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sabato 20 giugno 2009

Due colonne taglio basso di Federica Sgaggio (Sironi editore) alla Libreria Rinascita di Verona

Federica Sgaggio presenta presso la Libreria Rinascita, il 24 giugno 2009 alle 18.30, il suo romanzo "Due colonne, taglio basso", pubblicato da Sironi Editore. Partecipa all'incontro Giulio Mozzi.

Il vicecaporedattore della «Gazzetta del mattino» viene trovato morto, la testa fracassata, sul ciglio di una strada di periferia. Per il direttore e per la proprietà la prima esigenza è evitare che il fatto macchi la reputazione del giornale. Ma un cronista scaltro e determinato si mette a cercare un movente interno alla redazione, nella speranza di ottenere un avanzamento di carriera in cambio del suo silenzio; un altro, nauseato dai giochi di potere dei colleghi ma suo malgrado coinvolto nell’omicidio, finisce per dover rivelare segreti che avrebbe preferito tenere per sé; una giovane gallerista d’arte è costretta a scoprire sulla sua storia d’amore la più sconvolgente e intollerabile delle verità. E un raffinatissimo pubblico ministero di Capri, che ha sempre in mente il suo mare ma nel lavoro non guarda in faccia a nessuno, riesce a concludere l’indagine servendosi della fitta rete di interessi, rivalità e sentimenti mai dichiarati che agitano il microcosmo di un quotidiano di provincia. La ricchezza dell’intreccio, in cui si insinua una sensualità istintiva ed elegante; la strepitosa capacità di far agire i personaggi in scena; la causticità nel mostrare bassezze e miserie dell’ambiente giornalistico; la finezza nel raccontare i futili motivi di un omicidio come tanti: tutto questo candida Federica Sgaggio a diventare una signora del giallo italiano.

mercoledì 24 giugno 2009 - Start: h. 18.30
Libreria Rinascita
di Corso di Porta Borsari 32 a Verona

Il libro del giorno: Sonno di Roberto Tiraboschi edizioni e/o

Da quando è morta la donna che amava, il professor Gregorio Morganti vive tormentato dall’insonnia e in balìa di fenomeni inquietanti e inspiegabili, Eleonora è stata trovata annegata in pochi centimetri d’acqua, sulla riva del fiume, davanti alla villa dove vivevano, nei pressi di un manicomio abbandonato. Un incidente, hanno detto le autorità giudiziarie, ma Cosma, il fratello gemello di Eleonora, un obeso di centosessanta chili, è convinto invece che dietro la tragedia si nasconda un mistero. Gregorio, ormai giunto al limite del crollo fisico a causa dell’insonnia, decide di ricoverarsi in una clinica del sonno, un ex sanatorio un po’ lugubre, isolato tra le montagne. Qui fa conoscenza con gli altri ospiti, tutti affetti da gravi disturbi: oppressione spettrale, narcolessia, parasonnia violenta. Isolato nella Dimora del sonno, lontano dal mondo reale, mentre bruciano gli ultimi fuochi della guerra in Bosnia, Gregorio, con l’aiuto del professor Celionati, lo stravagante direttore della clinica, fa un viaggio nelle profondità della sua anima e scopre una terribile verità sulla morte di Eleonora che gli impone di portare lo sguardo nelle parti più oscure del proprio Sé. Solo attraverso la scoperta e la pratica del “sogno lucido” Gregorio alla fine troverà una risposta al mistero che gli impedisce di vivere e di amare. Un romanzo di grande suspense sul mondo misterioso del sonno, avvolto in un’atmosfera minacciosa che non ha precedenti nelle nostre lettere.

"L'atmosfera è cupa, soffocante, inturgidita da personaggi vitali ma algidi, impenetrabili. Gli eventi incalzano, inquietano. La soluzione dai toni gialli sembra quasi un rimedio al male esplorato in un excursus narrativo vischioso, di per sè assai originale nel nostro panorama letterario"

Sergio Pent tratto da Tuttolibri de La Stampa del 20/06/09, p. 3

edizioni e/o: http://www.edizionieo.it/

Sonno di Roberto Tiraboschi edizioni e/o

venerdì 19 giugno 2009

Bleep. Ma che ... bip ... sappiamo veramente? (Macro edizioni)

Il fenomeno del Bleep si è diffuso quasi come una pandemìa di pensiero prima in America e poi in Europa. In Italia, Macro Edizioni, una interessante azienda del nostro paese che ha una linea editoriale molto particolare e che cura davvero ogni sua singola pubblicazione, propone questo magnifico libro e il suo film, che amplia e approfondisce gli argomenti trattati nel film omonimo. Un’opera che tratta delle interconnessioni e profonde relazioni esistenti tra fisica quantistica, probabilismo, medicina e psicologia. E per ciò che concerne la fisica quantistica, quanto sostiene nel volume in esame David Albert, è tutto un programma: “ Se volete indicare uno dei profondi cambiamenti filosofici tra la meccanica classica e la fisica quantistica, ebbene, la meccanica classica è costruita dall’inizio alla fine intorno a quella che sappiamo essere una fantasia: la possibilità di osservare le cose passivamente … La meccanica quantistica mette decisamente fine a questo”. Nelle sue pagine sono esposti una serie di contributi che fanno riflettere sul nostro futuro, e ci aiutano a comprenderlo non solo meglio ma anche a dirigerlo verso la costruzione di un mondo migliore, e dunque merita di essere assolutamente letto. Il grande successo che ha già ottenuto in Germania e in altri paesi europei, sta ad indicare che il suo muoversi in più ambiti dello scibile umano, dalla più recente ricerca scientifica, filosofica, religiosa sino ai personali percorsi di indagine e conoscenza degli autori del volume, ha prodotto un approccio olistico tra i più singolari che studiano l’uomo e la società in cui egli vive. Nello specifico si parte da una constatazione di fondo: per centinaia d’anni, scienza e religione hanno vissuto una sorta di “disturbo multiplo della personalità”, ovvero numerosi studiosi hanno ritenuto che ciò che la scienza indagava non poteva non solo trovare nessun riscontro nell’ambito religioso (in quest’occasione utilizziamo il termine religioso nel senso più ampio non riferendoci a nessun culto in particolare), ma non poteva in alcun modo essere di supporto alla scienza nonostante tutto il suo bagaglio di conoscenze e tradizioni. Nulla di più falso! Scienza e Religione fanno parte di un unico corpus di conoscenza che trova la sua sintesi migliore nel reciproco sforzo di spiegare l’universo, il nostro ruolo in esso, e il significato stesso della nostra esistenza. Ed è arrivato il momento finalmente che queste due realtà possano adeguatamente collaborare. "Ma che ..bip.. sappiamo veramente!?" (Macro edizioni) è un libro (come anche la sua versione filmica) non in bilico tra mistica e scienza, ma ne è la più alta forma di sublimazione e sintesi. Dodici scienziati teorici, guideranno il lettore attraverso i punti più estremi della fisica quantistica, utilizzando comunque una terminologia alla portata di tutti, e facendogli scoprire che il nostro universo è in costante movimento, si amplia senza sosta, crea universi paralleli, che non è definibile se non attraverso una serie di salti di paradigma. Un libro inoltre che affronterà il problema della nostra coscienza, attraverso una grammatica strettamente scientifica, e dunque utilizzando le più moderne e avanzate teorie della percezione, della chimica del corpo e della struttura cerebrale. Sappiamo di cos’è fatto un pensiero, la realtà, e sopra ogni cosa è possibile che un pensiero possa modificare la struttura interna della realtà, esiste un Potere al di sopra di noi, senziente, onnisciente, onnicomprensivo, e ancora qual’è l’esatto limite tra dentro e fuori? Questo è un libro di domande che espandono la mente, che non vi mostra la via, ma le infinite possibilità. Pensate di dover recarvi ogni giorno allo stesso lavoro, a fare le stesse cose, di dover pensare gli stessi pensieri, sentirvi ogni momento della vostra vita allo stesso modo? Ora potete scoprire le infinite possibilità di cambiare la realtà quotidiana.

What the Bleep do We Know? Scopri il film che aprirà i tuoi occhi a nuove possibilità!
ISBN: 9788864120058

Prezzo € 20,83
invece di € 24,50 (-15%)


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Alla scoperta delle nostre infinite potenzialità per modificare la realtà quotidiana
ISBN: 8875079013

Prezzo € 24,00


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Il libro del giorno: La mia vita ha un solo amore di Jackie Collins (Fanucci, 2009)

Cameron Paradise, personal trainer venticinquenne di una bellezza mozzafiato, per sfuggire al suo violento marito va a vivere a Los Angeles. Non impiega molto tempo a trovare lavoro in un esclusivo fitness club, dove entra in contatto con le persone più influenti della città. Il suo sogno è aprire un’attività in proprio, e nonostante i numerosi corteggiatori rimane concentrata sul lavoro per mettere da parte il denaro necessario a raggiungere il suo intento. Un giorno conosce Ryan Richards, ricchissimo produttore cinematografico indipendente, sposato con Mandy, figlia di uno degli uomini più potenti e spregiudicati di Hollywood, Hamilton J. Heckerling. Ryan non ha mai tradito la sua esigente moglie, ma l’incontro con Cameron fa saltare inesorabilmente ogni regola. E tutto sembra complicarsi ancor di più quando entra in scena l’avvenente e giovanissima moglie russa di Heckerling, una donna nel cui passato c’è qualcosa di compromettente che solo Ryan può svelare…
Tre fra le coppie più in vista di Hollywood, due affari che scottano, un delitto… Il nuovo, travolgente romanzo di Jackie Collins, pubblicato lo scorso anno negli Stati Uniti da un’autrice che ha venduto più di trecento milioni di copie dei suoi romanzi in tutto il mondo.

Jackie Collins è autrice di venticinque romanzi, tutti attualmente in catalogo e di enorme successo. La sua carriera di scrittrice è cominciata nell’adolescenza, quando esordì con The World Is Full of Married Men, che fu accolto da un successo senza pari. Vive a Los Angeles dove, oltre alla scrittura, coltiva la sua passione per la musica e la fotografia.

