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venerdì 8 maggio 2009

L'Italia di mattina di Franco Cordelli (Giulio Perrone editore)

Giro d'Italia 1989. Un cronista-scrittore di nome Scipione racconta, tappa per tappa, la corsa ciclistica; attraversa paesi e città - da Taormina a Trento, con traguardo a Firenze. Porta con sè libri e domande: viaggia, legge, si interroga. "Scipione scriveva e i corridori gli correvano intorno", attraverso un'Italia che lo sorprende per luce e bellezza.
Immerso nel paesaggio italiano, vi si abbandona: indaga piccole verità della storia ed enormi verità umane. Riscopre luoghi che credeva di avere dimenticato, li ritrova più veri nella lentezza e nella fatica di chi spinge sui pedali. Ama quei campioni. Ama il ciclismo per la sua povertà eroica. Forse minata - proprio in quella fine di decennio - da una mondializzazione che tutto trasforma.
Si poteva più vincere soltanto con le proprie forze? Si poteva più riconoscere la qualità di un campione? Cambiava il ciclismo, cambiava l'Italia. L'uno, per Scipione, diventa specchio o allegoria dell'altra: pretesto per un racconto che si fa romanzo, saggio, atto di poesia.

Franco Cordelli ha scritto, spinto da un'antica passione sportiva, forse l'ultimo. emozionante reportage totale sul nostro Paese (Paolo Di Paolo)

Poesia. La rivista per-versi di Crocetti con l'x-factor!

La rivista sicuramente più interessante non solo a livello nazionale (ventimila copie mensili tirate e distribuite nelle 38 mila edicole d’Italia) la cui fama arriva a scavalcare i confini del nostro paese, sicuramente è Poesia, che da poco più di un annetto ha festeggiato il suo ventennale. Alle spalle di un periodico come questo, che supera il luogo comune della vendibilità di un prodotto monotematico sul mondo dei versi, c’è un uomo che ha da sempre creduto nella cultura e nel suo valore: Nicola Crocetti, nato a Patrasso da madre greca, arrivato in Italia nel ’ 45, dal 1981 editore, con un sogno che ha saputo trasformare in realtà, sicuramente investendo del suo anche in termini di patrimonio personale: la poesia deve raggiungere tutti. Ora si potrebbe immaginare che una pubblicazione che va in edicola, si occupa di argomenti considerati non solo out dal mercato editoriale ma anche down, sia piena zeppa di pagine, mezze pagine, mozzini di pubblicità: niente di più falso, anzi quasi sorge il dubbio del miracolo economico tout court, autentico, grandioso sia per la sua vita pubblicativa sia per la quasi totale assenza di inserzioni a pagamento. In più a conferma di quanto detto sinora , una regola (valida naturalmente per Crocetti e le sue pubblicazioni) che nel mondo dei libri si tramanda di generazione in generazione, è che i prodotti della piccola editoria, sono il più delle volte dei veri e propri gioielli: mai verità più grande per questo caso specifico. La casa editrice di Milano, riedita, fa nuove traduzioni, pubblica inediti, fotografie, e ben oltre 1800 poeti selezionati dall’editore in persona che ci mette la faccia, e da una redazione e un comitato di redazione non solo tra i più competenti, ma anche dotato di un sottile fiuto per i capolavori. Per tornare alla rivista, è vero che Poesia si occupa di storia della letteratura poetica e quindi vitrovano posto nano-monografie su Omero, Esiodo, Saffo, Dante Alighieri, Giacomo Leopardi, Carducci, ma anche la contemporaneità è degnamente rappresentata Pavlos Màtesis, Zyranna Zateli, Ioanna Karistiani, Maria Mavromataki e ancora Maria Luisa Spaziani, Mario Luzi, Alda Merini, Franco Loi. Numerose le segnalazioni recensive su ciò che agita le acque della produzione poetica nazionale e non, come numerose sono le segnalazioni di inediti e le news sui concorsi per versi. Naturalmente per un lavoro così encomiabile, nasce spontaneo il fatto di pensare a dei super-poteri che ciascun personaggio organico allo staff che fa la storia di questa casa editrice, ha a disposizione … forse il loro super-potere (come recita l’ultimo spot della Coca Cola light) è il fatto di essere quello che sono. Io ve li presento. A voi, andare in edicola e leggere Poesia! (http://www.crocettieditore.com/)

Direttore responsabile: Nicola Crocetti

Vice direttore: Angela Urbano


Comitato di redazione:

Massimo Bacigalupo, Donata Berra, Donatella Bisutti, Yves Bonnefoy, Roberto Carifi, Arnaldo Colasanti, Milo De Angelis, Enzo Di Mauro, Luigi Forte, Marco Forti, Nicola Gardini, Bruno Gentili, Cesare Greppi, Tony Harrison, Seamus Heaney, Giovanna Ioli, Barbara Lanati, Franco Loi, Angelo Lumelli, Lucio Mariani, Predrag Matvejevic, Paul Muldoon, Daniele Piccini, Marina Pizzi, Giancarlo Pontiggia, Roberto Rossi Precerutti, Silvio Ramat, Mario Richter, Jacqueline Risset, Ezio Savino, Maria Luisa Spaziani, Tomas Tranströmer, Derek Walcott, Charles Wright, Adam Zagajewski

Redazione:

Stefano Calvi, Luigi Gargano, Corrado Peligra, Antonello Satta Centanin, Fabio Simonelli


Redazione negli Stati Uniti
:

Paolo Valesio: Columbia University Department of Italian 508 Hamilton Hall, MC 2827
1130 Amsterdam Avenue - New York - N.Y. 10027 U.S.A.


Redazione in Gran Bretagna
:

Nicola Gardini: Saint Cross College Oxford University - Saint Giles OX1 3LZ Oxford - Regno Unito

Il libro del giorno: Donato Valli, Chiamami maestro. Vita e scrittura con Girolamo Comi (Manni editore)

Ci sono, in queste pagine, un maestro e un discepolo che diventa maestro. Attraverso il diario inedito di Girolamo Comi, fedelmente trascritto, Donato Valli rievoca lunghi anni da cui emergono nitide la figura del poeta che in tempi bui rapportava il Salento alla cultura italiana, e la storia di una generosa amicizia intellettuale.

Donato Valli - Dal 1951, quando iniziò su “L’Albero” di Comi, scrive di letteratura.

casa editrice Manni: http://www.mannieditori.it/index_x.asp

"Come una confessione, come un omaggio sentito e commosso, come una lettera “pubblica” al proprio maestro, il testo di Donato Valli ritrae Girolamo Comi in tutta la sua forza: “Quel che m’innamorava m’innamora”, scriveva quest’ultimo negli anni della vecchiaia, eterno fanciullo e poeta".

di Alessandra Guareschi

da QuiSalento, maggio 2009, p. 52

Donato Valli, Chiamami maestro. Vita e scrittura con Girolamo Comi
104 pagine - € 13,00 - ISBN: 978-88-6266-128-7

giovedì 7 maggio 2009

Le novità di Hacca edizioni per maggio/giugno 2009




In libreria dal 20 Maggio




Luca Canali, L’interdetto, 208 pagine, 14,00 euro

Il libro

Questo romanzo inizia come un “giallo”, ma è una finta partenza. Siccome “tedio e orrore” sono più forti dei misteriosi incastri della narrazione di mistero, nel volgere di poche pagine scopriamo che i personaggi de L’interdetto credono poco alla consolazione delle tattiche difensive e alle mascherate di genere, e subito si presentano per quello che sono: personaggi fragili, in procinto di cadere, anime vulnerabili, finanche strambe.
Un commissario, Strina, prima di cadere rovinosamente nel Purgatorio della malattia e della pensione, è turbato da quattro inquietanti denunce. Fatti di rilevanza penale, apparentemente senza clangore: lettere minatorie, danni patrimoniali, vendette. Strina è turbato, perché sente, con fiuto animalesco, l’odore della resa dei conti. Anche il suo più stretto collaboratore, Esposito, più accomodante e meno crucciato, sente lo stesso odore: l’odore della fine. Ma cosa disintegra in profondità i vecchi equilibri di un tranquillo quartiere cittadino, basato su menzogne taciute e cattiverie mal trattenute?
Il segreto di questa disintegrazione morale è nelle mani di un “grande vecchio”, il Professor Nullian, affascinante studioso amante degli animali, scrittore famoso che vive quasi come un clochard, e che difende gli innocenti animali con piglio integralista, facendone una questione di primaria importanza. Sarà lui, con la sua bizzarra vitalità, a muovere i fili dei crolli a catena, e, se vogliamo, a suggerire una possibile purificazione dai tanti “mali oscuri” della realtà che lo circonda. Nonostante qualcuno riesca a interdire questo vecchio genio, ugualmente sarà lui, con la sua intelligenza, a suggerire i destini dei personaggi di questa storia. Perché L’interdetto, pur essendo un’amara riflessione sul male, sull’ipocrisia, sulla corruzione e sulla “malattia chiamata uomo”, si configura come uno dei pochissimi romanzi in cui ai vecchi è dato in sorte il potere di essere suscitatori di destino, divenendo burattinai dello smascheramento esistenziale. E questo dato è confermato dalla lingua lucida e limpida di Canali, uno scrittore che ha portato luce in ogni interstizio delle sue storie, che pure, sempre, sorgono dal buio.

L'autore

Luca Canali (Roma 1925).
Dopo tredici anni (1945-58) di intensa attività nell’organizzazione di base del partito comunista, e ventidue anni di insegnamento e ricerca nell’Università di Roma (assistente prima di Natalino Spegno, poi di Ettore Paratore), consegue la cattedra di Lingua e Letteratura latina nell’università di Pisa. In pensione anticipata per motivi di salute, si dedica alla saggistica, alla poesia e alla narrativa. Vasta la sua attività di traduttore: tutto Virgilio, Lucrezio, Catullo, Orazio, gli Elegiaci e Petronio.
È stato redattore del “Contemporaneo”, ha collaborato con “Il Verri” di Luciano Anceschi, “Paragone” di Anna Banti e Roberto Longhi. Ha pubblicato saggi, fra i quali Personalità e stile di Giulio Cesare, Sesso e violenza nell’antica Roma, Il sangue dei Gracchi. Nel 1981 esce il suo primo e più noto romanzo Autobiografia di un baro (Bompiani), cui seguono, tra gli altri, Nei pleniluni sereni (Longanesi) L’uomo che non stava al gioco (Piemme) L’innocenza dei colpevoli (Manni).


In libreria dal 10 Giugno


Turi Vasile, L’ombra, 130 pagine, 13,00 euro

Il libro

Questi racconti di Turi Vasile sono scritti in piena luce. Il vecchio io autobiografico de L’ombra torna a essere, per le misteriose metamorfosi del destino umano, un bambino ammalato di nostomanìa, abbacinato nell’eden di una Messina che risorge, come l’Araba fenice, dalle sue ceneri. Non c’è scrittore in Italia altrettanto disarmato. E la mano di Vasile, nel mentre scrive, anziché chiudersi, si apre, mostrando ogni linea, ogni vena. Non ci sono segreti, in questi racconti; e anche la vita fuggitiva, e il mistero della morte e del dolore, sono accettati con bonomia, con lacrime di bambino con la faccia di vecchio.

