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giovedì 11 settembre 2008

Pietro Berra e i Poeti intorno al Lario














Dalla prefazione al volume del giornalista Pietro Berra

Il Lario cantato dai poeti è, per i più, fermo ai «monti sorgenti dall’acque» di manzoniana memoria o al sole che «ridea calando dietro il Resegone», abbaglio carducciano, visto che l’astro, da quella parte, al limite potrebbe sorgere, come ha documentato l’astronomo comasco Corrado Lamberti. Eppure nel Novecento, e nel primo scampolo del Terzo millennio, sono molti i seguaci della musa Calliope che hanno bazzicato queste zone, traducendo le loro emozioni in versi che, in alcuni casi, già appartengono alla storia della letteratura italiana.



Per due poeti, in particolare, questo angolo di Lombardia è un luogo centrale nella loro storia. Si tratta di due maestri del secondo Novecento. Uno è Giampiero Neri, pseudonimo di Gianpietro Pontiggia, che seppur abiti a Milano da più di 50 anni, quando scrive torna sempre più spesso alla sua Erba, dove è nato nel 1927 e da cui si è distaccato a 16 anni, dopo che il padre fu ucciso nei primi atti della guerra civile. Luoghi e persone della sua infanzia sono molto presenti nell’ultima raccolta, Armi e mestieri, uscita l’anno scorso da Mondadori e lo saranno ancora di più nella prossima, in lavorazione, che si intitola «Piano d’erba», antico nome del paese d’origine. L’altro poeta biograficamente e letterariamente legato a doppio filo con il Lario è Maurizio Cucchi. Il suicidio del padre, avvenuto nei boschi di Uggiate Trevano, è infatti diventato per lui spunto per una ricerca poetica ed esistenziale che ha raggiunto risultati altissimi, culminando nell’Ultimo viaggio di Glenn (Mondadori, 1999), dove il poeta torna sul luogo della tragedia.

Altre volte lago e montagne sono finiti nella produzione di autori importanti per ragioni occasionali. Alda Merini, per esempio, ha scritto una serie di «Poesie per Chiavenna», nate da un viaggio effettuato nella valle della Mera nel 2001 per ritirare il premio Madesimo. Un altro grande, Raffaello Baldini, scomparso qualche mese fa, ha raccontato nel suo dialetto di Sant’Arcangelo di Romagna una gita sul lago di Como, che per poco non gli risultò fatale, essendo finito con il pullman in un dirupo. Il brano si trova in Intercity (Einaudi), che attraverso frammenti di vita come questo ci ha dato una delle testimonianze poetiche più forti del giovanissimo ventunesimo secolo. C’è poi un poeta fiammingo residente in Spagna, Germain Droogenbroodt, che giunto sul Lario da turista se n’è innamorato al punto di tornarci in vacanza più volte e da dedicargli un intero libro, «Conosci il tuo paese?», pubblicato nel 2001 dalle edizioni Archivi del ’900 di Milano.

In un secolo che ha visto concentrarsi nel capoluogo lombardo molti grandi poeti e scrittori, era inevitabile che il Lario e la Valtellina, mete storiche delle gite fuoriporta dei "milanes", finissero prima o poi in qualche loro testo. Così Raul Montanari, stimolato dal comitato per le celebrazioni del centenario di Giuseppe Terragni, ha messo in versi un racconto noir che parte dalla visita a un’edicola funeraria realizzata dall’architetto razionalista nel cimitero di Como. Un sodale di Montanari, Aldo Nove (c’è anche lui nel libro Razionalismo remix), si è divertito a rendere i «finanzieri del distretto di Como» protagonisti di una delirante «avventura di Capodanno» inclusa nella silloge Nelle galassie oggi come oggi (Einaudi), una raccolta di cover, ovvero di testi poetici scritti sui motivi di brani pop-rock, in questo caso «All il full of love» della islandese Björk.

Qualche milanese, inoltre, ha sul Lario la seconda casa, ideale per ritirarsi a scrivere. Prima o poi è giocoforza che lo straordinario paesaggio circostante gli prenda la penna. È stato così per Antonia Pozzi, che prima di togliersi la vita nel ’38, a 26 anni, con un’overdose di barbiturici, ha generato un fiume di poesie, molte delle quali datate Pasturo, nel Lecchese, dove villeggiava con la famiglia. Se lei ormai appartiene alla storia, c’è una altro poeta-villeggiante, Silvio Aman, che sta per pubblicare in una delle più raffinate collane di poesia, quella della novarese Interlinea, la raccolta Fiori del tempo, dove il Lario fa capolino qua e là: inevitabile per uno che ha un appartamento a Mezzegra e fino all’età di 12 anni ha abitato a Cernobbio.

Un po’ diverso è il caso di un altro milanese, Franco Spazzi, che se ha pubblicato tre sillogi nel dialetto di Lanzo Intelvi non è tanto perché lì passa le estati nella casa che fu dei suoi nonni, quanto perché vi trascorse l’infanzia, da sfollato, in tempo di guerra. Pure nell’ultima raccolta del grande, e compianto, Giovanni Raboni, Barlumi di storia (Mondadori, 2002), Como è legata a ricordi del ’43, quando molti vennero da queste parti per cercare una via di salvezza oltre il confine svizzero.

Spazzi appartiene anche alla specie, rara ma non troppo (basti pensare a un Michelangelo o a un De Pisis), dei pittori-poeti, in buona compagnia di un brianzolo l’adozione, e campano d’origine, come Gaetano Orazio. Questi vive a Cremella e lavora, principalmente, lungo il corso del Rio Toscio, sui monti sopra Civate, dove è andato a scovarlo Philippe Daverio con le telecamere di Raitre. Dalla simbiosi con la natura sono nati, oltre a tanti quadri, anche tre libri di poesie, tra i quali Hotel Brianza. Pittore-poeta, nonché critico e drammaturgo, è stato anche Giovanni Testori, un grande lombardo: se Milano è l’epicentro della sua produzione, la Bassa comasca, in particolare Lomazzo, è il "teatro naturale" (titolo di una silloge del già citato Neri) su cui si muove la squinternata compagnia dell’«Ambleto», e Chiavenna, tappa intermedia delle sue frequenti incursioni elvetiche, la si ritrova immortalata nel poema «I trionfi» (1965), nella raccolta di poesie A te (1973) e nel romanzo La cattedrale (1974).

Persino due premi Nobel hanno scritto poesie "intorno al Lario". Luigi Pirandello passa da queste parti nel 1889, diretto all’Università di Bonn, dopo che ha dovuto lasciare quella di Palermo in seguito a contrasti insanabili con il professore di Lettere. Si ferma da amici a Cavallasca. Fa anche in tempo a innamorarsi di una ragazza, sebbene in Sicilia abbia lasciato pure una fidanzata. Ma non è un amore felice, come si intuisce dall’acredine che riserva alla «bruna di Como» nella poesia «Convegno», pubblicata sulla Rivista d’Italia nel 1901 e nella raccolta «Fuori di chiave» del ’13. Un amore perduto aleggia anche tra l’Adda e Ardenno, cantati ne «La dolce collina», una lirica uscita nella sezione «Nuove poesie» della raccolta più celebre di Quasimodo, Ed è subito sera (1942). L’ambientazione non è casuale: negli anni precedenti il geometra di Modica era stato impiegato al genio civile di Sondrio. Una tappa del percorso che nel 1959 l’avrebbe portato ad essere incoronato dall’Accademia di Stoccolma.

Nel periodo valtellinese, Quasimodo strinse strette relazioni con un gruppo di artisti e letterati milanesi, tra i quali un ragazzo del Sud, il salernitano Alfonso Gatto, antifascista militante. Dopo la Resistenza e alcune esperienze da inviato per i giornali del Pci, nell’estate del ’49 Gatto si trasferisce a Carate Urio, ospite di un albergo gestito da amici, assieme alla compagna Graziana Pentich. L’8 ottobre di quell’anno, a Como, nasce il loro figlio Leone. Per più di un anno il papà continuerà a fare il pendolare tra Carate e Milano, prima di trasferirsi nel capoluogo regionale con la famiglia. Ma la parentesi lariana, gravida di affetti cullati dalle acque del lago, riemergerà più volte nelle sue poesie.

Se i milanesi, poeti e non, vengono sul Lario innanzi tutto per "ciapà un pù de aria bona" - come Delio Tessa che ha scritto dei suoi soggiorni a Moltrasio nel libro di memorie Brutte fotografie di un bel mondo - tornano più volentieri se sono motivati anche da qualche interesse letterario. Così Roberto Sanesi, che ha trovato a Como il suo critico più attento e assiduo, Vincenzo Guarracino. Dopo la prematura scomparsa del poeta-pittore milanese, è stato proprio Guarracino a curare l’edizione postuma per la comasca Lietocollelibri del suo poemetto inedito In laude Larii laci, ovvero «In lode del lago di Como», imitazione dell’antico poeta longobardo Paolo Diacono. Un punto di riferimento per i poeti, non solo milanesi ma mondiali, visto che ha pubblicato persino l’icona della beat generation Allen Ginsberg, si trova in Brianza, a Osnago, in una casa con due caprette e un coniglio. È qui che vive e lavora Alberto Casiraghi, «l’unico editore che stampa in giornata», con una vecchia macchina tipografica da cui sono usciti in 23 anni oltre seimila plaquette che abbinano una poesia a un’opera d’arte originale. Tra i più convinti sostenitori delle edizioni Pulcinoelefante vi è Vivian Lamarque, che un giorno, dopo aver stampato da Casiraghi, ha comprato con lui tre sacchi di lumache e le ha liberate nei boschi. Il tutto documentato in una poesia inclusa nel 2002 in un Oscar Mondadori.

Ma «i monti sorgenti dall’acque» non sono solo terra di conquista, o di svago, per poeti forestieri (a partire dal Manzoni che villeggiò a Lecco da ragazzo). Il genius loci, lo spirito del luogo, ha ispirato anche autori locali, che però solo in rari casi sono riusciti a uscire dal territorio. Un limite su cui forse hanno influito, aldilà delle capacità dei singoli, anche i monti e le acque manzoniani, che sono diventati una barriera per i loro versi. È vero che la poesia, come la storia, non si fa con i se e con i ma. Ma viene spontaneo chiedersi se un Basilio Luoni, pubblicato nel ’93 da Dante Isella sull’Almanacco dello Specchio della Mondadori, non avrebbe "fatto carriera" se invece che a Lezzeno, sulla sponda orientale del Lario, avesse abitato a Milano o a Roma. E un Vito Trombetta, che vive a Laglio e scrive nel dialetto di Torno, non sarebbe arrivato prima dei 60 anni alla pubblicazione per un grande editore, conquistata solo di recente con una dozzina di testi inseriti nell’antologia di Einaudi Nuovi poeti italiani 5? Ma forse, nel mondo delle comunicazioni superveloci, qualcosa sta cambiando, se Francesco Osti, ventinovenne di Morbegno, è stato incluso da Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi nell’antologia Nuovissima poesia italiana, uscita lo scorso Natale da Mondadori.

Più fortuna, finora, hanno avuto alcuni migranti, che tuttavia non hanno mai abbandonato il legame, anche letterario, con il paese natale: Giancarlo Consonni, meratese, docente al Politecnico di Milano, dove vive, habitué di Scheiwiller ed Einaudi; Giuliano Dego, colichese, docente alla London University, pubblicato in poesia nelle edizioni del medesimo ateneo e in prosa nella Bur; Grytzko Mascioni, che dalla natia Madonna di Tirano ha girato l’Europa, è stato cofondatore della Televisione svizzera, ha pubblicato romanzi e poesie da Mondadori e Rusconi, ha lavorato in Grecia, Francia e Croazia, fino alla morte che lo ha colto a Nizza nel 2003.

Mascioni è esponente di un’altra specie, quella dei poeti di frontiera, che intorno al Lario ha trovato in suo habitat ideale. Si pensi a un Fabio Pusterla, nato nel ’57 a Mendrisio, con doppia cittadinanza e residenza, una a Lugano, dove insegna al liceo, e l’altra ad Albogasio, frazione di Valsolda, sponda comasca del Ceresio. Le "terre di mezzo" tra l’Italia e la Svizzera, come la Val d’Intelvi, sono molto presenti anche nella sua ultima raccolta, «Folla sommersa», uscita nel 2004 da Marcos y Marcos. Un’altra dogana, quella di Ponte Chiasso, ha visto e vede passare con una certa frequenza Alberto Nessi, anche lui nato a Mendrisio (nel ’40) e cresciuto a Chiasso. Senza dimenticare Angelo Maugeri, uno dei poeti lanciati negli anni Settanta dalla mitica collana «I quaderni della Fenice» di Guanda, che dalla natia Messina si è trasferito a Campione d’Italia, enclave comasca in territorio elvetico, dove insegna e presiede l’Associazione scrittori della svizzera italiana.

