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lunedì 19 luglio 2010

Il libro del giorno: Il Re dei giochi di Marco Malvaldi (Sellerio editore)



















Ritornano i quattro vecchietti detective del BarLume di Pineta, con il nipote Massimo il "barrista" e la brava banconista Tiziana. Dopo "La briscola in cinque" e "Il gioco delle tre carte", con "Il re dei giochi" si può dire che ora siamo alla serie, sia per la caratterizzazione ben sagomata e viva di ciascun personaggio che lo rende familiare, sia per il brio naturale con cui, come un meccanismo ben avviato, funziona l'eccentrico amalgama che struttura le storie. "Re dei giochi" è il biliardo nuovo all'italiana giunto al BarLume. Ampelio il nonno, Aldo l'intellettuale, il Rimediotti pensionato di destra, e il Del Tacca del Comune (per distinguerlo da altri tre Del Tacca) vi si sono accampati e da lì sezionano con geometrica esattezza gli ultimi fatti di Pineta. Tra cui il terribile incidente della statale. È morto un ragazzino e sua madre è in coma profondo. Sono gli eredi di un ricchissimo costruttore. La madre è anche la segretaria di un uomo politico impegnato nella campagna elettorale. Non sembra un delitto. Manca il movente e pure l'occasione. "Anche quest'anno sembrava d'aver trovato un bell'omicidio per passare il tempo e loro vengono a rovinarti tutto". Ma la donna muore in ospedale, uccisa in modo maldestro. E sulle iperboliche ma sapienti maldicenze dei quattro ottuagenari cala, come una mente ordinatrice, l'intuizione logica del "barrista", investigatore per amor di pace.

Lo splendore dei discorsi di Giuseppe Aloe (Giulio Perrone editore). Un estratto

















Le grandi organizzazioni criminali non si fondano sulla brama di potere. Sul denaro o sulla forma di attrazione erotica che il crimine eserciterebbe sulle donne. Queste sono solo conseguenze di una complessione molto più radicata. È la vanità il punto di partenza di ogni crimine e di ogni sistema criminale. La vanità e le sue sorelle minori, crudeltà e ira. Niente è più profondamente umano che un gesto criminale. Dove molti vedono una devianza, io colgo invece l’essenzialità dell’uomo. E se anche mi sbaglio, mi sbaglio di poco. Ora, bisogna dire che non tutta la vanità diventa crimine.

Non tutta la crudeltà si trasforma in omicidio. Tutt’altro. Anzi il criminale non fa altro che mettere su piazza queste sue smanie. Le persone normali, chiamiamole così, le coltivano, invece, nel silenzio delle loro case. Ci dormono insieme, nelle loro cucce piene di lenzuola e trapunte. Ci si svegliano. Ci scopano. Ci fanno figli. Come si riesce a controllare un mostro di questa portata se per un’intera vita lo si è custodito gelosamente nel cuore? Nessuno riesce. Questo è il punto. Come si riesce a controllare un mostro di questa portata se per un’intera vita lo si è custodito gelosamente nel cuore? Nessuno riesce. Questo è il punto. Anche noi, prima che accadesse la tragedia, eravamo

una famiglia, tendenzialmente infelice. Come tutte, del resto. Anche fra noi tre c’erano rapporti di misurata crudeltà, di soffocamento morbido, che a turno dovevamo sopportare. Certo in alcuni momenti scoppiava un’aria di sensibile armonia che apriva il cuore, ma mica durano in eterno questi paradisi, se ne vanno con il primo treno disponibile, e allora quella specie di disamore sotterraneo che abita in tutte le case, fa di nuovo capolino, come a dire: sono tornato, avete sentito la mia mancanza? È per questo che di solito si lavora fuori di casa, pensavo all’epoca. Che miliardi di persone ogni mattina, che sia presto o tardi, si alzano, indossano i loro abiti di tradizione, fanno un inchino alla notte passata in casa e vanno via. Uno deve anche poter respirare aria netta nei polmoni, mettere sulla bilancia un’altra parte della propria personalità, una sezione differente.

All’epoca dirigevo uno studio di ingegneria, attività che continuo ad esercitare anche oggi. Ma ora il mio studio è piccolo, riservato a me. Faccio lavori di piccolo calibro, niente grattacieli, o ponti chilometrici fra una sponda di fiume e l’altra. Niente urbanizzazione di interi quartieri. Solo progetti

limitati, tanto per mantenere in esercizio la mano. Garage, case di modesta grandezza, stradine periferiche, tettoie. Quello, invece, era uno studio che occupava un’intera ala di un palazzo. Con i vetri oscurati e vie di fuga segnalate da targhe luminose. Il mio ufficio era all’ultimo piano. Non era un modo piacevole di trascorrere le giornate.

domenica 18 luglio 2010

Il libro del giorno: Innovare con il metodo Pixar di Bill Capodagli e Lynn Jackson (Etas)





















Pixar è figlia della magia di Walt Disney, ha creato film come "Toy Story", "Alla ricerca di Nemo", "Gli Incredibili" ed è tra le imprese di maggiore successo di pubblico e critica in tutto il mondo. Il suo metodo di gestione e innovazione è semplice e chiaro, e si fonda su fiducia e rispetto tra le persone che vi lavorano e sulla capacità di credere nei sogni, realizzandoli. Con uno stile conciso, coinvolgente e accessibile, gli autori offrono uno sguardo dietro le quinte del famoso studio di animazione, illustrando i "segreti" su cui si basa il suo successo: sogna come un bambino; credi nei tuoi compagni; abbi il coraggio di saltare nell'acqua e di fare onde; libera il tuo potenziale infantile; ... e fai della qualità del lavoro la maggiore priorità del tuo business. Il testo è arricchito da esempi di creatività anche di altre aziende, da Nike a Google, che come Pixar incoraggiano la creatività dei dipendenti e per questo ottengono grandi risultati. Perché non c'è differenza tra produrre un film per cui sono necessari quattro anni o dare un servizio a un cliente in quattro minuti: l'elemento chiave è sempre uno solo, sapere trasmettere alle persone un'esperienza magica e coinvolgente.

Cinema calibro 9 di Fabrizio Luperto (Manni editori)



















I generi cinematografici costituiscono una convenzione che permette di classificare le diverse opere in base a temi o caratteristiche ricorrenti. Ad esempio un film è detto di genere horror quando è fondato su scene, azioni, immagini macabre e raccapriccianti. Un film è detto di genere erotico quando ha per oggetto l’amore fisico e tratta fatti ed argomenti riguardanti il sesso. Quando invece si parla di genere italiano si fa riferimento ai cosiddetti filoni“. Si legge in “Cinema Calibro 9” (Manni, 2010) di Fabrizio Luperto.

Esco da un tour de force di letture che mi hanno aiutato a ricredermi su due generi letterari il noir e il poliziesco, che non ho amato particolarmente o meglio, che non sono stato mai pienamente in grado di apprezzare vuoi perché magari mi mancavano le chiavi di lettura adeguate, vuoi perché forse nessuna pubblicazione in tali ambiti mi ha solleticato in maniera concreta. E allora alcuni consigli di lettura, mi sembrano doverosi da fare nella maniera più assoluta.