I racconti di Vasile sono aperti come un ventaglio. Tutto vi è detto con pudore e sincerità: la disperazione per la moglie Silvana, chiusa nella torre della malattia; l’affanno degli anni, che hanno perso la giovanile dispnea causata dalla “lissa”, e hanno trovato l’altra dispnea, quella di chi ha il cuore malato; i tanti ricordi che risorgono intatti da un luogo che non esiste, se non nell’anima. Con questo memoriale lirico, Turi Vasile scrive uno dei suoi libri più commoventi. E, nonostante in uno dei racconti più belli di questa raccolta un uomo perda la propria ombra, solo alla fine quest’uomo capirà che, senza la propria ombra, si muore davvero. L’ombra è su di noi, e dobbiamo portarla dietro come un doppio siamese. Sono pochi gli scrittori che sanno “dialogare con le ombre” come Vasile – e, sempre, anche i morti sembrano vivi, nei suoi racconti. Aleggia sull’opera e sulla vita di Vasile un nuovo mito, quello di Margite, colui che sapeva fare tutto, ma tutto faceva male. Senza grancasse e senza sociologia – sorretto soltanto da una lingua tersa e immediata, da un’attitudine al sogno che lo pone al fianco dei grandi lirici greci, e da un’attenzione al quotidiano miracolosa, e all’epifanico dettaglio minimo – Vasile si riconferma uno dei nostri grandi scrittori – smentendo Margite – proprio perché mai prima s’era vista così tanta luce nella disperazione, sia pur sorretta dall’esistenza di un Dio muto che, in quanto essere pensabile, solo per questo non potrà non dare senso a tutto l’incomprensibile dolore del genere umano.

L’autore

Turi Vasile (Messina, 1922), regista, produttore e scrittore, ha pubblicato, tra le altre cose: Paura del vento e altri racconti (Sellerio, 1987), Un villano a Cinecittà (Sellerio, 1993), L'ultima sigaretta (Sellerio, 1996), Male non fare (Sellerio, 1997), Il ponte sullo stretto (Sellerio, 1999), La valigia di fibra (Sellerio, 2002), Morgana (Avagliano editore, 2007), Silvana (Avagliano editore, 2008).

In libreria dal 25 Giugno

Felice Piemontese, Fantasmi vesuviani, 100 pagine, 10,00 euro

Il libro

Fantasmi vesuviani è un memoriale importantissimo sulla cultura a Napoli. Un memoriale scritto con in corpo il vaccino vivo de Il silenzio della ragione di Anna Maria Ortese, il racconto più crudele sulla disperata e compiaciuta autoreferenzialità degli scrittori napoletani.

Felice Piemontese, con la sua drammatica percezione del disastro e dell’oblio, chiama a raccolta, in un libro che non è testamento soltanto in virtù di una totale assenza di solennità retorica, tutti i protagonisti e le comparse della cultura napoletana dagli anni Sessanta agli anni Novanta del secolo scorso. Ecco sfilare uno per volta artisti, galleristi, giornalisti, scrittori, militanti politici, scrittori stranieri, editori e librai di una Napoli che sempre prova ad aprirsi al mondo – a volte con genialità, a volte con goffaggine – ma che sempre sprofonda in se stessa, nella propria pigrizia, e nei propri vividi e infernali labirinti senza via d’uscita.

I “fantasmi” di questo libro sono Domenico Rea, Lucio Amelio, Franco Cavallo, Franco Capasso, Luciano Caruso, Giuseppe Recchia, Alberto Marotta, Fabrizia Ramondino, Nicola Pugliese, Mario Guida, Tullio Pironti, Roland Barthes, Jack Kerouac, Michele Prisco, Luigi Compagnone e tanti altri, mentre l’ultimo “fantasma”, il più vivo di tutti, è il troppo dimenticato Luigi Incoronato, il cui suicidio, nella formazione morale di Piemontese, ha probabilmente contato più della militanza politica e giornalistica, e dell’esperienza neoavanguradistica. Fantasmi vesuviani è un memoriale scritto con levità e “freddezza”; è un libro che affiora dall’inconscio obliato di Napoli; è una confessione in cui la nostalgia ha il collo strozzato, e cede il passo a una dura poesia radiografica, di pianto senza lacrime.

L’autore

È nato a Monte S. Angelo (FG) nel 1942, ma vive dal 1946 a Napoli, dove svolge attività di giornalista presso la RAI TV e critico letterario per il quotidiano «Il Mattino». Oltre che di poesia (lineare e verbovisuale) e saggistica, si occupa anche di narrativa, pubblicando i seguenti volumi: Là-bas (Geiger, Torino, 1971); MDZ (Colonnese, Napoli, 1972); Ancora della poesia visiva (Continuum, Napoli, 1973); Racconto (1975); Intorno a quelle macerie (Carte Segrete, Roma, 1981); Dopo l'avanguardia (Guida, Napoli, 1981); Da un'immensa distanza (narrativa, Shakespeare & Company, Roma, 1986); Epidemia (narrativa - Pironti, Napoli, 1989); Autodizionario degli scrittori italiani (saggistica, Leonardo, Milano, 1990); La città di Ys (Manni, 1996) e il romanzo Dottore in niente (Marsilio, 2002).

MINIMUM FAX ALLA FIERA DEL LIBRO DI TORINO 2009

SABATO 16 MAGGIO
Stand Il Circolo dei Lettori – Padiglione 3 - ore 18
APERITIVO CON ANTEPRIMA NAZIONALE


Gli autori, il curatore, gli editori di Anteprima nazionale
e Antonella Parigi, la direttrice del Circolo dei Lettori,
MINIMUM FAX ALLA FIERA DEL LIBRO DI TORINO
14-18 maggio 2009


Come tutti gli anni, Minimum Fax va in trasferta a Torino per l'annuale Fiera del Libro! Quest'anno la potete trovare allo stand J51 nel padiglione 2.


Ecco gli appuntamenti che la casa editrice presenta:

GIOVEDÌ 14 MAGGIO

Sala Blu - ore 17

L’Europa non fa più sconti.
La legge del libro all’estero

a cura di Instar Libri, Iperborea, Marcos y Marcos, minimum fax, Nottetempo e Voland in collaborazione con Goethe Institut di Torino e NLPVF Foundation for Production and Translation of Dutch Literature

Intervengono
Harry Kramer (Olanda)
Liana Levi (Francia)
André Schiffrin (USA)
Verena Sich (Germania)

Modera Marco Zapparoli (Marcos y Marcos)



SABATO 16 MAGGIO

Stand Il Circolo dei Lettori – Padiglione 3 - ore 18

APERITIVO CON ANTEPRIMA NAZIONALE

Gli autori, il curatore, gli editori di Anteprima nazionale
e Antonella Parigi, la direttrice del Circolo dei Lettori,
incontrano il pubblico. Per informazioni: www.circololettori.it

a seguire

Sala Gialla - ore 19

minimum fax, Italia 150 e Circolo dei Lettori

presentano:

Anteprima nazionale.
Immaginare l'Italia da qui a vent'anni

Intervengono

Tullio Avoledo, Alessandro Bergonzoni, Ascanio Celestini, Giorgio Falco, Giuseppe Genna, Tommaso Pincio, Giorgio Vasta

Modera Michele Serra

DOMENICA 17 MAGGIO

Sala Blu - ore 12

Fare satira tra Hollywood e Israele

Todd Hasak-Lowy

presenta

Prigionieri

Con l'autore intervengono Elena Loewenthal, Piero Negri Scaglione e Martina Testa

Energy di Roberto Re e Roy Martina (Sperling e Kupfer)

Il fatto che viviamo in una società ipercomplessa, dove informazioni, codici, grammatiche, si intersecano su più piani, inevitabilmente ci porta sull’orlo del collasso. E non è un modo di dire, tutt’altro! Spesso le nostre vite sono alla deriva e non ce ne rendiamo conto, o meglio sviluppiamo una serie di àncore e di spazi di comfort ritagliati su misura, che ci mettono nella condizione di lasciarci accadere le cose, piuttosto che essere noi i protagonisti attivi e fattivi della nostra vita. Se dovessimo fare un bilancio quotidiano di quali settori trascuriamo o quali ambiti implementiamo con energia e volontà nelle nostre esistenze, senza alcun dubbio riusciremmo a scorgere delle lacune, talvolta piuttosto gravose che magari fanno schizzare al 100% l’impegno su lavoro e carriera, mentre famiglia, amici, relazioni stagnano ad un mediocre 1,5 o al massimo 2%. Con quale risultato? Che la percezione di noi stessi subisce un drastico impoverimento vuoi in autostima, che in capacità strettamente connesse alla reattività circa le inevitabili difficoltà che ogni giorno incontriamo. E allora è sempre necessario ricorrere a farmaci, o addirittura a pisco-farmaci, è necessario sentirsi ostaggio degli eventi, immaginarsi come un naufrago in balìa delle onde tanto da percepirsi come bisognosi di una terapia psicologica, è necessario sentirsi sconfitti ancor prima di aver cominciato la lotta per affermare di voler vivere una vita degna di essere vissuta? No, assolutamente no. Roberto Re e Roy Martina, due grandi coach, anzi due grandi life coach, nel loro libro dal titolo Energy edito da Sperling e Kupfer, forniscono a quanti si sentano pronti “ al salto” di qualità, una serie di consigli pratici, su una concreta base teorica e medica, per non solo allenarsi al benessere, ma anche ad auto-aiutarsi alla motivazione per raggiungere ottimi risultati. E dunque si passerà da alcuni metodi base di PNL (Programmazione Neuro Linguistica), la scienza creata da Richard Bandler un linguista statunitense, e John Grinder, che riguarda le applicazioni delle submodalità neurosoniche che esistono nelle personali esperienze sensoriali e le loro rappresentazioni interne, utilizzando la musica e il suono per creare specifici stati interiori, sino allo studio della programmazione della volontà attraverso il brain training della focalizzazione e visualizazione, sino a cenni riguardanti La Legge dell’Attrazione che Ronda Byrne ha esposto in The Secret. Da tempo studio autori come Joe Vitale, Fred Alan Wolf, Narciso Irala, Andrea Scarsi, Vincenzo Fanelli, Henri Borel per non parlare di Gurdjeff, Osho, Gopi Krishna, e Yogananda . Talvolta alcuni spunti di riflessione o indicazioni di metodi riguardanti la visualizzazione mi sembrano provenire da quell’area di studi, talaltra sembrano ricalcare anche percorsi di vera e propria meditazione trascendentale. Ma ben venga, nessun preconcetto in merito, anzi dopo aver letto questo libro sicuramente non solo vi sentirete meglio, ma capirete cosa significhi credere nei vostri obiettivi e provare la gioia di vederli realizzati con le sole vostre forze. Questo lavoro di Re e Martina, è realmente il libro che mancava nel panorama italiano dell’auto-aiuto. Parliamo di dodici strategie super sperimentate - dall'alimentazione alla gestione delle emozioni, dal sonno alla capacità di raggiungere gli obiettivi - per scoprire i nostri punti deboli e migliorare le nostre performance.