"La vita dorata dei lussuosi sobborghi di Los Angeles, vista da chi quella realtà può soltanto sfiorarla indovinandone dunque le miserie umane".

di Anna Lombardi tratto da Il Venerdì di Repubblica n.1109, p. 106

Fanucci editore: http://www.fanucci.it/

La Rassegna "Sul far della sera" alla Taberna Libraria di Martina Franca

Partiranno sabato 20 giugno, presso la Taberna Libraria di Martina Franca, gli “Incontri sul far della sera”, organizzati con la collaborazione di “Fucine Letterarie”. Il noir psicotropo di Delacroix in azione. Un nuovo modo di vedere la cultura, trasformandola da provinciale a centrale, da affaticante a liberante

E allora ecco sabato 20 giugno, con l'azione performativa sul libro di racconti psicotropic noir “Il Sesto” (Lupo Editore) dello scrittore Stefano Delacroix e del giornalista e critico letterario Domenico Fumarola, gli “Incontri sul far della sera – Performances in 6 movimenti letterari”, organizzati dalla Taberna Libraria, in collaborazione con “Fucine Letterarie”.
L'idea condivisa da Taberna Libraria e Fucine Letterarie è quella di offrire brevi, ma intense azioni di scrittura e lettura, orientate - prevalentemente ma non solo - verso autori ed editori pugliesi, come avverrà in questi primi tre mesi. I prossimi autori che “agiranno” all’interno della “Taberna Libraria” saranno infatti: Ilaria Seclì (martedì 30/6), con l’azione a cura di Michelangelo Zizzi sul volume di poesie “Del pesce e dell'acquario” (Lietocolle libri); Giuse Alemanno (domenica 5 luglio), con l’azione a cura di Stefano Donno sul romanzo “Le vicende notevoli di Don Fefè” (Icaro Editore); la salentina Pepita Rosa (martedì 21 luglio), con l’azione a cura di Annarita Lorusso sul testo di fiabe postmoderne “Diadema” (Lupo Editore); l’azione del Prof. Antonio Scialpi (mercoledì 5 agosto) sul volume “Beata ignoranza” (Fandango Editore) di Cosimo Argentina; Mario Desiati (martedì 18 agosto), con l’azione a cura di Michelangelo Zizzi sull’ultima fatica dello scrittore martinese, “Foto di classe” (Laterza Editore).“L'obiettivo degli Incontri sul far della sera – ha dichiarato Michelangelo Zizzi, direttore artistico della Taberna - è quello di trasformare la cultura da provinciale a centrale, da casuale a centrata, da affaticante a liberante. Non si tratta tanto di presentare dei libri, quanto di farli agire. L'idea di performance può sembrare persino antiquata - divisa com'è tra spettacolarizzazione anni '70 e prodotto di consumo artistico - ma la performance di azione è diversa invece, poiché è condotta, in movimento appunto. Non intende essa tanto sorprendere o 'accontentare', quanto agire trasformando”.
La brevità e l'intensità saranno due elementi fondamentali di questo tipo di azione. Nella performance di sabato 20 giugno ci sarà, oltre alla presentazione del book trailer, anche un'azione musicale condotta dallo scrittore Stefano Delacroix - già rocker di livello nazionale - con Franco Speciale. Tutte le azioni letterarie avranno inizio a partire dalle ore 19:30, presso la Taberna Libraria in Via Pantaleone Nardelli 2, Martina Franca.

Per ulteriori Info contattare i numeri: 080/2377578; 333/5871387° scrivere una mail all’indirizzo taberna.libraria@yahoo.it.

giovedì 18 giugno 2009

Gargoyle Editore. Intervista a Paolo De Crescenzo di Stefania Ricchiuto

Le paure ancestrali dell’uomo sono materie talmente sottili da richiedere un’attenzione analitica. In Italia, prima del 2005 venivano curate, con risultati discutibili, dall’editoria più “generalista”, ma da quattro anni l’horror e il dark fantasy possono rintracciare anche nel Bel Paese una realtà totalmente dedita alla dimensione dell’incubo. Ne abbiamo parlato con l’editore Paolo De Crescenzo e la responsabile dell’ufficio stampa Costanza Ciminelli.

“Rubate” il nome alla figura mostruosa di pietra che si sporge dalle sommità delle cattedrali gotiche, pronta ad animarsi in caso di aggressione. Denominarvi ispirandovi ad un simbolo di “custodia” è stata una scelta ben precisa?

L’immagine del gargoyle ci è sembrato simboleggiasse efficacemente il tipo di scelta editoriale che anima la nostra avventura letteraria. Sinceramente non pensavamo di svolgere alcun ruolo di “custodia”, ma considerando alcune recenti tendenze dell’horror letterario e cinematografico…

Con la vostra comparsa, avete garantito al pubblico italiano la possibilità di conoscere autori stranoti all’estero, ma qui sconosciuti. Il vostro è stato un forte atto di opposizione contro un mercato fortemente monopolizzato, abitato fino ad allora quasi esclusivamente da nomi come Stephen King e Anne Rice…

La nostra attività è nata come una sfida: sapevamo che le possibilità di affermare quello che è il “parente più povero” tra i generi erano minime, anche sulla scorta delle esperienze negative vissute dai pochi coraggiosi che ci avevano preceduti. Abbiamo cercato di sottolineare tale provocazione puntando sulla qualità, sia dei contenuti che della veste editoriale. Da un lato, quindi, volumi rilegati, carta bianca della migliore tipologia, cura redazionale; dall’altro, ricerca di quello che ci sembrava al momento il meglio del panorama horror internazionale, a prescindere dalla notorietà dei nomi. Devo dire che i risultati sono stati superiori alle aspettative: spesso si fa torto al pubblico, continuando a propinargli solo i “soliti noti” e ritenendo che non sia in grado di apprezzare scelte più “particolari”.

Avete incominciato pubblicando due scrittori americani, la Yarbro e Nassise, e sembrava fosse vostra intenzione dedicarvi esclusivamente alle traduzioni di produzioni estere. Perché questa barriera iniziale rispetto alle narrazioni italiane?

In realtà non abbiamo mai affermato che intendevamo porre barriere. Abbiamo sempre detto che l’unico parametro di scelta era di tipo meritocratico. Siamo stati, quindi, ben lieti di avere l’opportunità di dimostrare che non esistevano, e non esistono, preclusioni di sorta: se un testo ci piace, lo pubblichiamo, indipendentemente dal fatto che sia americano, francese o turco…

Poniamo un attimo l’attenzione sull’“estro gotico nostrano”: nel vostro catalogo è comparso il nome di Gianfranco Manfredi...

Manfredi era ed è tuttora quello che riteniamo il migliore tra gli autori italiani che si sono cimentati in modo continuativo con l’horror. Prendemmo contatto con lui via e-mail chiedendogli di poter ripubblicare il suo Magia Rossa: da lì sono nati un’amicizia e un sodalizio professionale che ci auguriamo siano destinati a durare. Gianfranco negli ultimi anni si era dedicato al fumetto, ottenendo grandi soddisfazioni e notorietà internazionale, ma forse sacrificando un po’ la vena autoriale che ha fortemente radicata dentro di sé: conversando, è tornata a scattare la scintilla che era sopita, lo stimolo ad approcciare nuovamente una dimensione narrativa di grande respiro. Lui dice di non essersi mai trovato così bene come con Gargoyle, e noi vorremmo tanti Gianfranco Manfredi...

Ora una domanda sul senso della narrativa horror, che è animata da figure archetipiche ricorrenti: fantasmi, vampiri, demoni. Indagare certi ruoli surreali può aiutare a smascherare gli “effettivi costruttori di paura” della nostra società?

È confermato che l’horror esercita una funzione esorcizzante rispetto alle paure e agli incubi della quotidianità, tant’è vero che conosce regolarmente periodi di massima frequentazione quando le situazioni di crisi si fanno più intense e diffuse. In questo senso, esercita sicuramente un ruolo “sociale”. Stabilire se possa servire a smascherare i “veri mostri” è problematico: per ogni opera narrativa esistono vari piani di lettura e ciascuno è libero di trovarvi all’interno i significati di cui è alla ricerca.

Peraltro, molti intellettuali, soprattutto statunitensi, riconoscono al genere horror una funzione di resistenza culturale nei confronti di due massimi poteri: la religione e la scienza…

Gli Stati Uniti sono un paese animato da una concezione morale e religiosa molto sui generis, pronta a rispondere a stimoli anche francamente improbabili... pensiamo alle chiese più o meno esotiche, ai predicatori televisivi e da tendone, alle varie sette. Gli scrittori americani, pertanto, hanno buon gioco nell’affondare il bisturi in tali fenomeni. Molto più difficile è conseguire qualche risultato in una realtà come quella italiana, dove la religione è stata sempre vissuta come una faccenda estremamente seria, condizionando scelte artistiche e vita culturale, e rendendo difficoltoso l’affermarsi di un genere che la Chiesa cattolica ha sempre pesantemente avversato. La scienza costituisce un discorso a sé: se in passato ha costituito terreno d’esercizio per alcuni scrittori horror, la fantascienza e il sempre più rapido progresso tecnologico hanno sostanzialmente svuotato di contenuti il sottogenere specifico, che resiste soprattutto in zone franche quali le graphic novels e i giochi di ruolo.

Opererete un salto anche nella saggistica?

Gargoyle ha già operato un’incursione nella saggistica, pubblicando The Dark Screen. Il mito di Dracula sul grande e piccolo schermo di Pezzini-Tintori, in assoluto la prima guida che cerca di sistematizzare la sterminata filmografia relativa al mito di Dracula, dagli inizi del ‘900 a oggi. Il volume si distanzia da qualsiasi impostazione manualistica, procedendo per percorsi tematici. Ne emerge uno studio che va oltre i confini dell’iconografia, in cui critica cinematografica, politico-sociale, di costume, psicanalitica, antropologica, si armonizzano in una prospettiva di approccio del tutto inedita. Contiamo di proseguire nell’analisi di altri archetipi dell’horror, e proprio in questa direzione va l’imminente riedizione di Io credo nei vampiri di Emilio de’ Rossignoli, una chicca introvabile da decenni. Pubblicato per la prima volta nel 1961 e ormai assorto al rango di cult, costituisce un’opera fondamentale per la comprensione del revenant, che spiega gli aspetti strutturali e le principali chiavi interpretative del mito di vampiro, senza dimenticare una salutare dose d’ironia.

