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mercoledì 25 luglio 2012

L’Economia buona di Emanuele Campiglio (Bruno Mondadori). Intervento di Vito Antonio Conte


Sono svogliatamente spoltronato e altrettanto svogliatamente accendo la TV. Non è per l’afa mitologicamente (ma non soltanto) bestiale di questi giorni. Accade qualche mese addietro. Svogliatamente faccio zapping. Poi, Corrado Augias parla di libri. C’è un giovane economista che dice che questo è un periodo stimolante per parlare di economia. Lo dice muovendo una faccia simpatica e sveglia. Con un tono misurato e sereno. Con un ritmo convincente. Non fa pesare la sua laurea, né il suo master in Cooperazione e Sviluppo. È dottorando in Economia Politica. Lavora in terra anglica presso la New Economics Foundation. Augias chiede, un po’ professoralmente, com’è nel personaggio. Il giovane economista, senz’alcuna supponenza, risponde. Augias, impostato nella voce, legge un passo del libro scritto dal giovane economista. E fa un’altra domanda. La risposta contiene e rivela un’altra possibilità. A ben vedere, ogni parola del giovane economista è un’altra possibilità. Un altro modo (melius: un modo altro) di approcciarsi all’economia e d’intendere l’economia. Partendo dalla consapevolezza che il vecchio concetto di economia, quello fondato sulla visione neoclassica dell’economia, può e dev’essere criticato, ché ha fallito e altre voci esistono! E allora, decido che –nonostante la mia atavica riluttanza per le questioni dell’economia- comprerò il libro scritto dal giovane economista che così comprensibilmente e bene sa dire di economia. Comprerò quel libro. Per leggerlo. Ché i libri son fatti per essere letti. Sì, è vero, qualcuno li usa per arredare. Qualcun altro per sostituire un piede rotto del comodino. Qualcun altro ancora per esibirli. Così. Tanto per darsi un tono. Io ci spendo dei soldi e credo sia danaro ben speso se un libro mi restituisce qualcosa. Il che non vale per tutto il resto. Per tutte le altre cose della vita, intendo. Per i libri, sì! Di più, per questo: “L’economia buona”, scritto dal giovane economista che mi fa fare pace con l’economia e, foss’anche sol per questo, gli sono grato. Sono grato a Emanuele Campiglio che non si perde dietro concetti quali “stabilità, sostenibilità, giustizia”, enunciandoli e punto o riempiendoli delle solite nefandezze vestite all’ultima moda atte esclusivamente a giustificare il dominio del profitto a scapito di ogni umano respiro, ma dà contenuto e sostanza al suo progettare, iniziando da quel che non funziona e che va cambiato perché vi sia una concreta idea di cambiamento, perché prenda consistenza una “Grande transizione”, cioè “un processo condiviso di riorganizzazione delle libertà che coinvolga le comunità, l’ambiente, le norme sociali, la cultura e, naturalmente, l’economia”. E sono d’accordo che la peggiore bestia che ha concorso con altre bestie a uccidere l’economia è la finanza. Che dovrebbe alimentare –nel puro disegno originario- “l’impianto produttivo delle economie” e non servirsene per moltiplicare il suo squallido e sporco gioco di potere. Ma se morte dell’economia per mano (soprattutto) della finanza è davvero, beh –forse- è un omicidio (o, se volete, infanticidio) necessario. Ché ha dimostrato come non sia più concepibile un sistema basato sull’incessante crescita del PIL e via dicendo. Ché ha finito per distruggere se stessa. Ché l’una e l’altra, economia e finanza, vanno ripensate. Ché i parametri per misurarne lo stato di salute vanno rivisti. E non è un caso che un altro acronimo cominci a comparire sempre più spesso quando si parla di economia: FIL. Che sta per Felicità Interna Lorda. E ch’è conseguenza di quella decrescita felice della quale pure da un po’ si sente discutere. Qualcosa si muove. Si muove “dal basso”, nel crescente (ma non sufficiente) senso di coscienza, presa di responsabilità e pratica comportamentale dei singoli individui in relazione al consumismo. Lo sviluppo di tali condotte e il mutamento delle abitudini indotte dal mostro del consumismo, il netto generalizzato rifiuto dell’insulso paradigma compra-usa-e-getta costituisce (e, quando sarà pienamente attuato, sarà) uno dei mezzi verso un utilizzo consapevole delle risorse e, quindi, di un cammino su una strada linda perché priva di sprechi e di rifiuti. Ciò indurrà l’economia a produrre a misura dell’utilizzo del