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giovedì 13 ottobre 2011

IL LIBRO DEL GIORNO: Sono un bravo ragazzo. Andata, caduta e ritorno di Francesco Nuti (Rizzoli) a cura di G. Nuti





















Sono passioni dirompenti, quelle che animano gli anni d'oro, fervidi e creativi, di Francesco Nuti, regista e attore che ci ha incantato per oltre due decenni con i suoi film. Donne bellissime, ma anche calcio (che lo ha portato persino nella Nazionale Under 14), naturalmente biliardo, e soprattutto cinema, voglia di inventarsi storie per far ridere, immalinconire, commuovere, e di nuovo ridere. Dopo un periodo di malattia, oggi Nuti desidera finalmente ritornare a parlare al suo pubblico e lo fa con questa autobiografia scritta in lingua fiorentina d.o.p., dove si racconta "a braccio, anzi a bracciate, improvvisando con la memoria, che a me piace così". È un libro a lungo meditato, che nasce da appunti buttati giù nel tempo e di recente integrati da Francesco, con l'aiuto del fratello Giovanni, per restituire ai lettori le emozioni più importanti della propria vita. Si parte dal cuore della Toscana, Firenze e Narnali, contrada allegra e burlona che abbiamo conosciuto in diversi film; si passa per le esperienze di teatro con i Giancattivi e di tv con Non Stop, per approdare agli anni rutilanti del successo, quando Nuti era osannato dal pubblico e in diretta concorrenza con l'altra star dell'epoca, Massimo Troisi. Anni scroscianti di applausi, baciati da amori e amorazzi, benedetti dai record di incasso, ma anche venati dall'insinuarsi di sentimenti oscuri, come dal presagio di un declino.

sabato 24 settembre 2011

Il libro del giorno: Classico Ribelle di Giovanni Allevi (Rizzoli)





















Questo libro raccoglie il pensiero appassionato e profondo di Giovanni Allevi, il suo rapporto tra tecnica e ispirazione fino alla teorizzazione della definizione di musica classica contemporanea; l'impegno di costruire un linguaggio espressione del mondo in cui viviamo; il corpo a corpo fecondo con una Accademia che vuole perpetuare se stessa, incurante dello scorrere del tempo nella società che la circonda. Dalla sua esperienza e riflessione di musicista e compositore per cui la semplicità è una conquista quotidiana - in dialogo e superamento continuo rispetto alle influenze più varie da Pitagora a Bach, da Parmenide al falsificazionismo popperiano - emergono una filosofia della dedizione e un'etica fondata sulla ricchezza irripetibile dell'individuo. "Classico ribelle" ha il senso di una condivisione di lezioni apprese, di un inedito "metodo per armonia esistenziale", di una sorta di manuale di felicità laterale, in cui tutti potranno riconoscersi e ritrovare il senso della propria unicità. Per partire ogni giorno "alla ricerca di quel lampo di poesia che si nasconde tra le pieghe dell'esistenza".

lunedì 18 aprile 2011

Il libro del giorno: Ne uccide più la penna di Mario Baudino (Rizzoli)












Splendida uscita per la Rizzoli, perché si tratta di un’operazione editoriale molto intelligente, colta, raffinata, e soprattutto che può incontrare veramente il gusto e l’attenzione di un pubblico variegato e poliforme. In una parola una trovata degna di attenzione e profondo rispetto. Parliamo di “Ne uccide più la penna” di Mario Baudino, che si preoccupa di cercare con la lente d’ingrandimento tra le pagune dei noir e gialli più belli e avvincenti, la figura “ancestrale” e quasi mitologica del libraio, quasi a voler suggerire in punta di penna che dietro una scia di sangue ci può essere il detective bibliofilo e a volte bibliomane, o il libraio agguerrito dal grande acume investigativo. Mario Baudino ci procura una grande letizia attraverso questo lavoro, e si prodiga in un'indagine suadente, mai banale, di numerosi “casi” della letteratura di genere da Umberto Eco a Hans Tuzzi, dal mystery classico a Nero Wolfe, da Alexandre Dumas all’hard boiler. Dunque il viaggio si fa sempre più interessante, pagina dopo pagina, e il lettore non tema di lasciarsi ammaliare da questa “cartografia” delittuosa messa in piedi dall’incredibile maestria di Baudino. E allora sia esso un manoscritto dalle pagine avvelenate, un codice con oscure profezie o un'introvabile prima edizione coronata da refuso, questo testo maledetto diventa “la chiave di volta” in nome del quale uccidere e morire.

