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giovedì 20 agosto 2009

Sandokan di Hugo Pratt (Rizzoli-Lizard). Rec. di Vito Antonio Conte















La notizia girava nell'aria (di chi, come me, respira letteratura disegnata) già da un po': per dirla con Alfredo Castelli (curatore del progetto editoriale, nonché autore della nota introduttiva “Se vuoi, questa non la racconto” del libro di cui vi dico), “La vicenda del era già vecchia nel 1971...” e, con le parole di Claudio Gallo (che ha curato la nota di chiusura del libro), “La notizia della possibile esistenza di una versione a fumetti di Sandokan illustrata da Hugo Pratt circolava da anni tra gli appassionati di Emilio Salgari e nei Forum Internet a lui dedicati. Lo stesso Pratt aveva contribuito a creare attorno all'opera un alone di leggenda, negandone e poi confermandone l'esistenza...” e, finalmente, dopo quarantanni, nello scorso maggio, ha visto la luce (che di parto - e difficile- si tratta) “Sandokan”, opera postuma di Hugo Pratt (ch'è andato a visitare altri sogni il 20.8.1995, partendo da Losanna) e Mino Milani (1928, i suoi testi sono stati illustrati dai più grandi disegnatori italiani, tra i quali Milo Manara, Dino Battaglia, Sergio Toppi e -appunto- Hugo Pratt) per i tipi Rizzoli-Lizard (2009, pagine 79 in B&N, € 25,00). Ho scritto “finalmente” e non a caso ché in fine si è scoperto cos'è quest'opera: facile pensare a una riduzione in tavole disegnate del famoso libro di Emilio Salgari, ma “Le tigri di Mompracem” realizzata da Pratt nel 1969 per il “Corriere dei Piccoli” (e, ripeto, soltanto ora pubblicata) di che... Pratt era fatta? Il segno è indiscutibilmente il suo, quello di Hugo, poco più che quarantenne, che però non era ancora così (in una parola) “magico” come poi divenne dopo la creazione di Corto Maltese, per il quale, si dice, non portò mai a compimento il suo Sandokan. Il gentiluomo di fortuna che, come ha notato Castelli, è già contenuto ne “Le tigri di Mompracem”: basta togliere i baffi a Yanez e appare un primitivo Corto Maltese (a sua volta alter ego dello stesso Pratt). E “finalmente” si può leggere e vedere quest'opera inedita, persa e ritrovata, ma definirla -come si legge sul cofanetto che contiene il libro - il vero Graal del fumetto italiano significa esagerare, a meno che non si sia voluto, con quel richiamo, far riferimento -appunto e esclusivamente- al ritrovamento! E al conseguente clamore... Ché per il resto (a parte la somiglianza sopra notata di Yanez con Corto Maltese... di sicura importanza) rimane oscura tanta enfasi, non essendo poi fondamentale nell'opera prattiana (ch'è immensa: non solo per volume, ma soprattutto per qualità) questa storia. Almeno questo è il mio pensiero. E lo correggo subito dicendo che non ritengo si tratti soltanto di una “speculazione” editoriale, ma una storia monca, quale questa è, rimane pur sempre tale, anche se a disegnarla e a sceneggiarla sono stati due pezzi da novanta del fumetto italiano. Anche se Hugo Pratt è l'autore che (per tutto quel ch'é stato nella vita* e continua a essere nell'arte -non solo del fumetto, basti pensare ai suoi acquerelli- e ancora...) amo di più. Forse è proprio per questo che “Sandokan” mi è piaciuto, ma non mi ha entusiasmato. E allora perché questo libro abbia un senso compiuto è bene ribadire che non ci sono soltanto le tavole disegnate e la sceneggiatura, ma anche gli scritti di Castelli e Gallo che è il caso di conoscere in quanto svelano aneddoti e contengono informazioni di certo interesse per gli appassionati del genere. Chiarisco l'asterisco (*) che ho usato a proposito della “vita” di Pratt: più volte ho detto e scritto, per tanti motivi, che una vita soltanto non basta... in questo caso è appropriato scrivere “vite” ché Pratt è uno dei pochi (che conosco) che -per davvero- ne ha vissute molte! Continuando a leggerlo, spero, prima o poi, di comprenderne il mistero.

