Devono farci paura. Devono spaventarci, i libri veri. E "Ivan il
terribile", romanzo del giovanissimo Alcìde Pierantozzi da San Benedetto
del Tronto, è uno di quelli che provoca immensi timori. Pierantozzi, tra le
altre cose, è lo stesso autore che avevamo applaudito all'uscita dell'opera
prima "Uno in diviso" (Hacca, 2006) e che allora c'aveva dato
spietatezza e scrittura pura. Adesso che lo scrittore sta crescendo, e oltre a
essere diventato collaboratore della rivista "Rolling Stone" e ad avere
alle spalle l'impegnativo e poderoso "L'uomo e il suo amore"
(Rizzoli, 2008), s'è collocato vitalmente nella Milano della finanza letterata,
ma soprattutto ha provato le carezze dell'inizio e le difficoltà del
continuare, ha scritto un'opera ch’è stata il dolce avvelenato delle nostre
letture. La pozione esatta a iniettare il veleno della paura assoluta. La prima
parte del romanzo, quasi per cento pagine, più che presentarci Roccofluvione
dipinge il paesino Roccofluvione analizzato dalle retine degli adolescenti che
si chiamano Federico, Sara e Ivan. E se quest'ultimo è il terribile,
terribilmente Sara e Federico, lei da sempre e lui da poco, non sopportano
quanto la marginale e provinciale Roccofluvione sia pregna d'una quotidianità
oramai stantia e i suoi vizi simili a molte altre marginalità - si veda qui
"La notte dei petali bianchi" dell'esordiente Gianfranco Di Fiore
(Laurana, Milano, 2011) - italiane. Ma ci sarà un diversivo; simile al
divertimento di lanciare pietre dai cavalcavia: scelte che fanno male a chi le
compie e a chi le subisce. Eppure Sara e Federico hanno i loro amori. Hanno una
il maneggio con le cavalle preferite, l'altro l'acquario coi cavallucci
(marini). Che con cura mantengono in vita. Sarà proprio al maneggio che, tra un
passaggio e l'altro della televisione normale della Maria De Filippi già
spiegataci in altro modo, con tutt'altro approccio da Pierantozzi e con dovizia
di particolari dall’Emanuele Kraushaar in stato di grazia con "Maria De
Filippi" (Alet, Padova, 2011), appare il magnetico Ivan Cresciani
direttamente dal carcere minorile, dal carcere minorile di Casal del Marmo.
Ragazzo senza scrupoli e senza serenità. Giovane che ha una delle famiglie più
sconquassate e scombinate della storia, totem della famiglia in generale. Un
adolescente che in ammollo nella cattiveria tiene qualche microbo di dolcezza.
Ma sarà la cattiveria, evidentemente, ad attrarre verso Ivan Federico e Sara.
Specie quest’ultima, che vorrà nonostante gli accadimenti una lenta e bruciante
vendetta. Ovvero la ragione che porterà al finale tragico. Sentimenti
individuali, proviamo a definire. Perché ogni soggetto dell’opera non è che
corpo separato: tranne per il fatto fisico e morale che inciderà sul destino
dell’altro. La ferocia dei giovanissimi protagonisti di “Ivan il terribile” ci
fa tanta paura, ché potrebbe capitare d’incontrala nell’adolescenza a noi
prossima. Senza dubbio Ivan, Federico e Sara sono conseguenza d’errori e
peccati della coscienza famigliare, però non sarà alla fine questa ragione a farci
stare un po’ più tranquilli. Pierantozzi è oggi la penna matura che avevamo
intuito potesse nascere all’esordio. E quindi merita sempre maggiore attenzione
e rispetto.
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