martedì 4 agosto 2009

In libreria SANGUE HABANERO di Gordiano Lupi (Ed. Eumeswil)

Un mistero avvolto tra le braccia di una prostituta cubana, una jinetera, sprofonda nelle contraddizioni del regime castrista.
La Cuba costretta a mangiare col volto nella polvere e quella votata al dio denaro sono un’unica entità in grado di inghiottire ogni anima umana.
Simbolo della contraddizione è un assassino seriale che stronca brutalmente vite di jineteras, donne i cui sogni sono già stati irrimediabilmente stroncati dalle promesse della società nuova.
La protagonista ci insegna che un destino di sesso a pagamento può essere sopportato per dare un futuro al proprio figlio, e che rischiare la vita di fronte a un serial killer può servire per riscattare tutte le prostitute che come lei annientano la propria vita ogni giorno.
I corpi dilaniati di queste povere donne sul lungomare del Malecón indicano la strada per l’indagine della polizia, e indicano al lettore il metodo per interrogarsi sulle contraddizioni di una Cuba agonizzante.

Gordiano Lupi (Piombino, 1960). Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio. Ha tradotto i romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz: Machi di carta (Stampa Alternativa, 2003), La Marina del mio passato (Nonsoloparole, 2003), Vita da jinetera (Il Foglio, 2005), Cuba particular – Sesso all’Avana (Stampa Alternativa, 2007) e Adiós Fidel – all’Avana senza un cazzo da fare (A.Car, 2008). I suoi lavori più recenti sono: Nero Tropicale (Terzo Millennio, 2003), Cuba Magica – conversazioni con un santéro (Mursia, 2003), Cannibal – il cinema selvaggio di Ruggero Deodato (Profondo Rosso, 2003), Un’isola a passo di son - viaggio nel mondo della musica cubana (Bastogi, 2004), Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura (Stampa Alternativa, 2004 - due edizioni in un anno), Orrore, erotismo e pornografia secondo Joe D’Amato (Profondo Rosso, 2004), Tomas Milian, il trucido e lo sbirro (Profondo Rosso, 2004), Serial Killer italiani (Editoriale Olimpia, 2005), Nemici miei (Stampa Alternativa, 2005), Le dive nude - Il cinema di Gloria Guida e di Edwige Fenech (Profondo Rosso, 2006), Il cittadino si ribella: il cinema di Enzo G. Castellari - in collaborazione con Fabio Zanello - (Profondo Rosso, 2006), Filmare la morte – Il cinema horror e thriller di Lucio Fulci (Il Foglio, 2006), Orrori tropicali – storie di vudu, santeria e palo mayombe (Il Foglio, 2006), Almeno il pane Fidel – Cuba quotidiana (Stampa Alternativa, 2006), Sexy made in Italy – le regine del cinema erotico degli anni Settanta (Profondo Rosso, 2007), Coppie diaboliche - dal delitto di Marostica al giallo di Omegna - 34 casi di «crimine a due» 1902-2006 (in collaborazione con Sabina Marchesi - Editoriale Olimpia, 2008), Dracula e i vampiri (in collaborazione con Maurizio Maggioni - Profondo Rosso, 2008), Avana killing (Sered, 2008 – in edicola), Mi Cuba (Mediane, 2008) Delitti in cerca d’autore (I.D.I., 2008 – in edicola), Fernando di Leo e il suo cinema nero e perverso (Profondo Rosso, 2009) e Federico Fellini. A cinema greatmaster (Mediane - edizione italiana e inglese).

