giovedì 30 giugno 2011

Hip Hop ... hiphopize your life!



Blondie - Heart Of Glass * il brano integrale potete ascoltarlo qui: http://www.youtube.com/watch?v=WGU_4-5RaxU - www.spotintv.it ( marchi registrati citati nel sito sono di proprietà esclusiva dei rispettivi proprietari)

Didier Manga a Roma domani con il suo "Il tempo di un'estate" (Besa editrice)











Didier Manga a Roma presenterà il suo libro Il tempo di un'estate (Besa editrice) il 1° luglio alle ore 18,30 nella libreria Griot di Via Santa Cecilia. Presentano L'on. Jean-Léonard Touadi e Filomeno Lopes, giornalista di Radio Vaticana.
Tra il Camerun e la Bretagna, una delicata storia di integrazione accarezza la vita di Mballa e Sabrina. Il primo è un giovane e studioso africano di talento che ha lasciato la sua terra per “cercare l’eccellenza” a Parigi. Sabrina è un’ affascinante stilista francese che vive nella campagna della Bretagna. I due si incontrano, si scrutano timidamente e si innamorano. Proprio nei giorni in cui Mballa si appresta a sostenere un concorso per l’ammissione a una delle scuole più prestigiose della città, in Camerun suo padre muore per un’inspiegabile malattia della pelle. Il parentando decide di tenere momentaneamente all’oscuro Mballa per non distrarlo dall’obiettivo dell’esame, perché suo padre – che da sempre ha spinto il figlio affinché facesse carriera – avrebbe voluto così. Una settimana dopo, il giovane scopre non solo di aver superato brillantemente il concorso, ma casualmente, attraverso una notizia lanciata nel web, viene a sapere anche della morte del padre.
Le certezze crollano, i valori della solidarietà famigliare si polverizzano, lasciando spazio alla rabbia e all’incredulità. Il raggiungimento dell’ obiettivo su cui Mballa aveva basato la propria esistenza sembra non avere più tanta importanza di fronte alla possibilità che gli è stata negata di seppellire l’amato padre. Un viaggio in Camerun insieme a Sabrina è l’occasione per fare chiarezza, per capire e per ricongiungersi alla famiglia. Ma diventa anche l’opportunità per i due giovani innamorati di scoprire e apprezzare le proprie differenze culturali ed etniche.

Fernand Didier Manga è nato a Yaoundé in Camerun nel 1970. Architetto, ha fondato e dirige la rivista “A2 Africa & Architettura”, bimestrale di architettura africana in Italia. Il tempo di un’estate è il suo primo romanzo, scritto direttamente in italiano.

missioni africane.org

Info: www.besaeditrice.it

Coca-Cola (125 anni di felicità insieme)



http://www.spotvisor.com - Advertising Intelligence

Company: Coca-Cola Italia S.r.l.
Product: Coca Cola
Claim: Stappa la felicità

Il libro del giorno: Il sogno di Damocle di Fatos Kongoli (Edizioni Controluce)












In una Tirana assediata da bande di delinquenti e dalla mafia, la storia privata di un giovane, un perdente nato, si intreccia con il tragico destino dell’Albania caduta nella débacle e nella follia alla vigilia della rivolta politica del marzo 1997. Nell’autunno di quell’anno, Ergys, uno studente, vittima di un padre autoritario, cerca di uscire dalla soffocante tutela paterna, trovando un lavoro al bar Pacifik, luogo d’incontro di ragazzi sbandati. Lì incontra Linda, una pittrice di famiglia comunista, della quale si innamora. Ostracizzato e cacciato di casa dal padre a causa di questo legame, comincia per Ergys una vera discesa agli inferi in cui si alternano momenti di delirio a momenti di lucidità e il presente e il passato si mescolano in modo inestricabile. Kongoli dimostra grande maestria nel descrivere il mondo in sfacelo di un uomo attanagliato dalla paranoia: Ergys, credendo di essere perseguitato dalla figura perturbante di Damocle (il suo doppelganger), si toglie la vita, lasciando al narratore la testimonianza degli eventi che lo hanno spinto a chiudere la partita con la vita.

Fatos Kongoli è nato nel 1944 a Elbasan, al centro dell’Albania. Matematico di formazione, è stato professore e in seguito responsabile delle pagine culturali del giornale “Rinascita democratica”. Attualmente vive a Tirana e si dedica interamente alla scrittura. Il sogno di Damocle è il quarto romanzo della tetralogia sull’Albania contemporanea che comprende Le Paumé, L’ombra dell’altro (Besa, 1999) e Il drago d’avorio (Besa, 2005).

L’anello di ferro di Ornella Albanese (Leggereditore)