«Non è possibile limitarsi a mantenere la salute, dobbiamo garantirci qualcosa di più, imparare a essere vitali e pieni di energia! Le persone vitali hanno più potere personale, sono più estroverse, hanno un potenziale maggiore e sono capaci di realizzare molto di più. Ma come si può essere sempre al top in un mondo così caotico ? Leggere questo libro è il primo passo per trovare una fonte di energia inesauribile.» - ROY MARTINA

«Il mio contributo è quello di 'esperto della mente' e personal coach. Mi occuperò di farvi applicare gli insegnamenti di Roy nel modo più facile ed efficace possibile. Vi spiegherò come usare le risorse mentali ed emozionali a vostro vantaggio, come stimolare la vostra motivazione e usare la mente come acceleratore di risultati piuttosto che come freno.» ROBERTO RE

Il libro del giorno: 1969: storia di un favoloso anno rock. A cura di Riccardo Bertoncelli (Giunti)

Nella seconda metà degli anni '60 il rock prese forme originali e inaudite, uscendo dallo stretto ambito di musica leggera per farsi calamita dei tempi, sintesi potente di novità e modernità. Il 1969 fu l'anno culmine di questa mutazione sociale e culturale, con storie, dischi, concerti, festival che ancora restano a distanza di tanto tempo nell'immaginario collettivo. Vita e morte, inizio e fine, gioia e orrore, in un vertiginoso flusso di energia: l'estate di Woodstock e l'autunno cupo di Altamont, l'ultimo anno dei Beatles e la rinascita di Dylan, l'esplosione di Santana, lo scioglimento della Jimi Hendrix Experience, l'avvento di Crosby, Stills, Nash & Young, la morte di Brian Jones, la crisi dei Doors, l'anno in cui Miles Davis registra Bitches Brew e nei negozi escono Abbey Road, Let It Bleed, Ummagumma, In the Court of the Crimson King, Nashville Skyline, il primo Led Zeppelin. In quasi 300 illustratissime pagine la cronologia dettagliata dell'anno, le storie più importanti, i festival memorabili, i dischi che hanno cambiato il rock.

casa editrice Giunti: http://www.giunti.it/


" Nel 40° anniversario, il meglio della musica e di quanto avvenne. Con ricche illustrazioni"

Ilaria Bellantoni

da Max, maggio 2009, p.56

1969: storia di un favoloso anno rock. A cura di Riccardo Bertoncelli, Giunti, pp. 288

Domani diretta su Salento web tv con Loredana Capone, Adriana Poli Bortone, Antonio Gabellone

Venerdì 8 maggio, dalle 17:00, la politica corre in diretta su www.salentoweb.tv
Alle Officine cantelmo di Lecce i candidati alla presidenza della Provincia di Lecce si confronteranno con la associazioni studentesche e i cittadini sui temi dell'università, della ricerca e dell'innovazione tecnologica. Loredana Capone, Adriana Poli Bortone e Antonio Gabellone, per la prima volta sul web nella storia della politica salentina, discuteranno della loro idea di Provincia e risponderanno alle domande raccolte in rete o poste dal pubblico presente in sala.
Una produzione targata www.salentoweb.tv, la prima web tv del Salento.

mercoledì 6 maggio 2009

La futura classe dirigente di Peppe Fiore (Minimum Fax) alla Libreria Mondadori di via Piave a Roma

«Una padronanza e un'originalità di scrittura rare in un autore agli esordi».
Giovanni Pacchiano, Il Sole 24 Ore


«Le sue frasi sono mirabolanti, le sue storie sono vive. Le pagine di questo scrittore pulsano».

Francesco Borgonovo, Libero

Figlio unico napoletano trapiantato a Roma, megalomane, assediato da una selva di nevrosi erotiche, bipolare come tutte le persone di talento nell'Italia contemporanea, Michele Botta ha la sua prima vera occasione per entrare nel mondo degli adulti: viene assunto da una giovane e dinamica società di produzione televisiva. Potrebbe essere l¹anno della svolta, e invece è qui che il suo equilibrio già precario finisce per sgretolarsi. Viene mollato dalla ragazza. Il rapporto con i genitori è un ginepraio di ostilità reciproche ormai arrivato al pettine. E l'emancipazione professionale è una fiction milionaria su un mitologico regista porno degli anni Ottanta, che forse non è mai esistito. Comico, caustico, eccessivo, irresistibile, La futura classe dirigente è l'attraversamento della linea d'ombra nell'era della demenzialità istituzionalizzata e della volgarità al potere. Ma anche l'analisi amara e impietosa di un paese attraverso la messa alla berlina della sua «santa trinità»: la famiglia, il sesso, la televisione.

Peppe Fiore (Napoli, 1981) vive e lavora a Roma. Ha pubblicato due raccolte di racconti, L’attesa di un figlio nella vita di un giovane padre, oggi (Coniglio Editore 2005) e Cagnanza e padronanza (Gaffi 2008).

mercoledì 20 maggio 2009
Start: h. 18.00
libreria Mondadori via Piave, 18 - Roma


con l'autore interviene Paolo Di Paolo

Angeli e demoni: il film, il libro




Angeli e demoni di Dan Brown, edito in italia da Mondadori, (39 milioni di copie vendute nel mondo), anche se è stato pubblicato successivamente a Il codice da Vinci, in realtà risale ad alcuni anni prima. Da questi due titoli sono stati tratti i due film omonimi, che hanno letteralmente sbancato i botteghini di mezzo mondo (alla regia Ron Hioward il pel di carota di Happy Days). Nel film di quest’anno, a giorni nelle sale cinematografiche italiane, pare che Tom Hanks, secondo fonti ANSA, abbia ricevuto un cachet record di 35 milioni di dollari. Robert Langdon, ordinario di simbologia mistica e religiosa ad Harvard, viene cooptato da Maximilian Kohler, direttore del CERN a Ginevra (Svizzera), per esprimere il suo parere su un ambigramma ritrovato sul cadavere di Leonardo Vetra, scienziato dell’istituto di chiara fama internazionale. Il professore di Harvard scoprirà che l'omicidio è stato commesso dagli Illuminati, una setta segreta occulta e fedele ai soli dogmi della ragione e della scienza, creduta non operativa da tempi immemorabili. Sul luogo del delitto giunge anche Vittoria Vetra, figlia adottiva dello scienziato, con cui stava lavorando ad un progetto segreto. La scienziata, dopo numerose insistenze, rivela a Langdon e al direttore dell’Istituto, la natura dei suoi studi: insieme al padre è riuscita a creare una quantità ingente di antimateria, una fonte di energia così potente da dover essere compattata in appositi contenitori creati da lei stessa. Ad un rapido inventario fatto nel magazzino dell’Istituto, scoprono che il contenitore contenente la quantità più grande di antimateria è stato trafugato dallo stesso assassino dello scienziato. Intanto nella Città del Vaticano con la morte del Pontefice, è stata subito disposta la riunione del conclave, per eleggere il nuovo vicario di Cristo in terra. Ma a poche ore dall'inizio dell'evento i quattro successori più “gettonati” al soglio pontificio risultato dispersi. Intanto una videocamera del circuito interno della sorveglianza vaticana, mostra un congegno misterioso legato ad un conto alla rovescia. Il congegno è il contenitore più grande dell'antimateria, trafugato nel magazzino del CERN. Langdon e la scienziata riescono ad incontrare il camerlengo Carlo Ventresca, la massima autorità della Chiesa Cattolica: spiegata la situazione al prelato, si ritrovano a dover fronteggiare un’inquietante emergenza: l'assassino in una chiamata telefonica al camerlengo, rivendica non solo il furto a nome degli Illuminati , ma annuncia di voler uccidere ognuno dei quattro cardinali allo scoccare di ogni ora, in una chiesa del cosiddetto Cammino dell'Illuminazione, il percorso iniziatico nascosto tra i monumenti di Roma che permetteva di entrare a far parte della setta. Tutto il resto è una vera e propria corsa contro il tempo a furia di colpi di scena da grande colossal d’azione, e ingegnosi trucchi enigmistici e simbologie simil-esoterico-occultistiche. Ora se ci si dovesse soffermare sulle indicazioni storiche citate nel libro e poi nel film, se si dovesse tentare di fare dei riscontri obiettivi sulle fonti utilizzate da Dan Brown nei suoi libri, si potrebbe con certezza affermare che in ambito di storia delle religioni, storia, e simbologia mistica e magica Dan Brown ne capisce meno di uno studente di Liceo. Tuttavia non posso negare che si tratta di due veri e propri capolavori, destinati ad essere dei long seller, e che bisogna leggere senza farsi troppe seghe mentali, o tentando di confutare le posizioni di Brown. I libri in questione vanno presi per quello che sono: puro, semplice, onesto, accattivante intrattenimento. Impensabile non averli nella propria biblioteca

Angeli e Demoni (il film) – regia di Ron Howard del 2009, con Tom Hanks, Ayelet Zurer, Ewan McGregor, Stellan Skarsgård, David Pasquesi, Cosimo Fusco, Armin Mueller-Stahl, Carmen Argenziano, Ursula Brooks, Pierfrancesco Favino. Prodotto in USA. Durata: 140 minuti. Distribuito in Italia da Sony Pictures Releasing Italia a partire dal 13.05.2009.

la Trama
Il professor Langdon è alle prese con l'indagine su un misterioso ed efferato omicidio che sembra essere collegato agli Illuminati, un'antica confraternita segreta che rappresenta anche la più potente organizzazione sotto copertura della storia. Per gli Illuminati il nemico più disprezzato da sempre è la Chiesa cattolica. Gli indizi portano Langdon a Roma, dove con l'aiuto della scienziata Vittoria Vetra, figlia della vittima, proverà a scongiurare il pericolo dell'esplosione di una bomba piazzata dagli Illuminati in Vaticano. Attraverso una caccia senza soste, Langdon e Vetra saranno chiamati a districarsi tra indizi risalenti a quattrocento anni prima, composti da una serie di simboli antichi che sembrano rappresentare l'unica speranza di sopravvivenza per la Chiesa

Il libro del giorno: La fantasia del reale. Esopo e la favola (Diabasis) a cura di Nicola S. Barbieri, Annamaria Contini

Accompagnata dai colorati quadri di Francesco Fontanesi, e dalle storiche incisioni che illustrano alcune delle più note favole di Esopo, il volume ne propone un'originalissima rilettura. Proprio per restituire unicità e importanza alla favola, il testo intreccia un dialogo a più voci con interventi di pedagogisti e di esperti di letteratura per l'infanzia. Il risultato è un percorso ricco e stimolante, che si interroga sul perché la favola sia oggi, nella letteratura per bambini, così marginalizzata. Contro gli stereotipi che sempre impoveriscono il senso, la ricerca qui condotta propone nuove e più articolate possibilità di significato della favola, dei suoi connotati "morali", e della sua originalità narrativa, sempre gradita ai bambini, anche a quelli di oggi nell'era di internet.

Nicola S. Barbieri, ricercatore in Storia della pedagogia, insegna presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Modena e Reggio Emilia. Si occupa di pedagogia statunitense, di storia dell'educazione fisica, di letteratura per l'infanzia (Andersen e Kipling). Tra i suoi volumi: Filosofia analitica dell'educazione e analisi del discorso pedagogico (2001), Dalla ginnastica antica allo sport contemporaneo (2002), Letteratura per l'infanzia (2008).

Annamaria Contini, ricercatrice in Estetica, insegna presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Modena e Reggio Emilia. Si è occupata dell'estetica otto-novecentesca e dei suoi rapporti con l'etica e la biologia. Attualmente, sta affrontando problemi che riconnettono la dimensione estetica a quella educativa. Fra i suoi lavori: La Biblioteca di Proust (1988), Jean-Marie Guyau. Estétique et philosophie de la vie (2001), Marcel Proust. Tempo, metafora, conoscenza (2006).

casa editrice Diabasis: http://www.diabasis.it/Database/diabasis/diabasis.nsf/

"La favola non conduce in un mondo incantato come fa la fiaba, ma può farci vedere in maniera diversa la realtà le cose, stimolando in noi e nei bambini una facoltà dicui oggi abbiamo tutti un grande bisogno: la fantasia del reale. Di questo si parla nel volume La fantasia del reale. Esopo e la favola curato per Diabasis da Nicola S. Barbieri e Annamaria Contini. Volume chenasce da una giornata di studi tenuta il 13 ottobr 2006 all'Università di Modena e Reggio Emilia, in cui ci si è avvicinati con molteplicità di sguardi a questo particolare genere letterario educativo"

Giuseppe Caliceti

da Il manifesto del 6/05/09 p. 12

La fantasia del reale. Esopo e la favola, a cura di Nicola S. Barbieri, Annnamaria Contini, Diabasis

Angelo Ricci, Notte di nebbia in pianura (Manni editore) alla Fiera del Libro di Torino 09

Come una fotografia che improvvisamente si anima, in uno spazio e in un tempo preciso, scorrono storie di vita in presa diretta con personaggi che agiscono e interagiscono in una disperata e desolata assenza di motivazioni, nel trionfo della banalità.