Terminiamo con un invito alla lettura…

È appena uscito La maledizione degli Usher di McCammon. Concepito come proseguimento de Il crollo di casa Usher, tra i racconti più celebri di Poe, il romanzo costruisce un avvincente intrigo su una potente dinastia di armatori statunitensi, che svela a poco a poco una densa e suggestiva trama di segreti, ossessioni, omicidi, fughe e tentativi di rivolta. Ruolo di primo piano nella storia assume la maestosa tenuta degli Usher, un sinistro labirinto dove, da tempo, nessuno osa avventurarsi…
Gargoyle Editore

Intervista a Paolo De Crescenzo - Powered by CoolClub

NOLENTE di Tony Sozzo (Lupo Editore). Rec. di Silla Hicks

Solo i miracolati hanno un lavoro e una famiglia a trent’anni, e lo dico io che sono stato fino a ieri uno di loro e che anche adesso uno stipendio a fine mese continuo ad averlo, ed è una fortuna, perché anche la mia non vita ha comunque un prezzo.
Tutti gli altri, sono una mandria che si aggira senza prospettive né speranze, cresciuta senza la fame che ti spinge avanti a tutti i costi ma anche senza quel progetto che ti fa vivo non solo nel corpo ma dentro al cuore: ogni giorno li vedo, caracollare avanti e indietro, con i vestiti e tutto il resto di dieci anni più giovane ma dentro una pelle che sta invecchiando pur senza essere mai stata grande.
Niente responsabilità, niente bambini e niente nemmeno rabbia, si trascinano, angeli caduti dal limitare di quell’adolescenza che è stata un nido troppo morbido e che adesso è diventata una gabbia da cui non sanno uscire.
Chiedono a papà le chiavi del SUV o della Punto, a seconda dei casi, ma in ognuno non sanno dove andare, e con chi, e quando, non ridono né piangono, semplicemente sono, un giorno appresso all’altro, finché non arriva la vita e li strattona o - raramente - li prende per la mano.
Non so di chi è la colpa, ammesso che ce ne sia una: ma non credo che dipenda dal lavoro che non c’è, sarebbe troppo facile, e poi non è nemmeno vero: i miei colleghi sono stranieri, soprattutto slavi, e sì che Valerio non l’avrebbe presi, lui che ha cercato in tutti i modi camionisti italiani se solo ne avesse trovati da assumere, tempo indeterminato e orario completo e tutto, venti giorni l’anno di ferie pagate più i riposi, invece niente, lauree quante ne vuoi, ma patente E e CAP praticamente nessuna.
Perché è dura, questa vita, sì, e la paga non ti fa ricco ma solo tranquillo di mangiare ogni giorno, anche se noi c’abbiamo pagato il mutuo quindici anni, e c’avremmo mantenuto i bambini che volevamo e che non potevamo avere: a tratti ho l’impressione che semplicemente non s’abbassino, e d’altronde sono troppo in alto, hanno studiato e via dicendo, e pazienza se quando nomini Proust credono corresse in Formula 1 e di Fassbinder non hanno visto niente, figurarsi parlare di Fritz Lang. Il fatto è che crescere costa sforzo, e questo è tutto: costa sforzo camminare da soli per andare da qualche parte, e combattere e ferirsi le nocche e innamorarsi, soprattutto, perché cazzo se è vero che l’amore fa male.
Costa sforzo alzarsi dal letto, ed uscire là fuori e affrontare i giorni come un’autostrada, dove ci sono caselli, e code, ma alla fine, prima o poi – se non t’addormenti dopo dodici ore di guida, o non muori di freddo in una piazzola sotto la neve della bassa, o non ardi in un traforo perché le porte tagliafuoco hanno lucchetti che nessuno s’è ricordato di aprire – alla fine, insomma, se dio vuole, arrivi. Sia pure a sederti a un tavolo coperto da una tovaglia di plastica, in una casa vuota, con una birra in mano a scrivere, tenendo tra le braccia il tuo fascio di ricordi, che è tutto quello che ti resta, ma ce l’hai, cazzo, ce l’hai, e se ti tocchi le cicatrici capisci che ci sei ancora, anche se ti coricherai dentro un letto vuoto e t’addormenterai piangendo.
Così, basta, cazzo, basta, non si vive nolente, si vive volente, e vaffanculo se fa – e lo fa, è da credere – un male cane.
Questo è ciò che mi resta tra le dita, di questo libro che ho finito in due giorni e ci ho pensato due settimane, cercando di darci un senso che non fosse la rabbia che provo davanti a questa inettitudine che non ha niente a che vedere con Zeno Cosini, ma solo con il tempo in cui vivo. Questo ragazzo – ragazzo? No, mi spiace: uomo, perché a vent’anni sei ragazzo, ma a trenta no, e questo è quanto, lo si ammetta o meno non cambia – che ciondola in ambiente universitario fuori tempo massimo e frequenta ragazzine fuori sede mi fa rabbia, tanto più quanto più so che non è un parto di fantasia. Mi fa rabbia perché non fa niente, niente e dico niente, per avere una vita e non serbatoio di ore: mi fa rabbia perché persino quando crede di amare non si scuote, e dio sa se l’amore non è un elettrochoc per chicchessia l’abbia mai provato. Mi fa rabbia pensare che esista – che esistano – e mi fa rabbia non trovarci una ragione: non perché io abbia la pretesa di capire il mondo, no, ma perché ho il brutto vizio di farmi domande, e l’incapacità di trovare risposte mi frustra, né più né meno come uscire dal cinema senza vedere la fine.
Quindi, è la rabbia, che mi resta, di questo libro: la rabbia di non riuscire a spiegarmi perché ci siano tanti miei quasi coetanei – io sono nato il 10 novembre del ’72, non nell’anno mille – che non vanno da nessuna parte, mentre la clessidra li si vuota tra le mani. Perché – lo si accetti o no – il tempo passa. E diventa sempre tardi, non importa quanto sia stato presto, fino a ieri.
Così, non so dire se di queste pagine, fiumana di quello che vorrebbe essere stream of consciousness, questo sì a tratti – nelle intenzioni - Sveviano, che scorre lenta, tortuosa, persino incerta, come il protagonista, mi resti altro.
Ma che volete farci, sono un camionista, io. Un operaio. Non ci sono andato neanche un giorno, all’università. Convivevo già, a diciannove anni. Volevo crescere, diventare grande. L’amore mi ha fatto a pezzi. Non posso capire, cosa significhi avere trent’anni, oggi. Avere il mondo in mano e il cuore vuoto e ignorarli entrambi, e lasciarsi nolentemente vivere.
Perché ci ho provato a vivere, io, prima di diventare questo. Non so se Ettore/Italo – ironia della sorte, come me sospeso tra questo paese e quell’altro – mi definirebbe un lottatore o no, ma so che ci ho provato, a non essere un inetto, a piangere e ridere ed esistere. So che ci ho provato, a sentire l’amore. E che ne è valsa la pena di tutto. Anche del dolore, anche di stasera. Che ne vale sempre la pena, perché, altrimenti, allora sì che non c’è nessun senso.
E tra il nolente e il niente – per me, sempre per me – è meglio il niente.
No, non mi riferisco al nichilismo, abusato dal protagonista come la frase ti amo sulla bocca della maggior parte della gente. Voglio dire il niente che è niente davvero. Staccare la spina. Game over.
Certo, è un peccato. Perché, credetemi, c’è sempre la vita, là fuori.


VOLENTE O NOLENTE Rec. Di Silla Hicks
(NOLENTE di Tony Sozzo – Lupo Editore, Copertino, 2008)

Il libro del giorno: Goffredo Fofi, La vocazione minoritaria (Intervista sulle minoranze) a cura di O. Pivetta (Laterza)

«Quel che a me interessa di più sono le minoranze che chiamerei etiche: le persone che scelgono di essere minoranza, che decidono di esserlo per rispondere a un’urgenza morale. Se alla fine ci ritroviamo sempre in un mondo diviso tra poveri e ricchi, oppressi e oppressori, sfruttati e sfruttatori, nelle più diverse forme e sotto le più diverse latitudini, bisogna ogni volta ricominciare, e dire a questo stato di cose il nostro semplice ‘no’». Ritratto di un pensatore libero che non ha smesso di credere nello spirito critico.

"Una genealogia spesso inedita, una mappa intricata e vitalissima di cui l'autore è testimone prezioso e inesauribile artefice, sempre impegnato, come dichiara nella difficile arte del combattere. Uno dei tanti meriti del libretto è l'indicare sempre il necessario alimento morale di qualsiasi rivolta: una critica che non si fondi sull'adesione emotiva a una parte di quello stesso esistente (anche solo a ciò che concretamente siamo stati), su una esperienza vissuta di uguaglianza creaturale, sull'amore tangibile per le persone, su un senso spontaneo di giustizia, si condanna all'aridità e all'ideologia"

di Filippo La Porta tratto da Il Riformista del 18/06/09, p. 18

casa editrice Laterza: http://www.laterza.it/


Goffredo Fofi, La vocazione minoritaria (Intervista sulle minoranze)
a cura di O. Pivetta
2009, Saggi Tascabili Laterza, pp. 176, € 12,00

mercoledì 17 giugno 2009

Talkink: uno speciale da paura di Angela Leucci ( redazione Talkink)




















Alla boa del primo anno di lavoro, il periodico monotemaico di letteratura e fumetti Talkink edita il primo speciale. Tema: la paura.

È stato un anno da paura, un anno di notti insonni, di copertine in forse fino all'ultimo momento, di bozze da correggere e di esordienti che ci hanno inondato di materiale. Il primo anno di Talkink, periodico monotematico di narrativa, poesia e fumetti si chiude e un altro se ne apre, con questo speciale sulla paura. Con una splendida copertina, realizzata dal maestro Lele Vianello, autore di mille e mille avventure, come la misteriosa “Calle de la paura”, contenuta in questo numero. “Calle de la paura” racconta una suggestiva storia ambientata a Venezia, in cui un uomo, per sfuggire agli orrori del manicomio, finisce in un incubo di esperimenti umani e gendarmi conniventi e forse segreti massonici. Un fumetto di tensione con una struttura narrativa molto “francese”, che non esula da colpi di scena e ironia di fondo e di sfondo. Tra gli esordienti di questo numero, molto interessanti sono le storie a fumetti di Francesco Murrone e Mauro Gulma. La prima narra la vicenda di Virginia Cacioppo, l'ultima vittima della saponificatrice di Correggio, Leonarda Cianciulli: un pasticcino parlante avvisa la futura vittima del suo destino, ma ormai è troppo tardi e Virginia verrà sacrificata per scongiurare la paura atavica della morte. La seconda storia tratta invece il più celebre mostro informe della nostra infanzia di occidentali, il Baubau: una paura che prende le forme che l'immaginazione le da, un po' nonna defunta, Babbo Natale, capitan Coraggio e infine coniglio di pezza, a metà tra quello di Donnie Darko e il Genio delle Pippe. Infine, nell'albo troverete la terza puntata del detective Wild, l'investigatore somigliante a Gene Hackman nato dalla penna di Ilaria Ferramosca. Molto altro ancora lo scoprirete solo vivendo (e leggendo). Per ordinarci, ci trovate nelle fumetterie e librerie di tutta Italia sui cataloghi Mega e Anteprima.

Il libro del giorno: Contro il giorno di Thomas Pynchon (Rizzoli)

In un mondo su cui, ancora una volta, incombono catastrofi - il crollo del campanile di San Marco, l'asteroide di Tunguska, la Prima guerra mondiale - si inseguono anarchici, giocatori d'azzardo, milionari, matematici, scienziati eretici, antesignane del libero amore, sciamani, sensitivi, aeronauti e killer prezzolati. Sono impegnati in un caleidoscopio di avventure - tra l'Esposizione Mondiale di Chicago nel 1893 e il Messico infuocato dalla rivoluzione, tra la Hollywood del cinema muto e i Balcani, tra Parigi, Vienna e luoghi difficili da trovare sull'atlante - che raccontano l'avidità senza freni del capitalismo globale, la falsa religiosità, l'ottimismo ingiustificato e il sogno irraggiungibile dell'utopia. Ogni, riferimento al nostro tempo è puramente casuale. Con questo romanzo monumentale e trascinante, che giunge dopo dieci anni di silenzio, Thomas Pynchon non descrive il mondo com'è, ma come potrebbe essere con appena qualche ritocco. Alcuni si ostinano a credere che sia questo uno degli scopi principali della letteratura.