Per mantenere viva la fiaccola della poesia, soprattutto in piccole patrie come Como Lecco e Sondrio, è fondamentale il ruolo di alcuni entusiasti "sacerdoti" delle muse. Tra i più attivi Claudio Di Scalzo, che dopo essere nato a Vecchiano, in provincia di Pisa, ed aver pubblicato il romanzo epistolare Vecchiano, un paese da Feltrinelli, è approdato a Chiavenna, dove dirige la rivista Tellus, porto sicuro e accogliente per i vari Mascioni, Luzzi, ma anche per le «Poesie per Chiavenna» della Merini, e l’Accademia Bertacchiana.

Posto che nel Novecento, e ancora di più nel Duemila, nessuno può dirsi poeta di professione (Montale, non per niente, si presentava come giornalista), e che il titolo oggi viene dato dalla critica, è inevitabile che nascono dei "conflitti di interesse". Se alcuni poeti si sono affermati anche come critici - Franco Loi, Maurizio Cucchi, Giovanni Giudici -, qualcuno ha percorso autorevolmente il cammino inverso. Per rimanere "intorno al Lario", vanno citati almeno due casi: Giorgio Luzzi, firma della rivista Poesia, ha pubblicato raccolte da Crocetti, Marsilio e Scheiwiller (ma in questa sede ci interessano soprattutto degli inediti legati alla Valtellina, dove è nato e spesso fa ritorno, mentre vive a Torino); il brianzolo Fulvio Panzeri, che, tra le tante cose, ha curato l’opera omnia di Testori e Tondelli per Bompiani, ma ha anche editato da Guanda, nel 2000, la silloge L’occhio della trota.

Storia a sé fa Davide Bernasconi. Per i più è Van De Sfroos, il bardo delle Tremezzina che ormai ha conquistato l’Italia e anche un pezzo di Europa. Canzone e poesia, si sa, sono cose diverse («La canzone ha bisogno di un accompagnamento musicale - dice Loi - la poesia ha la musica dentro»), e a volte i poeti si arrabbiano quando vedono definire poesia le rime elementari di un Guccini. Ma il Bernasconi di Mezzegra è al di sopra di ogni sospetto: la sua per ora unica raccolta di poesie, Perdonato dalle lucertole», risale al ’97, prima del successo da cantautore. E tra un concerto e l’altro, ma ormai anche tra un romanzo e l’altro (ne ha uno in uscita da Bompiani), ogni tanto sente ancora la necessità di scrivere una poesia.





Pietro Berra è nato a Como nel 1975. Giornalista, lavora al quotidiano “La Provincia” e collabora con il settimanale “Diario”. Ha pubblicato le raccolte di poesie Un giorno come l’ultimo (Dialogo, 1997), Poesie di lago e di mare (Lietocolle, 2003) e Poesie politiche (Luca Pensa Editore, 2005), la biografia Giampiero Neri. Il poeta architettonico (Dialogolibri, 2005); i libri di inchieste e reportage giornalistici La scena immaginata (Nodolibri, 2002), Carla Porta Musa cento anni a Como (Enzo Pifferi Editore, 2002) e Sei frustate per una rapa. Storie del Novecento (Marna, 2004); il volume di storie e leggende lariane Nel paese dei pescaluna (Marna, 2004). Come poeta ha collaborato con diversi artisti: Gin Angri, Franco Spazzi, Silvio Nocera e Alfredo Taroni nelle plaquette delle edizioni Pulcinoelefante, Alessandro Berra nel librino Un piccione a New York (Signum, 2001), di nuovo con Taroni nel racconto in versi sugli schiavi di Hitler Disfattista! (Lythos, 2002) e con Gaetano Orazio nella mostra e nel cd-rom Fiume Aperto (galleria “Il Salotto”, 2004).

Aa.VV. Poeti intorno al Lario a cura di Pietro Berra
Volume realizzato in collaborazione con l'assessorato alla Cultura della Provincia di Como

in foto Pietro Berra

sabato 6 settembre 2008

Alessandra Contini mi fa sentire un Pop Porno




Pop Porno

Tu sei cattivo con me
perché ti svegli alle tre
per guardare quei film
un po’ porno

Tu sei cattivo con me
perché mi guardi come se
io fossi un’attrice
porno

Porno Pop Porno Pop Porno
Pop Porno Porno Porno

Tu sei cattivo con me
perché ti piace sognare
quei tipi di donna
un po’ porno

Tu sei cattivo con me
perché mi lasci da sola
e ti guardi quei film
un po’ porno

Porno Pop Porno Pop Porno
Pop Porno Porno Porno

Ma quando viene sera
tu mi parli d’amore
e guardandomi negli occhi
mi fai sentire davvero
una donna un po’ porno.

mercoledì 3 settembre 2008

Aiutami di Paolo Grugni





booktrailer posted on youtube by Paolo Grugni





Questa storia è la storia di cinque animalisti: Ricky, Bruno, Claudio, Sara e Giovanni. È la storia dei loro ideali, dei loro dubbi, dei loro sogni, della loro voglia di un mondo più giusto per uomini e animali. Siamo nel novembre 2008, a Milano, quando in un convulso fine settimana i cinque protagonisti mettono in atto il rapimento di Luigi Banes, cacciatore e assessore della regione Lombardia. Lo trasportano in Valtellina e lo tengono sotto sequestro, poi all'improvviso tutto cambia e i ruoli di forza all'interno del gruppo portano a una piega degli eventi diversa da quella prevista. Fino alla conclusione che inchioda ognuno alle sue responsabilità, lettore compreso. Questa storia è anche la storia della passione di Ricky per la musica: avrebbe voluto fare il paroliere e invece è finito in fabbrica. Il 10 novembre, giorno in cui la vicenda trova il suo epilogo, è l'ottantesimo compleanno di Ennio Morricone, il più grande compositore contemporaneo, e Ricky vuole fargli gli auguri. Chissà se ci riuscirà. uesta storia è inoltre la storia dell'amore di Ricky per Giulia, appena conosciuta ma già al centro dei suoi pensieri. Un amore che accompagna, in modo tenero e disperato, lo svolgersi dell'azione

special tank to Gabriele Dadati - Barbera editore

martedì 2 settembre 2008

Hier und Jetzt - Qui e ora di Silla Hicks
















Schegge di te

luccicano ai bordi delle strade

sotto la pioggia lurida

in cui annego con i miei stracci sporchi

di questo tempo inutile

non sapevo che il niente

mi aprisse voragini

tarli che mi fanno polvere

radioattiva



un chilometro dopo l’altro

una vita dopo l’altra

mi tengo assieme con pezzi di spago

una valigia di cartone

dimenticata in aeroporto

senza indirizzo:

come faranno a rispedirmi a te

domani.

giovedì 28 agosto 2008

Ordem e Progresso di Adriana Maria Leaci

È passato tanto tempo…
E a pensarci oggi
A vederti in foto
A seguirti sui giornali, riviste e tv
A sentire i parenti, amici e conoscenti
sei tanto cambiato.
Succede spesso.
Pensi di conoscere tutto
di sapere ogni dettaglio
di prevedere ogni evento.
In verità non sai niente
Ti sfuggono particolari
Non riconosci i colori
Dimentichi le parole che hai condiviso…
Quando ti ho lasciato
mi sembravi intrappolato dagli artigli della gente
La gente che ti sfrutta e che ti spreme
si arricchisce a tue spese e ti consuma
vantandosi dei beni che hai
a totale disposizione di chiunque.
Ti amavo troppo per restare solo a guardare
per assistere senza poter fare nulla.
Era il tempo dell’abbandono
Ti hanno lasciato milioni di volte
Per tornare di corsa piangendo
Come ho fatto io
Pensando di rimanere e rifarmi una vita
Invece ti ho deluso ancora
ho rifatto le valigie e ti ho salutato
in lacrime
per tornare quando
semmai Dio vorrà
Anche Iddio è tuo
L’hanno detto in tanti
In parte sei rimasto lo stesso…
Laddove non sono riusciti a toccarti
Laddove non c’è da togliere più niente
Laddove sembra vuoto
sembra
Quando ti ho lasciato
Credevo che ti avrei dimenticato
Chi ti sarà mai fedele abbastanza
e come me
ti rimpiangerà per sempre
Chi guarderà la tua gola e scoprirà le lenzuola?
Chi rimarrà con te fino alla fine
e avrà il coraggio di difenderti
Ti amerà senza condizioni
morirà per te
E solo così ti potrà dimenticare

martedì 26 agosto 2008

Lanterne Rosse, Parole Nere di Silla Hicks

Zang Ymou dei miei sogni di tigri e dragoni dice che i diritti umani ci fanno fragili, e forse è vero: solo dalla frusta e dalla paura e dal divieto di pensare cose diverse può nascere la perfetta compattezza di una coreografia senza errori, sbavature, fogli accartocciati sul pavimento e file interi chiusi senza salvarne un rigo, senza rimorsi né rimpianti né lacrime né rabbia: tutto il ciarpame che ci fa copie mal riuscite di dio, foglie umane perdute dentro al vento.
Zang Ymou delle mie notti illuminate di lanterne rosse dice che l’autodeterminazione è stata un regalo cattivo, che non sappiamo usare e di cui siamo indegni, che ci fa angeli caduti che hanno barattato ali di albatro per un bacio allagato di lacrime in cui finalmente annegare: l’eternità per un secondo tra le tue braccia, il nuotatore che potevo essere per quest’uomo che non è più niente.
So che se gli dessi retta, e mi strappassi via una buona volta le tue iniziali dalla pelle, forse rimarrei vivo, ma mi dispiace Zang, non ne varrebbe la pena, no.
Tu credi che la perfezione abbia valore: non ti accorgi che quello che fa i tuoi film immensi è il tuo occhio umano, e il fatto che feriscano e commuovano altri umani: il tuo dio di perfezione non ci crederebbe, ai tuoi combattimenti aerei o alla bellezza di Gong Li, ti direbbe che non sono possibili, che non sono reali, perché non ci sono foreste dove i pugnali volano e solo un pazzo visionario e umano può vederle.
Perché dio non sogna che se stesso, e tu lo sai: e seduto da qualche parte nel suo empireo vuoto quasi sempre guarda da un’altra parte, mentre il sangue si allarga sulle piastrelle del mondo, che sia ebraico o armeno o tibetano non cambia niente, a differenza della pelle ha sempre lo stesso colore, come le divise imposte da ogni tiranno, in ogni tempo e luogo, anche in quello in cui tu ti dici fiero di essere.
Pensi che ribellarsi non serve a niente, Zang, e hai ragione, nel senso che c’è sempre un carrarmato che può venirti addosso, e che non c’è pietà per i vinti, anche se si sono arresi: ma forse non ti rendi conto che il ragazzo di Tienanmen o quello con la bandierina che saluta gli alleati nelle ultime pagine di Malaparte muoiono nello stesso modo, è vero, ma i cingoli che li riducono in poltiglia non bastano, a cancellarli davvero.
Perché quelli che restano li ricordano, Zang, e li ricorderanno anche quando la tua Gong Li sarà una vecchia signora che non può più stregare il mondo scoprendo una spalla, e tu firmerai il tuo ultimo addio, e vincerai il tuo ultimo premio, e io ti guarderò per l’ultima volta in un cinema vuoto, come ho sempre fatto, in questi anni, con le lacrime agli occhi e dimenticando le parole che hai detto oggi, perché puoi dire quello che ti pare, ma il tuo cinema non è una parata di regime, ma una rivolta, la prova vivente che i sogni esistono, e che non c’è dittatura che li possa imbavagliare.
Senza accorgertene, è questo che dici, Zang, questo e non che è bello guardare burattini in fila telecomandati dietro al filo spinato della Corea del Nord : ne sono sicuro, perché ho visto “Non uno di meno” il più grande e sconosciuto dei tuoi film, quello più delicato e meno epico e fuori dal cinema ci siamo sentiti fortunati del tuo rivoluzionario regalo.
Dal villaggio polveroso alla megalopoli per ritrovarne uno: senza eroi né sciabole né salti, solo una ragazzina cenciosa che più che maestra è una capoclasse, la cui unica disciplina non è la frusta ma il cuore, lo stesso che fa tornare un superstite indietro a recuperare i compagni, a rischiare la vita.
Lo so che ci vuoi credere, che il tuo sia il migliore dei mondi possibili, per dormire ogni notte e non pensare di essere come me, perduto come un pacco per il mondo, con il peso delle tue origini e della tua lingua e del tuo cognome, la faccia del buio che ti guarda dallo specchio: so come ci si sente, a sembrare un SS, come la gente ti guarda, io sono nato il 10 novembre del ’72, ma non basta a convincermi di non essere mai stato dalla parte sbagliata, non ho fatto il soldato ma sono un tedesco, anche adesso che sono qui, anche adesso che parlo italiano, e che il suo cuore è l’unica casa che posso avere, l’unica cui voglia tornare, l’unica in cui non sia straniero.
So che hai paura, Zang, paura per tutto quello che sei diventato, paura che tutto finisca, per un carrarmato o qualsiasi altra cosa, il dalai lama o l’America, la storia che non puoi cambiare.
Ma ti prego, Zang, per me e per tutti quelli che hanno volato con la tua tigre, per tutti quelli che in tutto il mondo hanno visto i tuoi sogni e li hanno respirati diventandone schegge, e che se li portano in giro stretti per la mano, non fare l’errore di Leni, non guardare il mondo da sopra una gru per non vederne le ferite che marciscono, per non sentirne l’odore.
Il nostro mondo cade a pezzi, è vero.
E anche il mio cuore.
Vivo di scatolette, non sono più capace di dormire, ma non voglio sonniferi che non mi facciano sentire dolore.
Non hai idea di quanto sarebbe peggio non sentirlo.
Non hai idea di quanto sarebbe peggio, non essere così imperfetto, non volere morire né farlo poco alla volta ogni giorno.
Svegliarsi ogni giorno solo perché qualcuno gira la chiave nel quadro.
Senza scegliere di farlo, oppure no.
L’autodeterminazione è il caos, è vero, Zang.
Ma è da là che veniamo, non da un frattale. Per questo pensiamo tutti cose diverse, e le facciamo, e sbagliamo, e poi rifacciamo tutto da capo.
Infinite volte.
Fino alla fine del mondo.
Mentre dio ci guarda.

