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mercoledì 25 luglio 2012

“Il corpo estraneo (Una tragedia on the road)” di Marco Montanaro (Caratteri Mobili Edizioni, Collana Molecole). Intervento di Vito Antonio Conte


Non ho mai dovuto aspettare così a lungo, dopo averlo prenotato, un libro! Oltre un mese! E il buon Marco voleva portarmelo lui, di persona. Ché di quel libro avrei avuto il piacere di parlarne, poi. Ho declinato l’offerta di Marco: i libri si comprano, gli ho detto! Ma, intanto, la data della presentazione si avvicinava e del libro ancora niente. Ci siamo sentiti. Con Marco. Ripetutamente. È sempre un piacere. Quando accade. Sempre nulla di già detto... E quella voce, la sua, un po’ tremula, in divenire, a tradurre in lemmi il pensiero che scorre… Mi ha mandato il PDF e così ho iniziato a leggerlo il suo ultimo libro. Poi, finalmente, è arrivato in libreria. L’ho ritirato. Ho ricominciato a leggere. Dall’inizio. Sino all’ultima parola: “anch’io”. Ho metabolizzato. E ho cominciato a pensare, come sempre mi succede in simili occasioni, a quel che avrei detto… Il ventuno a sera, alla libreria Ergot, cosa dirò? Sì, perché, in fine, stasera farò parole de “Il corpo estraneo (Una tragedia on the road)”, (Caratteri Mobili Edizioni, Collana Molecole, pagine 111, € 12,00), insieme all’Autore, Marco Montanaro, e Ennio Ciotta. Cosa dirò? Andrò a braccio. Improvviserò. Tanto per cambiare. Ché non riesco mai a preparare nulla, in circostanze del “genere”. Ma la “specie”, stavolta, è diversa. E quando dico “specie” intendo la scrittura e, ovviamente, lo scrittore (che l’ha resa, ché dire generata aprirebbe un altro capitolo). La scrittura è nuova, siccome può essere nuova una scrittura che contiene la “cifra” del suo Autore. Voglio dire che in questo libro Marco Montanaro ha lasciato un segno del suo intendere “scrivere”: niente di preconfezionato, nulla di preordinato, nessuno spazio al rapimento del lettore e/o alle aspettative del lettore stesso, e –paradossalmente- sangue e sudore che sgorgano a fiumi da ogni pagina, da ogni frase, da ogni parola, ché Marco Montanaro ha dato corpo (diventato tangibile) a un racconto lungo (ch’era sconosciuto dentro di lui) sudando e sanguinando ogni singola parola de “Il corpo estraneo”. Si può scrivere soltanto quel che si è attraversato nell’esistenza. E allora scrittura e scrittore, in questo caso, coincidono, ché questo libro e il suo Autore sono (a me sembra) così: rifiuto di ogni regola nota, rigetto di qualsiasi ruffianeria letteraria, reiezione di qualunque canone acquisito, in nome di una legge superiore: quella dell’onestà intellettuale e del rispetto del prossimo. Che possono realizzarsi davvero esclusivamente rendendo di sé quel che si è! Marco Montanaro mette in atto se stesso e quel che lo circonda traverso parole che formano periodi che starebbero in piedi anche se isolati e letti di per sé soli. Il monco e il rimando sono contenuti diffusamente in questo libro. Sembra un mare aperto dove la narrazione sdonda s’un surf toccando acqua e cielo e dove nessuna terra è in vista. Ho pensato a cosa dire di questo libro e come cominciare a parlarne stasera. Mi sono passati per gli occhi almeno sei diversi incipit. 1) Corpo estraneo è il ventinovesimo album de “I Nomadi” ed è uno dei tre singoli estratto da quel lavoro musicale del 2004. Musica. Assente quasi del tutto nel libro, quanto a riferimenti. Più che presente per ogni scena. Per ogni movimento. Per ogni stare e andare. 