Italia, 1135. Giselda attende il suo promesso, il valoroso Manlius. Da diversi anni la guerra lo tiene lontano dal feudo di Tarsia, dove potrebbe non far più ritorno. Giselda è giovane, impavida, intraprendente, e quando durante un torneo cavalleresco riceve un invito dal figlio del barone di Rosetum, antico avversario della sua famiglia, accetta senza esitare. L’appuntamento è nel bosco vicino, al tramonto. Purtroppo, però, il suo nome diverrà un’eco spenta, perché di lei non si troverà più traccia. Proprio adesso che Manlius è tornato… Risorge così l’ombra di intrighi e misfatti arginati per lungo tempo. Le due famiglie metteranno in campo tutte le loro armi per ridisegnare i confini di un odio che non dà tregua. Ma forse solo il sorriso di una donna e la magia tutta femminile riposta in un anello di ferro riusciranno a riportare la pace laddove dimoravano rabbia e morte. Segreti, intrighi, colpi di scena e sensualità per un’autrice che ha già conquistato il favore delle lettrici italiane, e che a ogni sua prova si riconferma come una sicurezza, un solido punto di riferimento nel suo genere.
“Ventisei anni prima. Luglio 1109. Llyneth, della casata di Drengot, scostò la cortina bianca e la forte luminosità la colpì, facendole socchiudere gli occhi. Così contemplò tra le ciglia il paesaggio che la circondava. Il mare riempiva la sua visuale, azzurro e scintillante di calura, forti ondate che percuotevano la costa. L’odore acuto di alghe e di salsedine le invase i polmoni. Ma non erano gli unici odori che percepiva. Il caldo sembrava liberare fragranze sconosciute che superavano la leggera barriera delle cortine, riempiendo l’interno del carro su cui viaggiava. Quella terra impervia, rovente di sole, aveva colori e profumi violenti. Nel suo paese tutto appariva più tenue e sfumato, quasi rassicurante. E l’odore che prevaleva era quello della nebbia. Llyneth fece un piccolo sospiro. Il paesaggio intorno a lei era talmente vivido da far apparire la sua terra sbiadita, al confronto. Quasi rarefatta nella memoria, e davvero molto lontana. «Riuscirò ad abituarmi a questa luminosità accecante?» chiese a Caitlín che, seduta accanto a lei, gemeva a ogni scossone del carro sulla strada pietrosa, nonostante i numerosi cuscini che avrebbero dovuto attutire i colpi. Caitlín era la sua nutrice e le raccontava di essere stata la prima persona che Llyneth aveva visto quando aveva aperto i piccoli occhi, appena nata. Le aveva dato il suo latte, le aveva raccontato le antiche leggende della loro terra e le aveva insegnato come si deve comportare una fanciulla di nobili origini. Col tempo si era conquistata un posto vicino al suo cuore, più vicino di quello di sua madre. «Vi abituerete al caldo, al sole e alle diverse abitudini di questa gente. Lo farete per amore del vostro futuro sposo.» Llyneth sorrise. Il suo futuro sposo era il conte Timoteo di Tarsia, un valente guerriero che aveva enormi possedimenti e grandi ricchezze. Lei ne aveva sentito parlare la prima volta durante una permanenza a Capua, presso suo zio Riccardo, terzo principe della città. Ogni volta che nel castello si discorreva di rettitudine e di coraggio, qualcuno citava il nome del conte di Tarsia. Allora era quasi una bambina e non avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe diventata la moglie di quel guerriero. «Chiudete la tenda o il sole vi brucerà» l’ammonì Caitlín. «Dovete preservare il candore della pelle per lo sguardo ammirato di vostro marito.» Llyneth si affrettò a ubbidire e una luminosa penombra invase il carro. «Sono impaziente di arrivare» sospirò. «Tarsia sembra ai confini del mondo.». «Non dovremmo essere troppo lontane, ormai. Almeno lo spero, per il sollievo delle mie povere ossa.» Caitlín inarcò la schiena e poi cercò di sistemare meglio i cuscini. «Adesso lasceremo la costa per proseguire verso l’interno.» Era stato un viaggio interminabile e più volte Llyneth aveva provato sgomento all’idea di andare a vivere in una terra così lontana. Ma aveva ubbidito ai voleri di suo padre e per tutto il tragitto aveva fantasticato su quell’uomo sconosciuto, cercando di ricostruire tutto ciò che aveva udito di lui per poterlo immaginare fisicamente. Un guerriero così forte e leale doveva essere anche di bell’aspetto e lei era davvero ansiosa di conoscerlo. Il lungo viaggio aveva esasperato la sua impazienza.”.

mercoledì 29 giugno 2011

Transformers 3



Caricato da FILMitTRAILER. Per saperne di più sul film: http://www.film.it/transformers-the-dark-of-the-moon. Il full trailer italiano del film "Transformers 3 (Transformers: The Dark of the Moon)" di Michael Bay, con Shia LaBeouf, Josh Duhamel, John Malkovich e Hugo Weaving

Teoria dell'orrore di Howard P. Lovecraft (Bietti)





















Questa è una "Terza edizione riveduta, corretta, aggiornata ed ampliata" ma si presenta a tutti gli effetti come un'opera nuova per una serie di ragioni, in primis le circa 200 pagine di materiale nuovo che ne giustifica la mole e l'acquisto. Per non parlare di tutti gli aggiornamenti, le correzioni, le decine e decine di annotazioni in più, ecc., rispetto alle precedenti versioni. Sicuramente si tratta della compilazione defintiva di questo genere, un'opera di seminale importanza che aiuta a decifrare uno scrittore che è stato capace di aprire squarci nel banale quotidiano. Gli scritti sono presentati in modo organico, con un accurato apparato critico di contorno che ne spiega genesi, evoluzione ed importanza. Oltre che per il materiale inedito presente, questa bellissima edizione si presenta un must anche sotto il profilo visivo e "tattile", unendo al rigore e alla sobrietà della veste grafica la limpidezza dei fonts e un perfetto design, interno ed esterno, che rende il volume un piccolo gioiellino di cura editoriale. Si tratta di una lettura fondamentale, quindi, direi vitale per comprendere il pensiero di Howard Phillips Lovecraft, il più grande creatore d'incubi della storia del fantastico, e anche per capire l'importanza e il significato del genere all'interno del canone letterario tour-court. (Pietro Guarriello della Redazione di "Studi Lovecraftiani")

Volkswagen Beetle 2011 - Black Betty



La nuova versione dello spot di Volkswagen Beetle.

Soundtrack Composition: Black Betty
Writer: Huddie Ledbetter
Publisher: Folksways Music Publishers, Inc. (BMI)
Production: Volkswagen

Il libro del giorno: Fiabe e leggende irlandesi a cura di Massimo Conese (Besa editrice)












Il patrimonio di racconti tradizionali dell’antica Irlanda è straordinario sia per dimensione sia per varietà di temi e personaggi. Tramandati oralmente per molti secoli e poi messi per iscritto dai monaci medievali, essi oggi ci parlano con il linguaggio della figura fantastica e del mito. Gli “autori” sono coloro che, a cavallo tra fine Ottocento e inizio Novecento, hanno dato vita alla “Celtic Renaissance”, ovvero alla rinascita delle cultura e delle tradizioni celtico-irlandesi, in opposizione alla dominazione inglese. Le Fiabe e leggende irlandesi qui presentate sono tratte dai principali cicli o gruppi di racconti e comprendono sia fiabe nel senso classico del termine sia racconti magici in cui l’elemento storico si mescola a motivi fiabeschi. Completano e arricchiscono il volume un saggio sulle fate dell’antichista inglese Joseph Ritson, un repertorio delle raccolte di fiabe irlandesi fino a oggi pubblicate in Italia e una postfazione del curatore sull’ipotesi di un’origine genetica delle fate.

Massimo Conese, medico, lavora a Milano dove si occupa di ricerca biomedica nell’ambito delle malattie genetiche. Ha pubblicato tre raccolte di versi e per Besa ha tradotto e curato il volume Fiabe e leggende norvegesi (2001).