Direi che per chi volesse approcciarsi alla questione noir e giallo, può farlo leggendo un autore eclettico e bravo come Salvatore Scalisi che per Csa editrice e Besa editrice ha pubblicato “Jhon Parker - il detective”, e “La mente del diavolo”, dove crimine, e vite al limite sono gli ingredienti principali di opere degne di nota. Poi come secondo “consiglio per gli acquisti” non posso non occuparmi di “Cinema Calibro 9″ di Fabrizio Luperto, classe 1970, originario di San Cesario di Lecce, oggi bazzica Torino e dintorni, penna nota della critica del cinema “poliziottesco” a molte riviste cartacee e on-line del settore. L’opera in questione ci dice molto sul fatto che il “poliziottesco” per l’appunto, nel cinema del nostro paese è stato lento nel diventare un fenomeno di massa, e quando lo è divenuto è stato grazie ad una sedimentazione che va dall’essersi inserito come virus latente nelle crepe della censura mussoliniana grazie alla letteratura contenuta nei Gialli Mondadori (1929) per poi diventare pellicola con “Tombolo - Paradiso Nero” di Giorgio Ferroni e poi cult con “Milano calibro 9″ di Fernando Di Leo, regista a cui Luperto dedica un interessante micro-dossier di oltre venti pagine.

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sabato 17 luglio 2010

Il libro del giorno: Mister Gregory di Sveva Casati Modignani (Sperling e Kupfer)





















Gregorio Caccialupi tira le somme della sua lunga, intensa vita. I primi ricordi risalgono agli anni Trenta e sono legati al Polesine, la terra della sua infanzia, segnata da miseria, malattie, fatica. La tubercolosi che colpisce Isola - la madre, bellissima ma in qualche modo estranea all'aspra realtà di quei luoghi - imprime una brusca svolta al suo destino. È adolescente quando decide di lasciare il suo paese sul delta del Po per andare in America in cerca di fortuna. Determitato e intraprendente, diventa uomo collezionando successi, sconfitte e una serie di donne che cercano invano di conquistare il suo cuore: Florencia, il primo amore, Nostalgia, la moglie, Erminia, l'ultima passione. Nel frattempo per tutti lui si è trasformato in Mister Gregory: ricco proprietario di una catena di grandi alberghi italiani, è un personaggio influente, e temuto. Finché un giorno, per colpa di un investimento sbagliato, perde tutto il suo patrimonio. Il sipario sembra chiudersi su un tramonto malinconico. Invece, accade qualcosa - un incontro inaspettato, una sorprendente rivelazione - e Mister Gregory, ormai anziano, riacciuffa le redini della propria vita per andare incontro a una nuova avventura.

K.O. di Mauro Chefa (Lupo editore). Intervento di Donatella Neri




















Il succo e gli intenti del romanzo sono ottimamente delineati nella Presentazione che ne fa l’autore. Nel lungo viaggio che prende le mosse da Rimini per portare il protagonista verso i Paesi baltici (passando per Milano e Berlino), K si affida alle suggestioni che gli vengono da incontri, ambienti, voci e paesaggi per “ritrovarsi” e perdonare/perdonarsi. Le tappe interiori del suo percorso si fondono così con gli input dell’itinerario geografico, scandito dalla permanenza più o meno lunga a Stoccolma, Helsinki, Tallin, Riga, Vilnius… dove lo accolgono sensazioni e/o personaggi capaci di riportarlo al passato e di fargli rivivere esperienze importanti, spesso dolorose, e momenti chiave della sua infanzia e dell’adolescenza salentina. Così emergono le figure fondamentali della sua formazione, con il loro bagaglio di positività e di negatività, di gioia e di sofferenza, ora inquietanti ora affettuose, ora presenze protettive ora incubi, ma tutte comunque accolte nella memoria come parte integrante della propria identità e proprio per questo “assolte”, per quanto brucianti possano ancora essere le ferite da alcune di loro inflitte più o meno consapevolmente. Ne scaturisce una storia intensa, caratterizzata dalla ricostruzione dell’atmosfera paesana di una Novoli contaminata dalla malavita (la cui realtà è così quotidiana da apparire scontata) e dalla grande passione di K per il calcio, l’unica risorsa che gli ha permesso di salvarsi dalle molteplici occasioni di perdersi, infragilito com’è da un contesto familiare che lo ha segnato duramente. Decisive nel ricordo del protagonista sono le figure maschili: oltre a quelle degli amici o dei paesani, spiccano quella dell’anarchico nonno Nino, accanito fumatore di pipa, che gli ha insegnato la lealtà nella vita e nello sport, quella controversa di Gabriele, padre violento a sua volta ferito da un’infanzia negata, dell’odioso Uccio che crede suo nonno e del forte Gaetano che lo è davvero. Numerosissimi i personaggi maschili che popolano la mente di K affacciandosi prepotenti alla sua memoria nella rievocazione di episodi significativi che acquistano la forza dell’attualità nel confronto con i fantasmi e con le angosce che lo hanno reso un giovane uomo dagli occhi di ghiaccio, sempre attestato in difesa. Di altrettanto spessore alcune figure femminili (in particolare quella di Marta, la madre) e in generale l’intero universo umano rappresentato. E’ nel misurarsi con questa folla che si delinea la personalità di K, autistico e dislessico fin da piccolo per proteggersi dalla violenza, adolescente ribelle che diventa ultrà fascista per contrapporsi al padre che – comunista – picchia figlio e moglie ricadendo nelle stesse prevaricazioni di cui è stato a suo tempo vittima, prima di candidarsi alla rovina finanziaria e personale. K afferma più volte di non saper amare, ma sente di avere una casa (anzi, una kasa) e la riconosce il un baluginio del sole scandinavo o in un riflesso del mare del mare del Nord, richiamando il “suo” sole e il “suo” mare… verso i quali si dirige a ritroso, alla fine del suo viaggio, per ri-tornare incontro a se stesso, ormai pacificato.


venerdì 16 luglio 2010

Il libro del giorno: I quattro fiumi di Fred Vargas e Baudoin (Einaudi Stile Libero)




















Una borsa rubata a un vecchio straccione che pare una cornucopia, visto tutto quel che contiene. Il colpo della vita. Specie per due ladruncoli sprovveduti come Grégoire e Vincent. Due ragazzi che non hanno idea del guaio in cui, con quel furto, sono andati a cacciarsi. Una graphic novel che restituisce ed esalta la visionarietà della Vargas dando anche finalmente un volto a personaggi come Adamsberg e Danglard. Grégoire, perennemente sui roller, e Vincent, col sedere sempre incollato alla motocicletta, sono due ragazzi della banlieue parigina come tanti. Che un giorno commettono un grave errore. E rubano la cosa sbagliata. Ovvero la borsa di un vecchio. Dentro, ci trovano un mucchio di soldi. Ma anche molti altri strani oggetti: una scatoletta con dei denti umani frantumati, fialette rosso sangue e qualche tarocco. Quella stessa sera Vincent viene assassinato nella sua casa. E Grégoire, stupidamente, pensa di potersela cavare fuggendo sui pattini. Ma quel delitto, riflette Adamsberg, sa molto di gesto rituale e potrebbe anche segnare il ritorno dell'assassino soprannominato l'Ariete. Se fosse cosí, Grégoire avrebbe le ore contate.