2) Alla fine della lettura m’è venuta voglia di masturbarmi… la pornografia non c’entra niente; certo erotismo sì. Un certo eros disperato, che fa venire in mente l’atmosfera di quella canzone di Lucio Dalla tanto nota ch’è inutile ricordarne il titolo. E non mi riferisco all’erotomane Danilo, ovvio… penso a tutto quel che volete e a niente in particolare. 3) La sensazione che ho avuto, giunto all’ultima pagina del libro, è stata di bagnato, d’umidore diffuso sulla pelle e dentro, fradicio nei capelli… No, qui l’erotismo non c’entra. Mi sentivo proprio come un panno appena tirato fuori da una vaschetta colma d’acqua. Mi si sarebbe potuto strizzare ogni braccio, ogni mano, le gambe e i piedi, il petto e no, l’uccello no (Danilo docet), ma persino l’anima. Tutto avrebbe grondato acqua. Ché questo libro mi ha fatto avvertire tutta l’umidità del mondo e m’è venuto desiderio di sole, di deserto, di terra spaccata dalla siccità… 4) Il titolo del libro evoca immediatamente una brutta sensazione di blocco, di asfissia, di alterazione… Il corpo paralizzato da un elemento esterno, sconosciuto, ignoto, tinto di nero, la gola serrata da mani invisibili, l’impossibilità di respirare, l’aria già incamerata sta finendo, l’affanno sta vincendo, ogni parte del corpo è in estrema tensione, gli occhi strabuzzano fino a esplodere, voglia disperata di gridare ma la voce non esce, un urlo, ci vorrebbe un urlo, ma le mani invisibili stringono sempre più, perché nessuno presta aiuto? Nessuno può! L’unica è cercare l’ultimo sforzo sovrumano, riprendere senso e sputare via l’estraneo ch’è di traverso in groppo. Ché tenerlo dentro uccide! 5) Il sottotitolo suggerisce una certa pietà e un sentimento di paura… Che, poi, rinvengo nei personaggi che animano questa storia “sulla strada” e nella storia stessa… 6) “Corpo Estraneo” è il titolo di un romanzo di Robin Cook. L’avrà letto Marco Montanaro? 7) “Il corpo estraneo” è anche un poemetto (di trentasei pagine) di Vilma Costantini. Non ho letto neppure questo! E Marco? 8) E, poi, c’è anche “Un corpo estraneo”, testo teatrale di Renzo Rosso… 9) Questo libro è il terzo di Marco Montanaro e (avendo io letto il primo e non ancora il secondo) mi verrebbe da dire ch’è il più Dannoso, ma potrò affermarlo soltanto quando avrò colmato la lacuna della lettura del suo secondo libro.  Ecco, avevo pensato ben più di sei modi per cominciare a dire de “Il corpo estraneo” e me li sono giocati tutti qui. Mi toccherà inventarmene un altro. Stasera. Sarà facile. Perché questo libro fornisce spunti infiniti su qualcosa che non finisce mai d’accadere e quella cosa la viviamo ogni maledetto-benedetto giorno. Vorreste sapere cosa, vero? Beh, vi toccherà venire alla libreria Ergot, questa sera! E non fatemi pensare, ché “è in questi momenti che avverto una certa solitudine. La solitudine è una grande balla, come la religione, la musica, l’incontro; ma val bene crederci per non sentirsi soli davvero”. E questo è soltanto un piccolo assaggio della scrittura di Marco Montanaro, che ha il colore dell’avorio perché ridotta all’osso; la consistenza di quella terra spaccata di cui sopra è parola; il ritmo di una ballata per sola voce, tipo: “As Yet Untitled” di Terence Trent D’Arby; la melodia della pioggia nel mentre ci cammini sotto senza proteggerti, ché lavarti così è purificarti; l’incedere del ramingo, ché per ricominciare tutto deve finire; il mistero di una valigia chiusa che tale deve restare prima di disfarsene. Poi, chissà!?!

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