"(...) ammirevole ma terrificante, lutulento e a tratti molto divertente, verboso e pieno di storie, folle e generoso, ma in definitva troppo denso, complesso, e se esiste la parola, gigantistico, per conquistare e bloccare l'attenzione del lettore"

di Irene Bignardi tratto da La Repubblica del 17/06/09, p. 43

casa editrice Rizzoli: http://rizzoli.rcslibri.corriere.it/rizzoli/

Contro il giorno di Thomas Pynchon 2009, 1127 p., Rizzoli

martedì 16 giugno 2009

Beppe Lopez e il suo Giornali e Democrazia (Glocal editrice) venerdì a Lecce nel Teatrino del Convitto Palmieri

Venerdì 19 giugno, alle 18,30, nel Teatrino del Convitto Palmieri, Piazzetta Carducci a Lecce, Glocal Editrice con la Libreria Palmieri, la Biblioteca Provinciale “N. Bernardini” e il presidio del libro Fondo Verri presentano Giornali e Democrazia, libro scritto da Beppe Lopez, primo direttore del Quotidiano di Lecce, Brindisi e Taranto. Analisi del degrado dell'informazione in Italia partendo dallo "spartiacque" della fine degli anni Settanta e dalla vicenda-metafora del primo quotidiano locale moderno e popolare: il Quotidiano di Lecce.
Ne discutono con l'autore: Giovanni Pellegrino, Donato Valli, Marcello Strazzeri. Previsti i saluti del sindaco di Lecce Paolo Perrone, del direttore del “Nuovo Quotidiano di Puglia” Giancarlo Minicucci e del direttore della Biblioteca Provinciale Alessandro Laporta. Interverrà, con vignette disegnate nel corso della serata, Nico Pillinini.

Il Quotidiano di Brindisi, Lecce e Taranto nacque esattamente trent’anni fa, il 6 giugno 1979. E costituì, per una serie di ragioni, un punto di riferimento innovativo a livello nazionale e non solo sul piano meramente giornalistico. Nacque, si insediò e fu interrotto: come successe, in generale, al processo di democratizzazione e di socializzazione avviato e stroncato in quegli anni in Italia.
Da quello spartiacque della vita nazionale nasce il processo di restaurazione e di omologazione di cui il degrado che vivono oggi la nostra democrazia e la nostra informazione è il frutto maturo. Con questo suo libro, Beppe Lopez (che ha attraversato - da giovanissimo pubblicista, da cronista politico, da direttore di giornali e di agenzia, e infine da abile narratore e saggista - quasi mezzo secolo di storia italiana) racconta dunque una vicenda-metafora, che intreccia protagonisti e questioni cruciali per capire il passato e il presente dell’informazione e della democrazia nel nostro Paese: la Repubblica, l’assassinio di Moro e la fine del compromesso storico, il craxismo, la degenerazione della “sinistra socialista” in “sinistra ferroviaria”, Carlo Caracciolo, Paese Sera, il caso-D’Urso, Tangentopoli, la fine della cosiddetta “Prima Repubblica”, le provvidenze per l’editoria, La Gazzetta del Mezzogiorno, Giuseppe Gorjux, Giuseppe Romanazzi, Francesco Gaetano Caltagirone e le grandi conglomerate editorial-finanziarie…

Fondo Verri
Presidio del libro di Lecce
Via Santa Maria del Paradiso 8, 73100 Lecce
tel.fax: 0832 304522
marinoma8@fondoverri.191.it

L'Orizzonte culturale del megalitismo di Marisa Grande domani a Lecce

I monumenti megalitici hanno assolto nel Salento quel compito risanatore dell’attività vibrazionale della terra che fu anche degli henges dell’area euro-asiatica, delle piramidi in Egitto, delle ziqqurat in Mesopotamia e delle piramidi meso-americane. L’organizzazione megalitica salentina descriveva sul territorio un modello a “tela di ragno”, quale riflesso della calotta celeste, la mitica “tela cosmica” nel cui centro si riteneva risiedesse la Grande Ragno, la dea tessitrice dell’Universo e detentrice del filo che intesseva il destino degli uomini e di tutto il cosmo. Le “cellule megalitiche” salentine erano composte da grandi specchie centrali, collocate sulle brevi alture delle Serre, e da raggiere di menhir elevati con un passo costante ritmato da precisi riferimenti astronomici. Le specchie erano cumuli di pietre che richiamavano simbolicamente il grembo fecondo della Madre Terra, nel cui interno scorrevano le sue acque primeve in forma di fiumi sotterranei. Esse costituivano i “nodi cosmogonici” e i “poli cosmologici” della cellula geodetica “a tela di ragno”, composta da quel sistema megalitico “centripeto, centrifugo e concentrico” che riproduceva sulla terra la medesima forma-onda di energia in espansione scaturente da un centro astrale di riferimento. Le specchie vibravano o franavano lungo le loro stesse pendici nel momento del passaggio turbolento delle acque ipogee, che trasportavano per mezzo dei sali ionici disciolti flussi di elettromagnetismo che, in particolari fasi della vita della terra, si manifestavano a carattere distruttivo. Fungendo da veri e propri sismografi litici ante litteram, le specchie, che riecheggiavano all’esterno l’attività vibrazionale interna della terra, captando ed espandendo nell’area della cellula geodetica megalitica i flussi di elettromagnetismo circolante “allo stato caotico” nel sottosuolo, permettevano ai geomanti-sacerdoti-astronomi, che già auscultavano il “cuore pulsante” del pianeta dall’interno delle sue cavità carsiche, di monitorare lo stato di salute del territorio. Il materiale impiegato per elevare i monumenti megalitici salentini -calcare locale, se pur non specifico come il quarzo di Newgrange, le pietre blu e le pietre sarsen di Stonehenge, o i graniti delle piramidi egizie- doveva avere comunque caratteristiche di “buon conduttore”, poiché i menhir, monoliti infissi nel terreno come gli aghi dell’agopuntura, avevano la funzione risanatrice propria dei “catalizzatori” e dei “trasformatori” dell’elettromagnetismo caotico in “onde di flusso coerente” per riequilibrare lo stato dei campi magnetici sotterranei ed aerei, salvaguardando, con la loro funzionalità, la stabilità del territorio della cellula geodetica megalitica di loro pertinenza.

MARISA GRANDE

La scrittirce Marisa Grande presenta, il 17 giugno 2009 alle ore 20.00, presso Alex Bar in Via Vito Fazzi a Lecce, il libro - L'orizzonte culturale del megalitismo - (Besa editrice).
Intervengono: Stefano Donno, Lilly Astore, Pompea Vergaro

Un saggio assolutamente innovativo, che riscrive la storia dell'uomo basandola sul suo ancestrale rapporto con il cosmo. Affronta la complessa tematica della distribuzione dei megaliti nel mondo (dolmen, menhir, specchie, colline sacre, ziqqurat, piramidi...) ricomponendo la cultura di chi li ha costruiti e ne mette in luce il rapporto tra i sistemi megalitici e le dinamiche astronomiche e geologiche.
L'autrice, partendo dal suo territorio, il Salento come fulcro del modello megalitico a "tela di ragno", spazia in tutte le direzioni, ricalcando nella trama, affascinante come un giallo, le tappe archeologiche e storiche di coloro che intesero stringere il pianeta in una rete di risonanze equilibranti, ai fini di influire positivamente sulle correnti di flusso del campo elettromagnetico terrestre.

Marisa Grande, fondatrice del Movimento Culturale "Synergetic-Art", in qualità di socia S.I.A (Società Italiana di Archeoastronomia) - c/o Osservatorio Astronomico di Brera - Milano, con il suo saggio offre un contributo utile al piano elaborato dalla Società in occasione dell'Anno dell'Astronomia 2009, consistente nel raccogliere documenti da proporre agli Stati dell'UNESCO ai fini del riconoscimento dei "siti di valore astronomico".

Sveglia il vulcano che è in te di Giuseppe Arena

Giuseppe Arena sa che nell'Universo esiste un'Energia che non solo governa ogni cosa, ma che la muove, le da forma e sostanza, le da la giusta direzione. E questa Energia Universale, è un vero e proprio “Bancomat” cosmico: pensi, chiedi, ottieni. E come tutte le fonti di energia, anche l’Energia Universale, è soggetta ad una serie di norme disciplinanti che sottostanno ad un’unica legge: la Legge dell’Attrazione. L’autore in questo suo lavoro dal titolo “Sveglia il vulcano che è in te” conduce il lettore attraverso una serie di riflessioni ed esercizi pratici propedeutici a trovare tutte quelle modalità idonee a migliorare la vita ed essere noi i protagonisti delle nostre esistenze, e non semplici marionette in mano al Destino. Il punto teorico di partenza, è che tutti noi abbiamo consapevolezza chi più chi meno, del male nel mondo e sappiamo che una tale negatività non cessa di tormentarci, oggi come ieri. Giorno dopo giorno la nostra esperienza si confronta con forze oscure e passioni negative che minacciano di farci ammalare nel nostro intimo. E allora insicurezza, paura degli altri, mancanza di coraggio, senso di impotenza di fronte ai propri limiti e alle realtà negative del mondo: questi sono i sintomi più diffusi tra gli uomini e le donne del nostro tempo. Tutto questo inficia alcuni aspetti della vita che rischiano di farci perdere il senso dell’orientamento, e soprattutto ci fa dimenticare una cosa fondamentale: avere cura di sé. E allora come possiamo trovare un giusto equilibrio tra amore e professione ad esempio? Come possiamo restare in prossimità della nostra essenza più autentica? Con quali accorgimenti, precauzioni, complicità o saggi adattamenti, possiamo scandire le nostre giornate e modellare i rapporti tra noi e gli altri, con il mondo? Giuseppe Arena, sviluppa una serie di percorsi (Come comunicare efficacemente, Come utilizzare l’intelligenza emotiva, Come comunicare con il cuore, Come chiedere all’universo, Come selezionare i desideri) che danno risposte utili e puntuali a quelle domande fatte pocanzi. Arena fa un pò come Aristotele nell’Etica Nicomachea, ovvero quando distingue le due virtù, una intellettuale e l’altra pratica: sophia e phronesis. Sophia è l'abilità di pensare in maniera positiva sulla natura del mondo, di capire tutti i meccanismi del suo funzionamento, e che riguarda un aspetto fondamentalmente teoretico. Phronesis è quella capacità di prendere in considerazione il modo di azione su come attuare cambiamenti, soprattutto nella vita. Fondendo i due aspetti propri di un’antropologia del comportamento, Arena adatta, le sue letture sulla Legge dell’Attrazione, le sue conoscenze di PNL (programmazione neuro linguistica), di life coaching, e non è un caso che citi Anthony Robbins (il quale come formatore ha rappresentato e rappresenta in assoluto un modello di eccellenza per moltissimi professionisti in tutto il mondo del coaching e del life coaching che ne ricalcano le orme e lo stile), e ad una forma di saggezza pratica particolarmente efficace. Sveglia il vulcano che è in te, è un ulteriore ed utile contributo alla letteratura sull’auto-aiuto!

