Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Lupo editore. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Lupo editore. Mostra tutti i post

giovedì 11 giugno 2009

Keep Your Self Alive di Massimiliano Città (Lupo editore)

Il romanzo di Massimiliano Città dal titolo “Keep Yourself Alive” (Lupo editore) non è un libro per tutti. Che sia Beat, è fuori discussione, e per questo forse lo rende un po’ vintage, rispetto a quello che viene prodotto oggi nel panorama letterario italiano, dove autori come Tommaso Pincio, Giuseppe Genna, Valerio Evangelisti, Wu Ming 1, Tullio Avoledo, Alessandro Bergonzoni, e altri, si interrogano in Anteprima Nazionale edito da Minimum Fax a cura di Giorgio Vasta, come sarà l’Italia fra cinquant’anni. Per tutte le pagine di quest’opera fortissimo è un desiderio del protagonista, di trovare la sua beatitudine rispetto all’inferno che porta dentro di sé, una specie di salvezza ascetica ed al contempo estatica, che nulla ha a che fare con lo Zen o altre filosofie orientali, ma che viene ricercata attraverso droga ed alcol, incontri carnali, che comunque fanno sempre il loro effetto da James Dean e Jim Morrison in poi. E’ Beat come desiderio di ribellione, come battito, come ritmo, è Beat nel suo essere sudato, vissuto e catartico. E’ Beat e forse anche un po’ pulp in questa consapevolezza ferocemente distruttrice, dissacrante della memoria di un suo tracciato biografico ed auto-lesionante, che si respira tra le righe di questo lavoro, anche nella libertà di essere sconfitti, in maniera totale e assoluta. Certo, le definizioni trovano il tempo che trovano, ma perlomeno aiutano a fornire un quadro ermeneutico di base per non vagare completamente al buio. Enzo, la figura principale del romanzo, ha diciannove anni e racconta di come abbandona il suo paese natale, una piccola realtà in una piccola provincia dell’interland siciliano, per trovare la sua dimensione di vita, in altri luoghi, in altri occhi, in altri corpi. La discesa verso il baratro prende corpo con la morte del nonno Gino, figura tracciata magistralmente, che incarna la tradizione, la storia, la famiglia, che racchiude come in uno scrigno grezzo la memoria cellulare della terra e del sole di quelle latitudini, fatta di arsura di slanci e di tempo scandito dagli sguardi pigri dei pochi avventori seduti ai tavolini di un piccolo bar in piazza . Questo evento diverrà una frattura insanabile, che scaraventerà Enzo fuori dalla sua “zona comfort”, lasciandolo letteralmente in balia degli eventi. In una psicotica stagione estiva di movida siciliana, il nostro anti-eroe, conosce Daniela (fighetta cocainomane in simil-plastica) di cui si innamora. Per lei perde la testa, tanto da prendere il primo treno e partire per Milano per raggiungerla. Nella capitale lombarda, incontrerà padre Ennio, compassionevole e fraterno che lo aiuterà nei primi momenti di sconforto e solitudine; conoscerà Damiano dell’Olgo’s Bar , che gli permetterà di sbarcare il lunario offrendogli non solo vitto e alloggio, ma anche un lavoro; frequenterà il folle Jessie e la sua corte di tossici coi quali stringerà un patto di sangue; sperimenterà in un grottesco delirio di onnipotenza, la sensazione di essere “arrivato” come dj nelle feste che contano e nei giri giusti. Infine dopo ben sei anni di totale caos esistenziale, ritrova Daniela, per assistere alla sua tragica fine. La scrittura di Massimiliano Città spazia da una prosa corposa e coinvolgente, a slanci, anche se pochi, veramente di alta prosa poetica. Una delle peculiartià di quest’autore è l’abilità nel destreggiarsi tra memoria vicina e lontana, tra ambienti, personaggi e situazioni in bilico tra il grottesco e il paradossale, il tutto condito da un costante rumore bianco che lo incatena ad un mefitico nichilismo passivo: la distruzione per la distruzione. La tecnica di scrittura è priva di sbavature ed ottiene un effetto-verità, quasi psichedelico

giovedì 4 giugno 2009

MARAVA’ PIEDI DI GOMMA di Gianni De Santis (Lupo Editore). Recensione di Silla Hicks