Un mattino da cani di Christopher Brookmyre (Meridiano Zero). Intervento di Nunzio Festa

















Parlabene è uno di quegli uomini, anzi uno di quei giornalisti che volta per volta sono buoni a spedirsi nelle pratiche del rapporto diretto e storto con la pericolosa avventura. Questa volta, il pazzo s’intrufola, anzi s’insacca, s’immette in una storia appena appena dopo essersene uscito da un’altra anche più avvincente. Persino fatta di fuga dalla morte quasi certa. Jack Parlabene, nel sempre brillante “Un mattino da cani” dell’altrettanto brillante e ‘pronto’ scrittore di Glasgow Christopher Brookmyre, al risveglio d’una speditissima ubriacata, s’inceppa fuori dal chiavistello del nuovissimo e fresco appartamento poggiato a quello dove arriverà un po’ di polizia; quindi, giustamente, si mette nella capoccia d’usare la casa d’un altro, appena assassinato – ma ovviamente (all’inizio) il giornalista è inconsapevole della morte tutt’altro che accidentale – per tornare nelle sue spoglie stanze. Ponsonby, il fresco cadavere, guarda caso, era uno stimato medico d’Edimburgo, e Parlabene, inizialmente trasferito in mutande in commissariato, decide, giustamente e chiaramente, d’investigare senza remissione da principi. Fare il suo mestiere. Insomma, d’immettersi nella vicenda. A prova di giornalista d’assalto. Appunto. Piano, di scena in scena, il romanzo ci traghetta nelle sensazioni d’una nazione, proprio la Scozia, che come altre deve fare conti e sottoconti, nella travagliata questione delle Asl e della sanità, pubblica e privata, con gli interessi, tanti, personali, e soprattutto con la storia politica di chi si trova, in quel momento la Tachter, a sbrigare le amicizie varie e, in contemporanea, la decisione di privatizzare tutto il privatizzabile che esisteva. Se in certi passaggi pare leggere la sceneggiatura d’una pellicola del divo Quentin, dai dialoghi, azzeccati proprio sempre, sembra di comprendere come Brookmyre invece superi decisamente alcune invenzioni di certo genere. Ogni personaggio, decisamente, è di quelli da ricordare – come si dice; e, ovvio, non solamente il giornalista protagonista della mai doma trama. Si pensi alla divisa lesbica, all’ex moglie medico ecc. L’ironia, e il sarcasmo, le pressioni dello scrittore danno fermenti ai quali il romanzo non può di certo rinunciare. La scrittura di C. Brookmyre, attaccata alla trama allucinata e più impressionate della cronaca dalla quale sicuramente prende piccole e significative mosse, è il fattore cristallizzato nelle vene dei personaggi, per esempio i poliziotti, si potrebbe ripetere, oltre che il sangue acerbo d’una letteratura impregnata della miracolosa, laica, pulsione vitale. In tutto ciò, la traduzione di Curtoni consente di tenere il meglio. La lettura infine spiega un dato: esistono autori viventi da cercare e ricercare.

Un mattino da cani, di Christopher Brookmyre, traduzione di Vittorio Curtoni, Meridiano Zero (Padova, 2010), pag. 318, euro 10.00.

giovedì 15 luglio 2010

Il libro del giorno: Destini incrociati di Diana Gabaldon (Corbaccio)



















1777: la ribellione dei coloni americani sta raggiungendo l'apice e Jamie e Claire sanno che il loro destino è apparentemente segnato. Stare dalla parte dei rivoltosi vincitori non garantisce la salvezza ai Fraser, e Jamie è terrorizzato all'idea di uno scontro a fuoco con il giovane William, suo figlio illegittimo e ufficiale dell'esercito di Sua Maestà. Forse l'unica speranza è tornare a Lallybroch dove, a due secoli di distanza, vivono Roger e Brianna. Nel caos della guerra, però, non è per nulla facile trovare una via sicura e nemmeno Claire, viaggiatrice nel tempo, è in grado di prevedere la tragedia che potrebbe separarla per sempre da Jamie. Nel frattempo nell'apparente tranquillità del ventesimo secolo, Brianna trova in casa una cassetta con le lettere dei suoi genitori e, insieme, a Roger, legge angosciata le peripezie in cui "stanno incorrendo" Jamie e Claire e che, paradossalmente, potrebbero rovesciarsi sul presente e costituire una minaccia per la loro famiglia....

mercoledì 14 luglio 2010

Lotus Production di Marco Belardi acquista i diritti de La Libraia di Orvieto di Valentina Pattavina edito da Fanucci



















La casa editrice Fanucci è lieta di annunciare che la Lotus Production di Marco Belardi, già produttrice di film di successo come Amore 14 di Federico Moccia, Prima dammi un bacio di Ambrogio Lo Giudice, e di trasmissioni televisive come Indovina chi viene a cena (RaiDue) e Cenerentola (RaiTre) ha acquistato i diritti cinematografici del fortunato romanzo di Valentina Pattavina "La libraia di Orvieto" già giunto alla sua seconda edizione dopo un solo mese dall'uscita in libreria.

“Benvenuti nella meravigliosa provincia italiana. Un luogo così dolce, così calmo, così misterioso. Quasi criminale.” Giancarlo De Cataldo

“Valentina Pattavina è una scrittrice irresistibile. Dove era stata nascosta finora?” Vincenzo Mollica

“Il romanzo della Pattavina è come una bella libreria in cui si entra e si resta affascinati.” Rocco Pinto, TTL

“Pattavina, la cui scrittura fresca è un piacere, esordisce in narrativa con una storia di ricerca interiore, di catarsi attraverso il viaggio e di amore per i libri.” Carlotta Vissani, D

“Il romanzo d'esordio di Valentina Pattavina mette assieme dramma, giallo e comicità in uno scenario suggestivo e insolito.” Silvana Mazzocchi, Rep.it

Matilde, una quarantenne romana solitaria e dall’animo ferito, si reca a Orvieto, città antica e bellissima, abbarbicata su una rocca giallastra di tufo, per cercare rifugio. Viene accolta da una comunità semplice e compatta, da un gruppo variegato ed eterogeneo di persone le cui esistenze si intrecciano a formare una catena indissolubile. Al centro della vita di Matilde ci sono da sempre i libri, e adesso anche la libreria in cui le offrono lavoro, per metà antiquaria e per metà moderna. Le sue giornate si dipanano secondo ritmi lenti, a piedi o in sella all’inseparabile bicicletta, alla continua scoperta di scorci della città e dell’animo umano. Gli eventi e i passaggi di tempo sono scanditi dalle sue letture, come se tra le righe di un racconto o i versi di una poesia si nascondesse il mistero del suo dolore, i suoi bubboni mai risolti. Ma anche Orvieto ha i suoi segreti, celati nelle case, nelle viscere dei pozzi, nei boschi di castagni che la circondano. Sarà un castagno millenario e maestoso ad aprire e chiudere la storia, a mostrarci il corpo di un impiccato appeso a uno dei suoi rami, in una cornice oscura e dai contorni imperscrutabili; un fatto accaduto dieci anni prima e ormai dimenticato, che torna alla ribalta per un caso fortuito e condizionerà pesantemente le sorti dell’intera comunità.