Un cuore nelle tenebre di Roberta Ciuffi (Leggereditore)












Vivono tra la gente comune, conducono una vita apparentemente normale. Ma la notte è il loro regno, è di notte che si scatena la loro vera natura. Tutto intorno, l’Italia unita sta muovendo i primi passi, eppure, tra i vicoli di San Raffaele, in Friuli, sono i lykaon a reggere i fili del destino. Da secoli vivono in pace, a metà fra la ragione umana e l’istinto animale, ma ora qualcuno di loro ha lasciato che il sangue prenda il sopravvento, e che le pulsioni del lupo vengano alla luce, sconvolgendo un’armonia sottile. L’ombra dei boschi sta per dilagare, inesorabile, insidiosa, e solo uno di loro potrà ricucire il confine tra i due mondi. Starà a lui – accompagnato da una donna fragile e indifesa, che cela in sé la forza sconosciuta e dirompente di una regina delle tenebre –, trovare la chiave che risolverà l’enigma, per difendere il suo popolo dai piani di chi da tempo trama alle loro spalle.
Roberta Ciuffi è un’autrice che con pennellate decise e delicate dipinge un mondo oscuro e penetrante; una grande maestra del romance italiano che per la prima volta presenta un romanzo paranormal, destinato a entrare nell’immaginario delle lettrici.
“Friuli, 1885 - Lars Coulter si accorse della presenza dell’animale prima che il cavallo si fermasse di colpo, puntando gli zoccoli. Prima ancora che i cespugli a sinistra della strada si agitassero, per poi separarsi lacerati da un lampo nero. C’era stato un bagliore nella sua mente, la sensazione che tutto quanto lo circondava divenisse più intenso: gli odori più stordenti, i colori più accecanti, e gli alberi e gli arbusti che costeggiavano la strada di montagna si protendessero come per trattenerlo. Se ne accorse, ma non poté far nulla per evitarlo. Il cavallo si bloccò, nitrendo terrorizzato. S’impennò, scartò, scalciò con le zampe posteriori, e quindi si diede alla fuga, inseguito dall’ombra scura da cui emanava l’energia selvaggia che gli riempiva la mente. Non poté farci nulla, perché a quel punto era già precipitato faccia in giù sul fondo polveroso della strada, tra minuscole schegge di roccia frantumata e sassi. Il colpo gli svuotò i polmoni, e un dolore esplosivo lo paralizzò per un istante. Respirò, prima di rialzare la testa. Non c’era nessuno. Il sole che attraversava le chiome degli alberi gli disegnava addosso un merletto di luci e ombre. Il cavallo e la belva che lo inseguiva erano scomparsi alla vista. L’uomo puntò le mani al suolo per rimettersi in piedi. Una fitta gli incendiò la caviglia sinistra. «Maledizione» biascicò, sputando la polvere che gli ricopriva la faccia. Tentò di nuovo, facendo attenzione a poggiare prima la gamba destra e cercando di sostenersi con le mani. La fiammata stavolta gli arrivò al cervello, facendolo gridare. Riprese fiato, e poi, concentrandosi per controllare il dolore, ruotò col corpo per cercare di mettersi seduto. Sperava con tutte le forze che si trattasse solo di una distorsione. Non aveva nessuna voglia di passare la notte in montagna, con una gamba rotta. Un frullo d’ali annunciò l’atterraggio di una cornacchia grigia, a breve distanza da lui. Avanzò dondolando, muovendo la testa per studiarlo, il grosso becco nero proteso in avanti come una minaccia. Lars Coulter strinse la mano su un sasso. L’uccello si fermò, emise un verso gracchiante e volò via. L’uomo lo seguì con gli occhi, finché non lo vide scomparire tra un larice che sussultava e brontolava, formicolante di ali. Lentamente, si mise a ridere. Sperava che gli animali che popolavano la montagna si spaventassero con la stessa facilità di quella cornacchia, altrimenti si sarebbe trovato nei guai. Elena distolse lo sguardo dal finestrino, per trovarsi addosso gli occhi ansiosi della signora Persello. «Sta bene, signorina Arlati?» La frequenza con cui glielo chiedeva iniziava a irritarla. Il presupposto era che una giovane donna in viaggio da sola doveva soffrire della sua condizione, e manifestare con frequenti segnali di malessere la propria natura delicata. «Benissimo, la ringrazio» rispose, senza curarsi di sorridere. Se avesse continuato a farlo ogni volta che la moglie dell’avvocato si rivolgeva a lei, ormai avrebbe avuto la faccia paralizzata per i crampi. Tornò a girare la testa. La signora era come uno di quegli animali che si animano speranzosi quando intravedono dell’interesse nei loro confronti, ma che tendono a tornare al loro posto se li si ignora. L’avvocato Persello l’aveva addestrata bene, pensò, trattenendo un sorriso. I viaggiatori del postale diretto a San Raffaele tacevano, lasciandosi scuotere dall’ondeggiare della vettura senza opporre resistenza. Erano tutti stanchi, ma nessuno quanto Elena Arlati. E nessuno era spaventato quanto lei. Lars Coulter cominciava ad aver sonno. Da più di un’ora, ormai, sedeva con la schiena contro un leccio che le piogge avevano fatto crescere inclinato verso il centro della strada. Quella struttura obliqua era riuscita a richiamare la sua attenzione, strappandolo allo stordimento provocato dalla caduta, e la scomodità della posizione gli impediva di addormentarsi. Avvertiva contro la nuca la rugosità del tronco, e sulla faccia il calore del sole che attraversava il fitto fogliame, di un verde così scuro da sembrare nero. Aveva bisogno di quel calore più d’ogni altra cosa, anche del riposo o del sonno. Lo stomaco protestava per la fame. Aveva mangiato l’ultima volta più di un giorno prima, ma la sua mente era in grado di ignorare la tormentosa sensazione di bisogno, isolandola fino a dimenticarla. La caviglia si era gonfiata. Se la teneva immobile, non gli faceva male. Calcolava che ci fosse ancora un paio d’ore di luce per riuscire a trovare una soluzione. Dopodiché, gli si aprivano altre possibilità.”

martedì 28 giugno 2011

Heineken 2011. The Asteroid Galaxy - The Golden Age



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http://www.megaupload.com/?d=IXGP0RND

Ecco il brano dello spot Heineken 2011. Il titolo della canzone è: The asteroid Galaxy - Golden Age
Tutti i diritti sono riservati a Heineken e Golden Age. On Youtube by Grifoncino 95

Streghe di Virgjil Muçi (Besa editrice)













Streghe è una fiaba. Una fiaba per grandi e piccini, che ci trasporta in un mondo senza tempo in cui tutto è possibile. Le streghe sono donne – madri, sorelle, nonne – che nascondono un segreto: a mezzanotte le loro anime abbandonano i corpi per compiere delitti sanguinosi, spesso ai danni dei propri ignari familiari. Per sconfiggere le forze del male bastano però l’ingegno e l’astuzia, di cui sono portatori uomini semplici e poveri, che in questo modo si guadagnano la gratitudine e la riconoscenza dei parenti delle streghe e riescono anche a migliorare la propria situazione economica. Streghe è un libro da leggere per recuperare il gusto di far viaggiare la fantasia.