Premetto che - da camionista - mi fanno comodo gli audiolibri, almeno da quando il dolore nella musica – in qualsiasi musica – è diventato così forte che non riesco più a stare con la radio accesa, e leggere di notte quando mi fermo mi stanca. (Non è da me, lo so, come so che questa non è vita, ma non ne ho altre, e ormai non penso nemmeno più possa essere diverso, il mio corpo ha ripreso il coraggio di dormire e la necessità di stare sveglio, per quanto sia difficile sopravvivo, ed è tutto).
Però riconosco che leggere la carta è un’altra cosa, e difatti questo libro l’ho ascoltato, e poi l’ho letto, e sulla carta le parole hanno tutto un altro suono, un altro senso, sono lì, e sei tu a scegliere quando fermarti e quando ripartire, ed il tono da usare, anche: mi dispiace, lo so che sul CD le voci sono di attori e che di sicuro cadenzano il ritmo meglio di quanto possa fare io, ma so anche che un libro è di chi lo legge, se si decide di pubblicarlo, e quindi credo anche che ciascuno abbia il diritto di ritagliarselo addosso, di appropriarsi della storia, e farne ciò che vuole. La storia: all’inizio ricorda un po’ il cacciatore di aquiloni, parla di quell’amicizia che è essere fratelli di chi abbiamo scelto e ci ha scelto, miracolo possibile solo quando si è bambini. E loro due, Antonio e Raffaele, sono bambini, appunto, che insieme crescono in un mondo rurale e primitivo – l’esplosione del padre di uno dei due per la gomma bucata della bici è proto-umana se non dis-umana e basta – da cui insieme tentano di proteggersi e da cui insieme sognano di andarsene, di volare via, sulla luna dove gli astronauti rimbalzano coi loro piedi di gomma.
Finché non succede qualcosa che spezza loro le ali una volta per tutte, e si ritrovano inchiodati a una sedia a rotelle, per cause diverse ma tutti e due insieme, di nuovo, abbracciati ai loro sogni morti, e a questo punto subentra il mare dentro, tanto più che uno dei due s’è fracassato la schiena con un tuffo mal riuscito, e nell’acqua ha incontrato all’improvviso la faccia cattiva della vita, dopo cui niente è più uguale. Non discuto la scelta “buona” (politically correct, dicono oggi) di far trovare un senso a quello che il senso non ce l’ha, io, che non ho fede né speranze, e ho amato negli occhi disperati di Berdem/Ramon Sanpedro il mare cui decide di tornare, perché è quello che al suo posto farei io.
Come non discuto la forma epistolare, anche se oggi come oggi sarebbe stato più credibile un flusso di mail (va bene, io non ho il gusto per gli espedienti letterari, e anche quello del pupazzo-confidente non m’ha entusiasmato, ma è un problema mio) e anche se alla fine non si tratta di lettere ma di pagine di diario, un soliloquio in cui il dramma si scolora nella speranza di tornare a volare di nuovo. Quello di cui mi interessa parlare, piuttosto, è di quello che resta sullo sfondo, e da cui vengono gli spunti più interessanti, quello che io chiamo “quel che rimane” quando il libro l’ho chiuso.
Il mondo in cui i personaggi si muovono, in primo luogo, che è un sud primordiale, sonnacchioso e feroce, un mondo dentro il mondo tutto resta fermo anche mentre cambia, pastoia per i sogni dei due protagonisti e per chiunque altro vi resti invischiato, claustrofobico e livido pur sotto un sole che abbaglia.
E poi l’emigrazione, lo sradicamento precoce, tema che purtroppo porto cucito addosso, io che ho fatto il cammino inverso, sì, ma ugualmente senza che fossi io a sceglierlo, e con uguali conseguenze di emarginazione e incapacità d’integrarsi, perché i pregiudizi verso lo straniero/diverso sono sempre uguali, e la stupidità di chi li coltiva anche. E l’incapacità di confrontarsi con l’amore, anche: se c’è un rigo che vale tutto il libro, è a pagina 115, L’AMORE NON È UN SENTIMENTO MA UN BISOGNO/TORMENTO, scritto in maiuscolo, peraltro, perché è l’inizio di un paragrafo, in realtà, ma a me piace pensare per scelta consapevole che si tratti di verità folgorante e assoluta.
Maria: forse l’unica che davvero si ribella e paga la sua ribellione sulla propria pelle, perché in un mondo arcaico essere uomo è una lotta, ma essere donna può essere solo sconfitta.
È lei che mi resta, di questo libro. Lei, l’unica che ha davvero creduto di avere piedi di gomma. Non è rimasta bambina, no: non si è arresa, che è cosa diversa.
Così, è lei che mi resta, di questo libro.
Non la speranza che si possa imparare serenamente a rassegnarsi quanto piuttosto l’ammirazione per chi sceglie di non farlo, comunque vada a finire.
Chi sceglie il coraggio di provare a cambiare la propria vita, e non importa se ci riesce, almeno ci avrà provato, ci credo poco alla serena rassegnazione, io, o meglio non voglio crederci, io sono ancora negli occhi di Sanpedro, quando parla del mare, di come continui a sentirlo dentro, e sono sicuro che mentre s’addormentava abbia sentito l’acqua, non sono capace di dire “così sia”.
Ma questo è altro, da questo libro e dal suo senso.
Anche se in un certo modo ne fa parte, perché un libro è di chi lo legge, ed è questo, per me, quel che rimane.