giovedì 23 luglio 2009

Appocundria! Intervento di Vito Antonio Conte su Del pesce e dell'Acquario di Ilaria Seclì (Lietocolle)

“L'appocundria me scoppia ogni minutu a 'mpietto...”, cantava Pino Daniele degli esordi, 1980 all'incirca, “Nero a Metà” si chiama l'album in cui è contenuto questo pezzo (che amo ancora), se mal non ricordo. Testo scarno e essenziale, come di anima che si palesa. Melodia di chitarra che compie il miracolo di unire fado flamenco e blues. Era il mio primo anno all'Università: questo lo ricordo bene. Quasi trent'anni addietro: cazzo, mi verrebbe da dire! E sia. L'appocundria, nella sua accezione dialettale (nella lingua napoletana, siccome in quella salentina), significa qualcosa di più del corrispondente (ipocondrìa) italiano... Non è afferente, all'evidenza, al significato psicologico di nevrosi o patofobia... né coincide appieno con quegli stati più strettamente evocati e cioè con la depressione, la malinconia, lo scoramento, lo sconforto, l'abbattimento, pur contenendoli (in qualche misura). È qualcosa di più. E di diverso. È quella sorta di apatia che ha il sapore dell'indolenza e dell'impotenza (equamente divise). Molto vicino alla refrattarietà. Io, per certe cose, sto così da un po': faccio quel che devo: quel che dovere impone, appunto. Senza passione. Senza entusiasmo. È necessario. E lo faccio. Nel modo migliore, s'intende! Ma farei volentieri altro, se non avessi bisogno di quel che il lavoro dà. Mezzi di sussistenza, li chiamano. Lasciamo stare. Non m'impelagherò in parole sociologicamente rilevanti, né ho voglia di bestemmiare, oggi. Ché dire male del mio lavoro, in periodi di precarietà e di crisi -come quello presente-, significa bestemmiare. E anche la bestemmia ha un suo valore. Riservo di essere blasfemo per altre -più meritorie- occasioni. Coltivo altre passioni. Che ci sono. Per fortuna. Scrivo sempre. Appunto l'ordinario. Segno incipit per lo straordinario (almeno credo). Annoto, per non perderla, la meraviglia (ritengo). Lascio tracce dell'incanto (ne sono certo). Ci sono cose nuove che mi frullano nel grigio incipiente de... i miei capelli. Mi limito a serbarne memoria con una parola. Aspetto altro tempo. Ché questo non basta per il resto. Per tutto quanto il resto. E per quel che resto non è. Non leggo più come fino a qualche settimana fa. Non ho voglia di reading e presentazioni (salvo rare eccezioni) e, in genere, di tutta quella cultura svenduta nelle serate che, pure, a lungo, ho assiduamente frequentato. Refrattarietà! Non riesco a respirare certe atmosfere d'aria falsa. Meglio la campagna. E la fatica. Col sudore. E il silenzio. Non fraintendete: è uno stato mio. Sicuramente aiutato dal clamore e dalla frenesia inutili d'intorno, ma mio. C'è che ho voglia d'altro. E quell'altro, grazie al cielo, c'è. Non esattamente siccome vorrei, ma c'è. E anche quando non ci sarà più, semmai non ci sarà, so che “è” per sempre. No, non gioco con le parole. Non faccio sofismi. Non pratico strambe filosofie. Oddio, mi perdo ancora nei versi, da ultimo in quelli di Ilaria Seclì: “Del Pesce E Dell'Acquario” si chiama la sua ultima raccolta, edita da Lietocolle (pagg. 72, tutto compreso, € 13,00). Ma è un perdersi lieve e doloroso insieme. Un andare verso mondi toccati senza conoscerli, ovvero verso mondi conosciuti senza averli mai toccati. Non spetta a me aggiungere altro sull'opera di