Virgjil Muçi è nato a Tirana il 18 agosto 1956. La sua attività è ampia e variegata. Narratore, poeta, giornalista, critico letterario e cinematografico, ha dato un contributo significativo anche nel campo della traduzione, traducendo autori come Sontag, Lindgren, Bukowski, Albahari, Rothschild, Dickens, Christie, ecc. Per Besa ha pubblicato Fiabe albanesi (2005).

U2 - Sunday Bloody Sunday

Music video by U2 performing Sunday Bloody Sunday. (C) 2006 Universal-Island Records Ltd. under exclusive licence to Mercury Records Limited. On Youtube/Vevo

Il libro del giorno: High & Dry. Primo amore di Banana Yoshimoto (Feltrinelli)












Ecco il nuovo lavoro della regina del romantic-romance nipponico Banana Yoshimoto per la casa editrice Feltrinelli. Yuko è in grado di vedere cose che gli altri non vedono, e di indovinare i desideri e i pensieri di chi le sta intorno grazie a una sensibilità fuori dal comune. Nell'autunno dei suoi quattordici anni, tutto sembra assumere sfumature misteriose, e il mondo si popola di bizzarre creature. Yuko sta imparando ad assegnare un colore a ogni stato d'animo e a ogni emozione; a insegnarglielo è Kyu, il suo maestro di disegno, che ha il doppio dei suoi anni.. Quando dal fusto di una pianta fuoriescono degli strani omini verdi, loro sono gli unici a vederli. Nello stesso istante, Yuko assapora l'incanto sottile del primo amore.. Sospesa tra realtà e immaginazione, un'adolescente va incontro alla vita accompagnata dagli affetti più cari, e scopre, giorno dopo giorno, i turbamenti del cuore, la tenerezza dei sentimenti e la difficoltà di diventare grande.

La nicchia della vergogna, di Ismail Kadaré, traduzione di Francesca Spinelli (Fandango). Intervento di Nunzio Festa












La paura di morire che s'intreccia, scontrandosi, con la volontà di potenza. La fobia della morte che è inabissata, inizialmente, per poi emergere dagli sforzi pensati a raggiungere la fama più che la nobilitazione. L'epica del romanzo “La nicchia della vergogna”, del poco noto, o noto non come dovrebbe, scrittore albanese da secoli approdato da esule in Francia, Ismail Kakaré, narra – alla maniera delle narrazioni fra il capolavoro letterario tout court e la bibbia realmente laica dei popoli (in questo caso quello albanese) – dell'ottantaduenne pascià Ali di Tepeleni che, alla sua veneranda età, perde la testa – anche se abbiamo timore nell'utilizzo dell'espressione appena pronunciata e se ne comprenderà in seguito bene il motivo. Il pascià che aveva già vilipeso la sua frazione di popolo, ovvero l'Albania non ancora Albania ma provincia remota dell'immenso e già viaggiato dall'eroe Scanderberg Castriota Impero Ottomano pre-ottocentesco, sfida ormai quotidianamente, fino a costringerlo alla guerra, il suo sultano. Ma non riesce a capire, neppure nei suoi discorsi con l'attenta, e timorosa pure lei, moglie, che Ali di Tepeleni non è Scanderberg. Perché l'eroe, appunto, era amato. Mentre il pascià capriccioso alla fine non vuole scendere in battaglia per l'Albania e nemmeno è sostenuto dai suoi sudditi già dannatamente da lui torturati, imprigionati, derubati. E la narrazione che procedere a ritroso, comunque, fra epica e lirismo puro, fa sentire il richiamo, il respiro cattivo della Nicchia della Vergogna che il sultano ha piazzato nella capitale. Uno spazio, uno spazio vero e proprio, un angolo dove i passanti, curiosi a frotte si recano a gettare gli occhi sulla testa mozzata, persa, del pascià ribelle di turno. Perché ha questo scopo, la nicchia. Tenere in mostra il capo mozzo del sobillatore. La guerra di Alì comincia comunque bene, in un certo senso, per il pascià. Che prima a scontrarsi è inviato un combattente non ritenuto pari del 'ribelle', almeno dal ribelle stesso. Però è tutta una finta. Come è finta l'Albania buttata nel “cra-cra”: invenzione magnifica dello scrittore. Autore che poi si diverte, per noi amaramente, a spiegare tutto il male che può essere ceduto alle spalle d'un popolo. Dal potere. Nel transito di una “denazionalizzazione”. Gli eventi, tra l'altro, oltre ad avere un'ambientazione “territoriale” definita ed evocativa all'ennesima potenza, hanno uno svolgimento che avanza al suono delle corse di Tunxh Hata. Di chi stiamo parlando? Dell'uomo, per l'esattezza, apparentemente di secondo piano ma usato a forza di metafora, e non è l'unico personaggio creato a questo fine, che trasporta le teste tagliate dai campi di battaglia alla Nicchia. Tra rancori e remissioni, qualche nostalgia e soprattutto l'amore per la terra natia, nonostante la critica dell'autore è preponderante nelle maglie della trama, fanno del romanzo di Kadaré un libro che si dovrebbe pensare quale opera cardine della letteratura. Uno di quei romanzi che sia i popoli in sonno che quelli in cammino dovrebbero vivere.

lunedì 27 giugno 2011

"Yes" Citroen DS4



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M di Ron Kubati (Besa editrice)





















Uno scrittore in cerca di editore, in un paese straniero, viene accolto da un gruppo di transfughi, intellettuali alla deriva, uomini borderline, pellegrini senza fissa dimora che si raccolgono tutti in casa del prof. Andrea. Apparentemente sembrano smarriti nella metropoli dalle mille luci e dalle mille razze, ma invece sono incredibilmente coesi dalla forza dell’amicizia, dallo spirito di solidarietà che li aiuta ad affrontare il mondo esterno e a non abbandonarsi reciprocamente. La storia si snoda giorno dopo giorno, raccontata in prima persona dal ragazzo a volte con incredibile distacco, altre con straordinaria intensità. La casa di Andrea diventerà anche la sua dimora. Dovrà adattarsi a mille lavori (assistenza a un anziano, lezioni private tenute in un garage clandestino) prima di trovare un editore “di confine” disposto a pubblicarlo.