Valentina Pattavina (Catania, 1968) ha studiato Archeologia. Dopo un’intensa e più che decennale attività nel mondo dello spettacolo, nel 1996 si è affacciata nell’editoria. Insieme a Vincenzo Mollica, dal 1999 cura la serie Parole e canzoni pubblicata da Einaudi Stile libero e dedicata ai cantautori. Per la stessa collana, tra il 2008 e il 2009 ha scritto tre monografie dedicate a Totò, Alberto Sordi e Paolo Villaggio. La libraia di Orvieto segna il suo esordio nella narrativa.

Il libro del giorno: I colori del nostro tempo di Michel Pastoureau (Ponte alle Grazie)



















Quali sono oggi i nostri colori preferiti? E quelli che odiamo? Quelli che ci ranno star male? Quelli che ci calmano? Come può un colore essere terapeutico? O volgare? Una giacca gialla è veramente gialla? E le caramelle alla menta verdi sono più dolci di quelle bianche? E perché il codice della strada abusa tanto del rosso? Da quando il blu è il colore più indossato? Cercando di rispondere a queste e a molte altre domande, Michel Pastoureau ha messo insieme un'ampia e coltissima raccolta di colori del nostro tempo. Organizzato per voci, come un agile dizionario, questo libro ricostruisce la storia c le alterne fortune dei colori nei vari ambiti di impiego, con somma soddisfazione del lettore più curioso. Soprattutto, però, mette in risalto come il colore sia a tutti gli effetti un fenomeno culturale, strettamente connesso alla società e al suo tempo, e proprio in virtù di ciò un utile strumento per 1 umanità per cogliere alcuni aspetti della propria storia.

martedì 13 luglio 2010

Cubana di Lele Vianello e Guido Fuga (Edizioni Voilier)

















«… ma soprattutto non dovete fare domande di nessuna specie e non vedere nulla di ciò che non vi riguarda. Un idiota di ficcanaso lo troviamo dappertutto!“». Si legge in “Cubana” (Edizioni Voilier, 2010) di Lele Vianello e Guido Fuga. Prima di poter spendere qualsiasi considerazione in merito a questo volume edito da una casa editrice leccese, mi preme specificare alcune cose.

La prima è che la casa editrice dei salentini Marco Laggetta e Salvatore Primiceri è l’unica casa editrice pugliese ad avere scelto non solo come contenuti, ma come filosofia di vita, la via del fumetto, e per la precisione del fumetto di qualità. La seconda che è mi sento di parlare di questo prodotto editoriale, perché sinceramente non solo è splendido e curato nella veste grafica , e in tutti i suoi particolari, ma raffinato, colto, e dai profumi che sanno di località caraibiche. Nel 1993 Hugo Pratt e Lele Vianello sono a Losanna. Prendono la decisione di scrivere la seconda parte de “L’uomo dei Caraibi”.

Svend, è l’attore principale, un marinaio danese corpulento e scorbutico addetto ai trasporti, intriso di lentezza, meno celebre del suo collega Corto, ma senza dubbio ugualmente affascinante. Decidono un’altra cosa insieme: il sequel deve ambientarsi nella Cuba annichilita dalla dittatura di Batista e sull’orlo della rivoluzione. Quella che si vede è una Cuba della deriva, dove anche la cosa che nessuno potrebbe aspettarsi di vedere, accade e senza troppi “peli sulla lingua”. Una Cuba che lascia a cielo aperto e sotto gli occhi di tutti figure psico/cosmiche come un gigantesco dottor Guevara appellato “il Che” dai suoi amici e compagni rivoluzionari, o uno stratosferico Hemingway o un “Tigre” il sanguinario boss della malavita cubana, agitatore delle folle e infiltrato dell’intelligence americana. Ahimè però accade che Pratt accantona questo progetto, lo lascia incompiuto, per seguire altre strade, altri percorsi, forse altre latitudini, altre vette. Siamo nel 1995 e il maestro di Malamocco è in viaggio … il suo ultimo viaggio.

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Il libro del giorno: Il romanzo e la realtà di Angelo Guglielmi (Bompiani)



















Guglielmi traccia un originale bilancio della letteratura italiana contemporanea, dal 1950 a oggi, attraverso il rapporto tra realtà e rappresentazione artistica, ovvero come i fatti si trasformano in racconto letterario. Un rapporto che chiama in causa categorie sfuggenti come quella di realismo o di imitazione: la fiducia nella capacità del linguaggio di rappresentare la realtà è entrata definitivamente in crisi alla metà dell'Ottocento, con Baudelaire, Flaubert, Manet - e lì bisogna cercare le radici delle avanguardie novecentesche, che usano la lingua per andare oltre le apparenze, per rivelare una verità nascosta. Un percorso cronologico scandisce l'analisi pungente degli autori e delle correnti, individuando tre vie seguite in Italia dai narratori per "provocare" la realtà e renderla ancora rivelatrice: la linea del fantastico-fiabesco di Calvino, la linea del barocco linguistico di Gadda e la linea del lirismo vittoriniano. A queste scelte "progressive" si sono invece contrapposti i "conservatori" che continuavano a guardare all'Ottocento, Moravia e Pratolini su tutti. Oggi si parla infine di un "ritorno alla realtà", di storie che nascono dalla cronaca e dall'attualità: per Guglielmi, tuttavia, il romanzo storico è l'unico genere che produce il distacco necessario affinchè i fatti acquistino il valore metafisico che li rende narrabili romanzescamente.

Cento volte buonanotte di Paola Borracino (Wip edizioni)











Interessante esordio il romanzo (a mio avviso sarebbe meglio definirlo un racconto lungo) di Paola Borraccino dal titolo “Cento volte buonanotte” pubblicato dalla brava casa editrice WIP Edizioni. L’autrice, originaria del capoluogo pugliese, dove stanzialmente vive, ha – ma guarda un po’ – una formazione classica, ha studiato Diritto (dev’essere così pesante studiare codici civili, penali, di procedura civile e penale, che tutti poi si buttano a pesce sulla letteratura) e scrive sui suoi blog www.sullamiascrivania.blogspot.com e www.centovoltebuonanotte.blogspot.com. La vicenda non posso definirla una fiaba metropolitana, perché per proporzioni e densità antropometrica, Bari non può esserlo. Semmai Bari può essere una splendida idea. E di fiaba secondo me c’è poco. Ma procediamo con ordine. La storia parla di due giovani Giulia e Alessandro che si prendono e poi si lasciano, e poi si prendono e poi si rilasciano e poi (… paranoie d’amore!) come nella migliore tradizione di una commedia brillante contemporanea. Ma c’è della morbosità, non patologica ovviamente, negli animi dei due protagonisti, quasi autolesionistica nel non voler tagliare reciprocamente un cordone ombelicale che li ha tenuti vicini forse per troppo tempo. Fondamentalmente le pagine di quest’opera sono dense di romanticisimo, ma anche capaci di far prendere la parola ad una latente melanconia (tutta al femminile!), che assale la protagonista nei momenti di contemplazione della sua altra “metà del cielo”.