Ha curato e tradotto Cuba Libre – Vivere e scrivere all’Avana (Rizzoli, 2009), il primo libro italiano di Yoani Sánchez.

Ha preso parte ad alcune trasmissioni TV come Cominciamo bene le storie di Corrado Augias (libro Serial killer italiani), Uno Mattina di Luca Giurato (libro Serial killer italiani), Odeon TV (trasmissione sui Serial killer italiani) e La Commedia all’italiana su Rete Quattro (dove ha parlato di Gloria Guida e di commedia sexy). È stato ospite di alcune trasmissioni radiofoniche in Italia e Svizzera per i suoi libri e per commenti sulla cultura cubana. I suoi libri sono stati oggetto di numerose recensioni e segnalazioni che si possono leggere al sito www.infol.it/lupi.

mercoledì 17 giugno 2009

Il libro del giorno: Contro il giorno di Thomas Pynchon (Rizzoli)

In un mondo su cui, ancora una volta, incombono catastrofi - il crollo del campanile di San Marco, l'asteroide di Tunguska, la Prima guerra mondiale - si inseguono anarchici, giocatori d'azzardo, milionari, matematici, scienziati eretici, antesignane del libero amore, sciamani, sensitivi, aeronauti e killer prezzolati. Sono impegnati in un caleidoscopio di avventure - tra l'Esposizione Mondiale di Chicago nel 1893 e il Messico infuocato dalla rivoluzione, tra la Hollywood del cinema muto e i Balcani, tra Parigi, Vienna e luoghi difficili da trovare sull'atlante - che raccontano l'avidità senza freni del capitalismo globale, la falsa religiosità, l'ottimismo ingiustificato e il sogno irraggiungibile dell'utopia. Ogni, riferimento al nostro tempo è puramente casuale. Con questo romanzo monumentale e trascinante, che giunge dopo dieci anni di silenzio, Thomas Pynchon non descrive il mondo com'è, ma come potrebbe essere con appena qualche ritocco. Alcuni si ostinano a credere che sia questo uno degli scopi principali della letteratura.

"(...) ammirevole ma terrificante, lutulento e a tratti molto divertente, verboso e pieno di storie, folle e generoso, ma in definitva troppo denso, complesso, e se esiste la parola, gigantistico, per conquistare e bloccare l'attenzione del lettore"