UN TUFFO FUORI DAI SOGNI
(MARAVA’ PIEDI DI GOMMA, di Gianni De Santis, Lupo Editore, Copertino, 2009)

lunedì 1 giugno 2009

Gemini di Fabio Rossi (Lupo editore)

E’il mio genere, d’accordo. Amo autori come Isaac Asimov, Ken Follett o Richard Matheson, adoro film come “Ventotto settimane dopo” per la magistrale regia di Juan Carlos Fresnadillo. In teoria non dovrei sbilanciarmi più di tanto quando recensisco titoli che si nutrono di atmosfere e sfumature appartenenti a latitudini della scrittura a me così care, dal momento che rischierei di avere uno sguardo troppo corto e forse un tantino miope nel parlare di narrazioni a me più congeniali. Eppure in questo caso sento di sbilanciarmi, di poterlo fare tranquillamente. E’ il caso del primo lavoro di Fabio Rossi dal titolo molto accattivante, ovvero “Gemini” (Lupo editore), e dalla copertina (illustrazione a cura di Giovanni Nori, grafica di Paolo Guido) in bianco, rosso e nero, secondo gli ultimi trend cromatici del design e dell’arte contemporanea da due anni a questa parte. Fabio Rossi è riuscito ad affascinarmi con la sua scrittura, fresca, incalzante nel ritmo, mai ridondante. Un sentire la parola e il suo potere immenso di resa immaginifica, non è solo questione di mestiere: quando si crea un contesto narrativo, si struttura una trama, la complessità dell’operazione in sé, che non deriva solo da una padronanza del mezzo tecnico, è anche il risultato di una capacità quasi immaginifico-predittiva di altre dimensioni e altri universi. Non è mistica della scrittura: è Visione! E “Gemini” è un romanzo che si muove a ridosso di due universi paralleli (partendo da una base teorica dei viaggi nel tempo a metà strada tra le fondamenta della fisica quantistica e i multiversi di Stephen Hawking secondo il quale l'universo non ha confini nello spazio-tempo, e dunque secondo il suo modello del non-contorno, esisterebbero punti di contatto tra diverse dimensioni dove altri noi e altre realtà accadono simultaneamente ma con possibili e infiniti sviluppi fenomenologici) dove nel primo in una natura selvaggia e ostile, un giovane uomo, un giovane cacciatore, si misura a mani nude con il suo destino, che lo ha portato sulle tracce di chi ha massacrato senza troppi scrupoli e con una ferocia inaudita il suo clan, nel suo villaggio natìo; nel secondo veniamo catapultati nel sottosuolo di Europa (l’unica megalopoli ad aver conservato le tracce di una vecchia civiltà e sinceramente mi ricorda un po’ Resident Evil ) dove si trova Babilonia, un laboratorio scientifico in cui ci si dedica a ‘Gemini’, il progetto nato da una scoperta sconvolgente ed elaborato da Ulisse, sociologo dell’evoluzione, con ’obiettivo di bloccare la deriva antropologica nella quale l’uomo si è andato a ficcare con le sue mani , giungendo sull’orlo dell’auto-distruzione. Un cammino, forse, senza ritorno, dove le viscere della terra possono nascondere qualcosa di mostruoso. Un libro da leggere e gustare, non solo per il fatto che ti tiene incollato alle pagine, ma anche perché l’autore è stato in grado di creare una fitta interconnessione di spunti di riflessione provenienti dalla sociologia e dall’antropologia culturale ed evolutiva … anche se parliamo di quelle del futuro ovviamente!