info: http://svegliailvulcanocheinte.blogspot.com/

Il libro del giorno: Il cappio di Enrico Bellavia e Maurizio De Lucia Maurizio, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli (collana Futuropassato)

Senza il pizzo non ci sarebbe la mafia. L'analisi di un fenomeno eloquente, che racconta dall'interno come Cosa Nostra, con feroce competenza, muove i suoi tentacoli nella società civile. È la più antica attività della mafia. Ponte privilegiato con l'economia legale e la politica, sistema basato su un'eccezionale organizzazione sul territorio: è il racket, il "pizzo". Uno strumento di controllo criminoso, in cui sono coinvolti attori di tutti i livelli, dal piccolo commerciante che corre a "mettersi a posto" prima ancora di ricevere minacce, all'imprenditore del Nord che arriva in Sicilia, partecipa alla spartizione degli appalti pubblici e versa regolarmente la cosiddetta "tassa Riina". Ripercorrendo la storia di Maurizio de Lucia, il magistrato che più di ogni altro ha indagato il fenomeno, questo libro svela le strutture gerarchiche, il linguaggio e le prassi di un sistema delinquenziale di impressionante complessità; ma racconta anche i segnali di rivolta che arrivano dalla Sicilia, da Palermo, a dimostrazione del fatto che la lotta al racket può cominciare solo da lì, dalla terra in cui la mafia affonda le proprie radici e continua a esercitare quasi incontrastato il proprio potere.

"Palermo è qualcosa di molto speciale. Non è solo crimine e non è solo violenza. A volte è connivenza, a volte è convenienza. E' tassa, patto, è un impasto di utilità che alla fine diventa amicizia. I confini sono sempre labili, tutto è sfumato fra il carnefice e la sua vittima quando si mette a posto. Così si dice: mettersi a posto. E' il pizzo a Palermo. In una Sicilia che si tormenta con la sua voglia di mafia, un magistrato e un giornalista si sono addentrati in misteriosi sviluppi per scoprire cos'è l'Anonima Estorsioni"

di Attilio Bolzoni tratto da La Repubblica del 16/09/06, p. 51


casa editrice BUR: http://bur.rcslibri.corriere.it/bur/


Il cappio di Enrico Bellavia e Maurizio De Lucia Maurizio
2009, 264 p., BUR Biblioteca Univ. Rizzoli (collana Futuropassato)

lunedì 15 giugno 2009

Non è successo niente di Giuseppe Aloe (Giulio Perrone editore)

Un romanzo potente e avvincente che, con tinte da NOIR psicologico, indaga le pieghe dell'animo umano e ci fa riflettere sulla difficoltà di tracciare una linea netta e definitiva tra sanità e follia. È un caso urgente, gli dicono. E il professore in pensione, ottantenne rivoluzionario e riconciliatore, fa la valigia. L'istituto di igiene mentale che ha diretto per vent'anni è ancora come lo ha lasciato: stesse stanze, stesse voci nei corridoi, stessa pace incrinata, all'ombra del muro di cinta; e anche qualche vecchio paziente da riconoscere con affetto amaro. Tutto com'era, serenamente illogico: un'elegia della demenza. Durante la sua permanenza accadono fatti gravi. Sei pazienti sgozzati. Sei pazienti e un gatto. Apparentemente nessun movente, nessuna logica. E mentre gli inquirenti cercano una risposta razionale, l'anziano professore s'inoltra per i tortuosi camminamenti della follia, verso i sottintesi irraggiungibili nelle parole dell'unico testimone; e anche verso un passato – quello dei malati, ma soprattutto il proprio – costellato di sofferenze ormai ridotte al silenzio, seppure mai del tutto sopite: la malattia del fratello, quella della moglie, la paternità mancata. Ed eccolo, adesso, il professore in pensione, mentre tenta di interpretare il linguaggio dei matti per risolvere un giallo che non sente più suo, sciogliendo con lunghi bagni e molte sigarette la sensazione ferrosa della vecchiaia; ridotto a una stanza vuota. A chiedersi cosa rimane, oltre le favole che ci si racconta per vivere, per distrarsi: se qualche cosa o solo un altro tipo di niente. Eppure, attraverso la riproduzione di un disordine coglie un segno, un’angolazione, un indirizzo. È così che anche per lui, ossessionato da un passato incombente, si apre forse una nuova stagione di libertà.
Giuseppe Aloe, con una scrittura esperta e toccante, costruisce un romanzo in cui il vertice dell'esperienza umana pare non risiedere nelle certezze della normalità ma nella possibilità d'entrare nella pazzia per poi uscirne; e nell'abitudine a percepirsi mai stabili. Sempre con qualche sasso nella scarpa; con qualche demone con cui fare i conti, prima o poi.

Affermazioni di Stuart Wilde (Macro edizioni)

Spesso veniamo trascinati dagli eventi che accadono nella vita di ogni giorno, piccole sfide che magari tendiamo ad ingigantire, e che nella maggior parte dei casi ci fanno perdere il controllo su noi stessi, cortocircuitando le nostre abilità di problem solving, che in talune occasioni sembrano assolutamente inutili o per lo meno inservibili. Contrattempi che inevitabilmente siamo soggetti a subire, una lettera che aspettavamo da tempo con una comunicazione importante, arriva magari con due settimane di ritardo cambiando magari il corso delle nostre decisioni, oppure il sistema postale va in tilt per alcuni giorni e le bollette che scadevano proprio in quel lasso di tempo ci fanno correre non solo il rischio del taglio della luce, ma anche ed inevitabilmente perdite di tempo e aumento dello stress, che ci costringono a districarci nel complesso mondo della burocrazia e dei suoi terribili tentacoli. Ma questo problema di profondo disagio nel non riuscire a controllare tutto nelle nostre esistenze, contiene una serie di problematiche che ci toccano da vicino, e che in più di qualche occasione ci fanno percepire come un sottile, costante, anche se latente, senso di inadeguatezza nei confronti della vita. Non riusciamo a ritagliarci del tempo per noi, per i nostri cari, per la cura dei nostri amici, e non si tratta solo, per citare il grande sociologo Zygmunt Bauman, di essere nel gigantesco gorgo di una società liquida. Vediamo un po’ da vicino come stanno le cose. Stress, consumismo ossessivo e comnpulsivo, paura sociale e individuale, città alienanti, legami fragili, mutevoli e disarticolati: il mondo di oggi ha una fisionomia dalla consistenza di eidola platonici. L’uomo di oggi" gestisce quotidianamente situazioni che mutano forma ancor prima di venirsi a creare, e soprattutto con un perpetuo misurarsi con i limiti fenomenologici della scadenza che azzzera il senso del tempo e della sua utilizzabilità per tutto ciò che non rientra in abitudini e procedure. E allora cosa fare? Se tutto ciò che ci circonda è “liquido”, dunque in perenne “mutaforma” dove trovare la giusta direzione da seguire, e soprattutto come rimanere in piedi? Per Stuart Wilde, prima in “Affermarsi” e poi più di recente in “Affermazioni”ci invita quasi a riscoprire quelli che erano un pò gli insegnamenti etico-pratici di Socrate, ovvero sia la necessità del conoscere se stessi che quella (forse in maggior accordo anche con lo stesso Wilde) dell’ascoltare la voce del proprio “daimon” una specie di essere divino inferiore agli dei ma superiore agli uomini, che con la sua voce interiore ci dissuade dal compiere una certa azione. Ora per l’autore man mano che si continua a seguire la guida interiore, la fiducia e la consapevolezza aumentano, finché arriveremo al punto di "accettare" tutto quello che accade. Cominceremo a cercare e trovare la giusta direzione in ogni evento attirando nient'altro se non il Bene. Addirittura questo tendere sempre verso il Bene, che ci farà puntualmente trovarci nel posto giusto al momento giusto e con le persone giuste, ci farà oltrepassare ogni nostro limite, addirittura facendoci pervenire ad una consapevolezza totale del tutto. Se ci prendiamo un solo attimo per riflettere, in fondo la vita non deve essere necessariamente complicata, perciò se si riesce a mantenere l’equilibrio, se si sviluppa la capacità di percezione, se si impara ad essere distaccati, a concentrarsi su ciò che è reale, capendo dove si è e cosa si vuole nel qui e ora, credendo fortemente in se stessi, allora avremo bisogno di molto poco. Scrive Stuart Wilde in proposito “La vita non è un campo di battaglia, ma piuttosto una tranquilla evoluzione da un punto a un altro: un po' come passeggiare in una valle in un giorno di sole'. Questo libro insegna a trasformare la nostra vita in un nostro progetto, espandendo i poteri che già sono dentro di noi e raggiungendo il perfetto controllo sulla nostra esistenza. Questo dovrebbe essere l’obiettivo principale del cammino che si sceglie di intraprendere nella vita, un cammino che porta alla spiritualità, alla libertà emotiva e alla liberazione”. Ecco il magnifico piano d’azione per imparare ad aumentare il proprio potere e a riconquistare il controllo assoluto della propria vita: come aumentare e tenere alta l’energia del corpo durante il giorno; come formulare le affermazioni in modo corretto; come coltivare uno stile di vita che permette l’evoluzione; come uscire dal cerchio e cambiare completamente vita. Inoltre una serie di esercizi per imparare la concentrazione, per uscire fuori dal corpo e per realizzare ogni desiderio compresa l’abbondanza. Questo mondo meraviglioso è incredibilmente abbondante, ciò nonostante, abbiamo tante carenze. Per quale motivo? Perché il sistema bada a se stesso e non alla gente. Tutto quello che dobbiamo fare è imparare a riprenderci il nostro potere.