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lunedì 12 luglio 2010

Il libro del giorno: La pecora nera di Celestino Ascanio (Einaudi)




















Il DVD integrale dello spettacolo "La pecora nera", nel montaggio d'autore dello stesso Celestini. Uno spettacolo che è senz'altro uno dei più grandi successi teatrali di questi anni, e che continua a registrare il "tutto esaurito". Il teatro civile di Ascanio Celestini si confronta da sempre con la memoria dei manicomi. E La pecora nera è una drammaturgia costruita su un insieme di storie, pazientemente raccolte da Celestini, che escono dalla dimensione privata o meramente scientifica, e diventano immaginario collettivo: qualcosa che ci appartiene interamente. Il libro che accompagna il Dvd non è il testo autonomo già pubblicato da Einaudi, ma un taccuino in cui Celestini ha raccolto frammenti di diario, racconti inediti e una lunga testimonianza di Alessandro Pallotta, che è stato infermiere al manicomio Santa Maria della Pietà di Roma, uno tra i0più grandi manicomi d'Europa.

All'ombra delle pupazze in fiore. Antropologia di un rito nella Calabria grecanica, di Alfonsina Bellio (Kurumuny)




















La Calabria ha nel sangue forte misture di Grecia e Albania. Condensati di storia greca e mitologia albanese, tradizioni che fanno della Calabria d'oggi il pargolo che vive per merito d'una vasta famiglia dietro le sue spalle. Un nucleo composto da usi e costumi, da culture altre. Negli ultimi anni, finalmente, spiega Alfonsina Bellio con il suo scorrevole saggio, che più che un saggio è esattamente una piccola inchiesta, un viaggio d'osservazione, alcune istituzione calabre, insieme ovviamente, anzi partendo dal supporto di diverse associazioni e singoli, provano, e ci stanno già in parte riuscendo, a ripartire dalle origini dell'area grecanica di Calabria. Il rito della 'sfilata' delle pupazze, del mostrare le varie Persefone, adesso nel giorno delle festività pasquali, a Bova su tutti i comuni dentro la cattolica domenica delle Palme – e si sorvoli sul fatto, evidente, che come per il maggio di Accettura della Basilicata e altri riti arborei il cristianesimo con la tunica pregiata si sia impossessato d'una tradizione non sua (nei boschi lucani tutta pagana, o quasi, in Calabria in principio addirittura trasportata dalla mano degli dei) – ridiventa luogo di ricerca dell'identità delle comunità. Che, ovviamente, non possono dimenticare, quanto devo fare i conti con qualche resto di presente, del greco parlato dagli anziani o della storia dell'abitudine tramandata, appunto, di fare più grande la tipica palma che dalle nostre parti è una piccolezza benedetta dal prete di turno. Le pupazze, in sostanza, spiega la Bellio col suo studio antropologico, sono rito che incrocia valori religiosi, sociali, estetici e artistici. In che senso?

Nunzio Festa qui su Kultunderground

domenica 11 luglio 2010

Il libro del giorno: Di testa nostra di Andrea Camilleri e Saverio Lodato (Chiarelettere)




















"Il problema nasce quando i nani si rappresentano il loro dio... E il problema è ancora più grave quando un nano si crede addirittura dio. Lei pensa che io stia alludendo? Non si sbaglia." Eravamo partiti dall'ars amatoria di Berlusconi e siamo arrivati ai condomini "facilitati" dei politici e alla crisi economica. In mezzo, tra commedia e tragedia, con accenti talvolta comici, il divorzio di B., il nuovo giornalismo alla Minzolini, le amazzoni di Gheddafi, il G8 all'Aquila e gli scandali che hanno investito la Protezione civile, l'attacco a Gomorra, Garibaldi, la crisi del Pd, il ddl sulle intercettazioni... Commenta Camilleri: "Pirandello ai suoi tempi sembrò cervellotico, oggi sarebbe cronista di scarsa fantasia". E conclude, riferendosi alla classe politica:"Per confrontarsi sulle idee, bisogna innanzitutto averle". Il viaggio nel "paese senza verità" (Sciascia) non smette di stupire.

Sogno Amaranto di Cinzia Luigia Cavallaro (Joker edizioni)



















Devo ammetterlo! Cinzia Luigia Cavallaro (traduttrice, interprete, studiosa di lingua inglese, poetessa) è una scrittrice che alla letteratura può dare veramente tanto, soprattutto perché è in grado di trasformare ogni singola parola, ogni singolo periodo in piccoli gioielli di eleganza, raffinatezza, e incredibile fascino. Lei è lombarda, ma questo elemento appartiene solo ad una connotazione “topografica”, forse esistenziale, ma nulla a che fare con scuole o tradizioni, dal momento che pare d’indole artistica indomita e non circoscrivibile in rigidi schemi ermeneutici . Ho avuto modo di poter apprezzare un suo lavoro dal titolo “Sogno amaranto” edito da Joker edizioni. Si sa che quando si parla di sentimento sotto qualsivoglia punto di vista, il rischio di banalizzare, di ripetere quanto migliaia e migliaia di pagine scritte da altre centinaia di migliaia di scrittori e poeti hanno detto, è proprio dietro l’angolo. E ancora più rischiosa risulta essere una forte tendenza di una certa porzione di scrittori o sedicenti tali (ormai presente in molta produzione editoriale nel nostro paese), di inserire, quando i romanzi parlano d’amore, scene, testi e contesti conturbanti, shokkanti o ad alto potenziale erotico, che fanno un po’ “la respirazione bocca a bocca” ad una vicenda che narratologicamente stenta a decollare. In “Sogno amaranto” la storia d’amore c’è, ma ha qualcosa di singolare, strano, morboso. Morboso come può essere l’inquietudine di due anime amanti che si cercano in perenne tensione in una dimensione ideale, ma che nella realtà sono vicendevolmente assenti, lontani, quasi entità fantasmatiche, irriconoscibili l’uno all’altra. In “Sogno amaranto” la storia d’amore Cinzia Luigia Cavallaro la racconta ai lettori, e lo fa nel migliore dei modi, spingendo la forza lirica sino alle estreme conseguenze semantiche, divenendo quasi prosa poetica, e poi presentando come nella migliore tradizione dell’iper/realismo oggettivo (che in arte ad esempio va da Pintaldi a De Grandi per passare poi a Luigi Presicce e in letteratura comprende a mio avviso William Gibson e Don De Lillo) ogni porzione di colori, sensazioni, emozioni, azioni così come si presentano, senza falsi pudori, censure, limitazioni, e con tanto di slanci, entusiasmi, tristezze, complicità, silenzi. In questo romanzo breve, l’autrice fa parlare d’amore la protagonista che confeziona un dialogo monologante con il suo amato in un intersecarsi di storie e vicende rese magistralmente da una scrittura efficace ed espressiva che ha come tematica unica l’illusione dell’esistenza, anche quando questa sembra regalarci autentici paradisi.