Sabato 16 Maggio 2009, alle ore 16, presso lo stand della Regione Puglia (Padiglione 2, J 158) parlerò di "Notte di nebbia in pianura" assieme a Giorgio Luzzi, poeta, narratore e critico letterario de "L'Indice".

martedì 5 maggio 2009

IL SENTIERO DEL BOSCO INCANTATO di LUIGI PRUNETI (LA GAIA SCIENZA EDITRICE). REC. DI SILLA HICKS

Anni fa, prima che la mia vita finisse e cominciasse tutto questo, andammo al cinema a vedere 23, innocuo filmetto estivo confezionato su uno degli apparentemente più scarni racconti di Stephen “it” King.
Non c’è molto da dire sulla trama né sull’atmosfera allucinatoria, livida e claustrofobica, in cui Donnie Darko echeggia insieme a Spider (che è un compitino, ok, ma del mio adorato Cronenberg) e persino al telefilm Numbers: ruota tutto attorno a questo numero, il 23, che il protagonista trova praticamente ovunque, una persecuzione onnipresente cui non riesce a sfuggire.
Apparentemente, niente di che: eppure, nei giorni successivi, cominciai anch’io a notare il susseguirsi di 23 nelle cose più banali della mia, di vita: d’un tratto, era come se fosse davvero ovunque, nelle cifre – sommate a due a due- della targa della mia motrice, in quelle – moltiplicate per due, prima di sommarle a tre a tre - della mia patente, persino nelle date –opportunamente elaborate -che mi significavano qualcosa.
Senza volerlo, mi stavo convincendo che questo numero incombesse davvero –opportunamente mimetizzato - sul mondo: ormai certo che non fosse possibile che la frequenza con cui si presentava a tradimento fosse casuale, telefonai addirittura a mia sorella, che è un matematico, per cercare nella sua amicizia coi numeri primi un qualche sostegno alle mie ipotesi.
Era la prima volta – ed è stata anche l’ultima – in cui i suoi numeri dialogavano con me: voglio dire, io i compiti di matematica, a scuola, li copiavo. So a stento le tabelline e i giochi tipo sudoku hanno per me lo stesso grado di difficoltà della scalata dell’Annapurna, ma ero così preso dalle mie indagini sulla presenza del 23 da pensarci di continuo, di ricavarlo persino dalle cifre del prezzo del gasolio in autogrill, o dalla partita IVA sullo scontrino del caffè, arrivando a moltiplicare le soste per cercare conferme.
Gentilmente, Ilaria non rise. Aspettò che finissi, e mi dimostrò, in due parole, che qualsiasi numero può sembrare onnipresente se siamo noi a cercarlo, perché, di fatto, scomponiamo le cifre di tutto quello che troviamo fino a che non lo scoviamo, utilizzando qualsiasi espediente per costruire l’algoritmo necessario con tutti i mezzi a disposizione: e tanto più ci convinciamo, quanto più il gioco diventa facile, perché è la nostra mente a continuare a giocare, di nascosto, e a servirci il risultato ammantato di meraviglia, anche, affinché possiamo restare al sicuro, aggrappati alla nostra teoria, che pure non ha altro fondamento che quello che noi abbiamo deciso di darle.
Fu così che la mia liaison con il numero 23 finì bruscamente, e con essa ogni mia velleità di vedere nei numeri altro che prezzi o limiti di velocità. Non capirò mai niente di matematica.
Ma da quei giorni mi è rimasto l’insegnamento a partire dall’ipotesi, senza manipolarla per potersi scegliere il finale.
Fatti i debiti distinguo, mi sembra che la rilettura in chiave esoterica di miti, leggende, letteratura e fumetti abbia molto in comune con la mia ricerca di allora del numero 23 nella quotidianità della mia vita.
Voglio dire: molto di quello che l’uomo produce con le parole ha sicuramente a che fare con la sua evoluzione, e ogni progresso viene fuori da un percorso.
Esistono generi interi che parlano di questo, dal bildungroman, che significa letteralmente racconto di formazione, a Siddharta.
Tutto è cammino, tutto è ricerca. Di cosa, poi, questo sì che è vario.
Diventare adulti è un percorso di iniziazione: nella foresta per Kunta Kinte, sulle autostrade per me e altri, attraverso i tre regni dell’aldilà per Dante, le 7 fatiche per Ercole e qualche mese in una caserma-anticamera dell’inferno del Vietnam per i ragazzi di Full Metal Jacket.
Qualsiasi sia l’ambientazione, la sostanza non cambia: affrontando le necessarie prove si diventa grandi, e si conquista il diritto a sedere a tavola con gli adulti.
O a far parte di un gruppo, perché si è superato il test d’ingresso: questo vale per le confraternite universitarie, per il Rotary, per la Yakuza, per il MENSA, e per ogni altro circolo chiuso, che selezioni i suoi membri in base a qualche caratteristica che li renda “speciali”e quindi degni di farne parte.
Che caratteristica sia, ancora, questo sì che varia.
Nell’epoca antica, il mondo degli dei e degli eroi, erano il coraggio e la forza fisica ad avere valore.
Oggi come oggi, che un AK47 uccide uguale, anche nelle mani innocentemente incoscienti di un bambino di sei anni, ovviamente le regole di ingaggio sono cambiate. Ma la sostanza, quella no: tutti credono di essere unici, di avere qualcosa che li renda migliori di altri. I circoli non sono che espressione di questo. Quelli magici, in particolare.
È quantomeno consolatorio cercare rifugio nell’immateriale, per riscattarsi da una vita concretamente grigia (che ci sia qualcuno che ci specula, è un discorso a parte), e in fondo non è cosa diversa che trasformarsi in avatar su second life: in un caso e nell’altro, si esce da questa dimensione. Che sia l’unica che io credo esista, questo è un problema mio.
Ma arrivare a vedere simboli esoterici in tutto o quasi quello che è stato scritto o disegnato finora, è davvero come il mio cercare il numero 23 negli scontrini degli autogrill: è voler scovare, a tutti i costi, quello che cerchiamo.
Sicuramente esistono autori che hanno usato simbologie esoteriche, ma perché appartenevano al loro background, alla loro epoca e al loro modo immaginifico di raccontare. Ciascuno di noi scrive per i libri che ha letto e i film che ha visto, ha un suo Pantheon, e lo tiene per la mano.
Pentacoli, rosacroce, …tutto può starci, ma addirittura vedere nei guantoni del primo Mickey Mouse un riferimento subliminale alla massoneria vi prego no, e giù le mani dai Puffi, che siano metafora del mondo ok, ma il Grande Puffo –Gran Maestro per via del cappello rosso è davvero come il 23 nascosto nel mio codice fiscale.
Preferisco continuare a pensare che questi gnometti blu, un po’ folletti, un po’ condominio di ringhiera siano solo quello che sembrano, un fumetto/cartone animato per bambini, con il solito schema dei buoni che vincono e del cattivo che resta beffato, il pasticcione Gargamella che più che un alchimista è un maghetto da strapazzo, perfino simpatico per tutte le bastonate che sistematicamente prende: se proprio vogliamo trovarci un substrato ideologico, il villaggio dei Puffi è un’edulcorata Utòpia, il comunismo della città del sole in salsa mcdonald, le punte smussate per non ferire nessuno.
Ma basta così, niente cosmologia agnostica né altre tortuose interpretazioni che assomigliano a sciarade per iniziati, e intendo l’ultimo termine nel senso di gente abituata a riconoscerle, magari perché compra ogni mercoledì la settimana enigmistica.
Il senso del Codice Da Vinci è l’amore feroce di un figlio per il padre che si è scelto, ed è lo stesso del Frankestein della Shelley, che piange sulla zattera per quel padre che non gli ha mai dato un nome.
Il resto, il criptex, il collage di cadaveri, Maddalena e Gesù e la chiave di volta, la vita dopo la morte, sono contorno, attirano i curiosi e fanno vendere, va bene, ma non è quello il vero mistero.
L’unica simbologia, per quanto faccia male, resta la disperazione del rifiuto, del diverso troppo bianco o troppo pieno di cicatrici, del suo cuore che grida l’urgenza di un abbraccio che nessuno ha il coraggio di dargli, del suo pianto che nessuno ha voglia né tempo di ascoltare.
Bisogna essere iniziati davvero (alla tragedia della specie umana) per sentirlo, attraverso il rumore dei simboli del niente, della fuga, dei giochi di lettere e numeri e carte.
Ma una volta che ci si riesce, è fatta.
Perché si resta capaci di sentirlo. E si smette di avere paura.

(IL SENTIERO DEL BOSCO INCANTATO – APPUNTI SULL’ESOTERICO NELLA LETTERATURA. LUIGI PRUNETI, LA GAIA SCIENZA EDITRICE, 2009, BARI) - LA LEZIONE 23

Piante Carnivore di Giuseppe Petrilli

Giuseppe Petrilli dipinge la passione perché è la passione che lo spinge a dipingere.
Una passione irrefrenabile, quasi dolorosa. Qualcosa che inebria i sensi e coinvolge la testa e il cuore. Giuseppe Petrilli dipinge le donne con pennellate sensoriali che attraversano la tela e toccano le corde del desiderio. L’erotismo trasuda dalle sue illustrazioni attraverso particolari che catalizzano la mente. Labbra rosse, occhi graffianti, piedi fasciati da calze velate o avvolti in scarpe dal tacco altissimo, una posa provocante che lascia intuire un gioco di seduzione. E così i dettagli scatenano l’immaginario sibaritico acceso dall’uso magistrale del colore. Colore violento, mai scontato che si abbina spesso a un bianco e nero elegante e accende i particolari in una danza sensuale, così come accende gli sfondi creando inquadrature fotografiche, citazioni cinematografiche.
Se l’arte di Giuseppe Petrilli fosse un film sarebbe pulp come quelli di Tarantino, ammaliante violenza visiva da togliere il fiato. Se fosse un libro sarebbe scritto da Kerouac, magari al ritmo di un blues. Lo stesso blues che suona questo artista versatile e provocatorio. Musica ispirata dal diavolo blu, direttamente dalle emozioni.
Ma nella sua arte c’è anche tanta ironia, voglia di vivere l’eros come sublimazione della gioia di vivere, curiosità che solletica i sensi. La formazione da autodidatta gli ha permesso di mantenere la freschezza e la curiosità tipiche di un’anima irrequieta. Un’anima nell’incessante ricerca di una vibrazione, di un colore, un segno, una forma. Lasciatevi trasportare.