Come espandere il proprio potere e riprendere il dominio sulla propria vita
ISBN: 8875076073

Prezzo € 12,00


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Il libro del giorno: Vaticano Spa di Gianluigi Nuzzi (edizioni Chiarelettere)

Spericolate operazioni finanziarie mascherate da opere di carità e fondazioni di beneficenza. La storia raccontata in questo libro parte da un archivio custodito in Svizzera e da oggi accessibile a tutti. Circa quattromila documenti riservati della Santa Sede. Lettere, relazioni, bilanci, verbali, bonifici. Tutto grazie all'archivio di monsignor Renato Dardozzi (1922-2003), tra le figure più importanti nella gestione dello Ior fino alla fine degli anni Novanta. Sembrava una storia conclusa con gli scandali degli anni Ottanta: Marcinkus, Sindona e Calvi. Invece tutto ritorna. Dopo la fuoriuscita di Marcinkus dalla Banca del Papa, parte un nuovo e sofisticatissimo sistema di conti cifrati nei quali transitano centinaia di miliardi di lire. L'artefice è monsignor Donato de Bonis. Conti intestati a banchieri, imprenditori, immobiliaristi, politici tuttora di primo piano, compreso Omissis, nome in codice che sta per Giulio Andreotti. Titoli di Stato scambiati per riciclare denaro sporco. I soldi di Tangentopoli (la maxitangente Enimont) sono passati dalla Banca vaticana, ma anche il denaro lasciato dai fedeli per le messe è stato trasferito in conti personali. Lo Ior ha funzionato come una banca nella banca. Una vera e propria "lavanderia" nel centro di Roma, utilizzata anche dalla mafia e per spregiudicate avventure politiche. Un paradiso fiscale che non risponde ad alcuna legislazione diversa da quella dello Stato Vaticano. Tutto in nome di dio.

"Giornalista d'inchiesta di rara efficacia,l'inviato di Panorama Gianluigi Nuzzi, in Vaticano S.p.a. (Chiarelettere), racconta da un punto di vista privilegiato gli affari segreti della Chiesa"

di Dino Messina tratto da Il Corriere della Sera del 15/06/09 p. 31

casa editrice Chiarelettere: http://www.chiarelettere.it/

Vaticano Spa di Gianluigi Nuzzi 2009, 280 p., Chiarelettere
(collana Principioattivo)

domenica 14 giugno 2009

Canzonetta sulle sirene catodiche di Valerio Magrelli

Questa raccolta poetica incrocia il tema del male (analizzato attraverso l'ambivalenza fisiologica dell'uomo), e quello della famiglia, un po' descritta autobiograficamente e un po' sognata come espressione di una comunità diversa, non basata su istinti violenti e distruttivi.

La sua relazione non dovrebbe intitolarsi Dada, ma Dudu [Tu, tu]
F. Kafka





La chiamano TV
ma il vero nome è un altro,
più subdolo, più scaltro,
ilvero nome è TU.

Tu credi di guardarla,
ma è lei a fissarti, e intanto
si realizza l'incanto,
ti sorride, ti parla,

ti dà del tu, ti fa:
"Lèvati quella cera
dalle orecchie", ma già

la rupe si fa nera.
Tu ignorala - dì addio
a quel virus dell'io.

tratta da Disturbi del Sistema binario di Valerio Magrelli (Einaudi), p.11

Il libro del giorno: Cinafrica. Pechino alla conquista del continente nero di Michel Serge e Beuret Michel (il Saggiatore)

In cerca di petrolio e materie prime per nutrire un'espansione inarrestabile, Pechino si è lanciata alla conquista dell'Africa, che attendeva da troppo tempo una rinascita postcoloniale. E per i cinquecentomila cinesi che vi si sono riversati il continente nero è la promessa di un Far West del ventunesimo secolo. Alcuni hanno già fatto fortuna, altri vendono ancora paccottiglia ai bordi delle strade infuocate dei paesi più poveri del mondo. Per gli africani è forse l'evento più importante dei loro quarant'anni d'indipendenza. I cinesi non assomigliano agli ex coloni. Seducono i popoli perché costruiscono strade, dighe e ospedali, e i dittatori perché non parlano di democrazia o trasparenza. Lungo le ferrovie dell'Angola, nelle foreste del Congo e nei karaoke in Nigeria, Serge Michel e Michel Beuret, insieme al fotografo Paolo Woods, hanno percorso quindici paesi sulle tracce dei cinesi arrivati in Africa e di un nuovo mondo abitato da imprenditori pionieri e lavoratori sfruttati, da progresso e contraddizioni. Dalle campagne impoverite nel cuore della Cina alle poltrone in cuoio dei ministri africani, gli autori ci raccontano l'avventura dei cinesi partiti per costruire, produrre e investire in una terra che per l'Occidente è ormai condannata a ricevere solo aiuti umanitari.

"(...) Cinafrica, Pechino alla conquista del continente nero, un lunghissimo reportage frutto di due anni di viaggi in quindici paesi africani, sulle orme di una presenza, quella cinese, che continua a crescere,provocando inquietudini, dubbi e polemiche, ma che sta davvero cambiando il tracciato della storia nel continente nero!"

Angela Pascucci tratto da Il Manifesto del 14/06/09 p. 12

casa editrice Il Saggiatore: www.saggiatore.it

Cinafrica. Pechino alla conquista del continente nero di Michel Serge e Beuret Michel, 2009, 234 p., Il Saggiatore (collana La cultura)

sabato 13 giugno 2009

L'ultimo dandy di Klaas Huizing (Nutrimenti Edizioni). Rec. di Vito Antonio Conte

Siete stanchi del vorticoso inseguirsi, spesso senza alcunché di autentico, degli umani e delle cose terrene? Ne avete abbastanza di strade, specie se mal costruite, di vie smerdate, edifici fatiscenti e intere città che crollano, sbriciolandosi come le vite di chi, per un motivo qualunque (a volte, senza motivo), le abita, aggiungendo vuoto alle vuote teste (ché il danaro -in fine- è segatura) di chi le ha tirate su come se fosse un gioco, quello della torre di quaranta carte (napoletane o piacentine, poco importa), perdendosi in qualche cazzo di paradiso fiscale prima del primo vento? Altra domanda retorica: siete esausti di sentire ripetere le stesse identiche parole a ogni nuovo disastro, evitabile o no? E un'altra domanda inutile: ne avete le palle piene di tutte le speculazioni (e rimarco “TUTTE”) sul sangue e sul dolore e di quelle (speculazioni) che non lasciano neppure che madre Natura cicatrizzi le ferite? A retoriche domande, scontate risposte (auspico!). E allora generiamo un gran bel black-out. Compresa la contraddizione!?! Nessuna retorica qui. Bene, muoviamoci. Vi porto, se volete, nell'altrove che mi sono concesso (dopo aver fatto la mia misera parte!) nello strazio di questi giorni. Immaginate (per un attimo o, se preferite, per il tempo che vi pare) di trovarvi su una spiaggia, col mare davanti agli occhi. È una distesa d'azzurro che, sull'incerta linea d'orizzonte, trapassa un altro infinito dello stesso colore, solo un po' meno liquido, ma non c'è stacco, ché quegli azzurri si congiungono confondendosi. E se così è, avrete capito che l'ora è quella mattutina. D'etereo etereo. Poi, volgete lo sguardo d'intorno: non c'è altro che sabbia: di battigia, d'arenile, di dune. Siete ancora sulla Terra? Ribaltate l'oggetto del vostro guardare con una rotazione completa di 360°. Non ce la fate? La vertigine vi blocca? Vi si tappano le orecchie? Nessun problema: liberate il tutto masticando piano il momento, come se aveste una chevingum (senza ponti da attraversare, né altro). Immaginate che quella spiaggia, quelle dune, quella luce, quel nitore, quel mare siano oltre le nuvole, quelle bianche ovattate nuvole che preludono al meglio. Al cielo. È, senza dubbio lo è, un aldilà e lì c'è l'ultimo dandy, un uomo che -qualche tempo fa- è passato sulla Terra, su quella Terra, la vedete da quassù?, ch'è sempre più prossima a una carogna animale sulla quale volteggiano altri animali pronti al macabro banchetto finché si può, sino alle ultime briciole. Su questa spiaggia, invece, l'ultimo dandy passeggia rammentando quel ch'è stato e i suoi passi sono eleganti e leggeri, come gli abiti che indossa. Il dandy non ha lasciato nulla al caso: ha vissuto intimamente e individualmente ogni respiro, ha dato al mondo la sua parvenza, un gran bell'apparire, tormentato dall'etica esistenziale che covava nel profondo del suo essere sempre mal combaciante con quella comune, ha previsto sinanco l'anno della sua morte, fallendolo, e poi cercando e trovando quella (morte) che soltanto uno stupido poteva attribuire a terzi (quelli l'avevano ucciso già da un pezzo). Ha vissuto negli agi il dandy, amando Regina Olsen, amandola per sempre, amandola senza poterla avere, ché anche quando la possedeva era condannato alla sua assenza, rimpiangendola per via di una maledizione (ereditata dal padre insieme alle rendite) che soltanto nella sofferenza della rinuncia poteva spezzare. In un anelito di sprezzo per le umane diatribe e di ricerca continua dell'assoluto. Da immalinconire. Da paralizzare. Da viaggiare. Da impazzire. Da morirne. L'antidoto lo trovò nella scrittura. Qui, i suoi passi incontrano quelli di Thomas, il quale gli chiede di condividerli, almeno per un po', ché sarebbe un gran bell'andare insieme (oltre che un vero onore), ché ha sempre stimato il suo vestire fuori dalle mode, con ricercatezza e raffinatezza ineguagliabili, ché ha sempre apprezzato il suo pensiero, ben oltre le speculazioni degli esistenzialisti. Soren, che ama l'adulazione, si fa accompagnare e confida a Thomas che, deluso dalle dicerie sul suo conto (che ancora circolano sulla Terra), va meditando di scrivere un'autobiografia. Thomas, raggiante di giubilo per essere stato messo a parte di questo segreto, si offre per raccogliere le confidenze di Soren e lo prega -in segno di grande affetto- di chiamarlo Tommy. Insieme percorrono larghi tratti del Celeste. L'ultimo dandy è Soren Aabye Kierkegaard, nel mentre Tommy è Thomas Mann, come dire: quando la teologia (nelle sue forme più alte) incontra la letteratura (quella da premio Nobel). Su questo sfavillìo di colori, i due si abbandonano a giochi bambini e a riflessioni sui massimi sistemi condite di una buona dose di ironia e con quel pizzico di autoironia che fa di un uomo un grande uomo. Qui, Soren disvela a Tommy le amarezze del pregresso vivere terreno, le tristezze dei salotti e dei circoli chiusi, le prepotenze dei potenti sui più deboli, la pochezza di una Chiesa sempre più secolarizzata e sempre meno depositaria della primigenia spiritualità, le malinconie del suo mai spiegato dolore fisico, l'origine dello stesso, forse rinvenibile (per trasmissione) nella maledizione che gravava su suo padre per aver questi bestemmiato iddio a cagione della sua (iniziale) povertà o per averlo (una volta diventato ricco) offeso seducendo la giovane cameriera (madre di Soren) a pochi mesi dalla morte della moglie, l'unico vero rimpianto e l'eterno pianto per il suo artato comportamento verso Regina Olsen, pronta a sposarlo contro ogni paventata maledizione e nonostante ogni attuata malefatta. Parlano i due. Di questo e d'altro, parlano. Invero, parla soprattutto Soren. E Thomas se ne prende cura, ascoltandolo e stimolandone la loquacità, talvolta anche accennando a sé e alle sue opere, delle quali, però, limita il dire a meri incipit, forse all'unico fine di aprire intimità a intimità, sì che i loro passi siano condivisione estrema. In questo Celeste liquido e gassoso ho incontrato Soren e Tommy. Sullo sfondo abbiamo lasciato Hegel che litigava con Schelling, Freud che rimbrottava Jung e una schiera di altri grandi del passato intanto che da un gazebo (manco a dirlo, di tela bianca) si diffondevano le note di Mozart e tutte le disgrazie del mondo affogavano nelle nostre risate e nella lettura. Nella lettura di questo libro che ha poco di filosofia e molto di vita. Il libro è “L'ultimo dandy” (Nutrimenti Edizioni, 2005, pagg. 200, € 15,00), di Klaas Huizing. Ora me ne torno alle quotidiane occupazioni, mi prendo cura dell'ordinario, ma non posso fare a meno di pensare che finita un'ossessione ne comincia un'altra. “D'altra parte, all'epoca, soffrivo meno di quanto forse credi. Ho curato la mia ossessione per il pensiero con l'ossessione per il lavoro... Mi sono curato da me. Sai qual è la parola chiave? Bagni di scrittura!”. Bagni di scrittura... Adesso, volendo, potete scendere. Con stile, però.
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Il libro del giorno: Vite pulviscolari di Maurizio Cucchi, Mondadori (collana Lo specchio)

