Un libro amaro, quello scritto da Rosaria Iodice. Un
susseguirsi di storie che diviene vicenda unica e aspra. Protagonista è la
lotta per affermare la propria essenza, che poi – con la lotta – non dovrebbe
avere nulla a che fare. Perché mai “essere” dovrebbe significare “sacrificarsi”
giornalmente? Eppure, a scrutare una parte di mondo, ci sono due occhi che
hanno visto la guerra e la rinascita. A pulsare, sono i desideri di una donna fra tante. Tutto questo – però - cuoce a fuoco lento nello stesso pentolone
della paura, della lotta solitaria, del senso di colpa, della fuga. Angela
lotta, preferendo rimanere per ore in fila prima di fare una doccia, piuttosto
che essere maledettamente puntuale nel preparare una tavola all'ora di cena.
Per la famiglia. Angela vive l'amore, un sentimento a cui guarda come ad un
debole scoglio su cui si impigliano le vite. Angela cammina sotto braccio alla
contraddizione e alla menzogna. . Diventa mamma. Ha tanto da dire, eppure finge
di non ricordare. Inventa. Aspetta con naturalezza.
Credo che la tenera fragilità della protagonista sia
resa lampante già dalle primissime parole che aprono la narrazione e, ancor
più, dalla scelta di cominciare con una frase volta al negativo, immediatamente
giustificata dalle parole successive: “La casa non è molto accogliente, ma è
sempre meglio che dormire fuori all'addiaccio.”
Allo stesso modo: Angela non si arrampica più
sull'albero di ciliegio, ma è sempre meglio stare per terra che abbandonarsi
alla vertigine. È una donna, fra tante, che vive nel suo guscio di lumaca
nonostante voglia essere scompigliata dal vento.
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