di Irene Bignardi tratto da La Repubblica del 17/06/09, p. 43

casa editrice Rizzoli: http://rizzoli.rcslibri.corriere.it/rizzoli/

Contro il giorno di Thomas Pynchon 2009, 1127 p., Rizzoli

mercoledì 10 giugno 2009

Il lavoro di Raquel Tibol su Frida Khalo visto da Maria Beatrice Protino



















«Non è la tragedia a presiedere l’opera di Frida Khalo… La tenebra del suo dolore è soltanto lo sfondo vellutato per la luce meravigliosa della sua forza biologica, di una sensibilità finissima, di un’intelligenza splendente e di un’invincibile forza… Lei lotta per vivere e per insegnare ai suoi compagni, gli esseri umani, come resistere alle forze avverse e trionfare su di esse per giungere a una gioia superiore». Queste le affermazioni di Diego Rivera, marito di Frida, riportate nel libro-biografia di Raquel Tibol (Rizzoli, 2003) sul mito di una donna, di un’icona del femminismo mondiale, di una pittrice senza eguali protagonista della scena artistica latino-americana del primo novecento. La Tibol utilizza lettere e diari di Frida, ma anche ricordi personali essendo stata ospitata nella casa della pittrice e avendola intervistata lungamente - nonché ricerche d’archivio. Nella biografia vengono raccontate le vicende personali e le circostanze storiche che videro La Kalho protagonista della scena politica da militante di sinistra, l’arte, la psicologia, la passione per la vita: ne si ammira la forza in un’analisi complessa e affascinante del mito. Frida riuscì a sublimare il dolore personale - fu colpita a sette anni dalla poliomielite e a diciotto subì un gravissimo incidente che la condannò per tutta la vita a terribili sofferenze - in un’arte che Breton - teorico della corrente surrealista - dichiarò tale per cui il lato umano e quello artistico risultavano uniti indissolubilmente, un tipo di pittura definito da Rivera «realismo monumentale, che racchiude in sé esteriorità, interiorità e il fondo di se stessa e del mondo», eppure profondamente, anzi forse suo malgrado, messicano, legato senza affettazione né pregiudizio estetico all’espressività e alla plasticità di un genere pittorico popolare, umile, lo stesso che gente anonima sviluppava su piccole lamine di metallo o legno per illustrare il miracolo di un santo, della Vergine o di Dio: era la prima volta per una donna risultare capace di esprimere con franchezza scarna e feroce, tenerissima e crudele eppure esatta, realista fino all’osso quei caratteri personali e generali che concernono propriamente alle donne. Ed infatti, denominatore comune dei pittori surrealisti è il forte legame con la tradizione e, insieme, la creazione di iconografie del tutto personali. Frida deve molto ai ritratti fotografici che si realizzavano in Messico nella seconda metà dell’Ottocento, come deve molto ai retablos (quadretti che ringraziano Dio e i santi perché la vita continua nonostante le più orrende disgrazie) e all’arte popolare messicana che utilizzava i materiali più poveri per esprimere con disinvoltura ironica anche il macabro. Fu, poi, la sua sincerità ad indurla a dare testimonianza esatta, attraverso la pittura, di alcuni eventi come la sua stessa nascita, il suo allattamento, la sua crescita in famiglia e le sue terribili sofferenze, senza mai la minima esagerazione o discrepanza rispetto ai fatti precisi, e, proprio grazie al suo atteggiamento, gli stessi fatti diventano universali, si pongono su un piano molto più ampio che non quello prettamente personale: assumono un ruolo sociale.
Nel suo diario Frida offriva la chiave magica della sua tavolozza, insieme a riflessioni da incubo: «Verde come luce tiepida e buona; giallo come follia, malattia, paura, parte del sole e dell’allegria; blu cobalto come elettricità e purezza, amore; magenta come sangue?, mah, chi lo sa!». Come sottolinea la Tibol: «Insieme alla forza del suo carattere, alla disciplina spirituale che le fece superare la propria condizione e il limite della sua condizione fisica, al rifiuto di piegarsi al dolore, è il suo surrealismo allo stato puro, senza ricerca a tavolino, senza aridità intellettuale ad affascinare: esso è atto surrealista nel quale la pittura propriamente detta ebbe un ruolo – addirittura – secondario».

martedì 19 maggio 2009

WALTER SITI, IL CANTO DEL DIAVOLO (RIZZOLI, COLLANA 24sette). Rec. di Silla Hicks