Ron Kubati nasce a Tirana nel 1971. Proveniente da una nota famiglia di intellettuali dissidenti di Tirana, nel 1991 arriva in Italia, a Bari, dove frequenta il dottorato di ricerca in filosofia moderna e contemporanea, dedicandosi parallelamente alla scrittura e ad attività di traduzione.

In Italia ha pubblicato Venti di libertà e gemiti di dolore (Ed Insieme,1991), Il buio del mare (Besa, 2010), Va e non torna (Besa, 2010).

Spandau Ballet - Through The Barricades

Fonte Youtbube/Vevo

Music video by Spandau Ballet performing Through The Barricades. (P) 1986 Sony Music Entertainment UK Limited

Il libro del giorno: L’esercito fantasma di Steve Berry (editrice Nord)












Cotton Malone non ha dubbi: il video arrivato via email è autentico, e la persona atterrita e stremata che lo implora di salvarle la vita è proprio lei, Cassiopea Vitt. Rapita da un commando di mercenari mentre stava indagando sulla scomparsa del figlio di uno scienziato russo emigrato in Cina, la donna è infatti in possesso di un misterioso reperto, rinvenuto nel più importante sito archeologico cinese: la tomba dell'imperatore Qin Shi Huang, protetta dal celebre Esercito di Terracotta. E, pur di non cedere alle sevizie dei suoi aguzzini, ha deciso di mentire, sostenendo di aver affidato a Malone l'antichissimo manufatto. Aiutato da Stephanie Nelle - il suo ex capo al dipartimento di Giustizia -, l'uomo si lancia allora in soccorso dell'amica e riesce a individuare il luogo in cui viene tenuta prigioniera. Ma, in realtà, l'incubo è appena cominciato. Perché Cotton dovrà non soltanto scoprire il segreto del reperto, ma anche trovare il bambino svanito nel nulla: è lui la chiave per fermare un devastante complotto che mira a sconvolgere il fragile equilibrio che lega Stati Uniti, Russia e Cina. Un complotto in cui sembra implicata persino Stephanie Nelle...

Yellow Medicine di Anthony Neil Smith traduzione di Luca Conti (Meridiano Zero)












Minnesota: fra i campi di granturco coperti di neve e il vento che fischia fra gli alberi Billy Lafitte cerca un nuovo inizio sulle pianure ghiacciate. È stato nominato vicesceriffo nella contea di Yellow Medicine, ma per uno come lui quel posto è solo un purgatorio. Perché Billy viene dal Golfo del Mississippi, è un uomo del Sud, tutto temperamento e testosterone, e fatica a capire le leggi rurali che regolano i rapporti fra gli abitanti delle terre del Nord e i Sioux dei casinò. In un universo popolato da perdenti e ubriaconi, medici alcolizzati e guardie del corpo corrotte, Lafitte è una mina vagante. E quando Drew, la ragazzina che gli ha acceso il sangue, gli chiede di rintracciare il suo fidanzato, non se lo fa ripetere due volte. Troverà Ian quasi subito in un dormitorio studentesco ma il ragazzo, che è a letto con un’altra, è già finito in un mare di guai: marchiato con un ferro da mandriani, è ora sul libro nero di una gang che sta progettando di fare del Minnesota la nuova raffineria di metanfetamine degli States. Ma se è vero che ogni indagine ha un prezzo, ficcare il naso in questa costerà a Billy molto caro, perché Ian e la sua nuova fiamma scompaiono e quando lui torna al college trova ad aspettarlo una testa mozzata e un manipolo di scalcagnati terroristi che ha l’obiettivo di ucciderlo. Narrato in prima persona, intriso di humour nero e cinismo, Yellow Medicine è un formidabile pastiche di genere in cui la visione manichea e retrograda di un antieroe americano si fonde con le atmosfere dark della provincia più rurale e retriva. Ne emerge una storia che ha l’aroma ferroso del Thompson più crudele e l’onirica violenza di Fargo dei fratelli Coen.

“(oggi) - Quando l’agente Rome si decise a entrare nella stanza, erano due settimane che mi palleggiavano da una cella all’altra, tutte anonime e tutte uguali, da una saletta per interrogatori all’altra, tutte anonime e tutte uguali, da un federale all’altro, tutti anonimi e tutti uguali e tutti pronti a farmi banalissime domande sui miei “contatti all’interno del sottobosco criminale”. E io non avevo fatto che chiedermi quando sarebbe successo. Ero preoccupato per Drew e speravo fosse riuscita a mettersi in salvo. Pensavo a come l’avrebbero presa, dalle parti di casa (a Yellow Medicine, ma anche la sua famiglia giù al Sud), la notizia dell’assassinio di Graham, il mio ex cognato nonché capo. Chissà in quanti avrebbero dato la colpa a me. Magari Rome aveva le risposte. Mi avevano fornito un’ampia tuta blu e delle ciabatte di gomma. Tipico vestiario da detenuto. Nessuno si era degnato di dirmi cos’avessi fatto di male. Avevano continuato a farmi domande su domande, alle quali ero in grado di dare ben poche risposte. E di quelle risposte non si erano mai mostrati soddisfatti, continuando peraltro a ripropormi le stesse domande. Per come mi avevano mandato a puttane il sonno, mi ero reso conto di che giorno fosse solo quando un indolente federale si era portato dietro una copia ancora piegata di USA Today ed ero riuscito a coglierne il titolo, l’unica cosa alla mia portata: IL CONGRESSO PRENDE TEMPO. Be’, forse della nostra piccola avventura col terrorismo l’opinione pubblica non sapeva ancora niente. Tanto meglio. L’obiettivo dell’intera faccenda, tanto per cominciare, era stato proprio quello. Far sparire quei mentecatti. Poi, Rome. Federale al cento per cento: giacca e cravatta, tesserino d’identificazione che gli pendeva dal collo, computer portatile, grosso blocco per appunti e qualche penna. Era solo, anche se sulla soglia aveva perso qualche secondo per chiedere a uno dei suoi scagnozzi di portargli da mangiare. L’ora di pranzo, quindi. Mi aveva quasi fregato: ero convinto che fossero, che so, le due del mattino. Richiuse la porta e, da lì, mi sorrise. — Vice Lafitte, non mi sembra che se la passi un gran che bene, eh? Era il primo volto familiare che vedevo da chissà quanto. Alto, magro, nero, capello militaresco. — Mi dica che è venuto a farmi uscire. È solo un gigantesco equivoco, giusto? Ha saputo solo adesso che mi stanno trattenendo qui a forza, giusto? Si concesse un piccolo grugnito di compatimento e solo allora si accostò al tavolo, spostando la sedia con estrema lentezza e massimo rumore. Poi si sedette e aprì il portatile con le sue dita ossute. Passai in rassegna il resto del suo armamentario. Il blocco per appunti era intonso. Magari pensava di riuscire a convincermi a sottoscrivere una qualche dichiarazione. Non una confessione, no, non l’avrebbe mai definita così. Piuttosto la ‘dichiarazione’ di un testimone oculare, utile forse ad agganciare i pesci più grossi. Lanciai un’occhiata furtiva al suo orologio da polso. Le undici e trenta. Questo, più il pranzo in arrivo, bastavano a farmi tornare sulla terra.”