sabato 23 agosto 2008

Oz di Silla Hicks

Quando sei giovane, e ti senti il re del mondo, e non hai paura di niente perché pensi che dovrebbero essere loro ad aver paura di te, mentre una tegola ti fracassa il cuore senti il dolore, è ovvio, ma sei anche capace di aspettare che si rimargini, di star fermo e buono e non muoverti, finché non passa.
Ma quando ti guardi allo specchio, e ti rendi conto del perché nessuno ti chiama più ragazzo, e la faccia che ti fissa non è nemmeno più la tua, quando sei troppo stanco persino per farti la barba al mattino, e vaffanculo se hai una grattugia di spighe mal tagliate al posto della pelle, e ti infili a tentoni la stessa maglia che portavi ieri ed anche il giorno prima, e vedi un film fino alla fine ma non ti ricordi il titolo e nemmeno una scena, allora è tutta una altra storia, non pensi più che ne uscirai vivo, e nemmeno che ne uscirai più.
E pazienza se la gente pensa che sei forte, che potresti sradicare alberi e abbattere uomini con una testata: pazienza se qualche stronzetta ventenne dice persino che sei bello, con i tuoi occhi allagati di acqua trasparente e vuota, e vorrebbe portarti al letto, anche, come se bastasse scopare per spegnere il cervello: dieci anni fa svuotarsi i coglioni poteva anche bastare, ma adesso no, cazzo, non è più così.
Adesso guardo fuori che sta piovendo e mi sciolgo nell’acqua e non ci sono, o almeno non ci sono davvero.
Nei tergicristalli pezzettini di me attaccati alle gocce,e quando ti deciderai a metterli in ordine, a raccontare com’è andata per davvero.
Ma il fatto è che forse non lo so neanche più, com’è andata, non lo so e non me ne frega e vorrei soltanto che tutto si spegnesse, questa estate e l’autostrada e le code e la gente che va in vacanza, e questo nord che affonda in un monsone adesso, a ferragosto, la tempesta del secolo e io nell’occhio del ciclone, cazzo, almeno potesse portarmi via, su fino al cielo sopra al mondo di Oz per poi lasciarmi ricadere, con la motrice addosso, i miei anfibi che spuntano da sotto alle lamiere invece dei pedalini a righe della strega dell’Ovest e tu vestita come Dorothy che mi guardi stupita, la nostra vecchia Margot come il cagnolino spelacchiato Toto, e pazienza se quello era nero e lei è bianco sporco, chissà se te la ricordi, Margot, o se il tipo ha cancellato anche lei.
Ma invece non succede niente, piove e basta, e né questo né nessun uragano mi portarà da nessuna parte, e comunque sopra all’arcobaleno non ci abita nessuno, anche se io e te ci siamo stati, a volte, e no, non ci credo che non ci torneremo a vita, lui saprà la chimica e avrà una laurea e la faccia di Raul Bova, me l’hai detto ma non ci credo, e vaffanculo a lui e alla sua perfezione e vaffanculo alla sua generosità e alla sua intelligenza, vaffanculo, sì, perché è uno stronzo figlio di puttana sguaramazze del cazzo, e me ne strafotto se non è politically correct, io non lo sono.
Perché è vero che non c’è paragone, stavolta: non ci credo, ma lo so che lui è perfetto, un professionista, che parla una lingua sola e ha una sola patria e una statura accettabile e gli occhi di un colore vero, mentre io…sono solo me.
Un ignorante, una bestia con il cranio rasato e un cuore spezzato tatuato sopra al braccio: non sembro un principe ma piuttosto un wrestler deportato all’inferno, puzzo di fumo e di sudore, porto gli occhi incongrui di un androide e sfioro ogni stipite con la fronte.
Eccessivo, ingombrante, sempre fuori posto, non riesco a trovare vestiti né scarpe e parlo ogni lingua con l’accento sbagliato.
Non ho una patria in cui non sia straniero.
Sono la testa mozzata di Elias il maniscalco, che rotola nella polvere a metà della prima pagina di Q, e insieme le braccia alzate di Elias il marine, che negli ultimi venti minuti di Platoon viene falciato mentre gli elicotteri si allontanano: tutti e due hanno capito troppo tardi che nessuno verrà a prenderli, mentre gli alieni arrivano, e io lo capisco adesso, che finalmente so che ERI TU LA MIA VAZQUEZ, e sai che vuol dire, per me infinitamente più di un ti amo che chiunque può spergiurare.
Vuol dire che tu saresti tornata, sempre.
Saresti tornata, e li avresti fermati, sventagliando a tappeto mentre uscivano dalle sfottute pareti, e mi avresti raccolto sventrato chiudendomi le ferite con le dita.
Ma adesso no: adesso io sono Elias, tutti e due.
E non serve dirti che lui non ha bisogno di te, perché è già il settimo cavalleggeri, l’apprendista con la bisaccia, Chris il superstite, Ripley.
Lo sai, ed hai scelto lo stesso.
Forse, è giusto così.
Io non sono in carriera, non ho soldi né un lavoro buono, non sono un professionista in niente, non sarò mai qualcuno.
Non posso offrirti niente: ho le mani vuote, e tra poco sarò tutto vuoto, potrai gridarmi dentro ma ti risponderà solo l’eco, dovrei farmi una doccia e smettere di piangere, ma non voglio fare né una cosa né l’altra, non voglio più fingere di essere: me ne fotto di tutto questo cazzo di mondo di merda, sì, avete capito tutti, adesso basta, game over.
E vaffanculo se invece dovrei svegliarmi riposato tra quattro ore e sistemare il disco e ripartire, dicono alla TV che non dormiamo e guidiamo ubriachi fradici, cazzo, bastasse bere e non dormire per essere come sono io adesso, due mani sullo sterzo senza più né testa né cuore, carne da macello di cui non frega niente a nessuno.
Loro che ne sanno, di com’è stare soli, che ne sanno di com’è, quando i chilometri sono l’unica fottuta speranza che hai, di allontanarti da te, perché non hai niente a cui tornare.
Che ne sanno di com’è, quando non te ne frega niente di niente, e non dormi per niente, altro che quattro ore, perché sgrani gli occhi solo sull’incubo in cui sei da sveglio: che ne sanno di com’è, quando la strada ti ha triturato, e sei solo gli avanzi di una bestia investita nel retrovisore.
Se mettessi la strada che ho fatto negli ultimi sedici anni un chilometro appresso all’altro, credo che ne uscirebbe un nastro lungo da infiocchettare il mondo dieci volte: finalmente un bel regalo, da lasciarti in cima alle scale un’alba senza sole, una lettera d’amore che non sia solo parole messe in fila una notte che le lacrime ti hanno lasciato abbastanza occhi per riuscire a scriverle senza mangiarsi l’inchiostro, oltre che sfilacci di quello che resta di te.
Si, lo so, in questi giorni non lo scarteresti neanche, ma dovrà pur finire, e allora io sarò qua, se ci sarò ancora.
E ci sarà anche il mondo, questo e quello di Oz, dove tornare.
Weh spricht vergeh, no, non è vero che passa, vaffanculo Nietzsche, lurido nazista del cazzo, non è vero che passa, ma io sono qui, e sono i due Elias in uno, non mi serve la scure e nemmeno un M16, vienimi addosso, non mi fai paura.
Stanotte niente quattro ore di sonno, e nemmeno di pianti, stanotte che la luna è uno spicchio appena e io sto qua come Ciaula e tutto il mondo è un’immensa miniera nera.
Ma la luna c’è, comunque, e io so che esiste.
Oz è ancora là.
E anche tu ci sei, sotto la mia pelle, nelle mie ossa, nel mio sangue.
Sei la mia Vazquez, e tornerai a prendermi.
Un attimo prima che arrivino, entrerai sparando e li terrai lontani abbastanza perché non mi facciano a pezzi, e il tuo sguardo sarà l’ultima cosa che vedrò, prima che tutto sfumi sui titoli di coda.
Prima di svegliarmi in un mondo senza dolore né rabbia né colpe, in cui c’è una strada di smeraldo, in cui non mi lascerai.

sabato 16 agosto 2008

Che fine ha fatto Mr. Y di Scarlett Thomas (Newton Compton, 2008)

Chissà perché quando penso a un libro maledetto, subito mi viene in mente il Necronomicon di H.P. Lovecraft, un’opera che lo scrittore di Providence ha consegnato alla storia della letteratura come gigantesco contenitore di abominii che viaggiano nel tempo e lo spazio per dominare mondi e creature. Ed è l’unica associazione che ho fatto, forse l’unica che poteva saltarmi in mente, leggendo lo splendido libro di Scarlett Thomas edito dalla Newton Compton dal titolo Che fine ha fatto Mr. Y. E lo Spazio-Tempo, le sue dinamiche, il viaggio in universi paralleli, e l’incontro con divinità mostruose (nell’accezione latina di monstrum come ciò che appare straordinario) è il filo conduttore delle vicende che sorreggono la vita narrativa della protagonista Ariel Manto. Giovane ricercatrice della British University, che a seguito della scomparsa del suo mentore, e al crollo di una parte della sua università, viene diretta dal Caso (in questo caso specifico il suo anagramma Caos è molto più pertinente) in un negozio di libri usati dove trova il tassello mancante per una sua ricerca su un autore singolare e misterioso come Lumas: ovvero la sua ultima opera dal titolo per l’appunto Che fine ha fatto Mr. Y. Questo scrittore, la cui vita era stata avvolta più da zone d’ombra che da una fulgida e trasparente esistenza, aveva sviluppato una serie di esperimenti sul potere della mente e su come grazie a singolari e potentissime energie mentali eteriche insite in ciascun individuo umano, ovviamente con il supporto di una particolare mistura la cui ricetta veniva indicata all’interno del grimorio maledetto, il viaggio in dimensioni diverse dalla nostra non solo risultava possibile, ma addirittura con la debita pratica si riusciva a entrare nella mente di altri soggetti sia persone che animali modificandone comportamenti e scelte, ma anche spostarsi (attraverso la Pedesis) nel tempo per modificare la Storia, le Storie. Il mondo in cui tutto ciò è possibile nel libro si chiama Troposfera, e il suo Dio-Guida è Apollo Smintheus, mezzo uomo e mezzo topo, divinità pagana venerata da uno sparuto gruppo di seguaci (più o meno sei persone che a lui hanno dedicato un culto in una piccola cittadina di provincia del nord-america) che orienterà le azioni di Ariel Manto salvandola da agenti psichici dell’Intelligence Americana facenti parte di un progetto segretissimo chiamato Starlight per il controllo delle menti (la Cia ma potrebbe essere tranquillamente l’FBI -ndc), desiderosi di impossessarsi della formula forse per creare, chissà, un super-soldato. I punti di forza che rendono affascinante un personaggio come Ariel Manto è il suo appeal da bella tenebrosa, e sessualmente famelica, con un pizzico d’aria bohemien che non disturba affatto. Le peculiarità che rendono completo, avvincente, godibilissimo questo lavoro, è che con assoluta disinvoltura si parli di Deridda, Einstein, e Heidegger, sviluppando per quest’ultimo l’ipotesi dell’esserci (Dasein) come perfetta gestazione causale di effetti nella realtà da parte del linguaggio, ovvero una vera e propria fenomenologia della liberazione umana, da condizionamenti, imposti al di fuori delle proprie coscienze ed esistenze. Chicca delle chicche, la teorizzazione da parte di una scienziata, una delle protagoniste secondarie dell’opera, con considerazioni scientifiche fatte in maniera davvero puntuale e rigorosa ,della fisica post-strutturalista. Non cedete alla tentazione,dopo aver letto questo libro di pensare a Matrix… è veramente tutta un’altra storia! E poi …siamo sicuri che Scarlett Thomas abbia scritto quest’opera come frutto di pura invenzione?