Ilaria Seclì. Su di lei qualcosa potrei aggiungere. Di buono. Ma non lo faccio. Dico soltanto, e lo dico a lei personalmente, che -è vero- una vita sola spesso non basta: ce ne vorrebbero almeno due!?! Ma -io (oggi)- guardo la mia e penso: una vita è tutto... Poi, aggiungo e chiudo, è il coraggio che manca; è la responsabilità che inchioda; è capire questo che difetta; comprendere questo e lasciarsi andare lo stesso; e dire: Grazie, ancora... “io, sposa del dio estinto, del figlio perduto, se il cielo rovescia / ciò che la terra solleva tu tieni e sposti nella misericordia / della valle senza vento”, così scrive Ilaria ed è solo la fine del primo componimento della raccolta poetica citata. Non perdetevi questo libro! Perdetevi in questo libro. Perdetevi in “vite infette” (uno dei versi che amo di più). Poi, tornate alle vostre occupazioni. Se ci riuscite. Io torno alla mia refrattarietà. Non mi tangono le vostre corse ultronee. L'indifferenza verso quel che ho scritto su (e, di contro, la pienezza di quell'altro che ha il più alto nome divino e ch'è madre di tutti...), adesso mi fa stare qui, tra note sempre nuove (bellissime quelle di Mario Fasciano & C. in “Porta San Gennaro - Napoli”), davanti a quello ch'è aperto da oltre un mese, che non può essere definito libro, ma di carta è fatto. Carta di ottima fattura, con parole sussurrate, immàgini di una bellezza sconvolgente, tavole note che mi appaiono come mai viste, acquerelli che fotografano anime in viaggio nella più reale delle camminate, chine di un'essenza fatta di pochissimi tratti e che evocano soprattutto quel che segno non è né potrà mai diventarlo e intanto (così) lo vedi lo tocchi lo annusi lo accarezzi e ti accarezza, tecniche miste di indicibile forza: quella che cattura l'occhio e lo fa godere... Il “LIBRO”, di grande formato (29 x 27), è “Periplo Segreto” di Hugo Pratt (a cura di Patrizia Zanotti e Thierry Thomas), edito nella scorsa Primavera da Rizzoli-Lizard (su progetto editoriale della CONG SA, Losanna), e conta ben 415 pagine (€ 70,00), con traduzione in inglese e in francese, delle quali la gran parte illustrate con gli splendidi sogni fermati nella sospensione lirica del vivere l'onirico dell'insuperato Hugo. Quest'opera si apre con una splendida fotografia (del volto in primo piano) di Hugo Pratt; quindi troviamo la “Premessa” di Patrizia Zanotti e “Sotto il segno dell'ironia” di Thierry Thomas. Prosegue con i disegni di Pratt: “Tecniche miste: 1950/1995”; poi con una sezione dedicata a “Hugo Pratt. La vita e i viaggi”. Si chiude con una “Bibliografia essenziale”. Più volte ho scritto (anche su queste pagine) di lui e delle sue opere... Ma quella di cui dico adesso è la “summa” straordinaria delle singole prodigiose storie di Pratt, frutto della sua infinita fantasia artistica. Quella che gli permetteva di vivere quel che immaginava. Quella resa immortale nelle tavole disegnate attingendo alla sua stupefacente memoria. Ricordo vivido dei fatti della sua esistenza e di tutto quello che aveva conosciuto. Di tutto ciò Pratt sapeva evocare e rendere appieno ogni espressione con pochi tratti. “Quanta musica, movimento e allegria ci sono nella Josephine Baker appena tracciata con due gesti di carboncino? Una volta in una libreria di Parigi in occasione dell'uscita del suo libro "Lettere dall'Africa" di Rimbaud, un ragazzo, molto timido e emozionato di trovarsi