sabato 10 luglio 2010

Il libro del giorno: Colazione da Socrate di Robert Smith Rowland (Ponte alle grazie)



















La filosofia è una materia astratta, ostica, in una parola noiosa? Assolutamente no: anzi, proprio da ogni nostra azione quotidiana possono nascere profonde (e divertenti) riflessioni filosofiche. In queste pagine, diversi geni del pensiero vi accompagneranno passo per passo nelle vostre faccende, in una giornata vissuta filosoficamente. Cominciamo proprio dall'inizio, il risveglio. Cosa significa essere svegli? Come facciamo a essere sicuri che non stiamo ancora sognando? Cartesio sostiene che se siamo in grado di dubitare di essere svegli è perché stiamo pensando, e quindi probabilmente esistiamo... Niente male, come risultato di prima mattina! Thomas Hobbes ha qualcosa da dire sul pendolarismo mattutino che scatena il selvaggio che c'è in ognuno di noi, e in palestra Michel Foucault vi correrà accanto sul tapis roulant per spiegarvi che quegli esercizi ginnici costituiscono in realtà una forma di controllo statale. In ufficio Karl Marx vi sussurrerà all'orecchio come liberarvi dalla schiavitù del salario, nel tempo libero Niccolò Machiavelli vi darà consigli sull'organizzazione di una festa ben riuscita e Carl Schmitt vi spiegherà perché litigare con il partner ha i suoi vantaggi. Allargando il discorso anche all'arte, alla letteratura, alla psicoanalisi, all'antropologia, Rowland Smith illumina di luce straordinaria il nostro ordinario, dando vivacità al monotono e valore alla routine.

Zio Vampiro di Cynthia Grant (Salani)




















Una voce spiazzante traduce in un racconto di fantasia l’orrore di un’esperienza vissuta e fa davvero desiderare che sia tutto il frutto dell’immaginazione troppo vivida. E’ “Zio Vampiro” (Salani, 2010) di Cynthia Grant.

«I miei genitori l’hanno sempre preferita a me. D’altra parte, non posso dal loro torto. È un tesoro, lei. La chiamano Gioia. Me, invece, mi chiamano sempre per nome. Siamo molto vicine, noi due. Gemelle: immagini speculari. Quasi riusciamo a leggerci nel pensiero.» (”Zio Vampiro” di Cynthia D. Grant, Salani editore).

Stagione fertile e redditizia sul piano del marketing per le creature del buio per eccellenza, i vampiri, che dal Dracula di Francis Ford Coppola alla celebre serie a fumetti manga Blood Hound di Kaori Yuki, pubblicata dall’italiana Planet Manga, si divertono a popolare ancora le nostre fantasie più oscure e gotiche. Per non parlare di realtà editoriali italiane di alta qualità e dall’impeccabile veste editoriale, come Gargoyles Books di Roma, che dedicano ai vampiri una grandissima parte del loro catalogo ho avuto il piacere di dedicarmi alla lettura, e l’ho fatto con estrema cura e attenzione, per questo bellissimo ed agile volume della Grant. Per chi non lo sapesse, l’autrice, che può essere una degna concorrente della Rowling (ve lo posso garantire!!!), ha scritto meravigliosi ed avvincenti romanzi per ragazzi e giovani adulti, vive tra le montagne a sud di Cloverdale, in California, con marito e figli al seguito, e a conferma del fatto che sia una tra le migliori scrittrici U.S.A, ha vinto il prestigioso premio PEN/Norma Klein Award.

Al di là di queste note di “costume e società” letterari, mi preme evidenziare un aspetto di questo lavoro, giusto per non lasciare nulla al caso. Chiunque immagini di trovare l’anti Twilight in quest’opera si sbaglia, e alla grande. Per prima cosa si tratta di un prodotto non partorito per lo star/system editoriale come i libri della Meyer; poi bisogna aggiungere che le opere della Grant sono ben costruite, sotto qualsivoglia punto di vista, vuoi per quello prettamente scritturale, vuoi per la densità culturale che sono in grado di comunicare le sue parole, i suoi periodi, i suoi contenuti, vuoi per un linguaggio colto ma mai pesante, che anzi non fa che attrarre e coinvolgere. La storia parla di due gemelle Carolyn e Gioia, di 16 anni, che sono “portatrici sane” di un segreto oscuro: sospettano che loro zio Toddy sia un vampiro.

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venerdì 9 luglio 2010

Il libro del giorno: Strage di Loriano Macchiavelli (Einaudi)





















Appena uscito, nel 1990, questo romanzo fu subito ritirato dal suo editore, dopo la denuncia di uno degli imputati della strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. Nel trentennale di quel lutto immenso, "Strage" torna in libreria, praticamente inedito. Con intatto il suo potenziale narrativo: personaggi avvincenti, intreccio serrato, ipotesi stupefacenti al confine della fantascienza, dolorosa e inconciliabile verità umana. "Il 15 ottobre 1991 il tribunale civile e penale di Milano mi assolse. Le motivazioni contenute nella sentenza erano varie; la più importante è quella che affermava che l'autore (il sottoscritto) non era punibile in quanto aveva semplicemente esercitato il diritto di cronaca e di critica, emanazioni dell'articolo 21 della Costituzione che sancisce il diritto di libertà di stampa e informazione. Un diritto-dovere che continua a essere messo in discussione da chi ha altri interessi che la libertà di stampa e l'informazione. Due righe sulla storia: fantasia, niente altro che ipotesi di un romanziere, basate su alcuni dati emersi nel corso delle tante indagini eseguite dai magistrati e che io ho utilizzato per aumentare l'interesse dell'intrigo e rendere più credibile la vicenda. Anche il finale è pura invenzione. Chi ritenesse di riconoscersi in uno dei tanti personaggi, si tolga subito l'illusione di essere diventato un eroe da romanzo. I personaggi sono di fantasia esattamente com'è di fantasia Jules Quicher".

Acqua in bocca di Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli (Minimum Fax)





















Un gioco, un esperimento, una collaborazione letteraria senza precedenti. Stiamo parlando di “Acqua in bocca” (Minimum fax, 2010) di Carlo Lucarelli e Andrea Camilleri, in cui un insolito omicidio mette vicino i due grandi giallisti.

«Cara Grazia Negro, ho ricevuto la tua lettera e gli allegati. Sono molto indeciso se darti una mano o no perché tu mi sembri una che le rogne va a cercarsele. E la rogna è contagiosa. Non mi riferisco al fatto che tu voglia portare avanti un’indagine che ti è stata espressamente vietata dai tuoi superiori, questo semmai ti renderebbe simpatica ai miei occhi, no, mi riferisco al fatto che tu intendi coinvolgermi in una specie d’indagine privata e non autorizzata facendomene richiesta su carta intestata della Questura di Bologna e oltretutto indirizzando la lettera al Commissariato di Vigata!»