domenica 26 giugno 2011

Van Halen - Jump

Il libro del giorno: Natale a Saint Oyen" (Youcanprint) di Giuseppe Lascala













Saint-Oyen. Piccola comunità nella Valle del Gran San Bernardo in Val d’Aosta, ma ricca di una grande tradizione. Basti pensare che da Saint-Oyen, il grande Stendhal fa passare il protagonista della Vie de Henri Brulard. A un certo punto tra le pagine di questo lavoro riesci a sentire odori, suoni, colori, e sembra quasi che si sia vissuto proprio lì da chissà quanto tempo. Che quasi ne senti la mancanza di tutta quella pace e tranquillità. Ma di tutta la storia e le tradizioni, e il folclore che questo luogo, questa regione può contenere, non si può non ritenere che in realtà ci troviamo dinanzi ad una rappresentazione narrativa che configura un luogo geograficamente dato come puro e semplice pretesto utilizzato dall’autore per immergerci in una storia che gli appartiene. O meglio a immergerci di soppiatto all’interno di diversi tracciati biografici dei personaggi descritti nell’opera. Come un pretesto si deve sentire, la scelta di parlare di una gita aziendale a Parigi, e delle innumerevoli suggestioni che ricordi e sensazioni animano l’autore, che altro non sono poi che la chiave di volta grazie alla quale la storia tra queste pagine si anima di vita propria e racconta diverse esistenze. E ancora pretesti sono le tre vicende di cui si occupa Giuseppe Lascala in questa sua ultima produzione, ovvero le tre esperienze dei tre protagonisti a cui sembra maggiormente legato egli stesso: la struggente solitudine di Ferruccio, le lezioni di dignità e vita di Ciccino da quando scopre le gioie del piacere fisico sino agli scherzi del destino e ai buoni sentimenti che nonostante tutto lo animano, le riflessioni di Fabienne fedele ai suoi sani principi nonostante la vita ha in serbo per lei un amaro calice. Già … pretesti… che nel loro configurarsi come pura e semplice impalcatura scritturale, rivelano invece una densità emozionale non da poco. E che forse rimane un fattore da non trascurare assolutamente, anche se i contenuti valoriali esposti nero su bianco in queste pagine, sono così lontani dalla nostra quotidianità che sembrano provenire da altri mondi, altre latitudini. Ci fanno insomma apprezzare le loro ordinarie vicende di ogni giorno, di vite come tante, a volte fatte di lievi preghiere ma traboccanti di amore fraterno e speranza. Giuseppe Lascala in fondo parla al suo lettore d’amore, di morte, di tutto ciò che ci accompagna giorno dopo giorno sino alla fine. Ci parla e lo fa in maniera assolutamente non velata del recupero di certi momenti dello spirito: attraverso la bocca di ciascuno dei protagonisti.

Reckless - Lo specchio dei mondi di Cornelia Funke (Mondadori )












Partiamo da una considerazione di dati di vendita. Il libro di cui mi occuperò in questa sede ha venduto più di un milione mezzo di copie nel mondo. E penso che si accinga a diventare un vero e proprio long seller. Si tratta di un opera sinistra dove la notte sembra avere la meglio sulla luce. Parlo nello specifico di “Lo specchio dei mondi” della bravissima Cornelia Funke edito da Mondadori. Due fratelli animano le pagine di questo “grimorio” Jacob e Will. La notte lo specchio dallo studio del padre, chiama Jacob, cerca di condurlo nel suo mondo non solo abitato da nani, unicorni e altre fantastiche creature … già perché i Goyl sono gli altri “signori” di quell’altra dimensione, esseri di corniola e ametista, fondamentalmente spietati guerrieri. Sarà Will, una volta divenuto adulto, a dover oltrepassare “la soglia” alla ricerca del suo amato fratello. Il libro si presenta con una ricca trama densa di grande letteratura, dove si respira a pieni polmoni un’atmosfera degna del miglior J.R.R. Tolkien. Appena terminato di leggere il lavoro della Funke il lettore sarà conscio di aver vissuto un’avventura ai limiti della fantasia, che insegna come a volte la forza delle tenebre nasconde insidie più forti addirittura del Male, talvolta mascherate da pura innocenza. Una storia gotica, affascinante e spaventosa assolutamente da leggere.
Cornelia Funke è nata nel 1958 nella città tedesca di Dorsten. Tra la fine degli anni '80 e gli anni '90 si impose in Germania con due serie per bambini, intitolate Gespensterjäger e Wilde Hühner. Ottenne grande successo con i libri Il cavaliere dei draghi (1996), ed Il Re dei Ladri (2000, tradotto in italiano nel 2004). Il romanzo che l'ha lanciata è stato però Cuore d'inchiostro, che ha vinto il premio BookSense Book of the Year Children's Literature nel 2003. Cuore d'inchiostro è la prima parte di una trilogia che continua con Veleno d'inchiostro (2005), anche questo vincitore dei premio BookSense Book of the Year Children's Literature. I suoi libri hanno ottenuto un tale successo che nel 2005 il Time l'ha inserita nella classifica dei "100 artisti più influenti del mondo", definendola "la J. K. Rowling tedesca".

