Poche settimane fa abbiamo parlato del romanzo di Angelo
Petrella, "Le api randage" (Garzanti, 2012), che tra le pagine
racconta una fantasiosa storia degli anni Novanta, la quale parla delle lotte
per la presa del Mattino di Napoli dalla politica-gestione con il tramite del
Banco di Napoli. E casualmente adesso scopriamo, giochetti appunto del caso,
tra le tante risposte affidate al giornalista amico Paolo Madron dal manager
Cesare Romiti in "Storia segreta del capitalismo italiano" che Il
Mattino é stato uno di quei giornali dove davvero il potere s'é scontrato per
designarne la direzione. Questo dunque valga da esempio per farci capire di che
libro stiamo parlando. Perché innanzitutto il termine del titolo
"segreta" non può che aver piacere solamente di marketing; in quanto
spesso le delucidazioni dateci da Romiti sono retroscena della finanza e
dell'economia italiota che tante e tanti già avevano potuto imparare in letture
offerte dai medium indipendenti. Ma premesso che Romiti ha realmente fatto la
storia dei soldi italici per oltre cinquant'anni, é senza dubbio interessante
comprendere che maniera di raccontarsi e guardare alle proprie zone d'influenza
e condizionamenti può usare un anziano dirigente delle istituzioni finziarie
che hanno caratterizzato i contorni dell'Italia. Siamo nel capitalismo
nostrano, proprio. Allora Cesare Romiti non può che ripartire, anche per dovere
di mitologie, da Cuccia e Agnelli nel riprendere in mano le fila d'un discorso
che recentemente le televisioni hanno voluto interrogare. Dall'avvocato Agnelli
e famili a Berlusconi. Per il tramite di Craxi/Ligresti. Ché Romiti parla senza
vergogne di sorta. Romiti fu l'uomo della restaurazione Fiat appellata col
significativo e palesemente eccessivo "marcia dei Quarantamila", e
con questo sfogo racconta oltre duecento amici e avversari tra imprenditori,
banchieri, giornalisti. Un libro-intervista che s'aggiunge al "Questi anni
alla Fiat" scritto con Pansa più di vent'anni or sono. Pensato anche per
sconvolgere dicendo tipo del rifiuto al Silvio Berlusconi che gli chiese di
dirigere il suo gruppo mentre era nella vasta famiglia Agnelli. Uno spaccato
del capitalismo nostrano che uno dei suoi protagonisti riferisce abolendo
pudori di sorta. E se sapevamo, ancora, che solitamente i direttori dei
giornali sono scelti dagli azionisti più forti dei gruppi che li mandano in
tipografia, non sapevamo alcuni altri dettagli pratici che hanno formato una
catena lunga e solida tra finanza-imprenditoria-politica e indietro così.
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