Barbara Baraldi

http://www.myspace.com/occhidicristallo

Piante Carnivore di Giuseppe Petrilli
Da giovedì 14 maggio 2009 a domenica 14 giugno 2009
PIAZZA CASTELLO Cafè Restaurant
via N. Tondi, 33 - San Severo, Italy
Telefono: 0881600481
E-mail: info@petrilliartworx.it

Il libro del giorno: JAMES FREY, Buongiorno Los Angeles (Tea)

Scrittore tra i più acclamati, controversi e originali dell’America di oggi, James Frey non ha scelto soltanto un personaggio o una storia per il suo primo romanzo, ha scelto un’intera città: El Pueblo de Nuestra Señora la Reina de Los Angeles de Porciúncula. Oggi, semplicemente, Los Angeles. Immane distesa di auto e individui, serbatoio infinito di illusioni e sogni infranti, immagine esplosa di una società, miraggio che si accende ogni giorno come un’insegna al neon, Los Angeles lancia il suo richiamo a tutte le anime perdute, perché vengano a consumare le loro storie nel suo abbraccio capiente. Come Amberton, il grande attore viziato, la cui passione segreta per ciò che non può avere potrebbe distruggergli la carriera; oppure Joe, il vecchio homeless alcolista e filosofo di Venice Beach, che per salvare una drogata rischia di morire nel gabinetto pubblico dove si è installato; o la coppia di giovani scappati da un buco di provincia dell’Ohio con duemila dollari e troppe cicatrici; o ancora Esperanza, che è americana perché sua madre l’ha partorita quindici metri dopo aver oltrepassato il confine messicano, e che per un solo momento di umiliazione rischia di perdere tutto. Frey li segue, ce li fa vedere da vicino e intanto allarga la nostra visuale ad altri personaggi e alla città, a perdita d’occhio, fino a che improvvisamente ci rendiamo conto di essere davanti a un Paese intero, a una cultura, a un momento storico.

casa editrice Tea: http://www.tealibri.it/index.asp

"Una tempesta di parole, un rapido susseguirsi di minuziosi e ripetitivi gesti quotidiani e improvvise esplosioni emotive. Un incantevole linguaggio parlato che fa a pezzi le strettoie della norma grammaticale"

Marco Philopat

da Xl di Repubblica, n. 45, 05/09, p. 183

JAMES FREY, Buongiorno Los Angeles
Trad. di B. Amato
Narrativa TEA - pp. 560;

A giorni in libreria

lunedì 4 maggio 2009

ASTRID NIPPOLDT, BÖSE GEHÖLZE (Boschi Malvagi)

The Gallery Apart propone nella sua sede di via della Barchetta 11 l’ultimo lavoro di Astrid Nippoldt, una nuova serie di fotografie in bianco e nero dal titolo Boese Gehoelze (Boschi malvagi), cui si affiancano alcuni acquerelli e disegni a matita ispirati allo stesso tema. L’artista tedesca torna a Roma a distanza di tre anni dalla sua prima personale italiana, quando presentò la trilogia video “Grutas” presso la Fondazione Adriano Olivetti, successivamente esposta, fra l’altro, presso la Kunsthalle di Brema e nell’importante collettiva “Made in Germany” ospitata dallo Sprengel Museum, dalla Kestner Gesellschaft e dalla Kunstverein di Hannover.

Il progetto “Boschi malvagi” prende le mosse dall’osservazione dei fenomeni naturali del cinema e della fotografia. Il punto di partenza di Astrid Nippoldt è quel breve e delicato momento in cui la natura diventa protagonista principale. Le particolari condizioni di luce e la modulazione della prospettiva e del fuoco assegnano alla natura la funzione di schermo su cui proiettare visioni emotive e persino sopranaturali. Ciascuna immagine si carica di riflessi storici e culturali ed individua nel bosco il luogo dove collocare le proprie immagini interiori o dove ambientare scene di crimini. L’uso del bianco e nero esalta la neutralità scenografica del bosco che così si predispone ad accogliere storie prive di limiti narrativi proprio perché senza tempo. Gli acquerelli di Astrid Nippoldt, che spesso fanno da contrappunto ai lavori video e fotografici dell’artista, evocano già nella scelta della tecnica una leggerezza ed una capacità di astrazione dal contesto che risultano particolarmente adatti a commentare il versante fotografico del progetto Boschi malvagi.

MOSTRA: ASTRID NIPPOLDT, BÖSE GEHÖLZE (Boschi Malvagi)
LUOGO: The Gallery Apart – Via della Barchetta, 11 – 00186 Roma
INAUGURAZIONE: venerdì 8 maggio 2009 - ore 18,30
DURATA MOSTRA: 8 maggio – 10 luglio 2009 – mar/sab ore 16-20 e su appuntamento
INFORMAZIONI: tel/fax 06 68809863
info@thegalleryapart.it
www.thegalleryapart.it

Su John Fante. Intervento di Vito Antonio Conte

E... poi me ne sto in letargo per lunghi momenti. Mai quanto vorrei. Davvero. Come l'orso nella tana intanto che fuori l'inclemenza del tempo fa il suo. Così vorrei. Mi accontento di lunghi momenti. E faccio cose indicibili. E bellissime. Qualche tempo fa (questa posso dirla) ho rispolverato la mia (scarna) collezione di LP, vecchi vinili 33 giri, e tra questi: Teddy Pendergrass, Tiny Bradshaw, Randy Crawford, Count Basie, Jim Croce, Teddy Wilson, Paolo Conte, George Thorogood, Led Zeppelin e... King Crimson: “The Compact King Crimson”: un album doppio che raccoglie il meglio di questo gruppo e che allora non ho potuto ri-ascoltare perché il mio piatto-stereo l'avevo portato da tempo in campagna e, comunque, è (tutt'ora) privo di “puntina”... ho ordinato il CD dove ci sono i pezzi che amo di più: “In The Court Of The Crimson King”; adesso lo ascolto a go-go. Un'altra volta ho tirato giù tutti i libri della mia biblioteca: migliaia... In fine, ho ridisposto (secondo un ordine diverso da quello precedente) volume dopo volume nelle librerie fin quasi all'alba... Ogni tanto penso di liberarmi di ogni cosa. Talvolta l'ho fatto. Quella volta dei libri, pensavo: e se vendessi l'intera biblioteca al tizio romano di Ponte Milvio? Poi me ne sto in letargo per lunghi momenti, mai quanto vorrei. Alla lettera “effe” c'è ancora Fante, John Fante... Ho letto i libri di John ché me l'ha consigliato Charles. Posso leggere mille e mille poesie di altrettanti poeti, ma quando rileggo un solo verso di Bukowski, ogni volta, mi dico: questa è la poesia che amo di più. Il resto è tale. Residuo. Capite perché quando Bukowski dice che tra i pochi che val la pena di leggere c'è Fante, gli credo. Se Fante “circola” ancora è soprattutto merito di Hank (tra l'altro, lo ha citato in “Donne” e gli ha dedicato una raccolta di poesie). Di “Dago Red” (Einaudi, Stile Libero) ricordo (chissà perché) l'ultimo racconto, “Ave Maria”, e sul libro non c'è traccia del passaggio dei miei occhi e delle mie dita. D'altro sì. A pagina 231 di “Chiedi alla polvere” (Einaudi, Stile Libero) c'è scritto: “7 giugno '05, ore 13:59, se / qualcuno / parla / male / della / mia / poesia / c'è...”, che non so più perché l'ho scritto. A pagina 238 di “Aspetta primavera, Bandini” (Einaudi, Stile Libero) è annotata una data e un'ora: “23 agosto 2005, ore 10:50”. A pagina 228 di “La confraternita dell'uva” (Einaudi, Stile Libero), secondo altri “La confraternita del Chianti”, c'è soltanto una data annotata a matita: “2.9.2005”. A pagina 154 di “Sogni di Bunker Hill” (Einaudi, Stile Libero), con una biro a inchiostro azzurro, ho annotato, tutto a lettere: “è il quattro settembre duemilacinque, c'è un cielo nuvolo e triste, neppure un alito di vento, alle diciotto e trentasei il fumo della mia sigaretta ruba l'aria residua, la mia bmw ha problemi di carburazione (forse il ciclere di minimo?), il sudore appiccicato sul viso, più tardi a Sud (ancora), verso le Centopietre...”. Pagina 152 di “Full of Life” della Collana Tascabili di Fazi Editore era bianca: sopra c'ho scritto: “16.9.2005, John bella storia, sei (non eri) forte... davvero (...)”. A pagina 206 di “A Ovest di Roma” (Fazi Editore, Collana Tascabili), dopo l'ultimo rigo del romanzo (“Era l'alba quando tornammo a casa”), è scritto (sempre di mio pugno) “24.X.2006”. Nient'altro. Appena dopo l'inizio di questa primavera ho finito di leggere “Un Anno Terribile” (Fazi Editore, Collana Tascabili, pagine 142, € 7,74) e in nessuna pagina è annotato alcunché: dirò qualcosa adesso. Qualcosa in più delle -a dir poco- lapidarie notazioni sui libri su citati. Sempre meno di quanto hanno già notato Gianni Amelio, Emanuele Trevi, Vinicio Capossela, Niccolò Ammaniti, Domenico Starnone, Fernanda Pivano, Alessandro Baricco, Sandro Veronesi e altri ancora. Sempre meno. Ché, lo sapete, a parte tutto, mi piace sottrarre. Non vi dirò, quindi, che Fante è considerato tra i maggiori scrittori del Novecento americano, né che di lui e della sua scrittura si sono occupati, a diverso titolo, critici, artisti, scrittori e laureandi, i quali ultimi hanno speso la loro passione per le sue opere trasfondendola nelle loro tesi di laurea. Vi dirò, invece, di questo romanzo breve, inedito finché Fante è vissuto e pubblicato postumo per volere di sua moglie Joyce. Intanto c'è una bella copertina: “New Kids in the Neighborhood” (1967) di Norman Rockwell: tre ragazzi, due maschi e una femmina, davanti alla grossa ruota posteriore sinistra di un grande furgone (postale?) color avorio e, con loro, un cane seduto che rievoca un altro titolo fantiano: “Il mio cane Stupido”. Uno dei tre ragazzi è abbigliato da giocatore di baseball. E non è un caso. Tutta la storia di “Un anno terribile”, infatti, ruota intorno al diciassettenne Dom Molise e al suo Braccio mancino. Un ragazzo di umilissime origini che sogna di diventare un giocatore professionista di baseball, nonostante tutto il mondo, dal microcosmo in cui vive a quello che ancora ignora e che un giorno (sogna) non potrà fare a meno di parlare di lui tanto diventerà famoso, gli giri contro. Lo si comprende subito dall'incipit del romanzo: “Era duro, l'inverno del 1933. Quella sera, arrancando verso casa attraverso fiamme di gelo, con le dita dei piedi che mi bruciavano, le orecchie che andavano a fuoco, e la neve che mi turbinava intorno come un nugolo di suore furibonde, mi fermai di colpo. Era giunto il momento di tirare le somme. Con la pioggia o col sereno c'erano delle forze al mondo che cercavano di distruggermi” (mi ricorda qualcosa che non dirò per non citarmi addosso). Dom Molise è un lanciatore e non c'è avversità che possa distoglierlo dal sogno del baseball, non v'è umiliazione che possa ferirlo fino a far annichilire quel desiderio, non esiste condizione -per quanto miserrima- che possa far naufragare quell'illusione. Non il padre muratore disoccupato da mesi, non la madre ferita dall'assenza del marito, non la nonna e il suo dialetto abbruzzese sputato contro ogni cosa di quella giovane America, non i fratelli molto più concreti di lui, non la povertà amplificata dal tenore di vita del suo ricco miglior amico, non l'amore non corrisposto e irriso per Dorothy, non l'apparizione della Vergine Maria... “Il Braccio mi dava la forza di andare avanti, il mio dolce braccio sinistro, quello più vicino al cuore. La neve non poteva fargli male e il vento non poteva ferirlo perché lo tenevo ricoperto di Balsamo Sloan, una bottiglietta che avevo sempre in tasca. Ero intriso di quel fetore, a volte venivo mandato fuori dalla classe per andarmi a lavar via quell'acuto odore di pino, ma io uscivo a testa alta, senza vergogna, ben conscio del mio destino, corazzato contro i sogghigni dei ragazzi e i nasi tappati delle ragazze. Avevo un'andatura grandiosa in quei giorni, il portamento di un pistolero, la scioltezza del mancino classico, con la spalla sinistra leggermente calata, Il Braccio mollemente dondolante, come un serpente – il mio braccio, il mio benedetto, santo braccio che mi era stato dato da Dio, e se anche il Signore mi aveva creato figlio di un povero muratore, mi aveva però fatto un gran regalo quando aveva fissato sui cardini della clavicola quella centrifuga”. Questo libro (che Fante non volle pubblicare perché pur ritenendo il “materiale attraente” non stimava la storia “importante”), come tutti i libri di Fante, disvela un'altra parte della sua vita e, una volta ancora, l'odio-rancore-amore verso il padre e la sua famiglia d'origine. Questo libro è l'ennesima ricerca della storia di una saga famigliare, cui non è celata nessuna sfumatura, ma nel quale -anzi- si rinvengono pezzi che s'inseriscono perfettamente nel grande puzzle della scrittura di Fante e ne completano un'epopea. Chi vuol saperne di più della vita e della leggenda di John Fante legga (anche) la particolareggiata biografia scritta da Stephen Cooper “Una vita piena” (per i tipi di Marcos y Marcos, 2001, pagine 327, € 18,08). Adesso lascerei scorrere “I talk to the wind” ...poi me ne starei in letargo per lunghi momenti, mai quanto vorrei. Ma voglio dirvi un altro paio di cose: la prima: “e piansi per mio padre e tutti i padri, e anche per i figli, perché eravamo vivi in quell'epoca, per me stesso, perché sarei dovuto andare subito in California, e non avevo scelta, avrei dovuto farcela”. La seconda: mi accade, da un po' di tempo, di associare l'aggettivo “terrìbile” alle cose più importanti e più belle di questa esistenza e... non so cos'è (o, forse, sì); e chissà perché mi viene in mente che un giorno del 1980 Hank (Bukowski) andò a trovare John in ospedale (già minato dalla malattia che lo avrebbe progressivamente reso cieco, privato -per amputazione- delle gambe e portato altrove...) e (riferendosi a Camilla Lopez, splendido personaggio di “Chiedi alla polvere”) gli chiese: , Fante gli rispose: . Li vedo ancora ridere di gusto insieme. Circa tre anni dopo, l'otto maggio millenovecentottantatre, alle tre del meriggio, John si confuse con le rondini nel cielo che odorava di primavera. Qui, la primavera (ormai, mi dicono) porta soltanto rondoni. Io continuo a vedere le rondini.