Titolo originale: The End of Mr Y.
Traduzione di Milvia Faccia

giovedì 14 agosto 2008

L'onda di Silla Hicks

Mi abita il dolore, in questa estate che è l’estate dei giochi di Pechino, di Free Tibet e degli atleti che hanno aspettato 4 anni i 10 secondi scarsi in cui correre i 100, ma anche l’estate della Petrella, che smettendo di mangiare si è illusa di perdere tutto il peso dei suoi anni di piombo.
Mi abita il dolore, in questa estate che è l’estate del vecchio Peter Pan Capanna, che parla in un paesino della Puglia illudendo e illudendosi che questa Italia abbia ancora dei sogni, di Zucchero che canta stasera allo stadio, e di Jovanotti che canta ovunque la nostra canzone.
Mi abita il dolore, in questa estate.
Mentre il mondo non finisce.
Ma è ancora la nostra canzone, perdio, e questo nessuno me la può levare, nemmeno te.
E me ne fotto di quello con cui l’ascolti adesso, è ancora la nostra canzone, cazzo, anche se è ancora quest’estate, e tutte le parole che so non bastano, a raccontare cosa sia il dolore.
Perché questa è anche mein sommer, la mia estate, l’estate di quest’ uomo che sta seduto davanti al PC stasera e non ha più faccia, ma solo lacrime che lo guardano dallo specchio, un occhio per ognuna, un caleidoscopio di sofferenza che è un mare in cui non sa né vuole più nuotare.
Nel 1999, quando avevo il cuore spezzato ma non sapevo ancora cosa significhi non averne che brandelli stretti tra le dita, mi sono aggrappato alla speranza dentro alle parole di Giuseppe, se resti vivo almeno saprai come va a finire.
Eravamo sul lungomare di Gallipoli, e così ubriachi che davvero non so come ho fatto, qualche ora dopo, a guidare fino a casa la mia – la nostra, ancora, lei – vecchia Panda.
Giuseppe aveva ancora i suoi capelli lunghi e soltanto la cagnetta Matilde ad aspettarlo a casa, sembrava ancora un tossico ma era già – da quasi dieci anni, penso - un bravo poliziotto, e forse per questo è stato capace di trovare le parole - le uniche che capissi - per farmi arrivare fino a domani.
Ci ripenso, stanotte, che Giuseppe porta i capelli cortissimi ed è a casa con la sua compagna e ha smesso di sbronzarsi e non può più passare la notte con un amico, risento la sua voce roca di Camel come una cantilena, e, mi spiace, non funziona più.
Mi spiace, Giuseppe, sono troppo stanco.
Sono così stanco che non so se ce la faccio, a tenere strette le tue parole fino a domattina.
Si, è vero, lo so che d’amore non si muore.
Ma ho capito anche che ad un certo punto ti scordi che può non essere sempre così, dimentichi come stavi prima, e allora smetti di nuotare per tornare a riva, e il mare che hai dentro t’inghiotte, e sputa via quello che resta di te triturato dalle eliche delle barche, inservibile.
E a quel punto, comunque, non hai più gli occhi, per vedere come va a finire.
E il dolore non è passato. Si è solo ritirato. Lo sai, e sai che tornerà, di nuovo. Anche se non sai quando, né come.nemmeno perché.
La scorsa settimana, Caterina – quella che ha il padre che vende scavatori, che ho conosciuto quando guidavo ancora le bisarche e che conosci anche tu, perché i casi della vita sono strani– mi ha regalato una maglia della JBC con un fantastico disegno in 3D che sembra fatto col Cad tanto è accurato, una ruspa con la pala alzata, insieme potente e docile, domestica, forte da maciullare un carro armato ma nata per scavare pozzi e fondamenta di case.
Ci ha messo tanto a trovare la mia taglia, e me l’ha data incartata, una specie di pacchetto, e nel darmelo mi ha fatto una specie di carezza con la punta delle dita sopra al braccio, tu sei così, mi ha detto, sei un pezzo di pane, anche se a vederti fai paura.
E poi, si aggiusta tutto, credimi, ha aggiunto, perché ha sentito l’odore della mia sofferenza nell’aria anche senza saperne niente, per quell’alchimia miracolosa che rende omniscente la specie umana: non so se sia stato questo a frantumarmi, ma non le ho detto neanche grazie, l’ho abbracciata e io che sono due metri mi sono accartocciato sulle spalle di questa ragazza che non arriva a uno e settanta nemmeno con le scarpe con le zeppe che porta tutti giorni, squassato da singhiozzi che non riuscivo a fermare.
Lei è rimasta ferma, nel mezzo del piazzale con questo gigante addosso che non sapeva smettere di piangere nè pensare alla figura di cazzo o alla vergogna o a niente altro, accarezzandomi i capelli come una madre , anche se ci togliamo due anni appena.
Non mi ha chiesto niente, Caterina.
Non le ho detto niente.
Ma ho capito in quel momento di non sapere più nuotare.
Di non avere nelle braccia la forza per arrivare a riva, e nella testa quella di continuare a inspirare e espirare senza ingoiare l’acqua.
Di non sapere più farlo, sì. E forse di non volerlo nemmeno più.
Di sentire il blu sotto di me allargarsi, e volere solo smettere di pensare. Spegnermi. Finchè non ti ricorderai che esisto, quando sarà, se sarà.
Perché non riesco a rimanere vivo, sai, Giuseppe, non ci riesco ad aspettare come andrà a finire. Non riesco a vivere, e vaffanculo se non morirò nemmeno, l’importante è che io non sia vivo quando la prossima onda arriverà e mi stritolerà di nuovo, perché così non potrò sentirla, e si prenderà solo una scatola vuota.
Perché arriverà, Giuseppe, arriverà e mi porterà via e mi farà a pezzi sugli scogli, e poi si ritirerà, e tornerà ancora.
Così, per tutto il tempo che lei ci metterà a tornare.
Anche se di me rimarranno grani di sabbia, anche se i vermi mangeranno il resto prima che lei torni, anche se il fuoco di un altro traforo mi ridurrà in cenere o un Boing impazzito si schianterà contro il mio camion o un palestinese ci si farà esplodere accanto, anche se rimarrà uno solo dei miei capelli o un frammento delle mie viscere, anche allora, l’onda arriverà, e mi porterà via, e poi si ritirerà, e tornerà ancora.
Finché lei non tornerà, e mi raccoglierà come una conchiglia sulla spiaggia, e mi appenderà di nuovo al suo collo, e vaffanculo dove e con chi è stata fino allora, vaffanculo dio, fai che cazzo vuoi, ti regalo la mia anima ma ti prego in ginocchio di farla tornare, un solo giorno e poi basta, poi regalami a tutti i supplizianti che vuoi, mi cuciano gli occhi di filo spinato e la bocca di spago, tutto l’eterno di torture per un solo minuto nelle sue mani.
La bottiglia di vodka davanti a me è chiusa.
L’ho comprata, ma non l’ho aperta.
La guardo, e la rimetto in frigo.
Sono troppo vecchio per avere ancora queste illusioni. Troppo vecchio per credere di poter imparare a nuotare di nuovo.
Traum in tedesco significa sogno. In italiano, trauma è una brutta cosa, dopo la quale non sei più quello che eri prima. Forse, c’è già tutto nelle parole. Forse, c’è sempre un trauma dentro ai sogni.
Per questo, ti scordi come farli. Per questo, ti scordi di sapere nuotare.
Ho sognato la vita sognata dagli angeli. Ma adesso sono sveglio, e sono stanco, cazzo, sono stramaledettamente stanco.
L’onda è di nuovo vicina, ne sento il fragore assordante di silenzio, e so che sarà peggio dell’altra volta perché ogni volta è peggio, ma chiudo gli occhi, e mi passa attraverso, peso centodieci chili ma sono solo una pagliuzza, che può trascinare dove vuole.
Gli scogli sono rasoi, nel buio. Ho gli occhi chiusi, e non posso vederli, mi rannicchio su un fianco con la tua giacca di pigiama sulla faccia, c’è il tuo odore a proteggermi, e non ho più bisogno di ricordare come nuotare.
L’onda è fredda, densa, nera. L’onda si ritira, così potrà tornare.
Dio, lo so che quest’uomo non vale un cazzo, rispetto al Tibet o alle Torri o a Guantanamo o all’Olocausto. Dio, lo so che quest’uomo non vale un cazzo, rispetto a tutti quelli che muoiono ogni giorno, o sognano ogni giorno, dovunque siano.
Ma quest’uomo è qui, in questa cazzo di estate, e muore senza morire ogni secondo.
Dio, ti prego, fammela tornare, solo un minuto, che dia un senso a tutto.
Ti prego dio, un minuto solo. Soltanto un attimo. Prima che l’onda mi porti via di nuovo. Prima che io non senta nemmeno più dolore, e ci sia solo buio, per tutto il resto del tempo. Per sempre, fino a che non la farai tornare.

lunedì 11 agosto 2008

Basta


L'altra notte ennesima STRAGE sulle strade, che ha coinvolto 9 ragazzi di cui 7 i morti e una ragazza lotta per sopravvivere!
Notizie che ti lasciano nella tristezza più assoluta, anche se non conosci i diretti interessati, ma che ti fanno fermare a pensare.... Ormai quando esci la sera con la macchina non sai più se riesci a tornare a casa sano e salvo. Ma ormai che si può fare?

(Queste non sono parole mie...ma sono di Matteo Gennero ovvero www.matteogennaro.blogspot.com. Aderisco alla sua "campagna" di sensibilizzazione)

Mein Sommer di Silla Hicks

















MEIN SOMMER

Non so più nuotare

vado a fondo

guscio di noce bucato

non ci sono più corsie nè blocchi

cloro che mi bruci gli occhi

non ci sono scogli

nè onde, nè alghe

il mare si è asciugato su questo pavimento

è soltanto una pozza

da cui lascio orme

di fango nero.