di fronte a Pratt, gli chiese un ritratto di Rimbaud, ma Hugo capì "Rambo" e, anche se piuttosto sorpreso, gli tracciò un bel ritratto di Silvester Stallone. All'inizio di "Aspettando Corto" c'è un passaggio che evidenzia molto chiaramente l'entusiasmo, ma al tempo stesso lo stupore per le possibilità che gli si aprivano nella vita grazie alla sua capacità di disegnare, e naturalmente, grazie al fatto che qualcuno avesse riconosciuto queste capacità e potenzialità. "Immaginate di aver sognato l'America per cinque anni. Non un posto preciso dell'America, a nord a sud o al centro. No. Avete sognato l'America come un nome, una situazione, una droga, un rinvio, una dilatazione, un'evasione, un inizio, un Eldorado, un'avventura, una chiavata o una fuga (…) e un giorno vi trovate sulla nave con un biglietto e tutto (…) con l'orizzonte che precipita a poppa mentre la prua della nave, ondata dopo ondata, apre per voi le porte del mondo. E avete poco più di vent'anni (…) Ero in viaggio per l'Argentina (…) biglietto pagato e contratto di lavoro con l'Editorial Abril. Mi chiedevo: sei un disegnatore? Sono passati vent'anni da quella prima partenza per l'America e ancora non mi sono risposto.". La sua era la "generazione entusiasta", mi diceva alla fine dei vari racconti. Erano entusiasti di tutto, ma soprattutto di essere sopravvissuti alla Guerra. Una guerra che Pratt aveva conosciuto da vicino in Africa e disegnato negli "Scorpioni del deserto" conservando un'incredibile memoria dei dettagli: delle divise, delle mostrine, degli stemmi che evidentemente aveva memorizzato inconsapevolmente da bambino. Anche nel rigido mondo militare Pratt riusciva a far entrare l'ironia, attraverso personaggi che col loro linguaggio denunciavano l'assurdità delle guerre che lui raccontava.” (Dalla premessa di Patrrizia Zanotti). Quell'ironia che gli ha permesso di raccontare disegnando mille altre realtà stordendo i lettori col suo tratto poetico e facendoli risvegliare con una domanda in più. “Per nessun disegnatore realista (cioè autore di un fumetto di avventure e non di una serie che vuol essere comica) l'ironia ha avuto tanta importanza come per Hugo... i clichè delle sue storie hanno perso il loro carattere artificiale, e i suoi personaggi sono diventati veri, quando lui è stato in grado di iniettare nelle sue strisce quell'ironia che gli era connaturata. Quando ha saputo, semplicemente, disegnarla. Ma l'ironia, viene da dire, non si disegna! Invece sì: grazie alla semplicità, appunto, grazie alla rarefazione e alla rapidità. "Il mio modo di lavorare è cercare sempre di andare oltre..." dichiarava Hugo. Di fatto il suo stile si è rivoluzionato in modo decisivo quando ha iniziato a epurare il disegno. Da quel momento tutto è diventato più leggero, e più profondo.” (Thierry Thomas). Più leggero. E più profondo. Insieme. Gli opposti. Ciò che -apparentemente- sta agli antipodi. Che si toccano. Coincidendo. Forse. Mia vecchia fisima!?! Un po' come questo pezzo. In cui ho finito per dirvi che sono impenetrabile dal mondo parlandovi di tanti mondi... E ce ne sarebbe da dire, ancora, e ancora, sì ancora... ma c'è “Il Libro” che mi reclama, questo LIBRO. Che non è un libro. Ma è fatto di carta. Come certi sogni. Di fragile carta. Tanto fragile che devi trattarla con cura e attenzione. Così fragile che può vivere (e, spesso, vive) oltre una vita. Amatela.