Il “Crossover”, secondo la definizione classica che si attribuisce a tale termine nell’ambito della televisione, del cinema o dei videogiochi (questo vale anche per i fumetti), lo si ha quando un episodio di una serie televisiva, di un film o di un videogioco facenti parte di una fiction specifica, si intreccia con la trama di uno o più episodi di un’altra serie. Per rendere l’idea: immaginate la serie televisiva Star Trek, all’interno della quale anziché trovare i klingoniani, troviamo i Gremlins come nemici del Capitano Kirk e dell’equipaggio dell’Enterprise. O magari mentre leggiamo un fumetto degli X-Men (Marvel), Ciclope anziché combattere con Magneto combatte con un Predator. Chiara l’idea?

Un gioco narrativo di multiversi che si intrecciano. Ora l’immensa Minimum Fax, prova a farlo lei il “crossover” e lo fa con due maestri della letteratura contemporanea italiana, maestri nella vita per garbo e raffinatezza del porsi, maestri nella scrittura per quel loro modo di solleticare, ammiccare, stupire in un genere che fondamentalmente hanno creato loro, a metà strada tra il giallo, il thriller, il noir in un mix riuscitissimo dove l’ironia, il pensare sottile, non mancano mai. E dunque la casa editrice romana fa salire il cattedra Mr. Andrea Camilleri e Mr. Carlo Lucarelli che insieme hanno venduto più di Dan Brown.

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giovedì 8 luglio 2010

Il libro del giorno: Requiem per una pornostar di Jeffery Deaver (Rizzoli)





















Un'esplosione improvvisa e fortissima sventra un palazzo nel cuore di Manhattan: al posto del Velvet Venus, vecchio cinema a luci rosse, ora ci sono solo pezzi di sedili e vetri infranti. Qui, il detective Sam Healy della Squadra Artificieri s'imbatte in Rune, aspirante regista appassionata di crimini: l'esplosione sembra un segno del destino per lei, che decide di raccontare nel suo primo documentario proprio il mondo luccicante e crudele dei blue movie, scegliendo per protagonista l'attrice in cartellone al Velvet quel giorno, Shelly Lowe. Ma Rune non sa che la splendida e sfortunata Shelly sta per essere messa a tacere per sempre da una seconda esplosione, e che il suo stesso debutto nella regia è a rischio: qualcuno vuole impedire a Rune di girare il suo film, per tenere lontano da sguardi troppo scomodi l'universo segreto della pornografia, e insabbiare la verità sugli attentati. Verità su cui Rune comincia coraggiosamente a indagare, addentrandosi nei luoghi più sordidi e impenetrabili di New York, tra le luci e le ombre di un mondo, quello del porno, fatto di loschi produttori, attori con troppi segreti e compromessi inconfessabili.

E’ nata una star? di Nick Hornby (Guanda)





















Imbarazzante. Una sola parola per descrivere tutto un universo di sensazioni, di emozioni che esplodono quando una madre come tante, scopre di avere come figlio un adolescente non proprio come tanti. Per mano di una vicina assai pettegola, questa povera madre nella buca delle lettere scopre con imbarazzo (parola oggi più che mai priva di qualsivoglia significato e lontana soprattutto dal suscitare accesi rossori) una cosa che mai si sarebbe aspettata di scoprire del suo “bambino”. Nick Hornby con “E’ nata una star” (Guanda).

«Mi sono sentita tremare le ginocchia. Non mi reggevo in piedi. Respiravo a fatica. In quel momento, non avendo visto il video, potevo ancora credere che mio figlio non ci facesse granché, in quel film. Potevo pensare che se ne stava dietro donne in topless a coprirgli le tette con le mani e basta».

Nulla di che per uno spinello in compagnia dei compagni di scuola, nulla di che magari nell’aver preso di nascosto dei soldi dal portafoglio o aver camminato con la macchina di famiglia “presa in prestito” per una notte brava … No! Nulla di tutto questo. Nella buca delle lettere un video, non propriamente da educande, con Mark (il figlio) in copertina. Molto, molto imbarazzante, non c’è che dire, e ancora più terribile il fatto di essere venuta a conoscenza del “vizietto” del figliolo da un estraneo. Ora il video in questione ben confezionato e superbamente patinato ha un titolo non proprio edificante da un punto di vista pedagogico e soprattutto è vietato ai minori. Diciamolo, sì … insomma… certamente … potrebbe … Sì, Mark ha un talento nascosto, e non è quello della scrittura, della recitazione, della pittura. Mark la sua “dotazione artistica” come direbbero Elio e le storie tese parlando di John Holmes (pseudonimo di John Curtis Estes, Ashville, 8 agosto 1944 - Los Angeles, 13 marzo 1988) , l’ha messa a frutto nel mondo del porno: già Mark è una giovanissima porno star. Cosa dovrebbe fare in questi casi una madre? Come ci si comporta davanti ad una novità del genere … certo nulla di grave, non si buca, non si fa di coca, non spaccia, non ruba … il suo talento in poche parole si esprime in centimetri. Una cosa è certa nulla sarà come prima! Ma … c’è il fatidico Ma, o meglio un Se … ovvero Se ci fosse un lato positivo nella faccenda?

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mercoledì 7 luglio 2010

Il libro del giorno: Ladri di stato di Mario Guarino (Dedalo)




















Il nostro Paese è preda sempre più di cricche affaristiche, manager statali disonesti, nonché politici filmati nell'atto di prendere bustarelle: tutti avidi di denaro pubblico. Gente che se la ride, la notte del terremoto in Abruzzo, al pensiero dei futuri affari sulla ricostruzione. Dall'ennesimo scandalo della Protezione civile emerge una squallida fotografia dell'Italia della vergogna. Il tutto mentre le fabbriche chiudono, la disoccupazione sale e il disagio sociale aumenta. Di scandalo in scandalo, dunque, la stagione di Tangentopoli non finisce mai; esiste una parte d'Italia che se la spassa alla grande sulla pelle dei contribuenti. Il libro si occupa di quattro personaggi emblematici delle Istituzioni: Bettino Craxi, Cesare Previti, Vittorio Sgarbi e Marcello Dell'Utri. Tutti condannati per reati finanziari (tangenti, truffe, evasione fiscale) fino in Cassazione: sentenze quindi definitive. Tra gli aspetti inediti di questo volume di grande attualità - che si basa su atti giudiziari, testimonianze, retroscena e intercettazioni telefoniche - anche un documento importante: visure catastali che attestano numerosissime operazioni immobiliari per milioni di euro. Prova provata dell'affarismo spregiudicato dei "ladri di Stato".