Premetto: sono eterosessuale. Ho sempre amato le donne, da quando mi sono accorto che esistevano, o meglio da quando loro si sono accorte che esistevo io. Avevo quattordici anni e tre mesi e dovevo già radermi ed ero solo pochi centimetri meno di adesso, un gigante spaesato che i compagni di classe chiamavano il vichingo, sradicato dal suo tutto, e lei di anni ne aveva trentacinque, ed era amica di mia madre, si chiamava Susanna, un nome da formaggino, gli occhi scuri e i capelli tinti di un biondo che mi ricordava casa.
Mi offrì il primo bacio e la prima sigaretta, una multifilter blu, e mi regalò un quaderno che curasse la nostalgia. Mi faceva piangere e pensare che ammazzarmi fosse l’unica via di fuga che mi restava: quando vorresti morire scrivi, mi disse, puoi farlo in tedesco, e sarà come tornare.
La ringraziai senza crederle: c’è voluta una vita per imparare quanto avesse ragione.
Non l’amavo, perché non ero capace: odiavo tutto, e soprattutto me. Quando cambiammo casa e la persi di vista non feci niente per ritrovarla. Da allora – sono passati più di vent’anni - non ne so più nulla, e mi dispiace, adesso, che lei è uno dei pochi ricordi belli che mi restano, e altre donne –in realtà, soltanto una– mi hanno reso quello che sono. Ma comunque sia – anche adesso, anche così – continuo a credere che un uomo senza una donna non possa avere senso: anche quando ti uccidono, sono la causa prima per cui siamo. L’anello di congiunzione tra l’uomo e dio, o il demonio, che è la stessa cosa, all’altro estremo della scala: in un caso e nell’altro sono loro a portarci in cima o in fondo, loro che ci spingono sulla strada, e che sia quella giusta o quella sbagliata non conta, senza di loro resteremmo immobili, sul ciglio, senza un pretesto per scegliere, e sarebbe infinitamente peggio - peggio anche di questo - non esistere, mai.
Premetto ancora: non ho mai pensato che l’identità sessuale potesse essere liquida, per quanto mi riguarda, almeno. Io sono un uomo, e amo le donne. Punto. Non mi riesce di immaginare qualcosa di diverso, la mia parte femminile è stata la mia donna, e prima di lei mia madre, e adesso, che è successo quello che è successo, mia sorella, con cui divido la casa e tante sere nere, i suoi numeri e le mie parole, la sua motocicletta e la mia motrice, due modi opposti di cercare risposte che miracolosamente completano il puzzle, perché è vero che sono l’altra metà del cielo, sono figlio dell’androgino io, spaccato a metà dal fulmine nel simposio, e cerco la metà amputata che mi manca.
È questa la ragione per cui ci ho messo tanto, a leggere le 205 pagine di questo libro, dalla dedica ai ringraziamenti inclusi: il perché ci ho messo tanto e il perché l’ho capito solo in parte, anche, e questo è un peccato, perché è indiscutibilmente un bel libro, che intessuta in un’ottima guida lonely planet post Naomi Klein sugli Emirati porta una storia d’amore scritta con gli occhi feriti a morte di chi l’amore ha avuto il coraggio di guardarlo in faccia, e sì che ci vuole coraggio ad essere “l’altro”, non si ha niente e non si può chiedere niente, nemmeno di essere amati, perché significherebbe imporre una scelta, e il rischio che significhi la fine anche di quel niente cui si sta aggrappati è fuori questione, e così pazienza se si viene maciullati ogni attimo, ne sa qualcosa il mio amico Giuseppe, che è stato l’amante per anni, e, dio, quant’è bella questa parola, e quanto è tremenda se non si associa a nient’altro, quant’è straziante quando significa solo niente domeniche e niente natale e niente compleanni, solo ristoranti sul mare d’inverno e qualche weekend camuffato da lavoro, guai se lo scopre qualcuno.
È una storia che gronda vita – nel senso letterale: qui e là sgranata, come la vita è, una montagna russa in cui basta un cellulare irraggiungibile a spegnere le luci sul mondo - ed è raccontata bene, in una lingua zeppa di riferimenti quanto più cerca di destrutturarsi nel gergo, sudore di uno scrittore vero, cui riesce senza sforzo quello che chiunque provi a scrivere sogna, fare buio in sala e proiettarti ogni riga nel cervello, finchè non sei lì, nel bel mezzo della pagina che ti viene incontro e senti, finalmente, il profumo dei gladioli e le grida dei russi che giocano a pallavolo in piscina e tutto il resto, anche il sapore del risotto con asparagi e tartufi, e sopra ogni cosa il dolore dell’amore che non riesce a ritagliarsi una stanza tutta per sé nella vita di ogni giorno, che è confinato alla vacanza, al ritaglio, nessuna certezza del domani.
