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sabato 16 giugno 2012

E di libri Alexander McCall Smith, ne ha scritti parecchi!!! Intervento di Vito Antonio Conte


Poco più di venti minuti per scrivere un pezzo. Vediamo un po’. Amo dire di quel che intorno c’è. Di quel che mi sfiora. Di quel che mi tocca. Di quel che mi scava dentro. Di questo (ma anche d’altro) amo dire. E scrivere. Ché (soprattutto) questo sento. Ché (amo) questo ascolto. Ché poi è questo che sfioro, tocco e penetro. Stamane –tra l’altro- pensavo al Botswana, al suo miracolo, ai suoi animali, alla sua gente, ai suoi corsi d’acqua, al suo deserto, al suo essere senza mare... Ho viaggiato con gli occhi e con la mente in quella terra… E ho creduto d’esserci. Forse, in realtà, c’ero. Come liberare voce nel cielo. In quel suo infinito cielo bianco, traversato dal Tropico del Capricorno. Anche se il mio (tropico) appartiene a quello del Cancro. Henry Miller non c’entra niente. O, forse, sì. Soltanto un po’. Ché –gira e rigira- c’è sempre un libro sullo sfondo dei giorni. Ché –gira e rigira- c’è sempre un giorno sullo sfondo di ogni libro. Stavolta si tratta di un libro umido. No, ve l’ho già detto, Henry non c’entra. E neppure Anaïs. Anche se questione d’un umore è. Ché il libro di cui ho appena letto l’ultima pagina trasuda umori per duecentotrentacinque fogli inchiostrati di parole semplici. E il giallo, misto all’ocra all’arancio al rosso al verde che si stagliano sull’assente-presente azzurro, inizia sin dall’inconfondibile copertina -animata dal disegno etnico africano- da sembrare quasi un batik. Ossia altro. Come tutte le copertine dei libri di questo Autore. Sempre una nuova esplosione di colori presi in prestito da quello sconfinato Sud. E di libri Alexander McCall Smith, meglio identificato come Alexander (R.A.E.) “Sandy” MaCall Smith, ne ha pubblicati, sin’ora, una sessantina (compresi quelli per ragazzi e una manciata di testi accademici). Ché “Sandy” è scrittore, ma anche giurista (specializzato in diritto applicato alla medicina e alla bioetica). Ho già letto qualche suo libro. Piacevolmente. Di uno (“Scarpe azzurre e felicità”) ho già scritto su queste pagine poco meno di due anni fa. Quello che ho chiuso ora, invece, è “Le lacrime della giraffa”, dove il genere (“giallo”) è, tanto per sfuggire all’omologazione, soltanto un pretesto per raccontare altro. Quella Terra, madre di tutte le Terre e di chi le abita, dove nulla è scontato e già tesserne trame costituisce di per sé un mistero più grande di qualunque intrigo letterario inventato. Sicché il “giallo” perde consistenza nel quotidiano esistere e nei suoi ordinari problemi, ma –nel contempo- si rimane rapiti da quel primigenio mistero ch’è l’Africa. La narrazione scorre come solo una scrittura semplice -ma mai semplicistica- può e possiede il ritmo di chi sa far parlare ogni personaggio con la misuratezza o l’eccessività proprie del personaggio stesso, riuscendo a accordare le voci di ognuno nel canto corale della storia descritta, poiché ne conosce lo spartito musicale (“Sandy” è appassionato di musica, ha co-fondato la “Really Terrible Orchestra”, di Edimburgo, con la quale dà fiato al suo fagotto). Protagonista indiscussa del romanzo è, una volta ancora, la signora Precious Ramotswe, titolare e fondatrice della Ladies’ Detective Agency N. 1, ma intorno a lei “Sandy” fa muovere una ricca e variegata galleria di personaggi, nessuno dei quali passa inosservato. Tra i casi di cui la signora Ramotswe si occupa in questa vicenda, tutti un po’ banali (ma non per questo meno interessanti: ché l’originalità sta nella soluzione…), ce n’è uno principale: quello di un ragazzo americano scomparso in Botswana… Com’è mio solito e com’è ovvio (…), non aggiungerò altro sul punto, tranne che la soluzione del caso sarà nel luogo natìo dello scrittore, ossia a Bulawayo, nello Zimbabwe, dove la signora Ramotswe si reca col suo inseparabile furgoncino bianco (un pick-up) da Gaborone (nel confinante Botswana). In questo, come negli altri libri di “Sandy” che ho letto, la geografia è importante. Meglio: sono importanti i luoghi. L’ambientazione, intendo. E Alexander MaCall Smith i luoghi in cui si snoda la trama dei suoi romanzi la descrive accuratamente, ma senza alcun appesantimento della narrazione. Ciò ch’è ancor più decisivo per un “giallo”. Il lettore vede i personaggi dinamicamente nella storia, li vede agire sulla strada, come nell’ufficio o nel Kalahari… e viaggia insieme a loro. Toccandone i luoghi. Annusandone gli odori. Percependone i sapori… Questo libro, come gli altri libri di “Sandy” che ho letto, oltre tutto, è ricco d’informazioni e –soprattutto- dà modo di accostarsi a un’altra delle tante realtà africane, diversa da quelle paradisiache (costruite ad hoc) offerte delle agenzie turistiche e da quelle crude (e più oggettive) descritte da Kapuściński, sì che il caleidoscopio s’allarga e si può aggiungere un altro tassello alla personale conoscenza del “luogo dei luoghi”. Se muoverò le natiche sarà per toccarlo ancora. E respirarlo. E stare. I venti minuti sono passati da un pezzo, ormai. Ma ho fatto anche altro. Compresi altri incontri. Tra cui quello con un erotomane perduto. Che non so ancora se si ritroverà.  Se troverà quel che cerca. Ma quel che più mi ha soddisfatto è sapere che (come me) la signora Ramotswe “preparò i resoconti per l’imminente scadenza fiscale. Quell’anno non aveva fatto grandi guadagni, ma non ci aveva neanche perso, ed era stata bene, coinvolta in casi interessanti. Per lei questo contava molto di più che un bilancio decisamente in attivo. In realtà, pensava, il bilancio annuale dovrebbe includere la voce , accanto a spese, ricevute e tutto il resto. Nel suo rendiconto, quella cifra sarebbe stata rilevante, pensò”. Volete sapere perché? Leggetevi questo libro. Poi, fate i vostri stramaledetti conti. Forse, congiuntura del cazzo (che –a ben vedere- dura da decenni e ha sempre le stesse parole politichesi che non significano ormai niente…) a parte, stavolta troverete (anche) un sorriso… Ah, dimenticavo, se avete trentatré minuti e ventitré secondi di tempo, ascoltatevi “Don’t Ever Let Nobody Drag Your Spirit Down” (di Eric Bibb, Rory Block & Maria Muldaur). Perché? Non lo so. A volte, è inutile cercare la risposta a un interrogativo. Perché? Semplice: ci sono domande che non hanno risposte!

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