Fai finta

che le tracce dei miei anfibi sfondati

siano briciole di pane

dentro alla foresta incantata

come pollicino

vienimi a cercare

prima che sia buio

per sempre.




fonte iconografica www.stoa.usp.br

mercoledì 6 agosto 2008

Il tango delle fate di Riccardo Reim - Hacca editrice


Tullio Pinelli è uno dei più illustri e importanti sceneggiatori italiani. Ormai è uno dei “mammasantissima” dell’olimpo culturale italiano, riconosciuto e certificato. Lo ricordiamo per aver collaborato con Federico Fellini alla sceneggiatura dei film Luci del varietà, Lo sceicco bianco, I vitelloni, La strada, Le notti di Cabiria, Il bidone, La dolce vita sino al mitico trittico di Amici miei per Mario Monicelli. Tutte cose che al cinema o in tv in molti, moltissimi hanno potuto veder e, gustare, partecipando emotivamente alle vicende degli splendidi personaggi, singolari, un po’ fuori le righe, da Pinelli creati. Ma Pinelli lo ricordiamo anche per bellissime prove di narrativa come La casa di Robespierre (Sellerio) o l’ultimissimo Innamorarsi, una raccolta di racconti per la neonata Edizioni Controluce. Partiamo proprio da Pinelli perché è stato forse l’unico, o uno dei pochissimi, a fondere diversi registri, quello cinematografico, teatrale, e scritturale ottenendo risultati singolari per freschezza e vivacità. Sembra che nella più immediata contemporaneità, per certi aspetti un suo degno erede, sia proprio Riccardo Reim nel suo interessante Il tango delle fate edito da Hacca. Scrittore, regista, attore ha avuto l’opportunità con questa sua nuova avventura narrativa di mostrare come sia possibile giocare sulle diverse combinazioni di esistenze possibili, oggi più che mai nell’era della trasformazione e della mutazione. L’oggetto del “massacro” è l’Io, anzi uno dei possibili Io del protagonista, in bilico sul baratro di una non-presenza nella realtà, di una non-aderenza circa la ricerca di una sua identità… necessaria alla resa dei conti? Problemini di tal sorta li lasciamo alla psicologia da salotto. Già perchè il/la protagonista (magistrale la tenuta di stile nel destreggiarsi in un mondo misero e piccolo piccolo, grigio, bastardo e volgare, effettuando un vero e proprio salto di paradigma sulla sessualità, divenendo una voce poli-sessuale a tutti gli effetti) , Caminito (traduciamo sentiero) danzatrice/danzatore di tango, e Bernadette, allucinazione psico-mistica con evidente riferimento alla bambina di Lourdes, sono personaggi d’un’opera aperta e forse tutta ancora da scrivere, che nulla hanno da invidiare ai 6 personaggi in cerca d’autore di Pirandello. Stessi vuoti, stesse penombre, stesso riso amaro, stessa disperazione. Caminito, animaletto strano, voglioso di una vita normale, di un amore normale, di affetti e oggetti quotidiani normali, anche a costo di tagliare con un trancio netto ,una parte di sé. Non ci vedo nulla di un’interiorizzazione da parte di Reim del declino post-industriale dell’individuo o dell’alienazione da abitante dell’oggi turbo-capitalistico. Anzi, ci vedo un godere meraviglioso della e per la vita, nonostante tutto, nonostante le privazioni, le amputazioni, le rinunce, le preghiere, e nonostante tutto il ben volere delle “fate” e la protezione di una grande, gigantesca, infinitamente ed eburneamente amorevole “Signora” …. Una ricerca forse del Bello da parte di Riccardo Reim, senza se e senza ma, che a parte le macerie, vuole portare alla luce anche nelle piccole cose di ogni giorno: “ La domenica, tutte le patriarcali famiglie che uscivano dalla messa al Duomo o alle vicine chiese di San Bernardino e San Domenico Maggiore, acquistavano immancabilmente le otto, dieci, dodici paste destinate a dare la ghiotta nota finale al pranzo della festa: paste gigantesche, gravide di crema e di panna, lustre di glassa, spolverizzate di vaniglia e cacao. Sfogliatelle scagliose che crocchiavano come vetro sotto i denti mentre il ripieno di ricotta e canditi si liquefaceva sulla lingua; morbide ciambelle che si sfarinavano addentadole, cosparse di zucchero granellato e uvetta; crostate di pastafrolla ricoperte da un fitto strato di confettura che impiastricciava le labbra; croccanti al miele tempestati di mandorle e pinoli …” Cos’altro da aggiungere…

martedì 5 agosto 2008

Maurizio Leo e il suo book trailer








book trailer del libro di Maurizio Leo "Del Gatto delle fusa del suo strusciamento" edito da Lupo editore regia Mangialardo Mazzotta voce di Massimo Colazzo

domenica 3 agosto 2008

Stupid ...but real!




- Prima di decidere. vorrei farti notare una cosa ... osserva bene dunque! -
- Anche tu fammi un piccolo favore, non volermene ... soppesa il Silenzio se puoi!-
- Tutto ciò che desideri, mio caro amico!-
- Vedi queste cerniere ... sono campi seminati di carne e sangue, dove ogni attimo di luce, lo si paga con sofferenze e terrore...
coglierne l'essenza è facile, ma uscirne è impossibile! -
- Io non credo ai fantasmi! -
- Io sì invece! -

fonte http://static.howstuffworks.com

mercoledì 30 luglio 2008

Mario Capanna a Santa Caterina











Comune di Nardò
Provincia di Lecce
Regione Puglia
Pro-Loco di Santa Caterina
Costruire Insieme
Presidi del Libro

Presentano


Venerdì 1 agosto ore 20.30

Santa Caterina – Piazza Nardò



Mario Capanna

Il sessantotto al futuro

Garzanti


Introduce

Sonia Cataldo – Presidente associazione Emergenze Sud – Parabita

Interverranno

Gino Santoro – Università del Salento
Genoveffa Giuri del direttivo dell’Associazione Costruire Insieme

Il vicesindaco Giancarlo De Pascalis
Recherà il saluto dell’Amministrazione comunale di Nardò



Un saggio polemico sul Sessantotto, tra passato e futuro prossimo. Mario Capanna traccia la storia di questo periodo senza tralasciare alcuni consigli su ciò che reputa opportuno per l'Italia nel suo futuro politico-esistenziale. Dall'analisi storica a quella sociologica, dalla ricerca di nuovi assetti per la democrazia all'economia, il '68 ha unito multiformi elementi nell'espressione unitaria di un disagio e nella forte asserzione, da parte di migliaia di individui, di tornare ad essere soggetti e protagonisti del progresso.

Mario Capanna è uno tra gli scrittori italiani più affermati . Tra le sue opere principali ricordiamo Formidabili quegli anni (1988); Arafat (1989, sulla figura del leader palestinese Yāser ˁArafāt, molto stimato da Capanna); Speranze (1994); Il fiume della prepotenza (1996); Lettera a mio figlio sul '68 (1998, di cui curò ben 12 edizioni); L'Italia viva (2000); tutti libri editi dalla Rizzoli. Nel 2003, per la Baldini & Castoldi, ha pubblicato Verrò da te, considerato da molti il suo lavoro letterario più riuscito; Coscienza globale oltre l'irrazionalità moderna (2006)

sabato 26 luglio 2008

Su Molokh di Angelo Petrelli edito da PeQuod


















Molokh! Un nome che evoca l’Abominio,una creatura che tutto assorbe e divora,un organismo che indistintamente gioca con la Luce e l’Ombra, con il Destino, che pone, compone e smembra universi con un istinto cieco e idiota. Molokh è anche questo nell’ultimo lavoro di Angelo Petrelli edito da Pequod con due interventi critici di Massimo Sannelli e Marco Caloro. Già perché per questo poeta la Poesia, il mondo delle Muse, non è ritmo e tecnica, non è solo quello, anzi il poiein di matrice classica si sublima in un regressus ad infinitum non tanto da superficiale postura o posa come la si voglia definire, da maledetto della porta accanto. Anzi pare esserci un gusto blasfemo nell’allestire semanticamente un viaggio agli inferi, giusto per godere della dannazione altrui! Già, perché in Angelo Petrelli, nel suo modo di fare versi, c’è qualcosa del dogma, dell’assoluto giudice che nell’assolutezza dell’a-priori sa già chi condannare, quale pene infliggere, la dose di tortura da somministrare al reo di scarsa purezza,lo studio del corpo e della sua resistenza al dolore, lo studio dello sguardo e di quanto può reggere al peso della vergogna. Una vergogna nata per presunta inadeguatezza alla vita, all’amore, alla Poesia. Questo è, se dovessimo utilizzare della psicologia spicciola, la grandezza dell’Inquisizione. Tutto il programma teorico-poetico in Molokh, viene dichiarato senza troppi tentennamenti nel primo verso di ciascuno dei nove movimenti in cui è suddivisa l’opera: “- sei ipotesi di un male maggiore”; “e poi ritorneremo nel tuo cine/congiunti a metà (…); “ è il mio linguaggio certo, lo ammetto: ma non-me, così empio (…); “vedi la tua figura sfuocata come il nero (…)”; “il mondo // non affamato di cose sottili (…); “ora che le mie mani sono con le tue, sopra le braccia appese al collo (…)”; “vedi // ha un suo firmamento il cielo” (…); “- è questo che capisco: che l’immenso non esiste(…); “ e certe volte scappa la bava (…)”. Incipit che rappresentano delle vere e proprie chiave di volta per accedere all’esoterico di questi versi. Lavoro complesso, che denota padronanza di sentire e tenuta di stile, e capacità di riflettere teoreticamente sulla scrittura poetica. Per Angelo Petrelli, la sua scrittura deve rappresentare il modo par excellence di nascondere ogni sistema, ogni regola, perché scomparirebbero tra le fauci del Molokh; non si arroga il diritto di dispiegare come un fazzoletto l’universo stesso, solo mostra il putridume incrostato tra le pieghe della vita. Una sorta di viaggio iniziatico alle porte del regno di Lucifero solo per dire e dimostrare a stesso che l’unica salvezza per l’uomo è nella rassegnazione: si può solo fallire! In Angelo Petrelli, risiede il gusto per l’eccesso, la ricercatezza nella posizione del ritmo e del respiro nei suoi versi, e un’ombra, una sorta di melancolìa che ricorda l’Inferno Minore di Claudia Ruggeri. Per dirla con Cioran: "Tutti parlano di teorie, di dottrine, di religioni, insomma di astrazioni; nessuno di qualcosa di vivo, di vissuto di diretto. La filosofia e il resto sono attività derivate, astratte nel peggior senso della parola. Qui tutto è esangue. Il tempo si converte in temporalità, ecc. Un ammasso di sottoprodotti. D’altro canto gli uomini non cercano più il senso della vita partendo dalle loro esperienze, ma muovendo dai dati della storia o di qualche religione. Se in me non c’è niente che mi spinga a parlare del dolore o del nulla, perché perdere tempo a studiare il buddhismo? Bisogna cercare tutto in se stessi, e se non si trova ciò che si cerca, ebbene, si deve lasciar perdere. Quello che mi interessa è la mia vita. Per quanti libri sfogli, non trovo niente di diretto, di assoluto, di insostituibile. Dappertutto è il solito vaniloquio filosofico." (Da Quaderni 1957-1972, di Cioran)

giovedì 24 luglio 2008

Satisfiction n. 4 alla Flexi di Roma




Satisfiction, la prima rivista di critica letteraria “soddisfatti o rimborsati”, presenta giovedì 24 luglio a Roma il quarto numero, chiamando a raccolta i suoi lettori nell’estate romana e autarchica.

Appuntamento alla libreria Flexi (via Clementina 9), dalle 20 in poi letture dei testi di Filippo Tuena, Errico Buonanno, Giancarlo De Cataldo, con Giorgio Careccia, uno dei protagonisti di Romanzo criminale.

Antonio Rampino leggerà Antipasto di Joe Stretch, il nuovo talento di Manchester.

Inoltre le recensioni di Cinzia Bomoll, Rosella Postorino, Leonardo Luccone (Oblique), Stefano Ciavatta (Riformista) Guido Vitiello (Internazionale), Anna Mazzone (Formiche.net), Riccardo De Gennaro (l’Unità), Francesco Longo (Riformista), Valerio Rosa (l’Avanti), Stefano Gallerani (Alias). E altri ancora.

Mentre il blog http://satisfiction.menstyle.it/ continua ad essere tra i più seguiti (oltre 200 commenti solo negli ultimi giorni), Satisfiction è in uscita in questi giorni in tutte le Librerie Fnac e Feltrinelli e nelle più importanti librerie indipendenti.