Tutto chiarissimo, so cosa sia, cercare di comprare quello che può essere solo un regalo,io che nel 2000 avevo 35 milioni di debiti (e ci tengo a sottolineare che proprio allora tornammo assieme, quando non potevo offrirti nient’altro che me, a riprova che ci sono cose che non hanno prezzo, né possono averlo, e com’è andata a finire è un’altra storia).
Ma questo libro è una lettera d’amore – sussurrata nelle prime pagine, a voce così bassa che ti chiedi se hai capito bene, così rileggi, finché non ti rassegni – e poi urlata – senza nessuna forma di discreta censura, e sì che Lui è sposato, e cerca ai bazar un posacenere da regalare alla moglie – per Massimo e il suo lessico romanesco e il suo perizoma da culturista, cui lo scrittore regala una vacanza superlusso per ricompensarlo di esistere, prima di immergersi in un viaggio solitario e necessariamente low cost oltre l’ologramma di una terra fabbricata con il Lego, alla ricerca della sua anima e della propria, entrambe perse, l’una soffocata dalla plastica di sogni faraonici e l’altra dal suo amore clandestino.
E purtroppo, malgrado i trentasette anni e i forse trentasettemilioni di chilometri che ho alle spalle, l’unico modo che ho avuto di decodificarlo è stato trasformare Massimo in Marina, farne un adattamento che mi fosse comprensibile, e necessariamente questo ha significato semplificare, distorcere, e molta parte del tutto mi è rimasta oscura.
Me ne scuso, non è rifiuto del diverso, no, è una vita che sono diverso in quasi tutto, sono mancino, e zero negativo, e porto il 47 di scarpe e ho capelli e ciglia così chiari che sembrano bianchi, ma ci sono cose che vanno oltre quello che posso capire, che hanno strutture e meccanismi che mi sfuggono, e quando succede devo trasformarne l’algoritmo in un simbolismo che mi sia comprensibile, e il risultato necessario è perderne le (probabilmente più profonde) sfumature.
Come questa volta, ed è stato un peccato: di questo libro – gli Emirati restano sullo sfondo – mi è rimasta la sensazione sgradevole del disegno del tappeto impresso sulle ginocchia di Massimo a pag. 34, che è stata un pugno nello stomaco, non mi vergogno a dirlo, per me come per molti uomini (la maggior parte? Questo non lo so. Sono uno solo, io.)
Peccato, davvero. Una storia bellissima, raccontata ancora meglio. Ma sarebbe stato troppo sforzo chiamare Massimo Marina? Troppo sforzo concederci di capire, davvero? Ho trentasette anni e trentasettemilioni di chilometri alle spalle. E chiuso il libro è alla moglie di Massimo, che penso, al suo sorriso quando avrà ricevuto il posacenere, al dolore che non sa di provare, perché, ne sono certo, lei non sa.
Ma poi finalmente capisco, è questo il miracolo vero di un vero libro, la moglie di Massimo nella storia non c’è, non si vede, eppure io l’ho vista, sto pensando a quello che deve aver pensato, sono entrato nei suoi panni, e magari lei nemmeno esiste, è tutto inventato, ma io la vedo, questa donna che è rimasta a Roma, che ha aspettato che il marito tornasse ed è corsa a prenderlo all’aeroporto, il suo muscoloso marito che neanche saprebbe immaginare carponi sul tappeto del resort che le ha portato in regalo il patchouli e chissà cos’altro comprato nei suk che visitava con il suo amante di sessantadue anni, chissà le balle che le ha raccontato per coprire tutto, e vorrei gridarlo, dirglielo, e prendere lui per il collo, anche, so cosa vuol dire essere traditi, e non credo che il dolore che si prova sia in relazione con chi.
Così, finalmente capisco, istintivamente ho scelto da che parte stare, sono entrato nella storia, ed è questo che conta. Che molto, moltissimo mi sfugga dei meccanismi di cui parla non è più importante, il fatto è che ci sono entrato, e questo è tutto.
È questo il miracolo vero di un vero libro.
E questo è un vero libro.
Avrei preferito che Massimo fosse Marina, sì.
Sarebbe stato più facile leggerlo. Ma è un vero libro, e il resto, gli Emirati, il perizoma e il tappeto, sono dettagli. Non conta di quali io – lettore, maschio, trentasettenne, eterosessuale, camionista, italotedesco - avrei volentieri fatto a meno.

AVREI PREFERITO MARINA
...

(WALTER SITI, IL CANTO DEL DIAVOLO, 2009, RIZZOLI MILANO, COLLANA 24sette)

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