giovedì 28 maggio 2009

Da principio era la neve di Fabio Mele (Lupo editore)

L’11 settembre 2001 ha rappresentato una vera e propria catastrofe “psico-cosmica” come direbbe Manlio Sgalambro, dove il concetto stesso di sicurezza è venuto meno, se si pensa al fatto che la più ricca e potente nazione del mondo sia stata messa in ginocchio da una rete terroristica molto più efficiente e coordinata sul piano operativo di una CIA o di un FBI. Ma questo è solo un pretesto per dire che tutto il retroterra socio-politico-culturale ( con tutti i suoi pro e contro ovviamente) degli anni ‘80 e degli anni ‘90 si è lentamente sgretolato sino a polverizzarsi del tutto, rimanendo solo un debole ricordo di qualcosa di bello ( o brutto a seconda dei punti di vista), che non tornerà più . E dunque tutta una serie di sensazioni di straniamento, precarietà, instabilità, dis-equilibrio si affacciano nella vita non solo delle giovani generazioni, ma anche in quella dei “bamboccioni” di cui tanto si sente parlare da un anno a questa parte. L’orizzonte del futuro, ora è sempre più difficile da delineare, sempre più fosco, e la speranza ancora di qualcosa di certo e solido su cui costruire la propria vita, non è più possibile, e non lo è nemmeno e soprattutto per i protagonisti del romanzo d’esordio di Fabio Mele dal titolo “Da principio era la neve” per i tipi di Lupo editore di Copertino. Alex, Stefano, Aurora, e Sofia, sono personaggi che lavorano nel backstage delle loro esistenze, nel senso che si sentono sempre in bilico tra il prendere sulle proprie spalle la scelta di decisioni mature e responsabili, o ancora lasciarsi trasportare dalla melanconica gioia del vivere giorno per giorno, e delle sognanti elucubrazioni di società giuste, meritocratiche, senza guerre, e senza corruzione. I personaggi che Mele delinea, accolgono la precarietà anche nelle storie d’amore, dove la paura di sbagliare e farsi marchiare a fuoco il nome di una giovane donna o di un giovane uomo, sulla propria pelle, li fa richiudere nella più rassicurante zona comfort dell’amicizia, dove ci può scappare, perché no, anche un rapporto sessuale, tanto tra amici si fa no? Dimensione letteraria alla Sartre? Io non l’ho mai capita, e penso non la capirò mai. Datemi pure del provinciale, ma non posso farci niente! Ad ogni modo in questo lavoro, Lecce la ritroviamo per intero, vista dagli occhi di chi è nato nel 1982, ma che sa cosa sia un Mazinga Z, o un Gigi la trottola, che ascolta Marlene Kuntz e apprezzi Caparezza. Pop certo, e pop diventa anche il capoluogo salentino, dove il must dei gelati è un cono al gusto Pacific Blue, che sembra più il titolo di un serial televisivo americano. Il lettore potrà così sapere di via Trinchese, del “Tabacchi”, di Piazza Mazzini e di altri posti che riconoscerà o imparerà ad apprezzare per la prima volta. Insomma si parla del modo di vivere di ragazzi e ragazze nati dopo gli anni Ottanta, dall’adolescenza che non si ferma ai soli vent’anni, cosciente a corrente alternata dei problemi che vive e di quelli che affliggono la società.
Sullo sfondo del Salento, si stagliano coinvolgenti ed atipiche storie d’amore e di amicizia, in un’inconsueta miscela di musica, poesia e qualche sprazzo di analisi sociologica dell’oggi che non guasta!

domenica 24 maggio 2009

Il libro del giorno: Elisa Albano, Mai più scema. Come sviluppare l’autostima e trasformarsi in donne vincenti (pp. 200, euro 15), Lupo Editore

Dove vai se l’autostima non ce l’hai? Da nessuna parte, perché l’autostima è la benzina delle nostre azioni ed emozioni e, in fondo, il motore di tutto ciò che ci accade. E se allora nulla di quel che ci accade è come vorremmo è perché siamo a secco di questo straordinario carburante: l’abbiamo consumato, o non l’abbiamo mai avuto. Urge allora un distributore facile da raggiungere, e possibilmente economico: e questo libro di Elisa Albano sembra fatto apposta per questo, tanta benzina per tutte senza spendere una fortuna. (Dall'introduzione di Leda Cesari)