sabato 25 giugno 2011

Duran Duran - Save A Prayer



Music video by Duran Duran performing Save A Prayer (2003 Digital Remaster)

Il libro del giorno: L'inizio del buio di Walter Veltroni (Rizzoli)




















L'11 giugno 1981, poco dopo le 13, l'Italia resta paralizzata davanti alla tv. Durante il Tg2, da un pozzo nella campagna di Vermicino, vicino a Frascati, proviene l'urlo di un bimbo che chiama la mamma. "È il pianto di un bambino che si sveglia nella notte, nel cuore di un incubo mostruoso, senza sapere se quella che ha vissuto è realtà o cattiva fantasia. È il pianto di un bambino che viene deportato, che vede la mamma allontanarsi e poi sparire, dietro una curva. È il pianto di un bambino al quale un adulto ha fatto la più orrenda delle violenze. È tutti i pianti di tutti i bambini del mondo. Tutti in una volta. Tutti in un bambino solo."Quell'urlo, le interminabili ore di angoscia che seguiranno, il nome del bambino - Alfredino Rampi - sono impressi a fuoco da trent'anni nella memoria degli italiani. Che forse non ricordano una coincidenza: mentre Alfredino precipita nel pozzo, nel tardo pomeriggio del 10 giugno, alle 19, a San Benedetto del Tronto un giovane antennista, Roberto Peci, viene rinchiuso nel bagagliaio di una 127 e condotto in una "prigione del popolo", dove le Brigate rosse l'avrebbero "processato" e poi ucciso per vendicarsi del fratello Patrizio, il primo pentito delle Br. Nel suo nuovo libro, Walter Veftroni racconta quelle due tragedie parallele. Ripercorrendo i luoghi e intervistando i protagonisti, rivela aspetti inediti e coglie nei due episodi l'inizio di quello che sarebbe diventata la televisione: il grande occhio che trasforma la realtà in reality. Con un saggio di Eugenio Borgna.

Real Life di Christopher Brookmyre (Meridiano Zero)












Lo Spirito Nero è un mercenario omicida, l’incarnazione del terrorismo allo stato puro: nessun progetto di conquista o rivendicazione politica, semplicemente l’autore degli attentati più agghiaccianti degli ultimi anni. E ora ha in mente un obiettivo in terra britannica che farà dimenticare l’11 settembre. Il bersaglio è ancora sconosciuto, ma i servizi segreti inglesi hanno saputo con certezza che si trova in Scozia. Fra i componenti della squadra speciale che viene approntata d’urgenza c’è Angelique De Xavia, tormentata e bellissima, letale nelle arti marziali, unica donna in una task force solo maschile. Sarà grazie alle sue intuizioni e a una colorata banda di personaggi – un genio fallito dei videogame, una coppia di ragazzini terribili scappati da scuola e la vedova di un marito mai morto – che Angelique riuscirà a ricostruire l’identità dello Spirito Nero e a mettersi sulle sue tracce. Con un intreccio magistrale e sanguinoso, spruzzato d’umorismo dark e sarcasmo, l’autore scozzese compone un plot ipercinetico che infila spettacolari sequenze d’azione e colpi di scena, false piste e vicoli ciechi, in un romanzo adrenalinico che cresce in modo esponenziale fino al pirotecnico finale a sorpresa.
“TSS. La morte era ancora poco per loro. Davvero. Quegli stronzi si meritavano di vivere in eterno. Una massa di schiavi sonnambuli di periferia nelle loro colonie penali finto stile Tudor. Una galera dove non c’era nemmeno bisogno di muri perché ai detenuti avevano fatto un tale lavaggio del cervello da convincerli che lì ci volevano stare. Incarcerati per le loro ambizioni, nel frattempo si propagavano e autoreplicavano stupidamente, trasmettendo il loro DNA di supina sottomissione alla prossima generazione di prigionieri dallo sguardo vitreo. E ogni giorno si svegliavano e pregavano che il giorno della loro emancipazione non giungesse mai: “Signore Iddio, proteggici dall’unicità. L’eterno conformismo dona a noi, e liberaci dalla distinzione. Amen”. Ne aveva uno in culo proprio in quel momento, che gli lampeggiava con gli abbaglianti della sua MX3, gli occhi e le narici che si dilatavano a tempo con le luci ammonitrici. Un assoluto coglione. Rischiare la vita nel tentativo di completare il sorpasso prima che finisse la seconda corsia, in modo da essere avanti di una macchina, una macchina, alla coda per il semaforo. Cosa si doveva pensare del valore della vita che stava rischiando? Appunto. Tristi Stronzi Suburbani. Quella era la ragione vera per cui la gente si accoltellava per un sorpasso. La furia dell’automobilista frustrato non era un prodotto del traffico in aumento (anche se il fattore un-passeggero-per-macchina era comune a entrambi), ma rappresentava il massimo avvicinamento a un qualche senso di sfida, l’ultimo residuo spettrale della volontà di autoaffermazione. Era l’unica occasione che avevano di esprimere un qualche senso di identità: dietro il volante, da soli, a combattere per la precedenza con il resto dei senza volto. Se riesci a sorpassare il tizio che ha una macchina 9 più grande, più nuova, più lucida della tua, ti puoi dimenticare di tutti gli altri modi molto più autentici in cui quello ti sta lasciando indietro a mangiare la polvere. Qualcuno ti taglia la strada, ti impedisce di avanzare, e trasferisci su di lui tutte le tue frustrazioni perché ti ricorda quanti ostacoli si frappongono tra dove ti trovi nella vita e dove vorresti veramente essere. La macchina davanti a te è la tua mancanza di fiducia in te stesso, eredità della tua madre iperprotettiva. La macchina davanti a te è la tua paura del confronto, dono del tuo tremebondo, sconfitto padre. La macchina davanti a te è la scuola dove non sei potuto andare, il golf club di cui non sei diventato membro, la loggia massonica a cui non appartieni. La macchina davanti a te è tua moglie e i tuoi figli e i rischi che non puoi correre perché hai delle responsabilità. Ma la cosa veramente tragica è che della macchina davanti hai bisogno, hai bisogno di quell’ostacolo, perché ti permette di non affrontare il fatto che non lo sai dove vorresti essere. Se ti avventurassi oltre la colonia penale saresti perso. È un mondo pauroso là fuori. Non ti ci troveresti. Per questo vengono spesi miliardi ogni anno per pubblicizzare come totem di gusto personale e discernimento macchine praticamente identiche l’una all’altra. Toyota, Nissan, Honda, Ford, Vauxhall, Rover, tutti con la loro monovolume, la loro coupé, la loro familiare, ogni modello difficilmente distinguibile da quelli della concorrenza se non per il marchio. E negli spot vedi uomini dalla mascella quadrata che salvano bambini, combattono con gli squali, scopano come eroi omerici, qualunque cosa per distrarre l’attenzione dalla macchina in sé. “La nuova Vauxhall. I fanali sono leggermente diversi da quelli della Nissan. Perché tu sei leggermente diverso.” E forse no, eh? Ed è qui che entrano in scena i gipponi e le quattro ruote motrici. Tizi che usano un fuoristrada per andare da casa al videonoleggio; l’unico momento in cui la macchina esce effettivamente dalla pubblica strada è quando viene parcheggiata sul vialetto davanti alla loro ‘casetta da sogno’ di cartongesso e compensato, o quando viene portata in officina dopo una curva a più di sessanta chilometri all’ora che ti ricorda che l’aerodinamica vale più della massa bruta. A volte c’è una monovolume per la moglie, oppure una familiare, a seconda del salario. E così risparmi e ti ammazzi di lavoro e baci culi per pagarti quella MRII o CRX o GTI, per tenerti stretto a una qualche patetica illusione di perdurante virilità. Sì, magari hai moglie, bimbi, mutuo e i suoceri a cena ogni domenica, ma una parte di te non sarà mai domata. Chi vuole un’altra fetta di Viennetta Algida?”