Edita da Mattioli 1885 Satisfiction presenta 28 pagine con inediti di:

Charles Dickens
William Burroughs
Paul Auster
Jonathan Lethem
Jonathan Ames
Joe Strech
Mario Soldati
Curzio Malaparte
Piero Chiara
Giancarlo De Cataldo
Piero Colaprico
Filippo Tuena
Errico Buonanno
Afterhours


Le recensioni “soddisfatti o rimborsati” di questo numero sono firmate da:


Gaia Amaducci (Le Monde Diplomatique), Pietro Berra (Diario), Daniele Biacchessi (Radio 24), Ettore Bianciardi, Cinzia Bomoll, Roberto Borghi (Il Giornale) , Francesco Borgonovo (Libero), Annarita Briganti (Mucchio Selvaggio), Angela Buccella (GQ), Errico Buonanno, Alberto Casadei (L’Indice dei Libri), Alessandra Casella (Bookweb.it), Stefano Ciavatta (il Riformista), Massimo Cotto (Radio Capital), Luca Crovi (RadioRai2), Chiara Cretella, Riccardo De Gennaro (L’Unità), Jacopo De Michelis, Igino Domanin (L’Unità), Stefano Donno, Fabrizio Falconi, Marco Filoni (Sole 24 ore), Stefano Gallerani (Alias), Massimo Gardella (Carmilla), Bruno Giurato (Il Foglio), Francesco Longo (il Riformista), Leonardo Luccone (Oblique), Paolo Madeddu (Rolling Stone), Anna Mazzone (Formiche), Ettore Malacarne, Francesca Mazzuccato, Luigi Mascheroni (Il Giornale), Ernesto Milanesi, (Il Manifesto), Davide Morganti (la Repubblica), Davide Musso (Rolling Stone), Pierfrancesco Pacoda (L’Espresso), Valeria Palumbo (L’Europeo), Sergio Pent (TTL- La Stampa), Seba Pezzani (Il Giornale), Rossella Postorino, Raul Precht, Enrico Remmert, Valerio Rosa (L’Avanti), Davide Sapienza (Specchio-La Stampa), Simone Sarasso, Gian Paolo Serino (la Repubblica), Grazia Verasani, Stefania Vitulli (Il Giornale), Carlotta Vissani (Buscadero), Guido Vitiello (Internazionale), John Vignola (Mucchio Selvaggio)


Nella rubrica “Letture a 45 giri”, in cui in ogni numero un cantautore si mette nei panni di un critico letterario, gli Aftehours hanno letto e scritto per Satisfiction del romanzo di Giorgio Scerbanenco “Venere Privata”. Sul prossimo numero il microfono d’inchiostro andrà a Vasco Rossi.


TUTTI GLI INEDITI, I RACCONTI, I SAGGI, LE RECENSIONI PRESENTATI NEI PRIMI NUMERI DI SATISFICTION SONO ON LINE su www.satisfiction.org

L’appuntamento con Satisfiction è anche tutti i giorni su http://satisfiction.menstyle.it

Ideazione e coordinamento Gian Paolo Serino
Art director Lorenzo Butti
Capo redattore Stefano Ciavatta
Redazione Stefano Ciavatta, Daniele Piccini, Davide Sapienza, Simone Tempia
Segreteria di redazione Anna Scolari
Ufficio Stampa Valentina Ferrara
Massimiliano Franzoni
Coordinamento Giancarlo Soresina
Edito da Mattioli 1885
Distribuito da PDE

martedì 22 luglio 2008

Chiara Galignano e la scrittura






Innanzitutto, scrivere è il mio modo preferito di comunicare: dall’sms alla letterina per la vecchia amica di penna, al bigliettino veloce lasciato sul tavolo, dalla mail kilometrica, all’appunto fermato in un cinema o a lezione.

A volte è necessità che nasce, affiora in un luogo strano in un momento inopportuno. Altre volte è riposo solitario. Ma altre volte ancora, scrivere diventa difficile. Quando le parole sono troppo incastrate nei pensieri o i pensieri troppo ricorrenti ed insistenti, e le immagini si fanno monocromatiche e spezzate, tutt’altro che bozzettistiche.


Scrivere è per me un tempo. Un tempo in cui fermarmi, variare i ritmi, cambiare i battiti del quotidiano. Un tempo che posso imprimere al mio passo, dandogli la forma del mio pensiero, recuperando le immagini che distrattamente ho salvato nella mia memoria, per qualche motivo, andando qua e là per la vita...
Scrivere è per me anche un luogo. Un luogo in cui ritrovarmi con me stessa, fare i conti con ciò che spaccio di me ogni giorno in ogni incontro con l’altro, e col bottino che dell’altro mi porto via.
Scrivere è il luogo in cui proteggermi ed espormi, insieme rifugio e palco del mio io “saltimbanco dell’anima”...
Scrivere è luogo del mio presente e tempo della memoria.


Ed è stato proprio da questo scrivere che è nato “Pocomeno”: si è formato lentamente, trascinato dalla corrente dei pensieri e dal caso delle immagini che chiedevano forma, anzi, svariate forme.
“Pocomeno” non viene fuori da un’idea, infatti, né da una volontà predefinita o da una richiesta di chi conosceva la mia scrittura e sperava ne pubblicassi qualcosa.
Solo, ad un certo punto, ho sentito la necessità (ed eccolo che ritorna, dunque, questo necessario sentire ) di mettere insieme i vari testi che erano nati come organismi autonomi, ordinandoli in una forma più piena e completa, più corposa.
Così sono venute fuori le due sezioni del libro, e la terza, poi, in coda, quasi a sigillo, come volesse riportarmi e riportare chi legge alla realtà di ciò che sono, al di là di parole e pensieri, nel quotidiano.
La decisione di pubblicarlo è stato un passo successivo e non semplice: una scelta voluta dal desiderio di condivisione di quelle sensazioni ed immagini che avevo raccolto e raffinato attraverso le mie parole, nella convinzione (o forse speranza, piuttosto) che qualcuno potesse ritrovarsi tra quei versi, o semplicemente emozionarsi leggendo.
Da qui il titolo, nella sua volontà di essere “ comunione” d’umanità.
Arrivare a questo punto, però, ha significato anche dover superare lo scoglio del “tutto è già stato scritto, e bene, e meglio anche”: un pensiero, forse anche un po’ dilettantesco, di chi si accinge a passare da lettore ad autore, responsabilmente.




Chiara Galignano
“Pocomeno” – Lupo editore

domenica 20 luglio 2008

Il signor G








"Uomini, uomini del mio presente
non mi consola l'abitudine
a questa mia forzata solitudine,
io non pretendo il mondo intero
vorrei soltanto avere un luogo, un posto più sincero,
dove un bel giorno, magari molto presto,
io finalmente possa dire: questo è il mio posto.
Dove rinasca non so come e quando
il senso di uno sforzo collettivo per ritrovare il mondo."

(G. Gaber e S. Luporini - Canzone dell'appartenenza)
fonte http://www.giorgiogaber.org/


L'immagine proposta in questa sede e che ritrae il grande Giorgio Gaber è di Paola Scialpi, artista salentina che ha presentato l'opera in oggetto in una mostra organizzata dalla Libreria Bocca di Milano e dedicata al celebre cantautore

venerdì 18 luglio 2008

Superstite di Silla Hicks








... alzandomi
ogni mattina calpesto
cocci di me
assonnato
guardo il sangue allargarsi
sul pavimento che si copre di polvere
prima o poi mi deciderò a lavarlo via
prima o poi
comprerò un'altra tazza
dove scaldare l'acqua nel microonde
caffè solubile
e un mare di ricordi

c'è troppa luce in questa stanza
pietre dentro ai miei occhi
devo farmi la barba, cambiarmi la maglia
devo
far finta di essere vivo

e tu dove sei, con chi ridi

dal parabrezza la strada
è soltanto asfalto
questo mondo è vuoto, sono morti tutti
io solo
condannato
ad aspettare
ancora

martedì 15 luglio 2008

Manlio Castronuovo e il suo Vuoto a Perdere a Galatina















Rassegna
“Chicche e chiacchiere nel barocco di Galatina”
Organizzazione a cura dell’associazione dei commercianti di via Vittorio Emanuele

Galatina (Lecce)
Giovedì 17 luglio 2008 ore 21
via Vittorio Emanuele, angolo Chiesa Matrice

presentazione del volume

“Vuoto a perdere – Le Br il rapimento, il processo e l’uccisione di Aldo Moro” (Besa, 2008)
Interventi di
Alberto Minafra
Manlio Castronuovo (autore del volume)



Le Brigate Rosse pensavano che lo Stato avrebbe pagato qualsiasi prezzo per riavere indietro uno dei suoi cavalli di razza ma si resero conto che ciò che era rimasto nelle loro mani era una persona per la quale nessuno, tranne la propria famiglia, era più disposto a corrispondere alcun sacrificio. E furono costrette a sbarazzarsene.

"Vuoto a perdere" non è solo un libro ma è anche il titolo del sito Web dedicato dallo stesso Castronuovo al caso Moro: www.vuotoaperdere.org. Vi si possono trovare interessanti risorse e strumenti.

Contenuti speciali

- i comunicati diffusi dalle Br nei 55 giorni;

- il testo integrale della Risoluzione della Direzione Strategica delle Br del febbraio 1978.

MANLIO CASTRONUOVO da oltre vent'anni si interessa del caso Moro e della lotta armata diventando un profondo conoscitore delle logiche e delle dinamiche degli avvenimenti che hanno attraversato il periodo più buio della storia contemporanea d'Italia. Questa è la sua prima pubblicazione.

domenica 13 luglio 2008

Satisfiction n.4








In uscita, dal 16 Luglio, il numero 4 di Satisfiction presenta 28 pagine con inediti di:

Charles Dickens
William Burroughs
Paul Auster
Jonathan Lethem
Jonathan Ames
Joe Strech
Mario Soldati
Curzio Malaparte
Piero Chiara
Giancarlo De Cataldo
Piero Colaprico
Filippo Tuena
Errico Buonanno
Afterhours

Le recensioni “soddisfatti o rimborsati” di questo numero sono firmate da:


Gaia Amaducci (Le Monde Diplomatique), Pietro Berra (Diario), Daniele Biacchessi (Radio 24), Ettore Bianciardi, Cinzia Bomoll, Roberto Borghi (Il Giornale) , Francesco Borgonovo (Libero), Annarita Briganti (Mucchio Selvaggio), Angela Buccella (GQ), Errico Buonanno, Alberto Casadei (L'Indice dei Libri), Alessandra Casella (Bookweb.tv), Stefano Ciavatta (il Riformista), Massimo Cotto (Radio Capital), Luca Crovi (RadioRai2), Chiara Cretella, Riccardo De Gennaro (L'Unità), Jacopo De Michelis, Igino Domanin (L'Unità), Stefano Donno, Fabrizio Falconi, Marco Filoni (Sole 24 ore), Stefano Gallerani (Alias), Massimo Gardella (Carmilla), Bruno Giurato (Il Foglio), Francesco Longo (il Riformista), Leonardo Luccone (Oblique), Paolo Madeddu (Rolling Stone), Anna Mazzone (Formiche), Ettore Malacarne, Francesca Mazzuccato, Luigi Mascheroni (Il Giornale), Ernesto Milanesi, (Il Manifesto), Davide Morganti (la Repubblica), Davide Musso (Rolling Stone), Pierfrancesco Pacoda (L’Espresso), Valeria Palumbo (L'Europeo), Sergio Pent (TTL- La Stampa), Seba Pezzani (Il Giornale), Rossella Postorino, Raul Precht, Enrico Remmert, Valerio Rosa (L’Avanti), Davide Sapienza (Specchio-La Stampa), Simone Sarasso, Gian Paolo Serino (la Repubblica), Grazia Verasani, Stefania Vitulli (Il Giornale), Carlotta Vissani (Buscadero), Guido Vitiello (Internazionale), John Vignola (Mucchio Selvaggio)

giovedì 10 luglio 2008

Simone Giorgino e il suo Asilo di Mendicità tra i poeti segnalati al Lorenzo Montano 08

















Le varie giurie del Premio Lorenzo Montano sono al lavoro. Stanno giungendo alla redazione della rivista “Anterem” le ulteriori selezioni. Mano a mano che perverranno saranno comunicate – in tempo reale – sul sito della rivista.
I nuovi risultati arrivati in redazione riguardano la sezione “Opera edita” e indicano, dopo i poeti premiati con Menzione di merito, i poeti premiati con Segnalazione. Verranno successivamente indicati i concorrenti finalisti e i tre vincitori.
Sin d’ora si è stato in grado di confermare che tutti i poeti che qui vengono elencati verranno invitati a prendere parte attiva alla 3^ Biennale Anterem di Poesia, un evento di impianto internazionale che si articolerà in più giornate, ricche di letture, incontri teorici, video, performance...

Poeti premiati con Menzione di merito, con Segnalazione per “Opera edita”
Poeti premiati con Menzione di merito

Comasia Aquaro, I fiori nei cantieri, Campanotto 2007; Canzio Bogarelli, L’inattesa vedovanza del fiordaliso, Zanetto 2006; Pietro Cardona, Racconti dell’attesa, Joker 2007; Massimo Conese, Poemi lustrali in prosa, Levante 2008; Renzo Cremona, Tutti senza nome, Edizioni del Leone 2006; Laura De Carli, L’ordine apparente, Edizione del Giano 2007; Mario De Santis, Le ore impossibili, Empirìa 2007; Renzo Favaron, Al limite del paese fertile, Book 2007; Fabio Franzin, Mus.cio e roe – Muschio e spine, Le Voci della Luna 2007; Marco Fregni, Dialoghi con il padre, Edizioni del Laboratorio 2007; Simone Giorgino, Asilo di mendicità, Besa 2007; Dante Goffetti, Riflessi e transizioni, I Quaderni del Battello Ebbro 2007;Piera Mattei, La materia invisibile, Manni 2006; Domenica Mauri, Per interno, Manni 2007; Josephine Pace, Fisiologia del fuoco, Zona 2007; Barbara Pietroni, Tempi gemelli, Il Faggio 2005; Antonella Pizzo, In stasi irregolare, Le Voci della Luna 2007; Stefania Portaccio, Continenti, Empirìa 2007; Lina Salvi, Abitare l’imperfetto, La Vita Felice 2007; Marco Simonelli, Palinsesti, Zona 2007; Antonio Spagnuolo, Fugacità del tempo, Lieto Colle 2007; Mariannina Sponzilli, Il rifugiarsi del pensiero immite, Laboratorio delle Arti 2007; Alberto Teodori, L’io inespresso, Lieto Colle 2005; Liliana Ugolini, Tuttoteatro, Joker 2008; Cesare Vergati, Ragazzo a pendolo, Ex Cogita 2007.

martedì 8 luglio 2008

La Besa editrice e le Edizioni Controluce al Festival del Libro Possibile 08









La Besa editrice e le EDIZIONI CONTROLUCE
al Festival del Libro Possibile 10/13 luglio 2008 – Polignano a Mare


Numerosi i nomi e le novità, ancora una volta, per questa edizione del Festival del Libro Possibile a Polignano a Mare. La manifestazione cercherà di focalizzare l'attenzione su un vero e proprio gioiello dell'Adriatico, quale è la piccola cittadina pugliese, riconosciuto anche da Legambiente. Una Bandiera Blu dunque a testimonianza dell'impegno dell'amministrazione comunale in fatto di ambiente e più specificatamente circa la tutela di mare e spiagge; blu come un colore che nel caso del festival, ricorda anche il tema dell'edizione 2008: PAROLE NEL BLU, in memoria di Domenico Modugno, cantante icona di Polignano a Mare. La Besa editrice partecipa anche quest'anno alla rassegna, proponendo alcuni suoi autori: Paolo Pacciolla - Maria Luisa Spagna con il loro lavoro dal titolo "La Gioia e il potere. Musica e danza in India"; Raffaele Gorgoni "Communism Bed and Breakfast"; Federico Pirro e il suo "Bari brucia". Per le EDIZIONI CONTROLUCE, Ferdinando Boero con il suo ultimo lavoro dal titolo "Ecologia ed evoluzione della Religione", che in un incontro con Piergiorgio Odifreddi parleranno di scienza e religione in un appuntamento imperdibile.

I nostri appuntamenti:

Venerdì 11 luglio 2008

Federico Pirro, Bari Brucia (Besa editrice)
Piazza dell’Orologio - Polignano a Mare - h. 21,00
Presentano l’autore Michele Costantino e Stefano Donno


Sabato 12 luglio 2008

Ferdinando Boero e Piergiorgio Odifreddi “Ecologia ed evoluzione della Religione” (EDIZIONI CONTROLUCE).
San Benedetto – Polignano a Mare . h. 21,00
Interviene Piergiorgio Odifreddi

Paolo Pacciolla – Anna Luisa Spagna
“La gioia e il potere” (Besa editrice)
Balconata – Polignano a Mare – h.21,00
Interviene Rosa Maria Cimino

Raffaele Gorgoni – “Communism Bed and Breakfast” (Besa editrice)
Balconata – Polignano a Mare – h. 22,30
Interviene Giorgio De Rienzo

martedì 1 luglio 2008

Versi di-versi






















Edita Literary Agency
presenta

Edita-re sogni
Incontri per menti ospitali


Giugno-luglio 2008

Versi di-versi
Venerdì 4 luglio ore 20,30
presso

Leonardo Caffè
via Santa Maria del Paradiso, 6 - Lecce


Riprendono gli incontri della rassegna “Edita-re sogni” promossi da Edita Literary Agency con il secondo appuntamento che vedrà coinvolti due singolari opere poetiche: Ieratico Poietico di Stefano Donno e Utero di Luna di Marthia Carrozzo, opere pubblicate da Besa editrice. I due autori presenteranno i rispettivi percorsi poetici caratterizzati da due modi differenti di scrivere e pensare la Poesia. Stefano Donno nella sua opera propone un canto disilluso, rabbioso, di lotta e impegno civile che tenta di raccordare sotto un’unica lente analitica le alterne vicende della storia dell’umanità fatta di orrori, scoperte, rivincite e speranza. Marthia Carrozzo possiede una poesia più oracolare, fatta per essere letta e recitata, densa di un lavoro metrico fitto e musicale sul corpo, e le sue passioni, che fa disfa mondi in cui la voce dei suoi versi diviene melodia universale, liquido amniotico in cui ogni ferita si ricuce.
Gli autori saranno introdotti da Rossella Bufano e Vito Antonio Conte.






L’orizzonte culturale del megalitismo (Besa editrice)
Giovedì 17 luglio ore 20,30
presso

Leonardo Caffè
via Santa Maria del Paradiso, 6 - Lecce



Marisa Grande presenterà il suo libro edito da Besa: L’orizzonte culturale del megalitismo. I monumenti megalitici hanno assolto nel Salento quel compito risanatore dell’attività vibrazionale della terra che fu anche degli henges dell’area euro-asiatica, delle piramidi in Egitto, delle ziqqurat in Mesopotamia e delle piramidi meso-americane.
L’organizzazione megalitica salentina descriveva sul territorio un modello a “tela di ragno”, quale riflesso della calotta celeste, la mitica “tela cosmica” nel cui centro si riteneva risiedesse la Grande Ragno, la dea tessitrice dell’Universo e detentrice del filo che intesseva il destino degli uomini e di tutto il cosmo. Ne discuteranno l’autrice e la guida turistica Silvia Mazzota. Presenta: Stefano Donno.
Interviene Lilly Astore

sabato 28 giugno 2008

ANIME NERE ... STANNO ARRIVANDO!


Ogni minaccia è debito. O forse era "promessa"? "Anime Nere" prometteva di tracciare una mappa del lato oscuro: c'è riuscita in pieno. Anime Nere Reloaded minaccia di esplorare il fondo del baratro degli incubi. In un ritorno auspicato e temuto, agognato e liberatorio, la tematica della crudeltà è il fulcro anche di questa seconda, esplosiva antologia, estensione naturale della prima. Ventidue autori determinati a colpire sotto la cintura con un pugno di ferro munito di rostri. Ventidue racconti al massimo di giri della catarsi maledetta. Questo volume è una nuova esplorazione della tenebra umana e culturale, sociale e politica, del nostro tempo. Dalla scuola all'inferno alla viabilità da incubo, dalla famiglia che uccide alla società in metastasi, dal terrorismo come norma al sadismo come commercio, dalla premeditazione della sofferenza alla ineluttabilità del dolore.

mercoledì 25 giugno 2008

Raffaele Gorgoni a La Contròra






















Libreria Idrusa
presenta
la terza edizione della rassegna

La Contróra - Memoria, Saperi e Sapori del territorio
Masseria Santa Lucia, Masseria Macurano - Alessano (Le)Giugno/Luglio 2008
rassegna a cura di Vincenzo Santoro
Organizzazione Michela Santoro

Le Masserie Macurano e Santa Lucia, antiche dimore rurali situate in uno dei luoghi storici più suggestivi del Capo di Leuca, ospiteranno incontri ed eventi dedicati alla cultura del territorio.

Programma
Venerdì 27 giugno ore 20.30 - Masseria Macurano
Presentazione del libro
Communism, bed&breakfast e altre storie
di Raffaele Gorgoni, Besa editrice

Un hotel in una piccola strada nasconde un altro luogo e un'altra storia intessuta di grandi passioni e immense tragedie ma finita in anguste miserie e in piccoli interessi tra abiure e tradimenti. Il sortilegio e la magia dell'amore fanno argine al dilagare di una crescita economica a ogni costo che cerca di travolgere terra, pietre e memorie. L'angelo della storia ritorna nei panni di un vecchio andaluso. Ospite indiscreto e invadente, che scuote la polvere del tempo da una remota vicenda di sangue e di amicizia maturata nell'inferno della Guerra di Spagna. Un giovanissimo studioso di violino, con con il suo straordinario talento, salva un intero paese dalla morsa della criminalità e riscatta il padre da una vita scellerata. Un mafioso diversamente vivo rivive la sua discesa agli inferi tra omicidi e traffici di stupefacenti ma, in articulo mortis, torna sui suoi giorni e riflette su ciò che lo ha perduto.

Partecipano:
Raffaele Gorgoni – giornalista e scrittore
Stefano Donno – critico letterario
Luisa Ruggio - scrittrice e giornalista

lunedì 23 giugno 2008

Auguri Tullio ... 100 di questi giorni!

















Tullio Pinelli (Torino, 24 giugno 1908) è uno dei più illustri e importanti sceneggiatori italiani. Ormai è uno dei “mammasantissima” dell’olimpo culturale italiano, riconosciuto e certificato. Collaborò con Federico Fellini alla sceneggiatura dei film Luci del varietà, Lo sceicco bianco, I vitelloni, La strada, Le notti di Cabiria, Il bidone, La dolce vita, Giulietta degli spiriti, Ginger e Fred e La voce della luna. Ha scritto anche Amici miei, Amici miei atto II e Amici miei atto III per Mario Monicelli. Tutte cose che al cinema o in tv in molti, moltissimi hanno potuto veder e, gustare, partecipando emotivamente alle vicende degli splendidi personaggi, singolari, un po’ fuori le righe, da Pinelli creati. Ora compie 100 anni il grande Tullio Pinelli, , commediografo e sceneggiatore principe di Federico Fellini. Noi delle EDIZIONI CONTROLUCE vogliamo festeggiare questo grande "vegliardo" della cultura italiana e della storia del cinema italiano, e proprio per il suo compleanno che cadrà proprio il 24 del mese di giugno di quest’anno, faremo uscire una sua raccolta di racconti dal titolo "Innamorarsi". Si tratta di tre splendidi racconti. Il primo narra di un bambino, Giannetto, che abita in un castello fervente di vita ed operosità. Dinanzi alle mura di questo piccolo feudo si estende la foresta che un giorno Giannetto deciderà di attraversare per toccare con mano i volti del mistero e dell’incanto. “Innamorarsi”, il titolo che da il nome al volume, descrive l’amore di Guido per Irene, donna seducente di cui l’uomo si invaghisce perdutamente e per la quale non troverà più pace. In “Chi sei?” Pinelli si sofferma invece sulla figura di Gesù Cristo e sul grande interrogativo teologico dell’uomo scelto come profeta e specchio dell’essenza di Dio. Un occasione unica, e per davvero, perché darà a tutti l’opportunità di apprezzare la freschezza, la vivacità di un altro lato di un “piccolo grande uomo” che ha scritto la storia culturale di questo paese. Un libro inoltre impreziosito dalla prefazione curata da Guido Davico Bonino.
Tanti auguri Tullio!

sabato 14 giugno 2008

Andrea Di Consoli, La curva della notte, Rizzoli (2008)














Nel tratteggiare l’ambiente urbano, umano, morale, di un sud comunque selvaggio e ancestrale, in cui la vicenda è ambientata, Andrea Di Consoli dona vita a corpi e figure di personaggi che costruiscono le loro vite sull’orizzonte del declino, dell’abisso psicologico, della deriva che tutto divora e distrugge: Teseo, Rocco, Iole, sono vittime di se stessi, forse sono solo fantasmi che della vita leccano il vuoto. In La curva della notte, l’ultimo lavoro dell’autore di origine lucane pubblicato per i tipi di Rizzoli (2008), tutto ciò che egli non omette di descrivere, dai fatti esteriori sino agli ambienti sociali e fisici, costituisce un peso tuttavia tollerabile nella narrazione, dal momento che quest’ultima per l’autore rappresenta una griglia eidetica da cui partire per lavorare di fino sui lati nascosti, i B-side della psiche dei protagonisti. E già perché sta tutto lì! Nei pesi che ogni giorno ci portiamo sulla spalla, su quei malesseri speciali che ci tolgono all’improvviso il respiro quasi a farci soffocare, che ci fanno dimenticare le cose di ogni giorno, che nella loro spietata routine stritolano quel sopravvivere quotidiano, fatto di scadenze, dubbi, perplessità, incertezze … troppo… veramente troppo anche per chi ha le spalle forti! La storia in breve: Teseo, il protagonista del romanzo, un ex-ferroviere del sud, frustrato, goffo, strano, pieno di problemi insomma, si auto-ricicla – per sfuggire alla sua indolenza patologica, e alle sue monomanie e depressioni - come imprenditore di un bel locale alla moda il Byron (un po’ hippy, un po’ etno, molto cool) in riva al mare, in una piccola cittadina di periferia. Nel giro di poco, riesce a perdere tutto, e la realtà per lui comincia a non avere lo stesso sapore, tutto assume i contorni della sconfitta, tanto da scegliere come prassi una ricerca compulsiva dell’auto-umiliazione, dove anche lo sfogo omosessuale diventa parte di questo regressus ad infinitum consumato nel fugace, nell’immediato, senza se e senza ma!
Dal punto di vista psicologico Teseo è un "inetto", un debole, un uomo che mente a se stesso pur di non scoprirsi un miserabile, che si difende dal merdoso mondo che lo circonda riparandosi entro le mura dei pretesti e delle bugie, pur di non vedere, pur di non crescere. Teseo non prova paura nei confronti del sesso, anzi, ma è talmente vile e malato da non riuscire a idealizzare alcunché nemmeno l’amore, anche se ogni tanto tenta di aggrapparsi disperatamente, tragicamente, alla vita. La sfida per Di Consoli, in questo suo ultimo splendido lavoro, assolutamente non politically correct sta in un consiglio implicito, da leggere tra le righe: cercare di trovare l’amore in tutto quello che è il nostro vissuto e di tenerlo stretto, costi quel che costi, anche con l'essere di sé fuori da sé, nel mondo di sempre!