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Il libro del giorno: Grotteschi e arabeschi di Vitaliano Trevisan (Einaudi)

Dall'incontro fra Vitaliano Trevisan e l'universo di Poe nasce uno sguardo limpidamente classico e insieme feroce, capace di narrare l'autentico orrore. Che si tratti di una famiglia oscena e di una madre moribonda che sa nascondere segreti - il più atroce dei quali solo al lettore sarà svelato - o di un uomo che vuol raschiare via dalla casa ogni traccia della donna che l'abitava, o del più spietato ritratto di artista italiano contemporaneo che possiate immaginare. In questo libro la lingua dello scrittore vicentino raggiunge un equilibrio e una originalità nuovi proprio mentre l'autore fa un salto all'indietro di due secoli e dichiara di ispirarsi al maestro del racconto: Edgar Allan Poe.

casa editrice Einaudi: www.einaudi.it

" (...) una scrittura davvero straordinaria, in cui periodi brevi e brevissimi si alternano ad altri ricchi di subordinate, l'invettiva si sposa con i toni pacati e riflessivi, l'iterazione ossessiva lascia il posto alla necessità citazionistica, al riferimento ad altri universi letterari ripresi e ricontestualizzati per raccontare in modo nuovo un mondo insensato e feroce"

Felice Piemontese

da Il Mattino di Napoli, p. 14, del 4/05/2009

Grotteschi e arabeschi di Vitaliano Trevisan
95 p., brossura
Editore Einaudi (collana Einaudi. Stile libero big)

domenica 3 maggio 2009

La musica sveglia il tempo di Daniel Barenboim (Feltrinelli). Rec. di Maria Beatrice Protino

Si tratta di un libro singolare, che lo stesso autore definisce per musicisti e per non-musicisti: “Piuttosto un libro per le menti curiose di scoprire le corrispondenze fra musica e vita, e la saggezza che diventa comprensibile all’orecchio pensante (…) Sono convinto che sviluppare l’intelligenza dell’orecchio sia una necessità fondamentale”.
Edito da Feltrinelli nel 2007, è un libro in cui l’autore, se nella prima parte fa una riflessione sull’esperienza musicale, nella seconda passa all’esame degli assunti citati attraversando la filosofia spinoziana, per poi soffermarsi sul racconto della straordinaria esperienza dell’orchestra West-Eastern Divan - da lui stesso fondata - che raccoglie musicisti provenienti da Israele, dalla Palestina e da altri paesi arabi: orchestra che, come sottolinea lo stesso autore, si fa prova tangibile di come la cultura favorisca i contatti fra le persone e le avvicini, promuovendone i processi di inclusione e di reciproco rispetto.
B. inizia col dare la definizione della parola musica, e si affida alla precisione e all’obiettività di Ferruccio Busoni - il grande pianista e compositore italiano vissuto a cavallo fra il 1800 e il 1900 che la definì appunto “aria sonora” -, nella consapevolezza che parlare davvero di musica sia in realtà “impossibile”, ma che “tentare l’impossibile mi comunica una sensazione di energia che trovo assai attraente”. Anzi, il suo tentativo è addirittura quello di porre in stretta correlazione “l’inesprimibile contenuto della musica con l’inesprimibile contenuto della vita”, come per trovare nell’idea della musica un modello per la società.
Affascinante la riflessione sul fenomeno fisico del suono e sulla metafora della vita che B. riesce a cogliere. Scrive: “Ecco subito una delle maggiori difficoltà che incontriamo nel cercare di definire la musica: essa si esprime attraverso il suono, ma esso in sé non è ancora musica, ma solo il mezzo tramite cui ci viene trasmesso il messaggio della musica, ovvero il suo contenuto”. Il suono è una realtà che, osservata obiettivamente, “scompare appena cessa: è effimero (…) e svanisce nel silenzio”. Dunque, la stretta correlazione tra suono e silenzio: “la prima nota non rappresenta l’inizio, ma proviene dal silenzio che la precede. (…) Quindi, l’ultima nota deve essere collegata al silenzio che la segue. Sotto questo aspetto, la musica è lo specchio della vita: entrambe cominciano dal nulla e finiscono nel nulla.” Questo implicherà, a sua volta, una riflessione successiva ancora più intensa: “Nel mondo dei suoni, neanche la morte è necessariamente definitiva”, nel senso che cede il suo posto alla nota successiva. Questo fenomeno, che chiamiamo con l’espressione italiana legato, “in musica garantisce l’espressività dell’esecuzione ed è data dal collegamento fra le note, tale per cui s’impedisce a una nota di sviluppare il suo io naturale, ovvero di diventare tanto importante da mettere in ombra la nota precedente. Ogni nota deve essere consapevole di sé ma anche dei propri limiti”. E poi, anche questa volta, un parallelo con la vita: “Le stesse regole che si applicano agli individui nella società, si applicano anche alle note musicali. Per l’uomo è necessario contribuire alla società in maniera individuale; ciò fa sì che l’intero sia maggiore della somma delle parti. Individualismo e collettivismo non devono essere reciprocamente esclusivi: insieme riescono a potenziare l’esperienza umana”.
B. sottolinea la forza, il potere della musica, capace di rivolgersi a tutte le sfaccettature dell’essere umano: alla parte animale, emotiva, intellettuale e spirituale. Come accade, infatti, fra le note di un pentagramma, anche le questioni personali, sociali e politiche non sono indipendenti fra loro, ma anzi, si influenzano a vicenda: “pensiero logico ed emozioni intuitive devono coesistere costantemente. La musica insegna che tutto è collegato”.

Daniel Barenboim (Buenos Aires, 1942) a sette anni dà il suo primo concerto ufficiale nella sua città. Nel 1952 si trasferisce con la famiglia in Israele. A dieci anni debutta come pianista a Vienna e a Roma, poi a Parigi e a Londra e New York nel 1957, sotto la direzione di Leopold Stokowski. Da allora iniziano le sue regolari tournée in Europa, negli Stati Uniti, in Sud America, in Australia e in Estremo Oriente. La sua carriera è piena di riconoscimenti e successi: è stato Direttore musicale dell’Orchestre de Paris, Direttore musicale della Chicago Symphony Orchestra, sino al riconoscimento di Direttore principale a vita della Staatskapelle di Berlino. Nel 1999 fonda, insieme a Edward Said, la West-Eastern Divan orchestra, formata da giovani musicisti d’Israele e dei Paesi Arabi.
Nel 2007 è stato onorato in Giappone del Praemium Imperiale per la Cultura e le Arti e nominato Ambasciatore delle Nazioni Unite per la Pace dal Segretario generale Ban Ki Moon.

La musica sveglia il tempo di Barenboim Daniel
185 p., brossura, Feltrinelli


Curatore Cheah E.
Traduttore Noulian L.

Il libro del giorno: I racconti del parrucchiere di Elvira Seminara (Alberto Gaffi editore)

C'è la ragazza che si sposa quel giorno e fa la Grande-Messa-in-Piega, seduta accanto a lei un'altra che si fa suora e accorcia i capelli per mettere il velo. C'è il trans poeta che si fa biondo e la professoressa innamorata che sogna sotto il casco. C'è l'immigrata che vende la treccia e la parrucchiera migrante, la matta smemorata e la figlia del detenuto. C'è tutta la vita in transito, dentro il salone del parrucchiere, perché il taglio di capelli è un'antica liturgia, un rito sciamano che ci fa sentire nuovi e rinnovati, un esorcismo contro l'età e la paura di invecchiare.

casa editrice Alberto Gaffi: http://www.gaffi.it/



"Storie che, sotto la superficie di eventi spesso non rilevanti, ma immensi nell'agire del mondo interno dei personaggi, rivelano la forma del desiderio, la violenza dell'illusione, l'abbandono al sogno, ancorchè spesso vano"

Craig Martucci

da Il Domenicale del Sole 24 Ore n. 120, del 3/05/09 p. 36

I racconti del parrucchiere di Seminara Elvira, 180 p., brossura
Editore Gaffi Editore in Roma (collana Evasioni)

sabato 2 maggio 2009

Il libro del giorno: Il campo di cipolle di Wambaugh Joseph (Einaudi)

Los Angeles, 9 marzo 1963. Campbell e Hettinger, due agenti di pattuglia che lavorano da poco in coppia fermano un'auto sospetta. A bordo due delinquenti di piccolo cabotaggio con una lunga storia di reati e carcere alle spalle. I due criminali disarmano i poliziotti, li rapiscono e, dopo un lungo tragitto in auto sulle freeways intorno a Los Angeles, li portano in un campo di cipolle. Ed è nella polvere di una sterrata di campagna, nell'odore pungente delle cipolle, che si consuma la tragedia, tanto più atroce quanto più assurda: Campbell viene ucciso a colpi di pistola. Hettinger riesce a scappare. Nel giro di poche ore, i colpevoli vengono catturati, ma il finale della loro storia è ancora lontano e tutt'altro che consolatorio. Inizialmente condannati a morte, i due assassini affronteranno una serie di processi che, a vent'anni dall'omicidio, li porterà alla scarcerazione. Quanto a Hettinger, lascerà la polizia e trascorrerà tutta la vita in una spirale di dolore, rimorso e autodistruzione. Wambaugh racconta una vicenda vera e terribile da ex poliziotto, scrittore e profondo conoscitore della psicologia umana. Il risultato è una riflessione dolente sulle imperfezioni e i fallimenti della giustizia, e sul retaggio di sofferenze e crudeltà che accompagna ogni fatto di sangue, segnando l'esistenza dei colpevoli come delle vittime in modo irreparabile.

casa editrice Einaudi: www.einaudi.it

"Il libro è una riflessione sulla giustizia che non sempre funziona come dovrebbe e su come ogni fatto di sangue segna l'esistenza dei colpevoli e delle vittime in modo irreparabile. Una vera chicca l'introduzione di James Ellroy, ch vale già da sola un salto in libreria"

Dario Goffredo

da CoolClub n. 52, aprile 2009, p.48

Il campo di cipolle di Wambaugh Joseph
Traduttore Oddera B.
Editore Einaudi (collana Einaudi. Stile libero. Noir)

AUTOBIOGRAFIA DI UN PICCHIATORE FASCISTA (Minimum Fax) A BOLOGNA

La testimonianza bruciante di un ragazzo che sceglie di dare la propria vita per la violenza politica e l'omicidio. Una ricostruzione minuziosa del carattere e dello sviluppo del neofascismo italiano. Il romanzo dal vero dell'eversione nera, tra campi paramilitari, traffici di esplosivi, corruzione delle istituzioni. Fino alla conversione esistenziale e culturale attraverso l'esperienza del carcere, che porterà l'omicida a diventare un sociologo di fama internazionale. "Autobiografia di un picchiatore fascista" di Giulio Salierno, a trent'anni dalla sua prima uscita, è ancora un libro unico, la storia commovente di un uomo che è riuscito, parlando di sé, a scrivere un pezzo fondamentale dell'autobiografia della nostra martoriata Italia. E a profetizzare come una vera rivoluzione non sarebbe passata per la contrapposizione delle armi, ma per la difesa dei diritti dei più deboli: i poveri, gli ignoranti, i diseredati, i detenuti.