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lunedì 6 luglio 2009

Lele Vianello fra Talkink e Ali Eroiche (Allagalla ) : una riscoperta. Di Marco Laggetta*

Questo giugno è stato senza ombra di dubbio il mese di Lele Vianello, con ben due volumi a lui dedicati usciti in fumetteria e in libreria. Non può che far piacere, agli appassionati di fumetto d’autore, la notizia dell’uscita, nel mese di giugno, di due volumi dedicati al maestro veneziano, entrambi finalizzati al recupero di quella produzione di Vianello dispersa nel lungo periodo delle riviste. Lele Vianello è un maestro indiscusso del fumetto italiano. Dalle prime collaborazioni sulle riviste d’autore (Simbad, Il Mago, Help, Il Grifo e Corto Maltese, per citarne alcune) fino alle pregevoli ricostruzioni storiche iniziate con “La storia dei popoli a fumetti” di Enzo Biagi e proseguite con “Le Ali del Leone” e “Marco Polo”, in tandem con Guido Fuga, passando per le indimenticabili storie realizzate al fianco di Hugo Pratt (le saghe di “Corto Maltese” e de “Gli Scoprioni del deserto”, su tutte), Vianello non ha mai smesso di emozionare con il suo tratto morbido e la sua grande capacità di narrazione. Il primo dei due volumi, freschi di stampa, lo speciale di 110 pagine con tema “la paura” della rivista di letteratura e fumetto Talkink, edita dalla Cagliostro E-Press, ospita la storia a fumetti “Calle de la paura”, uscita per la prima volta sulla storica rivista Il Mago nella seconda metà degli anni ‘70 ed ora riproposta per la gioia dei fan del disegnatore veneziano e, in genere, per gli amanti della scuola prattiana. La vicenda narra la fuga del paziente di un manicomio dalla morsa dei suoi guardiani. L’uomo, avventuratosi per le calli buie di una Venezia misteriosa, scopre molto presto di preferire ai segreti inconfessabili di quei vicoli le mura asettiche della sua prigione. Il secondo volume, interamente disegnato da Vianello, dal titolo “Ali eroiche” (Allagalla), è invece la riproposizione integrale di due storie apparse sulla Rivista Aereonautica negli anni novanta su sceneggiature di Franco Ressa e si presenta come la continuazione ideale del discorso iniziato nel 2005 con il fortunato “Le ali del Leone”, in collaborazione con l’amico e collega Guido Fuga. La meravigliosa avventura del volo militare, raccontata in cinque caratteristici episodi ne “Le ali del Leone” e qui approfondita in due storie di più ampio respiro, è stata argomento di grande interesse per lo stesso Hugo Pratt che proprio sulla Rivista Aereonautica ha pubblicato la sua ultima storia completa: la suggestiva “Saint-Exupéry, l’ultimo volo”, sulle tracce del grande scrittore e aviatore francese, misteriosamente scomparso. “Ali eroiche”, seconda pubblicazione per la neo casa editrice AllaGalla, è anche un sentito omaggio al grande Milton Caniff, verso il quale Vianello ha più volte dichiarato di essere in debito per stile e tecniche di narrazione. D’altro canto come non pensare, quando si parla di grandi aviatori, a quello Steve Canyon che dalla seconda metà del novecento e per circa mezzo secolo ha infiammato le fantasie di migliaia di lettori di fumetto in tutto il mondo e influenzato autori del calibro di Jack Kirby, Frank Miller e Hugo Pratt!

*redazione Talkink

lunedì 8 giugno 2009

Sonno Elefante di Giorgio Fratini (BeccoGiallo edizioni). Rec. di Vito Antonio Conte