venerdì 24 giugno 2011

Il libro del giorno: Uomini da mangiare di Christine Leunens traduzione di Maurizia Balzelli (Meridiano Zero)












Rinchiusa nella dispensa, la piccola Kate fissa con astio le ombre dei prosciutti appesi. Sua madre, un’irascibile vedova lituana, la rinchiude lì per costringerla ad abbandonare la sua innata avversione per il cibo. Nella penombra maleodorante di umidità e cipolle, Kate strizza forte gli occhi finché il buio comincia a respirare e a muoversi come una nuvola di farfalle: le tenebre sono vive, e danzano per lei. Nell’oscurità riesce a sentire il battito del suo cuore e può abbandonarsi a complicate fantasie. La mente di Kate è fervida e impaziente, ma nessuno si preoccupa di rispondere alle sue domande sul mondo, e così lei si crea delle idee tutte sue su quello che gli uomini e le donne fanno quando sono soli. Gli innamorati si mangiano. Affamati gli uni degli altri si staccano morsi di frutti proibiti che crescono sotto i loro vestiti. Per questo Kate ha paura di mangiare. I suoi occhi sgranati una volta hanno visto un uomo e una donna preda della passione: si consumavano a vicenda sulle lenzuola di un letto, come se fosse una tavola apparecchiata. C’è un’intera cosmogonia nel mondo di Kate: forse tutto l’universo è commestibile. Forse mangiare ed essere mangiati è il solo prodigioso modo di perpetrare la vita. Ma è nel giorno della sua prima comunione che tutto le appare finalmente chiaro. Sentendo sciogliersi in bocca quel fragile velo di pane, Kate inizia per la prima volta ad aver fame; proprio quando il suo corpo sta diventando quello di una donna e l’adolescenza la sospinge verso i segreti chiusi nelle bocche degli adulti. Christine Leunens, penna ironica e torrenziale, dà vita a un trasgressivo romanzo di formazione, in cui le metafore dell’inconscio si materializzano, si condensano e restituiscono intatte le nostre tentazioni primordiali.
"— Tu! Mangia!
— Ma non va giù…
— Solo metti in bocca e inghiotti! — urlò mia madre. Mi cacciai in bocca un altro centimetro di banana lebbrosa e pregai perché la smettesse di fissarmi in quel modo. Il boccone raggiunse la riserva stagnante che spostavo da destra a sinistra per convincerla dei miei sforzi.
— E niente castania, per favore.
La castania cui mia madre alludeva era la sacca guanciale dove immagazzinavo gli alimenti indesiderati. Lei mi pizzicò la guancia e la strizzò finché il cibo, ammorbidito dalla saliva, slittò sotto il palato.
— Quanto ci vuole?
— Sto masticando.
— Vuoi che conto fino tre?
Aveva deciso che non c’era niente da masticare. Secondo la sua logica e le leggi della fisica, quel pus da lebbrosi poteva scivolare con facilità lungo qualsiasi piano inclinato. Avrei preferito che al posto del mio tubo digerente ci fosse stato lo scarico del lavandino.
— Uno. Due…
Infilai il dito nella polpa e cominciai a togliere le parti scure e molli che qualcuno aveva avuto la grande idea di paragonare a dei lividi, e intanto facevo del mio meglio per smettere di immaginare che la banana fosse l’avambraccio di Miriam e quelle che rimuovevo le piaghe purulente sotto le sue croste. Quelli che io consideravo lividi, per mia madre erano mangiabilissima polpa. La banana mi fu strappata di mano e se non avessi girato la testa in tempo me la sarei presa in faccia. In meno di una settimana, camminavo dritto quanto un marinaio ubriaco. Andai a lamentarmi da mia madre; lei soppesò le mie gambe e mi disse di mangiare di più. Stavo portando in casa la spesa quando caddi sul vialetto d’ingresso e mi scheggiai un incisivo. Lei mollò papaia, finocchi e pacchi di farina integrale a metà prezzo e corse a controllare le mie vaccinazioni della polio. Il dottore mi premette un bastoncino da ghiacciolo sulla lingua, mi visitò gli occhi e le orecchie con una luce. Mi disse di star ferma e con un arnese molto appuntito estrasse dal mio orecchio una cosa giallastra che a me pareva pus secco.
— Mi spiega come diavolo ci è finita la banana qui dentro?!
Di solito la gente quando si arrabbia strizza gli occhi; il dottor Kreushkin invece li spalancò, mettendo in mostra i bordi rosati delle palpebre inferiori, che mi hanno sempre fatto pensare
al prosciutto.
— