meglio ventiquattro intellettuali, ci raccontano in questo libro che cos’ha significato Einstein per loro, come ha influenzato le loro esistenze, le loro vite professionali e personali, ci portano a conoscere l’Einstein privato, quello molto lontano dall’aura del saggio che circonda la sua immagine più diffusa. Questo libro è un’autentica testimonianza del potere che può avere un lascito scientifico ed è una lettura entusiasmante, alla portata di tutti.

John Brockman (1941) è scrittore, agente letterario e animatore di Edge, il sito web della «Terza Cultura», dove scienziati e intellettuali di primo piano condividono le loro ricerche con il pubblico. Tra i saggi tradotti in italiano: I nuovi umanisti (2005) e 135 ragioni per essere ottimisti (2009).

Il libro del giorno: Il ministro anarchico di Fulvio Abbate (Baldini e Castoldi Dalai)



















Questo è il racconto dell'irripetibile avventura umana e politica di Juan García Oliver (1902-1980), ministro anarchico della Giustizia nella Spagna della guerra civile. In realtà, l'uomo nella vita conobbe anche altri ruoli. Ma soprattutto, in un particolare momento della storia del Novecento, divenne "l'idolo di Barcellona proletaria"; così infatti lo definì Carlo Rosselli. Il libro custodisce descrizioni di personaggi, immagini, frammenti di documenti e discorsi, come furono scritti o pronunciati a voce da molti suoi protagonisti, sopralluoghi necessari alla narrazione: Barcellona, Madrid, Tolosa... Non una biografia, non un saggio storico, piuttosto un "documentario" dedicato alla memoria della rivoluzione spagnola.
"Oggetto ne è l'anarchico Juan García Oliver, ministro della Giustizia nelle fasi iniziali della guerra civile spagnola. Le sue vicende politiche e umane rinviano, sotto vari aspetti, al topos del ribelle maudit, il cui destino – quando i riflettori della Storia si spengono – si fa d'improvviso misterioso. Maledetto, García Oliver, fu non solo per chi gli era manifestamente nemico (i franchisti, gli stalinisti, i fascisti italiani), ma anche per molti suoi compagni d'ideale, i quali non gli perdonarono né l'accettazione di un incarico governativo che collideva con il tradizionale antistatalismo libertario, né la successiva resa di fronte all'avanzata militare del Caudillo. Per questa doppia maledizione, nonostante l'importanza del suo ruolo in quella che fu tragica anteprima della seconda guerra mondiale, di lui si sono conservate tracce relativamente labili, sia degli anni trascorsi in Spagna, sia del successivo esilio a Guadalajara, dove abbandonò la politica per una vita "borghese". Merito di Abbate averle qui raccolte e ordinate con efficace disordine." Roberto Giulianelli (da L'Indice dei libri del mese)

De Bello Cibico di Antonio Vacca (Plectica Editrice). Intervento di Alessia e Michela Orlando











Da pagina 47 di De bello cibico:

Rovisto dentro la mia anoressia psicosociale, urto i fantasmi d’un passato cibico indefinito, sento ovunque il tanfo della produttività ad ogni costo,, vedo coorti di bimbi indottrinati a mangiar bene e subito dopo ne rivedo, a frotte, o magrissimi e già impomatati profeti d’una bellezza sinuosa che fa crudelmente tendenza oppure obesi già come si fossero mangiati il globo in una notte. Mi stupisce questa fase di educazione alimentare (?) che attraversa la popolazione col tramite di lodevoli tentativi volontaristici, embrionali progetti d’istituzione per finire alla summa del messaggio mediatico. Dove il cibo diventa tavola imbandita e assortita, sgargio patinato, luminescenza virtuale. È questa la situazione, Antonio Vacca la fotografa e ce la restituisce quasi in chiave poetica. E da ogni parola trasuda il senso di sconfitta. Dalle stesse parole, però, emerge una luce; indicano una strada; in filigrana ci fanno di nuovo sentire l’odore di pane appena sfornato; di olio extravergine di oliva che non ha fatto neppure in tempo a lasciare le fibre dell’oliva ed è già sul calore del grano ormai trasformato. Ed è nella tua bocca, nella tua anima. È un miracolo forse? È un mago Antonio Vacca? Non possiamo giurarci, ma di certo ha buone intenzioni, ha dentro di se la cultura eno-gastronomica tanto in voga e ci trasferisce sentori antichi. Se anche dicesse demonio o strega, riandremmo al medioevo, che non doveva certo essere epoca fortunata e profumata, ma almeno non si sentiva la puzza dello smog. E torneremmo a sentire i profumi delle minestre e di nuovo quello del pane e di nuovo quello del formaggio e di nuovo quello del rosolio e di nuovo quello delle patate arrostite sotto la cenere… Il sottotitolo, dai potenti sentori angustianti: Cronaca di una sconfitta gastrosofica, si trasforma ben presto in un paravento non capace di fermare totalmente la luce. Sembrerebbe un preludio al dramma, poi, però, funge da trampolino di lancio verso la consapevolezza, e conoscere un problema, sapere che esiste, significa poterlo risolvere. C’è la massificazione dei sapori; c’è il problema della mitizzazione di sapori, contadini o artigianali, che nascondono insidie; c’è il luogo comune che porta alla demonizzazione dei fast food; e c’è De bello cibico che ti apre la mente.

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