Condotta su vari temi, questa raccolta parte da un dialogo con la madre scomparsa e si conclude con la cronaca di un breve viaggio per mare, dove l'autore riflette su una sorta di strana coincidenza tra la teoria astrofisica dei buchi neri e il racconto "Una discesa nel Maelstrom" di Edgar Allan Poe. Nelle parti centrali, meditazioni liriche sugli affetti e sull'amore, sul riaffiorare di immagini dalla memoria, sulla presenza viva eppure mutata degli oggetti nel nostro tempo.

"Parte con un potente capitolo autobiografico Vite pulviscolari, la nuova raccolta di poesie di Maurizio Cucchi: la madre morta, il ricordo, lo struggimento del distacco; ma anche il rintocco cupo del nuovo disgregarsi di un'identità forse appena ricomposta in Per un secondo o un secolo (2003) sotto il segno di un'orgogliosa autoironia. Le vite pulviscolari e ignote, che fanno sentire la propria labile presenza da un passato remotissimo inopinatamente ripropostosi, si riverberano nello smarrimento definitivo di un soggetto ormai sull'orlo del Maelstrom, che dispera di potersi attribuire un valore, appunto, non pulviscolare"

di Stefano Giovanardi tratto da Almanacco dei libri de La Repubblica del 13/06/09, p. 40

casa editrice Mondadori: http://www.librimondadori.it/web/mondadori/home

Vite pulviscolari di Maurizio Cucchi
2009, 105 p., brossura, Mondadori(collana Lo specchio)

venerdì 12 giugno 2009

SONETÀULA di Salvatore Mereu al Fondo Verri di Lecce

Lunedì 15 giugno 2009 presso il Fondo Verri di Lecce (Via Santa Maria del Paradiso) il Cineclub Fiori di Fuoco organizza una serata dedicata alla Sardegna ed al cinema italiano con la proiezione del film “Sonetàula” (2008, 157’), ultima fatica di Salvatore Mereu. Il regista sardo, uno dei maggiori talenti della nuova generazione del cinema italiano, insieme ai più noti Crialese (“Respiro”, “Nuovomondo”), Sorrentino (“Le conseguenze dell’amore”, “Il Divo”) e Garrone (“L’imbalsamatore”, “Gomorra”), si è imposto per un cinema che valorizza le immagini più delle parole, con storie e volti di uomini semplici, paesaggi e costumi dell’Italia di provincia.
Già autore di splendidi cortometraggi, grazie al suo stile personale, Mereu si è aggiudicato nel 2003 il David di Donatello come miglior regista esordiente con “Ballo a tre passi”.
“Sonetàula”, che, nonostante il consenso della critica, non ha goduto di ampia diffusione in sala, sarà ora visibile anche nel Salento grazie all’accordo sulla distribuzione in dvd public tra Lucky Red e Unione Italiana Circoli del Cinema.
La serata costituisce un’anticipazione della quarta edizione del Festival del Cinema Invisibile che in agosto porterà a Lecce il miglior cinema indipendente italiano.
L’inizio della proiezione, previsto per le ore 21.00, sarà preceduto da una degustazione di liquore al mirto tipico della Sardegna.
Ingresso € 3,00 per i soci.
Info: digilander.libero.it/fioridifuoco - fioridifuoco@libero.it - 0832.304522 - 348.7667033

Moana Pozzi: dal film con Violante Placido al libro di Ivan Guerrerio per Agenzia X

Sono davvero curioso di vedere il film su Moana Pozzi di Sky e chi meglio di Violante Placido, vuoi per bellezza, vuoi per un non so che di sguardo che ricorda la pornodiva scomparsa prematuramente a 33 anni, poteva interpretare un ruolo così intrigante ma anche così delicato, dal momento che di banalità potrebbero farsene in abbondanza, soprattutto in questo caso. Cosa ci dovremo allora aspettare? Verrà tolto quel velo di mistero che a tutt’oggi circonda la sua morte? Sembra che l’intenzione della produzione di questo film sia diretta a mostrare Moana dalla sua giovinezza, in un contesto cattolico e borghese, al porno con il mitico Riccardo Schicchi, alla politica, al matrimonio e alle amicizie con potenti personaggi politici. Naturalmente il tutto non potrà prescindere dal considerare il mondo hard che l’attrice viveva con semplicità e senza falsi pudori. Ciò che comunque rimane nell’immaginario collettivo di questa donna senza inibizioni è proprio il suo senso di libertà, una voglia profonda di ribellione, ed una sensualità elegante mista ad una forza sessuale al di là di ogni volgarità. Moana ha rappresentato il sogno erotico di moltissimi uomini ma forse è stata una valida insegnante in spregiudicatezza per tante donne. Chissà allora se Violante Placido, Giorgia Wurth (Ciocciolina) o Elena Bouryka (Baby Pozzi) sono riuscite a calarsi nelle parti … ma poco importa alla fine. Quello che dovrà emergere alla fine sarà solo la storia di una donna a suo modo eccezionale e straordinaria come la Pozzi. Intanto per rimanere in tema dal 6 giugno 2009, Agenzia X, pubblica l’intrigante “Splendido splendente" di Ivan Guerrerio, dove l’autore ripercorre l’intero tracciato biografico di Moana Pozzi secondo un punto di vista assolutamente inedito. L’Io narrante è affidato alla voce di Marzio Milani, che conosce l'attrice nel 1978, in un’età delicata , spregiudicata, problematica come solo l’adolescenza può essere, e segue con lo sguardo puro di chi è innamorato la parabola pubblica ed esistenziale della protagonista. L'Italia che fa da scenario è quella che cambia, dagli anni ottanta (forse della Milano o della Torino da bere?!) sino ai nostri giorni, e il rapporto castrante con il desiderio e la morale di un paese alla fin fine condannato ad un perpetuo provincialismo, al di là anche dei suoi goffi voli da tacchino, come direbbe Francesco Guccini. Con uno stile impeccabile, a metà tra il giornalismo da gossip e quello d’inchiesta, Ivan Guerrerio restituisce vita al mito e lo mostra sotto la fulgida luce del pop.

Il libro del giorno: Louise Bourgeois Distruzione del padre / Ricostruzione del padre (Quodlibet) (in uscita)

Louise Bourgeois è una delle più importanti artiste del nostro tempo. Nata a Parigi il 25 dicembre del 1911, intraprende la sua formazione artistica frequentando l’École du Louvre, l’Académie des Beaux-Arts, l’Académie Julian, e l’Atélier Fernand Léger. Nel 1938 si trasferisce a New York, sua città di adozione, dove vive tuttora. La sua fama è stata consacrata negli ultimi anni da una serie di grandi retrospettive, tra le quali ricordiamo quelle al MoMA e al Guggenheim Museum (New York) e, al di qua dell’Atlantico, quelle alla Tate Gallery (Londra), al Centre Pompidou (Parigi) e al Museo Capodimonte (Napoli). Questo libro riunisce in successione cronologica la maggior parte degli scritti di Louise Bourgeois sulla propria vita e sul proprio lavoro: dal facsimile di alcune pagine preadolescenziali, tratte da un diario del 1923 smarrito da Louise in treno e recentemente ritrovato su una bancarella parigina, fino a una selezione di interviste e colloqui degli ultimi vent’anni. Tra questi due estremi cronologici figurano un consistente carteggio giovanile con la sua amica e artista Colette Richarme (illuminante sul periodo parigino), testi connessi ai suoi disegni e alle sue sculture (Distruzione del padre/Ricostruzione del padre, Il puritano, Svanì in completo silenzio), articoli di riflessione sull’arte (La genesi di un’opera d’arte, Sul processo creativo, L’arte è salute mentale, La passione per la scultura). Ma non è tutto. Nel corso della vita Louise Bourgeois ha incontrato e frequentato molti fra i principali protagonisti della scena letteraria e artistica contemporanea. Di tali frequentazioni questo volume registra commenti, aneddoti, ricordi di grande suggestione. Attraversano queste pagine, tra gli altri, André Breton e Marcel Duchamp («Breton e Duchamp mi rendevano violenta… il loro pontificare… Essendo un’esule, le figure paterne mi davano ai nervi»), Fernand Léger (suo «maestro»), Mark Rothko, Alberto Giacometti («Era un uomo difficile. Aveva una grande paura di uscire. Era paralizzato dalla paura. Tutti erano gentili con lui, ma era come un bimbo perduto»), Francis Bacon, a cui dedica uno scritto («Guardare i suoi quadri mi rende viva. È quasi come essere innamorati. La sua opera è uno dei più grandi omaggi alla donna»), Robert Mapplethorpe, autore del suo più celebre ritratto. Sono presenti, infine, lettere agli editori, commenti alle proprie opere, dichiarazioni ufficiali tenute in occasione di convegni e premiazioni, brani trascritti dai principali film e documentari a lei dedicati. Che parli di trame elaborate da alcuni artisti per farsi strada, di Lacan o di Freud (I giocattoli di Freud, 1990), dell’esperienza giovanile nel laboratorio di restauro di tessuti dei suoi genitori – molto presente nella sua opera, anche in tempi recenti –, o del rapporto con il padre, i suoi fratelli e la sua istitutrice, si rimane colpiti dall’intensità delle sue affermazioni e commossi dalla franchezza delle sue risposte. L’insieme di questi testi consente di completare e correggere la percezione della sua opera, restituendoci un ritratto assai dettagliato dell’artista e della sua personalità, oltre che uno scorcio, in presa diretta, della storia dell’arte del Novecento.