Libreria Irnerio e l’Associazione Culturale Papillon-Rebibbia Onlus
presentano

"Autobiografia di un picchiatore fascista" di Giulio Salierno (Minimum Fax)

Intervengono
l'Ass. Papillon Valerio Guizzardi
la giornalista de Il Manifesto e scrittrice Geraldina Colotti
e lo scrittore Stefano Tassinari

mercoledì 13 maggio 2009 h. 18,00
Libreria Irnerio, Via Irnerio, 27 - Bologna, Italy

Maggio, le rose, i libri, i segni, la musica al Fondo Verri di Lecce

Giovedi 7 dalle ore 20.30
Paolo Vincenti racconta “Danze Moderne (I tempi cambiano)
A seguire Luca Ciarla, violino solo


Gli anni ottanta sono i ‘protagonisti’ in “Danze Moderne (I tempi cambiano)”. Scrive Antonio Lupo che quella di Paolo Vincenti è una “scrittura "liquida". Fatta di “una creatività che prende vita nello spazio multiforme della pagina, l’autore tiene abilmente insieme suggestioni di matrice diversa, in un cocktail di rimandi e di citazioni, di passaggi da un codice espressivo all’altro. (…) La storia individuale "di rabbia, di amore, di odio e di altre trasgressioni", tessuta sullo sfondo di collettivi scenari massmediali, viene raccontata "in compagnia" dei cantautori più amati. Quasi un testo parallelo e/o "a supporto", costituiscono infatti i richiami dei versi delle canzoni di Ligabue alternati a quelli di Francesco De Gregori, di Francesco Guccini o di Roberto Vecchioni. Una colonna sonora che lega il piano esistenziale a quello generazionale.

Violinista, pianista e compositore, Luca Ciarla è un artista eclettico e originale. Suona musica classica, jazz e musica popolare, dando vita a composizioni che inevitabilmente riflettono la varietà del suo bagaglio artistico. Luca si è esibito in Cina, Inghilterra, Messico, Slovenia, Svizzera e negli Stati Uniti. Nato a Termoli nel 1970, ha iniziato a suonare il violino e il pianoforte all'età di otto anni. Giovanissimo si iscrive al Conservatorio Lorenzo Perosi di Campobasso, avvicinandosi alla musica classica e cominciando ad esplorare le sonorità del jazz. Negli ultimi anni Luca ha suonato con musicisti quali Luciano Biondini, Daniele Sepe, Walter Paoli, Daniele Scannapieco, Simone Zanchini, Lello Pareti, Maurizio Rolli, Max Ionata, Danilo Rea, Samuele Garofoli, Marco Salcito, Renzo Ruggieri, Maurizio Minardi, Nicola Angelucci, Blaine Whittaker, Sylvain Gagnon, Anthony Fernandes, Giampaolo Ascolese, Antonio Franciosa, Marco Siniscalco, Marina Rei, Mimmo Locasciulli ed altri ancora.

Venerdi 8, dalle ore 20.30
Rocco Aprile racconta “Il funerale e i fiori di campo”, edito da i libri di Icaro
intervengono Silvano Palamà


Rocco Aprile è nato nel 1929 a Calimera, nel Salento. Figura essenziale del movimento di riscoperta delle tradizioni greco-salentine e di salvaguardia della lingua grika, è tra i fondatori del Circolo Culturale Ghetonìa. Dopo la riedizione de “Il sole e il sale”, che ‘i libri di Icaro’ hanno curato nel 2006, Rocco Aprile, è tornato alla scrittura, regalandoci questo nuovo romanzo che continua la narrazione del primo accompagnandoci sulla soglia del Salento contemporaneo.
Il protagonista è Rocco: gli studi a Bari, le passioni, le amicizie, i sodalizi intellettuali e “poetici”. E ancora il Salento, con le prime trasformazioni del dopoguerra e l’arrivo di un tempo migliore, l’annuncio del cambiamento di pari passo con il crescere, l’avanzare di una coscienza e di una conoscenza della qualità territoriale. La Lambretta di Rina e la Mercedes di Anita prendono il posto della bicicletta, e gli amori divengono scelte.

Sabato 9, dalle ore 19.30
Vernissage della mostra “Ventagli nell'aria” di Mimma Sambati (in allestimento sino a domenica 17)


Scrive Vito Antonio Conte di Mimma Sambati: “Avevo conosciuto Mimma (Sambati) in un'altra vita. Altri tempi per tutti. Per me ch'ero altrove, per motivi universitari e per lei che viveva alcuni grandi amori, tra cui quello per la pittura e, più in generale, per l'arte. Quest'ultimo vissuto appieno per la fortuna che ha avuto di conoscere Antonio Verri, condividendone passaggi d'esistenza. Il primo perchè, mentre muoveva i primi passi presso la locale Accademia d'Arte, ha vissuto il fulgore dirompente e l'esilio liquido, fatto di mare e di vino portoghese (ma non solo), del vichingo leccese Edoardo (De Candia)”. Come per la sua poesia - l'esordio poetico di “Ho costruito un castello di pioggia” lo firma con il nome di Genny Meraviglia – anche la pittura è traversata da una sensibilità che accoglie il “femminile” la particolarità di quel sentire coniugandolo al di là dell’essere donna, come valore, modo, filtro alla vita utile alla vita stessa con le derive, le malinconie, le mancanze. Valori tutti di differenza, di un'altra Storia, di un altro esserci.

Domenica 10, dalle ore 20.30
Marthia Carrozzo legge da “Pelle alla pelle. Dimore di mare e solo sensi” raccolta edita da Lieto Colle con Margherita Macrì musiche di Claudio Prima e Emanuele Coluccia


Scrive Stefano Donno della nuova raccolta di versi di Marthia Carrozzo: “E’ un canto sottile, ammaliante, dolcissimo a volte, altre forte come un’onda impetuosa di mare, o come il nostro vento di tramontana, che sa raccogliere in grembo colori, odori, umori, amori, in un modo che il suo vissuto diventi tracciato biografico di un sentire universale, sublimandosi in un’estasi per versi dove la Poesia, e in questo caso dandole la P maiuscola la connotiamo in tutta la sua sacralità, trova la sua dimora più consona, ideale per far fiorire in più di qualche occasione una prosa poetica delicatissima, dove oggetti, eventi, sensazioni, il narrare stesso non sono solo narcisismo della parola, ma ricerca di verità, continui resoconti del proprio vissuto, per poi divenire pausa e silenzio, trampolino di slanci per gettarsi nel mondo, viverlo, gustarlo. Tracciati di pelle e gola, e sudore, riempiono le pagine di Pelle alla pelle, perennemente in bilico tra il senso dell’oblio e la ricerca di un’identità corporea, sciolta e ricomposta incessantemente dalla parola, quasi in un’estasi orgasmica che brucia i ricordi, gli attimi, i non-detti…”

Venerdi 15 dalle ore 20.30
Antonio Scarcella racconta “Ipotesi su Ulisse” di Antonio Mercurio
A seguire “Il complesso d'inferiorità” presenta “Senti nella nebbia il dire è la messa in Croce”


L’Odissea non è, come molti credono, un romanzo d’avventure né una celebrazione del “ritorno” a Itaca (il nostos) come altri pensano. E’ un libro sapienziale, così come lo è la Bibbia per gli Ebrei e per i Cristiani.
Ulisse è l’archetipo principale dell’essere umano ed è una vera stupidità il fatto che sia conosciuto dai più per la sua astuzia e per i suoi inganni e non per la sua saggezza e per il suo coraggio con cui trasforma sé e gli altri che stanno rinchiusi nella loro solitudine narcisistica.
Steven Hawking, il più grande scienziato di oggi, s’interroga da anni sul perché dell’esistenza di questo universo e non sa che la risposta che la scienza non potrà mai dare l’aveva già data Omero quasi tremila anni fa.

Sabato 16 dalle ore 20.30
Vito Bruno racconta il suo “Il ragazzo che credeva in Dio”, edito da Fazi, intervengono Mauro Marino
A seguire Gianluca Longo, concerto di mandole per “Il mandolino storie di uomini e suoni nel Salento”.


Con un ritmo incalzante e una scrittura limpida ed evocativa, “Il ragazzo che credeva in Dio” racconta il viaggio di Carmine tra i gironi di una città allo sbando, nel disperato tentativo di sottrarre Alena al suo destino e di ritrovare un senso alla propria vita. Un romanzo in forma di indagine-confessione sull'azzardo della fede, sullo smarrimento, sull'amore, sulle ragioni della speranza. Attorno, un coro di personaggi alle prese con la quotidiana lotta per la sopravvivenza in una Taranto torrida e inquinata: Pietro, operaio al siderurgico con il padre malato di cancro; Nino, adolescente di buona famiglia adescato dalla malavita locale; Cataldo, figlio di un povero pescatore con il sogno del pallone come riscatto sociale; Sandra, ex compagna di scuola nonché primo e unico amore di Carmine. Da Vito Bruno finalista al Premio Campiello 2000, editorialista del Corriere del Mezzogiorno, un romanzo che ricostruisce la delicata psicologia dell'uomo di fede contemporaneo, costretto a confrontarsi con una realtà spesso troppo dura e difficilmente giustificabile anche dal punto di vista religioso.

Gianluca Longo è musicista e musicoterapista, suona il mandolino, il mandoloncello, la mandola, la cetra corsa, la chitarra classica, la chitarra battente e il tamburello a cornice. La passione per le sonorità tradizionali della sua terra nasce grazie ai continui stimoli ricevuti dalla famiglia e dalle persone anziane a lui vicine. La madre è poetessa e cantrice di canti e "cunti" tipici della tradizione; il nonno, noto barbiere-mandolinista del paese, trasmette al nipote la tecnica e la passione per il mandolino. Da questo nasce la ricerca e il libro “Il mandolino storie di uomini e suoni nel Salento”.

Venerdì 22 dalle ore 20.30
Lino Angiuli presenta “Puglia in versi. I luoghi della poesia, la poesia dei luoghi” edito da Gelso Rosso, intervengono Maurizio Nocera, Antonio Errico, Pierluigi Mele, Piero Rapanà.
A seguire “Da qualche parte Sandra” con Claudio Prima, Emanuele Coluccia e Sandra Caiulo


Puglia, una e trina, costruita di Parole. Di sospensioni, di vertigini che salgono le cime dei campanili e caracollano nell'infinito della polvere di tufo. Che sanno il soffoco della pianura, la carezza e l'abbaglio del mare.
Una Puglia cruda, amara dove “La migrazione del tempo collima con un canto sfibrato, l'aria è irrespirabile, (e) si va verso un futuro di privazione” così la leggiamo nell'Abbecedario dei migranti di Vittorino Curci dove Gamal “ha conosciuto una tristezza nuova”.
Una Puglia una e trina, mai scontata, mai prigioniera di cartoline o dei doveri del marketing territoriale. La Puglia dei poeti, di chi, nell'essenza sa, la necessità del canto!
Molti i nomi. Quelli a noi più vicini: Vittore Fiore, i due Vittorio: Bodini e Pagano, Girolamo Comi, Aldo Bello, Maurizio Nocera, Antonio Errico, Pierluigi Mele.