"La tesi di Elisa Albano è quella secondo cui l’autostima è la benzina delle nostre azioni ed emozioni e, in fondo, il motore di tutto ciò che ci accade".

di Stefano Savella tratto da http://www.puglialibre.it/


Elisa Albano, Mai più scema. Come sviluppare l’autostima e trasformarsi in donne vincenti (pp. 200, euro 15), Lupo Editore

martedì 7 aprile 2009

Il Sesto di Stefano Delacroix per Lupo editore

La raccolta di racconti dal titolo Il sesto (pp. 168, euro 12), scritta da Stefano Delacroix e pubblicata da Lupo Editore nella collana incipit diretta da Michelangelo Zizzi, si presenta come un lavoro affascinante, e ricco di suggestioni. Non è propriamente appartenente al genere noir sulle dimensioni per intenderci alla Giancarlo Fusco, e nemmeno potrebbe rientrare in quello del giallo o del pulp. O meglio sembra che l’autore abbia trovato una sua personalissima chiave stilistica per fondere in maniera bilanciata tutte e tre le precedenti latitudini della scrittura appena citate. Cerco di essere più preciso. I giovanissimi aficionados della Disney/Pixar andando oggi nelle sale cinematografiche e vedendo ad esempio un film come Mostri contro Alieni, avrebbero una chiave di lettura del film molto superficiale, non cogliendo riferimenti del mainstream pop che magari un pubblico un po’ più adulto e maturo coglie immediatamente: Blob, L’uomo invisibile, Il mostro della laguna nera. E la stessa cosa potrebbe dirsi per il lavoro di Stefano Delacroix: Agata Christie, Alfred Joseph Hitchcock, Charles Bukowsky, e anche H. P. Lovecraft (per il racconto Marianera). Non sfugge inoltre il riferimento a tutto quell’universo che va dalla Legge d’Attrazione, alla Fisica Quantistica dei viaggi nel tempo come teorizzato dal “Dott. Quanto” Fred Alan Wolf nel suo lo Yoga della Mente edito da Macro edizioni, nel racconto il Sesto. La scrittura di questo narratore, si pone in bilico tra la ricercatezza di soluzioni formali eleganti, e il desiderio di lavorare al potenziamento dell’immaginifico proveniente dall’odierno mercato dello spettacolo. Ma perché poi questo libro viene definito psycotropic noir? Ce lo spiega Domenico Fumarola: «Gli otto racconti - ha scritto Domenico Fumarola - che compongono Il Sesto, infatti, si fondano tutti su un dubbio percettivo, psicologico, che disperde le energie dei protagonisti, facendoli cadere nella follia che, in questo caso, diventa una distrazione della percezione. Nel noir psicotropo in cui sono immersi i protagonisti dei racconti di Delacroix vengono meno le due coordinate esistenziali fondamentali nelle quali l’essere umano si trova a vivere: lo spazio e il tempo. Nel primo racconto della raccolta, intitolato “Il volgere del tempo”, il protagonista inizia a vivere la sua vita al contrario, tornando indietro nel tempo, fino a vedere la donna amata nascere dal grembo della madre; nel racconto che dà il titolo al libro una madre invia una lettera d’addio al figlio, anni luce lontano da lei».

Stefano Delacroix nasce a Taranto nell'agosto '66, da genitori leccesi. Dopo la militanza tra le band giovanili, scoperto da Maurizio Montanari, approda alla corte di Mimmo Locasciulli, pubblicando tra il '94 e il '97 i primi due album da solista, Ribelli e La legge non vale (entrambi per Ed. Hobo e distribuzione Sony Music). Delacroix ha già esordito nella letteratura nel 2007, con due romanzi, La memoria del mare (ed. La Riflessione) e Peristalsi (ed. Il Foglio).

I prodotti qui in vendita sono reali, le nostre descrizioni sono un sogno

I prodotti qui in vendita sono per chi cerca di più della realtà

Cerca nel blog

Tamagotchi: Un'icona intramontabile - 2

 PUBBLICITA' / ADVERTISING Il Tamagotchi, un piccolo dispositivo a forma di uovo che ha dato vita a un fenomeno globale, ha conquistato ...