"A osservare i suoi disegni, o pensieri piume, , sui cui coglie al volo fugaci impressioni, così come le sue sculture intrise di erotismo o le sue installazioni, si scopre un unico Lietmotiv: la voce del ricordo e la consapevolezza di affidare alla creatività il proprio tormento nell'assunto che l'arte è sublimazione e insieme affermazione della propria identità di donna e artista"

di Mara Lo Sardo tratto da Il Venerdì di Repubblica n.1108, p. 102

casa editrice Quodlibet: http://www.quodlibet.it/

Louise Bourgeois
Distruzione del padre / Ricostruzione del padre
Scritti e interviste (In Uscita)

A cura di Marie-Laure Bernadac e Hans-Ulrich Obrist
Traduzione di Giuseppe Lucchesini e Marcella Majnoni
2009, Quaderni Quodlibet, pp. 444, € 32,00

giovedì 11 giugno 2009

Keep Your Self Alive di Massimiliano Città (Lupo editore)

Il romanzo di Massimiliano Città dal titolo “Keep Yourself Alive” (Lupo editore) non è un libro per tutti. Che sia Beat, è fuori discussione, e per questo forse lo rende un po’ vintage, rispetto a quello che viene prodotto oggi nel panorama letterario italiano, dove autori come Tommaso Pincio, Giuseppe Genna, Valerio Evangelisti, Wu Ming 1, Tullio Avoledo, Alessandro Bergonzoni, e altri, si interrogano in Anteprima Nazionale edito da Minimum Fax a cura di Giorgio Vasta, come sarà l’Italia fra cinquant’anni. Per tutte le pagine di quest’opera fortissimo è un desiderio del protagonista, di trovare la sua beatitudine rispetto all’inferno che porta dentro di sé, una specie di salvezza ascetica ed al contempo estatica, che nulla ha a che fare con lo Zen o altre filosofie orientali, ma che viene ricercata attraverso droga ed alcol, incontri carnali, che comunque fanno sempre il loro effetto da James Dean e Jim Morrison in poi. E’ Beat come desiderio di ribellione, come battito, come ritmo, è Beat nel suo essere sudato, vissuto e catartico. E’ Beat e forse anche un po’ pulp in questa consapevolezza ferocemente distruttrice, dissacrante della memoria di un suo tracciato biografico ed auto-lesionante, che si respira tra le righe di questo lavoro, anche nella libertà di essere sconfitti, in maniera totale e assoluta. Certo, le definizioni trovano il tempo che trovano, ma perlomeno aiutano a fornire un quadro ermeneutico di base per non vagare completamente al buio. Enzo, la figura principale del romanzo, ha diciannove anni e racconta di come abbandona il suo paese natale, una piccola realtà in una piccola provincia dell’interland siciliano, per trovare la sua dimensione di vita, in altri luoghi, in altri occhi, in altri corpi. La discesa verso il baratro prende corpo con la morte del nonno Gino, figura tracciata magistralmente, che incarna la tradizione, la storia, la famiglia, che racchiude come in uno scrigno grezzo la memoria cellulare della terra e del sole di quelle latitudini, fatta di arsura di slanci e di tempo scandito dagli sguardi pigri dei pochi avventori seduti ai tavolini di un piccolo bar in piazza . Questo evento diverrà una frattura insanabile, che scaraventerà Enzo fuori dalla sua “zona comfort”, lasciandolo letteralmente in balia degli eventi. In una psicotica stagione estiva di movida siciliana, il nostro anti-eroe, conosce Daniela (fighetta cocainomane in simil-plastica) di cui si innamora. Per lei perde la testa, tanto da prendere il primo treno e partire per Milano per raggiungerla. Nella capitale lombarda, incontrerà padre Ennio, compassionevole e fraterno che lo aiuterà nei primi momenti di sconforto e solitudine; conoscerà Damiano dell’Olgo’s Bar , che gli permetterà di sbarcare il lunario offrendogli non solo vitto e alloggio, ma anche un lavoro; frequenterà il folle Jessie e la sua corte di tossici coi quali stringerà un patto di sangue; sperimenterà in un grottesco delirio di onnipotenza, la sensazione di essere “arrivato” come dj nelle feste che contano e nei giri giusti. Infine dopo ben sei anni di totale caos esistenziale, ritrova Daniela, per assistere alla sua tragica fine. La scrittura di Massimiliano Città spazia da una prosa corposa e coinvolgente, a slanci, anche se pochi, veramente di alta prosa poetica. Una delle peculiartià di quest’autore è l’abilità nel destreggiarsi tra memoria vicina e lontana, tra ambienti, personaggi e situazioni in bilico tra il grottesco e il paradossale, il tutto condito da un costante rumore bianco che lo incatena ad un mefitico nichilismo passivo: la distruzione per la distruzione. La tecnica di scrittura è priva di sbavature ed ottiene un effetto-verità, quasi psichedelico

Il libro del giorno: Nuovi Argomenti n.46 - Italia Anno Zero (Mondadori)

Nel 1953 Alberto Carocci e Alberto Moravia fondano "Nuovi Argomenti'', da allora la rivista è rimasta un punto di riferimento per il mondo intellettuale e letterario italiano. Nei suoi cinquantacinque anni di attività si sono alternati alla direzione i principali protagonisti della scena culturale italiana, da Pasolini a Sciascia, da Bertolucci a Siciliano, fino all'impegno attuale di Dacia Maraini. Negli ultimi anni "Nuovi Argomenti" ha saputo dimostrare la sua straordinaria vitalità scommettendo su molte delle voci più interessanti della nuova generazione di scrittori, tra le quali quelle di Alessandro Piperno, Roberto Saviano e Paolo Giordano. In questo numero di Nuovi Argomenti: diciotto racconti sull'inizio del terzo millennio.

Interventi di 18 racconti sull'inizio del terzo millennio

Raffaele La Capria, Dacia Maraini, Vincenzo Pardini, Giorgio van Straten, Mauro F. Minervino, Helena Janeczek, Lorenzo Pavolini, Carola Susani, Leonardo Colombati,
Flavio Santi, Elisa Davoglio, Mario Desiati, Giancarlo Liviano, Chiara Valerio
Arnaldo Greco, Federica Manzon, Paolo Di Paolo, Paolo Giordano

"Mi piace molto il racconto di Paolo Giordano in questo numero della rivista: un rappresentante di aspirapolvere in crisi viene licenziato mentre suo figlio sparisce ..."

di Antonio D'Orrico (In Venticinque parole) tratto dal Corriere della Sera Magazine n.23 p. 116

Nuovi argomenti. Vol. 46: Italia anni zero.
2009, 350 p., brossura, Mondadori(collana Nuovi argomenti)

mercoledì 10 giugno 2009

Il lavoro di Raquel Tibol su Frida Khalo visto da Maria Beatrice Protino



















«Non è la tragedia a presiedere l’opera di Frida Khalo… La tenebra del suo dolore è soltanto lo sfondo vellutato per la luce meravigliosa della sua forza biologica, di una sensibilità finissima, di un’intelligenza splendente e di un’invincibile forza… Lei lotta per vivere e per insegnare ai suoi compagni, gli esseri umani, come resistere alle forze avverse e trionfare su di esse per giungere a una gioia superiore». Queste le affermazioni di Diego Rivera, marito di Frida, riportate nel libro-biografia di Raquel Tibol (Rizzoli, 2003) sul mito di una donna, di un’icona del femminismo mondiale, di una pittrice senza eguali protagonista della scena artistica latino-americana del primo novecento. La Tibol utilizza lettere e diari di Frida, ma anche ricordi personali essendo stata ospitata nella casa della pittrice e avendola intervistata lungamente - nonché ricerche d’archivio. Nella biografia vengono raccontate le vicende personali e le circostanze storiche che videro La Kalho protagonista della scena politica da militante di sinistra, l’arte, la psicologia, la passione per la vita: ne si ammira la forza in un’analisi complessa e affascinante del mito. Frida riuscì a sublimare il dolore personale - fu colpita a sette anni dalla poliomielite e a diciotto subì un gravissimo incidente che la condannò per tutta la vita a terribili sofferenze - in un’arte che Breton - teorico della corrente surrealista - dichiarò tale per cui il lato umano e quello artistico risultavano uniti indissolubilmente, un tipo di pittura definito da Rivera «realismo monumentale, che racchiude in sé esteriorità, interiorità e il fondo di se stessa e del mondo», eppure profondamente, anzi forse suo malgrado, messicano, legato senza affettazione né pregiudizio estetico all’espressività e alla plasticità di un genere pittorico popolare, umile, lo stesso che gente anonima sviluppava su piccole lamine di metallo o legno per illustrare il miracolo di un santo, della Vergine o di Dio: era la prima volta per una donna risultare capace di esprimere con franchezza scarna e feroce, tenerissima e crudele eppure esatta, realista fino all’osso quei caratteri personali e generali che concernono propriamente alle donne. Ed infatti, denominatore comune dei pittori surrealisti è il forte legame con la tradizione e, insieme, la creazione di iconografie del tutto personali. Frida deve molto ai ritratti fotografici che si realizzavano in Messico nella seconda metà dell’Ottocento, come deve molto ai retablos (quadretti che ringraziano Dio e i santi perché la vita continua nonostante le più orrende disgrazie) e all’arte popolare messicana che utilizzava i materiali più poveri per esprimere con disinvoltura ironica anche il macabro. Fu, poi, la sua sincerità ad indurla a dare testimonianza esatta, attraverso la pittura, di alcuni eventi come la sua stessa nascita, il suo allattamento, la sua crescita in famiglia e le sue terribili sofferenze, senza mai la minima esagerazione o discrepanza rispetto ai fatti precisi, e, proprio grazie al suo atteggiamento, gli stessi fatti diventano universali, si pongono su un piano molto più ampio che non quello prettamente personale: assumono un ruolo sociale.
Nel suo diario Frida offriva la chiave magica della sua tavolozza, insieme a riflessioni da incubo: «Verde come luce tiepida e buona; giallo come follia, malattia, paura, parte del sole e dell’allegria; blu cobalto come elettricità e purezza, amore; magenta come sangue?, mah, chi lo sa!». Come sottolinea la Tibol: «Insieme alla forza del suo carattere, alla disciplina spirituale che le fece superare la propria condizione e il limite della sua condizione fisica, al rifiuto di piegarsi al dolore, è il suo surrealismo allo stato puro, senza ricerca a tavolino, senza aridità intellettuale ad affascinare: esso è atto surrealista nel quale la pittura propriamente detta ebbe un ruolo – addirittura – secondario».

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Tower of god. Vol. 13 di Siu

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