martedì 10 giugno 2008

Edita-Re sogni: Maddalena Mongiò e il suo Portone sulla Piazza





















Edita-Re Sogni
Scrittori, scritture dal Salento
Rassegna di incontri semiseri in forma di party letterario

Dal 12 giugno al 31 luglio Edita Literary Agency organizza una rassegna di incontri letterari dal titolo Edita-Re Sogni a Lecce presso Leonardo Caffè, via S. Maria del Paradiso al numero 6 (pressi Porta Rudiae, Chiesa del Rosario).
Per informazioni: www.editando.it, 0832 -304445 / 3382409124.




La scelta di seguire l’impervio sentiero della scrittura, non è da tutti oggi, anche perché chi si cimenta con le lettere sa che ha tutto da perdere. Bisogna mettere in conto che tutti gli sforzi possibili, tutte le energie messe in campo possono solo costruire un inizio. L’obiettivo è porre le basi per un’azione di promozione letteraria che parte dalla cura dell’autore e del testo e del suo ritmo narrativo. Edita Agenzia Letteraria propone con la Rassegna “Edita-re sogni” un viaggio senza meta, dove i venti della scrittura soffiano all’improvviso a volte con la furia di un uragano, a volte come respiri lievi. Attimi che racchiuderanno anni, mesi, giorni, e sogni in un gioco di voci, che provengono da lontano, dai luoghi più segreti della propria anima ma che legano con un filo rosso la nostra passione per il libro a chi li fa. I nostri primi ospiti saranno le case editrici Besa e Manni. Ma ovviamente è solo l’inizio.
Ed ecco la prima tappa:

12 giugno ore 20,00

Maddalena Mongiò
Il portone sulla piazza – Manni editore
Interviene Antonio Errico

Leonardo Caffè - via S. Maria del Paradiso, 6 - Lecce

È una storia dal sapore antico raccontata con abilità e temperanza. L'autrice dà voce e profilo a maschere tragiche che sembrano spargere i loro sentimenti deformi sulla scena narrativa in maniera ossessiva, coattiva, persistentemente e coralmente lancinante. Un libro singolare veramente. Un punto di incontro fra avanguardia e romanticismo.




Maddalena Mangiò nata a Lecce, vissuta girovaga per l'Italia al momento radicata nella terra salentina. Inquieta anche nel corso di studi: un avvio nel liceo, un diploma da maestra, concorso superato mestiere mai intrapreso. Stessa sorte all'iter universitario, percorso per un bel pezzo e abbandonato per inseguire una ricerca personale, una formazione fuori dagli schemi.
Due soggetti teatrali scritti e rappresentati a Lecce uno a Udine l'altro, un nutrito numero di articoli scritti per Quotidiano, una discreta raccolta di inediti, perché l'unico punto fermo della mia vita è la scrittura.





Antonio Errico – Un irrequieto, Antonio Errico è un irrequieto, perché vive in modo irrequieto come un unico, grande racconto, la sua vita, il suo lavoro e le sue passioni. Classe 1959, laureato nel 1983 in Materie letterarie all’Università di Lecce, Antonio Errico è “dirigente scolastico” ad Aradeo, in provincia di Lecce, ed è uno scrittore, un giornalista, con numerose pubblicazioni alle spalle.
Leonardo Caffè: la peculiarità del locale è il Finger Food, il cibo che si mangia con le dita. Ovvero ogni cosa è piccolissima. Il Finger Food è primo, secondo, contorno, dolce. In genere si tratta di piccole tartine, salse raccolte in un cucchiaino o in un minuscolo bicchiere, tartine, involtini di carne, pasta o riso. Il tutto preparato dallo chef Leonardo.

sabato 7 giugno 2008

Carlo Di Francescantonio, Tracks for Mira, edizioni O.M.P. Fare Poesia






















Carlo Di Francescantonio, nel suo ultimo lavoro poetico "Tracks for Mira", edito per i tipi di O.M.P. Fare Poesia ama giocare sul limite della disperazione metropolitana, quella che trova spazio e collegamento ideale nei versi di Gregory Corso come sottolinea Mario Barrai nella postfazione, ma a questo punto anche in quelli di Charles Bukowski, Kerouac, e gli altri benedetti/maledetti beat ... e di sicuro anche nel Punk, nella sua latitudine delirante come quella mitopoieticamente narrata da Marco Philopat in "Costretti a sanguinare" edito lo scorso anno da Einaudi. La scansione dei movimenti poetici suddivisi in tracks, suddivide anche il ritmo della riflessione poetica di quest'autore, che pare percepirsi come respiro sincopato, isterico, sintomatologia del disorientamento di un procedere per-versi obliquo e alienato. Già perchè nei versi di Carlo di Francescantonio, oltre alla buona capacità di resa metrica, intendiamo in questo caso di prosa poetica,c'è anche la prospettiva di vivere tutto, ogni cosa, prendendo le distanze,da una vita che non gli appartiene e da ricordi,amori, lontani dal suo "centro di gravità permanente" ...


track 9
sono nato dal lato rotto del cielo
ma subito ho imparato a provare l'amore
tutto questo diventerà cinema intimista
dove pochi sorridono vedendolo


www.farepoesia.it
www.kronstadt.it

mercoledì 4 giugno 2008

Il Linguaggio delle Pietre: attività vibrazionale "coerente" nelle cellule geodetiche megalitiche. A cura di Marisa Grande












I monumenti megalitici hanno assolto nel Salento quel compito risanatore dell’attività vibrazionale della terra che fu anche degli henges dell’area euro-asiatica, delle piramidi in Egitto, delle ziqqurat in Mesopotamia e delle piramidi meso-americane.
L’organizzazione megalitica salentina descriveva sul territorio un modello a “tela di ragno”, quale riflesso della calotta celeste, la mitica “tela cosmica” nel cui centro si riteneva risiedesse la Grande Ragno, la dea tessitrice dell’Universo e detentrice del filo che intesseva il destino degli uomini e di tutto il cosmo. Le “cellule megalitiche” salentine erano composte da grandi specchie centrali, collocate sulle brevi alture delle Serre, e da raggiere di menhir elevati con un passo costante ritmato da precisi riferimenti astronomici. Le specchie erano cumuli di pietre che richiamavano simbolicamente il grembo fecondo della Madre Terra, nel cui interno scorrevano le sue acque primeve in forma di fiumi sotterranei. Esse costituivano i “nodi cosmogonici” e i “poli cosmologici” della cellula geodetica “a tela di ragno”, composta da quel sistema megalitico “centripeto, centrifugo e concentrico” che riproduceva sulla terra la medesima forma-onda di energia in espansione scaturente da un centro astrale di riferimento. Le specchie vibravano o franavano lungo le loro stesse pendici nel momento del passaggio turbolento delle acque ipogee, che trasportavano per mezzo dei sali ionici disciolti flussi di elettromagnetismo che, in particolari fasi della vita della terra, si manifestavano a carattere distruttivo. Fungendo da veri e propri sismografi litici ante litteram, le specchie, che riecheggiavano all’esterno l’attività vibrazionale interna della terra, captando ed espandendo nell’area della cellula geodetica megalitica i flussi di elettromagnetismo circolante “allo stato caotico” nel sottosuolo, permettevano ai geomanti-sacerdoti-astronomi, che già auscultavano il “cuore pulsante” del pianeta dall’interno delle sue cavità carsiche, di monitorare lo stato di salute del territorio. Il materiale impiegato per elevare i monumenti megalitici salentini -calcare locale, se pur non specifico come il quarzo di Newgrange, le pietre blu e le pietre sarsen di Stonehenge, o i graniti delle piramidi egizie- doveva avere comunque caratteristiche di “buon conduttore”, poiché i menhir, monoliti infissi nel terreno come gli aghi dell’agopuntura, avevano la funzione risanatrice propria dei “catalizzatori” e dei “trasformatori” dell’elettromagnetismo caotico in “onde di flusso coerente” per riequilibrare lo stato dei campi magnetici sotterranei ed aerei, salvaguardando, con la loro funzionalità, la stabilità del territorio della cellula geodetica megalitica di loro pertinenza.


MARISA GRANDE ha pubblicato per Besa
L'ORIZZONTE CULTURALE DEL MEGALITISMO

martedì 3 giugno 2008

Stefano Cristante e l'Enciclopedia di Smallville














Lunedì 9 giugno ore 18,00
Manifatture Knos, via vecchia Frigole - Lecce

Presentazione di “Enciclopedia di Smallville (volumeI). Lecce 2007: descrizione di una campagna elettorale” a cura di Stefano Cristante (Besa editrice)

Partecipano: Carmine Festa (Corriere del Mezzogiorno)
Mauro Giliberti (Direttore Trnews)
Vincenzo Maruccio (Quotidiano di Lecce)

Modera: Mariano Longo (docente di Sociologia Università del Salento)

Saranno presenti il curatore e gli autori dei singoli saggi

(Testo della quarta di copertina)

Cosa succede in una città italiana con poco meno di 100mila abitanti durante una campagna elettorale? L'attivismo collettivo si fa simile a una vera e propria fibrillazione: sono al lavoro freneticamente non solo i candidati sindaci, ma i partiti, i gruppi di pressione, le minoranze attive, i gruppi imprenditoriali e di potere, i media locali.
A Lecce, nel 2007, si è votato per un nuovo sindaco dopo due mandati della popolare sindaca Adriana Poli Bortone, dirigente nazionale di Alleanza Nazionale. A fronteggiarsi per la poltrona di primo cittadino per il centrodestra l'ex vicesindaco della giunta Poli Bortone, Paolo Perrone, quarantenne imprenditore berlusconiano, e , per il centrosinistra, Antonio Rotundo, dirigente dei Democratici di sinistra ed ex deputato.
L'Osservatorio di Comunicazione Politica dell'Università del Salento ha studiato la lunga campagna elettorale non solo attraverso il tradizionale monitoraggio del comportamento dei media locali, ma anche attraverso le testimonianze dirette di giovani analisti che hanno lavorato nei comitati dei candidati sindaci. Ne emerge il profilo di una città che, pur riconfermando la propria vocazione di destra, sta cambiando in profondità e cerca di uscire dalla contraddizione tra uno sviluppo orientato al patrimonio artistico e al turismo e la persistenza di inefficienze e ritardi strutturali (trasporti, servizi, disoccupazione intellettuale).
La descrizione della campagna elettorale è il primo tassello di un progetto di ricerca pluriennale dell'Osservatorio dedicato a Lecce e intitolato Smallville: sociologia di una piccola città.


Stefano Cristante insegna Sociologia dei fenomeni politici e Sociologia della comunicazione all'Università del Salento, dove dirige l'Osservatorio di comunicazione politica. Ha scritto, tra gli altri, Potere e comunicazione (Napoli, 1999), Azzardo e conflitto (Lecce, 2001), Media Philosophy (Napoli, 2005). Ha curato Violenza mediata. Il ruolo dell'informazione nel G8 di Genova (Roma, 2003) e L'onda anonima. Scritti sull'opinione pubblica (Roma, 2004). Per Besa ha curato (con P. Mele) Da Vendola a Prodi. I media nelle campagne elettorali 2005-2006.

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