Sul tradurre: esperienze e divagazioni militanti di Susanna Basso (Bruno Mondadori editore)

















Prima di parlare del libro di oggi, devo assolutamente riferire di due preziose pubblicazioni passate quasi sotto silenzio in Italia, che parlano dell’arte di tradurre: il primo è di Barbara Lanati che con il suo “Pareti di Cristallo” edito da Besa raccoglie quattro saggi dedicati a Gertrude Stein, Henry James, Angela Carter e Emily Dickinson, scrittori presi sotto l’amorevole cura traspositiva dell’autrice, e resi poi in italiano nel corso degli anni. Splendida la nota introduttiva di Gianni Vattimo. Il secondo sempre per i tipi di Besa è “Gli autori invisibili” di Ilide Carmignani con prefazione di Ernesto Ferrero: libro in cui viene evidenziato il ruolo dei traduttori che hanno il compito fondamentale di permettere ai lettori di conoscere la fenomenologia culturale di realtà etno/linguistiche anche molto lontane dalle nostre. La Carmignani è una delle più importanti traduttrici italiane, e tra gli scrittori che molto le devono ricordiamo Luis Sepúlveda, Almudena Grandes, Arturo Pérez-Reverte. Ha tradotto inoltre uno dei più importanti scrittori del secolo scorso, Jorge L. Borges, un vero punto fermo della cultura planetaria. Esce ora per i tipi di Bruno Mondadori un libro di Susanna Basso, intrigante e raffinato, e sempre sulla traduzione dal titolo “Sul tradurre. Esperienze e divagazioni militanti”. Sono 166 pagine che si leggono tutte d’un fiato, vuoi perché l’argomento risulta sempre essere attuale, vuoi perché la Basso (autrice che tra gli altri ha tradotto romanzi di Alice Munro, Ian McEwan e Martin Amis) è veramente magistrale nel narrare come la traduzione sia un’operazione molto diversa dalla lettura, soprattutto per come si sceglie di approcciarsi ad un testo, percorrerlo, esplorarlo, riga dopo riga. Questo libro non è uno dei tanti manuali sul tradurre, è molto di più. E’ una vera e propria battaglia a mani nude tra due corpi, quello di chi opera la traduzione, e il corpo da tradurre (il testo, l’opera, il libro) in una simbiontica metafora di vite che si raccontano attraverso le parole. Susanna Basso così consegna ai suoi lettori uno splendido racconto, una specie di favola, dove gli scrittori non sono i protagonisti principali … tutt’altro! A dire la loro sono le scritture e le micro storie di incontri oscillanti tra silenzi e folgoranti disvelamenti. Un’opera assolutamente da leggere soprattutto perché ci aiuta a capire che quando si traduce un libro da una lingua ad un’altra, tutto - dalla virgola, al punto e virgola, al punto esclamativo, ad una parola anziché un’altra – e ribadisco “tutto” rappresenta una scelta. In fondo come lo è tutta una vita!

martedì 6 luglio 2010

Il libro del giorno: Supersenso. Perché crediamo nell'incredibile di Bruce M. Hood (Il Saggiatore)


















Incrociare le dita, toccare ferro, evitare i gatti neri, sottostare a pregiudizi scaramantici, seguire rituali propiziatori continuano a essere pratiche molto diffuse. Viviamo in un'era tecnologica avanzatissima, eppure l'antica fiducia nelle credenze soprannaturali resiste, anche in persone che si ritengono scettiche e razionali. Lo psicologo cognitivista Bruce M. Hood ha formulato un'ipotesi rivoluzionaria per spiegare perché, nonostante ogni prova contraria (e malgrado la ricchissima letteratura scientifica, da Dawkins a Dennett, che pretende di smantellare razionalmente ogni tipo di credenza), gli esseri umani si affidino a forze soprannaturali. In "Supersenso", Hood dimostra come la nostra mente sia naturalmente incline a decifrare il mondo secondo schemi regolari, strutture e meccanismi ricorrenti, quando però è impossibile far coincidere le nostre intuizioni alla realtà del mondo, entra in gioco il supersenso. Il pensiero soprannaturale, che si concretizza in forme culturali e religiose, si genera dalla nostra propensione a presumere l'esistenza di dimensioni nascoste della realtà. Un processo che dall'individuo si estende alla società, dando vita a una rete di credenze condivise, indispensabile per la convivenza. "Supersenso" è una conversazione piacevole e brillante che, con l'autorevolezza del saggio scientifico, abbraccia discipline religiose, psicologiche e biologiche.

La battuta perfetta di Carlo D'Amicis (Minimum Fax). Intervento di Elisabetta Liguori

















Si sente sempre più di frequente discutere di padri. Biologici, violenti, mancati o mammoni. Padri della patria o della letteratura. Forse per il franare di ogni certezza, l’oscurità del futuro, l’incredulità di certi storici contemporanei? Anche Carlo D’Amicis, illuminato scrittore pugliese, nel suo ultimo romanzo “La battuta perfetta” edito dalla Minimum Fax, scrive di padri e lo fa in modo assolutamente nuovo e coraggioso. Nuovo per stile, lingua a e struttura narrativa; coraggioso per temi e contesti politico sociali rigorosissimi.

Poiché non è solo di padri che si ha bisogno, ma anche di un’adeguata comprensione del cammino che ha condotto la giovane Italia fino alle logore attualità, D’Amicis decide di raccontare di padri, ma anche di televisione. Dagli albori ai giorni nostri: il progetto iniziale, lo stupore successivo, l’imbarbarimento. Una parabola che coincide con quella oggettivamente decadente della nostra nazione, fondata su un unico imperativo: piacere e piacersi. A tutti i costi.

Quando si parla di piacere si parla inevitabilmente di desiderio. E poiché s’impara ad amare e desiderare per imitazione o per contrasto, è naturale che i padri abbiano un ruolo non da poco in questo cammino. Padri e amore, quindi. Amore e televisione. Amore inteso come risata perfetta e spettacolarizzazione del sé. Televisione intesa come fonte d’apprendimento di modi d’essere e sentire.

Protagonista della vicenda è Canio Spinato, comico da strapazzo asservito all’impero televisivo del Cavaliere, figlio di un inflessibile dirigente rai ( Filo Spinato) e padre di un cupo adolescente, militante di estrema destra (Silvio II). Questi tre uomini non si somigliano e vorrebbero amarsi con la stessa forza con la quale si odiano. La denuncia sociale di D’Amicis è dunque spettacolare. Trasforma la marmellata politico sociale degli anni novanta in uno splendido personaggio letterario: il giovane Berlusconi, amico di Spinato e suo datore di lavoro, nutrito a barzellette e macismo.

Il paradigma televisivo più becero, utilitaristico, seduttivo prende le mosse dalla tivù pedagogica ed autorevole degli anni cinquanta, passando per il Drive degli anni 80, per poi spingersi fino alle schermaglie tra troni e gallinacei di Uomini e donne, in una narrazione dotata di grande lucidità letteraria. A quello si aggiunge la profonda analisi degli affetti umani più intimi, trafitti da un irrisolto conflitto generazionale, rendendo il tutto ancor più violento. Canio è certo: solo chi ride sa amare. Che: o si ride o si muore, lo ha scoperto guardando suo padre ammalarsi di serietà, uccidere la madre per intransigenza, farsi terra bruciata intorno per coerenza. Ne ha trovato conferma nell’aggressività del figlio con il quale non riesce a comunicare se non a suon di anfibi e bastone.

Il suo umorismo idiota nasce dunque per disperazione. Per sopravvivere, il pagliaccio sdogana l’idiozia in alternativa alla solitudine e la povertà, ma la sua deriva non è solo umana, ma culturale e, per questo, ancora più tragica e orrendamente collettiva.

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