necessario. Da un punto di vista fenomenico, il processo potrà subire una reale svolta e una forte accelerazione a condizione che i “macro-attori” del sistema economico (“governi, banche e sistema finanziario, apparato produttivo ed energetico, istituzioni internazionali”) vogliano smettere di far proclami e ci mettano il culo. Il loro. Sì, insomma, ci siamo intesi, si diano da fare, operando, per davvero… - UN ALTRO MONDO È POSSIBILE? “Il Bhutan è un piccolo Stato di nemmeno un milione di abitanti, incastonato tra le montagne dell’Himalaya. Per spinta del proprio re, da alcuni anni calcola un indice di Gross National Happiness (Felicità Interna Lorda), formulato in modo da includere non solo la soddisfazione dei bisogni materiali, ma anche alcune variabili e valori tipici della spiritualità buddhista. Si tiene, perciò, conto della salute fisica e mentale dei cittadini, di come essi utilizzano il tempo, della qualità dell’ambiente circostante, della forza delle connessioni comunitarie, e in base a queste misure si giudica la bontà delle politiche proposte… Può sembrare ovvio scriverlo, ma ciò che rende la vita degna di essere vissuta va ben oltre il livello di reddito o l’ammontare di ricchezza posseduta…” - UN ALTRO MONDO È POSSIBILE! Sono svogliatamente spoltronato e altrettanto svogliatamente accendo la TV. È per l’afa (questa volta, sì) minossea. Accade adesso. Svogliatamente faccio zapping. Su RAI 5 c’è un documentario: alcuni abitanti d’una (per me) sconosciuta isola del Pacifico (se non erro) sono ospiti di un loro conterraneo che vive a Manchster insieme alla sua compagna inglese. Non hanno mai visto una città. Con tutto quello che in una città c’è. Non hanno mai visitato una città. Meno che mai una città inglese. Con tutto quello che in una città inglese c’è. Stupore e meraviglia li ammaliano. Musei e monumenti, negozi e vetrine, palazzi e giardini, uomini e donne di tutte le razze, mescolati si muovono in un’apparente opulenza. Poi, la discarica dei rifiuti differenziati, le macchine per lo stoccaggio e il successivo riciclaggio. Uno di loro (dalle fattezze più marcatamente aborigene) chiede alla donna di cui sopra: anche le persone vengono riciclate? Lei ci pensa su, poi risponde: noi qui veniamo cremati e le polveri vengono affidate al vento e sparse nel fiume oppure vengono interrate e, dunque, sì –il nostro corpo, sì- veniamo riciclati. Ma l’anima? Quella vola via e va a abitare (…) altrove. Lui le stringe la mano. Era la risposta che voleva. Poi, continuano il giro della città. Altre novità e panchine, e uomini e donne che sulle panchine dormono. Senzatetto. Inconcepibile. Per loro. Poi, a sera, il fratello del loro conterraneo è ospite pure lui e racconta che, per diverse vicissitudini esistenziali, anche lui è rimasto senza una casa. Inconcepibile. Per loro. Con tutti i palazzi che ci sono. Con tutte le case disabitate che hanno visto. Inconcepibile. Per loro. Sulla loro isola ognuno ha una casa. Se non ce l’ha, raccoglie legna e paglia e inizia a costruirla. E tutti lo aiutano a farla. Vedere un senzatetto e sentire la sua storia agli abitanti dell’isola del Pacifico chenonsocomesichiama ha spezzato il cuore e porgendogli quel loro cuore infranto gli dicono che non hanno altre parole. Difficile costruire una capanna di tronchi di legno e paglia a Manchster. Com’è difficile pensare al FIL in occidente. Ma il PIL ha fallito. Il PIL è agonizzante. Il PIL è alla fine. Ogni fine segna un nuovo inizio. Ricominciamo. Facciamolo bene. Per il Bene. Nostro. E di tutti. Questo libriccino di Emanuele Campiglio andrebbe letto in tutte le scuole. Si può fare. L’insegnante di lettere di mia figlia ha “consigliato” di leggere (durante e vacanze estive) “Guerra e Pace” di Lev Tolstoj. Un Autore contemporaneo no, eh? Con tutto il rispetto, s’intende. Un figlio di questa Terra no, eh? Con tutto il rispetto, s’intende. E con altro. Che non dirò. Ho spento la TV. Ho letto “L’economia buona”. Ho imparato delle cose. Accenderò ancora la TV. Leggerò ancora. E altro farò. Che neppure dirò. Voglio imparare ancora. Ci vuol tutto. Un po’ di tutto. Al momento giusto. Facciamo leggere “L’economia buona” ai nostri figli, ai nostri nipoti, ai nostri cugini, ai nostri amici. Facciamolo leggere a scuola. Cambiamo l’economia. Cambiamo il mondo. Per questo non c’è più tempo. Ho detto. Augh!

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