Qualche tempo addietro. Poche settimane, un mese, l'anno scorso. Che sembra tanto, ma è poco meno di sessanta giorni fa... Non importa. Lascio l'auto parcheggiata. Bene. Più o meno. Non intralcia niente e nessuno! Ma, si sa, i vigili della polizia municipale di questa città se ne fottono, pensano a far cassa. Come d'istruzioni per l'uso. Ho bisogno di camminare. Giro senza intenzione per le strade del centro storico. Poi, come spesso mi capita, mi fermo in qualche libreria. Questa si chiama ERGOT. Saluto Simone, scambiamo qualche parola, curioso tra libri che altrove è raro trovare. Mi perdo tra lettere di tutti i tipi... torno, in fine, da dove avevo iniziato: fumetti. Non ho mai smesso di leggerli. Mai smetto di chiamare questo genere “letteratura disegnata”: è un modo come con altro per ricordare l'Autore che più di tutti ho amato e che continuo a amare: Hugo Pratt... (senza sentirmi un Corto Maltese, che che se ne dica in giro...). M'innamoro di un titolo: “Sonno Elefante” (“I muri hanno orecchie”, recita il sottotitolo). Rimane tra le cose da leggere. Qualche tempo dopo... È il primo libro di Giorgio Fratini (pubblicato per i tipi di BeccoGiallo Edizioni, nella Collezione Quartieri, 2008, pagine 112, € 14,00). Prima di questo libro, “Sonno Elefante” è il titolo di un pezzo di Paolo Conte (contenuto nell'album “Elegia” del 2004), una canzone ch'è, per testo arrangiamento orchestrazione atmosfera e potenza evocativa, tra le migliori mai scritte in assoluto. Giorgio Fratini lo sa. Me ne accorgo quando finisco di leggere e di vedere questa storia (ché il fumetto così è: parole e immagini, quasi come al cinema!) e passo in rassegna le “Note dell'Autore”, dov'è, tra l'altro, citata la canzone di Paolo Conte... Il libro è completato da una “Breve Cronologia” -degli eventi che hanno interessato la storia del Portogallo dall'indipendenza dalla Spagna (1640) sino all'avvento (a seguito di libere elezioni) della democrazia parlamentare (1976)- e da una bella nota critica (“Di elefanti e avvoltoi”) di Roberto Francavilla. Giorgio Fratini, attraverso la sceneggiatura e le tavole disegnate di questa storia, è riuscito a cristallizzare, in ottanta pagine, quarantotto anni di regime dittatoriale portoghese, il più lungo -e tra i più nefasti- della storia d'Europa. Ho usato il predicato verbale “cristallizzare” intendendo dare contezza di un azione che ferma e tramanda qualcosa di cui si è perduta o si rischia di perdere la memoria. Questo è il libro di Giorgio Fratini. Memoria sottratta all'oblio, alla cancellazione che gli uomini (sostituendosi innaturalmente al tempo) perpetrano di eventi scomodi e raccapriccianti. Penso alle nefandezze compiute durante il regime nazista in danno degli ebrei, degli omosessuali e di tutti quelli che osavano nutrire idee divergergenti dalla (schifosa) loro... Penso alle nefandezze del regime fascista nel nostro Paese... Penso alle nefandezze compiute dal regime comunista Jugoslavo (...) nelle foibe, con l'eccidio di migliaia di uomini per motivi etnici-politici... Penso al genocidio armeno... Penso all'esodo greco dall'Anatolia... e anche a quello tedesco dall'Europa orientale. Penso ai massacri di cui continuano a macchiarsi tutti i regimi totalitari... Penso a tutti gli scempi compiuti in Africa e altrove dalle potenze colonialiste e imperialiste -per restare in tema col libro basti l'esempio della Guerra Coloniale Portoghese in Angola Mozambico Guinea-Bissau Capo Verde Sao Tomè e Principe... Penso ai guasti delle attuali guerre, la gran parte delle quali manovrate da un altro potere, anch'esso economico-politico, quello dei signori delle armi... Penso alle odierne guerre pseudo religiose e mi chiedo: finiranno mai le crociate? Penso alle moderne guerre in nome della democrazia che celano il reale interesse al controllo delle aree ricche di fonti di energia... Penso allo sconvolgimento planetario per l'identico motivo testè detto con drastica riduzione delle foreste pluviali o deviazione dei grandi fiumi siberiani... Penso alla deriva che porterà a certo naufragio del non pensare in questo nostro “piccolo” Paese... E fa male. Tutto questo fa male. Sarà che oggi, venticinque febbraio, in questa splendida giornata di sole, sto male anche per altro... sarà, chissà!?! E tutto (o quasi...) per un fumetto. C'è che non è mai cosa buona mascherare le splendide rovine del ricordo con nuovi gioielli d'architettura che fanno sparire epoche e misfatti. L'oblio, appunto. Quello del sonno elefante. Nel tentativo di annichilire la memoria. Quella di una città, di una nazione, di un popolo, conservati e che ancora fa male. La città è Lisbona e la memoria risiede in Rua Antonio Maria Cardoso, nel Quartiere Chiado e, esattamente, in un palazzo in fase di ristrutturazione (per farne un condominio di lusso), già sede del PIDE. “PIDE. Un suono, un acronimo, una parola che ancora oggi, per molti portoghesi, provoca un brivido sulla schiena: Policia Internacional de Defesa do Estado. Il braccio armato del regime”. Quella polizia speciale che ha seminato, come -purtroppo- ancora accade in molte parti del mondo, terrore tortura morte per piegare il pensiero, la parola, l'arte, il dissenso, la libertà! Quella polizia speciale fatta di uomini (sic!) che incarceravano, riducevano al silenzio, facevano sparire altri uomini. Quella polizia speciale che ti vien voglia perdio soltanto di bestemmiare. Di bestemmiare. Soltanto di bestemmiare. E poi tacere. Per sempre. Come Leon. Che amava Maria. Che continuò a amarla in carcere. E quando ne uscì. Che l'amò per sempre. In silenzio. Nel suo silenzio. Come quello dell'elefante senza orecchi. Quello che aveva scelto l'oblio. Come me.

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