Sabato 23 dalle ore 20.30
Gino Pisanò presenta la poesia di Umberto Valletta
Fernando Rausa legge dal suo “Terra mara e nicchiarica” edito da Manni


Umberto Valletta scrive: “Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui uomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui”. Secondo Giovanni Invitto un caso di intellettuale-artista “fuori le righe” per il suo modo di esistere, perché per lui l’arte è connaturata all’esistenza. Questo è un bene, ma, per la maggior parte dei casi, lo si paga sulla pelle, sulla vita. E sulla professione. “Umberto aveva già risposto, “da architetto e da poeta”, che è inutile essere artisti se si deve vivere da impiegati. E’ l’architetto che coniuga bellezza e razionalità. Ed è il poeta che ingentilisce la movida salentina donando fiori-poesie come i gigli di pietra del nostro barocco”.

Fernando Rausa attribuiva alla poesia l’alto compito di indicare la possibilità di un mondo più libero, più giusto, più umano. Una voce fuori dal coro il poeta dialettale Fernando Rausa (1926-1977). Il punto di osservazione privilegiato del poeta rimane il paese natale di Poggiardo vissuto come nucleo primitivo solidale il quale, però, invece di rappresentare un luogo di serenità e di convivenza possibile, ha finito col provocare ingiustizie e dolori. Su tutti il dramma doloroso e straziante dell’emigrazione all’estero. Nel momento in cui il padre è costretto, per trovare lavoro, ad abbandonare i propri figli, non solo si è rotta drammaticamente l’unità familiare ma anche la continuità sociale fra vita e lavoro. Intorno a questo triste fenomeno l’autore costruisce la profonda delusione della quale è impregnata la poesia, che rimane comunque l’ultima speranza di riscatto e di rinnovamento. Scrive Donato Valli: “Fernando Rausa attribuiva alla poesia l’alto compito di indicare la possibilità di un mondo più libero, più giusto, più umano. Egli non fa sorridere, non intende portare allegria ai suoi lettori, come in genere fanno i poeti dialettali popolari a lui contemporanei. Pone problemi. Per sé e, soprattutto, per la società. Sente, insomma, il suo essere poeta come un impegno morale, teso a sconfiggere le ingiustizie e a purificare la società da ogni menzogna, da ogni sopruso.

Venerdì 29 dalle ore 20.30
Giuse Alemanno racconta il suo “Le vicende notevoli di Don Fefè, nobile sciupafemmine grandissimo figlio di mammaggiusta, e del suo fidato servitore Ciccillo” edito per i libri di Icaro


intervengono Elisabetta Liguori, Antonio Errico e Piero Rapanà.

Giuse Alemanno è nato a Copertino, vive ed opera a Manduria. In “Le vicende notevoli di Don Fefè, nobile sciupafemmine grandissimo figlio di mammaggiusta, e del suo fidato servitore Ciccillo” edito per i libri di Icaro c’è una nuova lingua, suona di dialetto. Inventata, come il cosmo che racconta. Un titolo lungo, con un sapore fortemente e volutamente retrò. C’è il cinema che disegna, nel pensiero dell’autore, la figura di Don Fefè, “cuor contento e panza piena”. Don Felice, il nome vero, nobile di Cipièrnola, incontrastato padrone di Palazzo Rizzo Torregiani Cìmboli, in un Sud dove in corpo scorre il rosso intenso del Primitivo e l’indolenza meridiana delle voglie.
L’inizio di una saga che potrebbe avere come interprete il Mastroianni di “Divorzio all’italiana”. Impomatato, con la retina a tenere i capelli ed il baffo in tiro. Con gli occhi semichiusi, il lungo bocchino e le voglie mai dome.

Domenica 31 maggio dalle ore 20.30
La poesia e i poeti


Irene Leo legge dal suo “Sudapest” edito nei Poet/bar di Besa
Ilaria Solazzo legge dal suo “Gocce nel deserto” edizioni Mancarella
Rita Rucco legge dal suo “Sensi di Versi” edizioni il Filo
Fernando Rausa legge dal suo “Terra mara e nicchiarica” edito da Manni

Maggio, le rose, i libri, i segni, la musica
da giovedì 7 maggio 2009 a domenica 31 maggio 2009
Fondo verri, s. maria del paradiso - Lecce
Telefono: 0832304522
E-mail: fondoverri@tiscali.it

venerdì 1 maggio 2009

L’arte contemporanea e il suo metodo di Demetrio Paparoni (Neri Pozza). Recensione di Maria Beatrice Protino

“L'arte contemporanea ha smesso di essere avanguardia e ha operato un radicale ritorno all'ordine? Gli artisti più noti della scena attuale sono espressione della cultura ufficiale? La figura del critico è scomparsa, schiacciata tra quella del mercante e quella del curatore?” Sono questi alcuni dei temi trattati da Demetrio Paparoni – tra i maggiori critici d’arte italiani – nel libro edito da Neri Pozza Editore nel 2005 e dedicato ad un attento esame sulle caratteristiche dell’arte attuale e su com’è cambiata la dinamica ideologica nell’arte nel corso del Novecento.
Paparoni parla di un caustico “richiamo all’ordine” come caratteristica fondamentale dell’arte di oggi, ancora legata all’estetica e alla poetica, o addirittura alle ideologie progressiste delle cd. avanguardie storiche – simbolismo, cubismo, astrattismo, dadaismo, surrealismo - affermatesi tra Ottocento e Novecento, nonostante si tenti di negarne espressamente o meno i presupposti. Se, infatti, le avanguardie storiche rifiutavano la tradizione e la cultura ufficiali, l’arte attuale sembra compiere il percorso opposto, in tal modo negando a se stessa quel ruolo invece magistrale che dovrebbe esserle connaturato, cioè farsi espressione della società contemporanea.
Scrive P.: “L’arte attuale esprime il sociale e le scoperte che hanno caratterizzato l’inizio del secolo scorso: la consapevolezza dell’esistenza dell’inconscio, i sistemi ideologici e le grandi rivoluzioni scientifiche e politiche di cui ancora oggi rimane traccia. Non esprime, invece, quanto meno non in modo radicale, le rivoluzioni del nostro tempo, prime fra tutte la cibernetica e Internet, la cui conseguenza più evidente sul piano sociale e politico è nel rafforzamento della perversità dei processi di globalizzazione, cioè la diffusione su scala planetaria dell’ideologia del capitalismo di mercato, dei principi della democrazia occidentale e delle merci”.
Al contrario, se le avanguardie del primo Novecento si rapportavano a una élite culturale votata alla sperimentazione, quelle attuali si rivolgono alle masse e da esse rimangono schiacciate. Certo, il livello culturale delle classi medie è elevato, ma il possesso e la comprensione dell’arte spesso costituiscono il raggiungimento di uno status symbol: “Il ricatto delle avanguardie secondo cui chi non capisce è ignorante gioca a sfavore dell’arte nuova perché, piuttosto che indurre alla sua comprensione, “alimenta le mistificazioni”. Molti dei protagonisti dell’arte attuale sono divenuti popolari grazie ai media, per cui appaiono in tv, in programmi di gossip, occupano le pagine di rotocalchi, dalle loro opere si ottengono gadget. “La conseguenza è che gli artisti tra i più interessanti sulla scena internazionale degli ultimi decenni, come Matthew Barney, Damien Hirst, Maurizio Cattelan (…) di fatto sono espressione della cultura ufficiale”. Basta qualche esempio: “Robert Gober affascina perché ci ha incantato il surrealismo e abbiamo assimilato le opere di René Magritte; Maurizio Cattelan per il suo riprendere in chiave attuale le strategie di Filippo Tommaso Marinetti; (…) John Currin per il richiamo al classicismo sempre presente nell’opera di Picasso.”
Si pensi, invece, ad opere come quelle di Paul Cézanne (in particolare Le Mont Saint-Victoire, Les Grandes Baigneuses) o di Pablo Picasso (Les demoisselles d’Avignon) o di Umberto Boccioni (Forme uniche della continuità nello spazio) che, sottolinea P., non rappresentano semplicemente la Rivoluzione industriale in forma simbolica o metaforica, o la scoperta dell’inconscio, la rivolta verso i valori borghesi o ancora altro, ma sono molto di più: “In esse si avvertiva la cesura verso il passato, la tensione dello strappo, la mentalità nuova che sostituisce la vecchia. Utilizzando linguaggi e forme che si identificavano con la modernità, con le tensioni che scuotevano la società di allora”.
Oggi, l’artista si fa invece imprenditore, imprenditore di se stesso, in quanto ha assimilato ormai la mentalità del nostro tempo, che lo ha reso narcisista e ha legato il suo fare arte ad un concetto di autostima estraneo, invece, agli artisti delle avanguardie del Novecento: in una società a capitalismo avanzato il valore economico di una merce diventa unità di misura per valutarne la qualità, per cui “il denaro ha diritto di vita e di morte sull’arte”. Questo lega l’artista ad un rapporto di dipendenza col potere economico, per lui rappresentato magari dal gallerista o dal collezionista e, più in generale, dal sistema del libero mercato: “L’idea che il valore delle cose si misuri in soldi implica che più l’opera d’arte costa (e viene glorificata nei maggiori musei) più il suo messaggio risulterà incisivo”.
La conclusione cui giunge P. consta nell’auspicare il superamento di questa finzione, tale per cui l’artista contemporaneo possa recuperare quella dignità tanto forte ed essenziale, tipica dei protagonisti delle avanguardie storiche.

Demetrio Paparoni (Siracusa 1954) vive a Milano. Critico d'arte, saggista e curatore di mostre, è autore di libri teorici sull'arte contemporanea e di monografie. Nel 1983 ha fondato la rivista d’arte “Tema Celeste”, che ha diretto fino al 2000. È stato tra l'altro commissario al padiglione italiano della Biennale di Venezia del 1993. È professore di Storia dell’Arte Contemporanea alla facoltà di Architettura di Catania.

Il libro del giorno: Mr Winchell. La voce dell'America (Alet)

Michael Herr ricostruisce la vita e il tempo di Walter Winchell, il giornalista newyorkese che inventò il gossip, uno dei protagonisti della storia Usa dagli anni '30 ai '60. Come Orson Wells, il mezzo che lo rese famoso fu la radio: la sua capacità di entrare nelle vite dei personaggi della politica e dello spettacolo e di raccontarle con espressioni e aneddoti fulminanti ne fece uno degli uomini più importanti d'America, temuto dai potenti e amatissimo dal grande pubblico. Un racconto che ha il ritmo e la costruzione di un montaggio cinematografico, un libro dove sono i dialoghi a raccontare gli eventi, tra storie di alta società, gangster, ballerine, colpi di genio, amicizie e doppi giochi. Un mix affascinante di biografia e fiction, romanzo e sceneggiatura che coglie tutto il fascino di una delle grandi età dell'oro americane

Mr Winchell. La voce dell'America (Alet, pp. 189, euro 17,50)

casa editrice Alet edizioni : http://www.aletedizioni.it/

"Una piccola perla su ascesa e declino di un potente, incapace di prevedere che la sua principale massima avrebbe colpito per primo lui stesso: Nessuno ama chi non è nessuno"

Matteo Nucci

da Il Venerdì di Repubblica, n. 1102, p.75

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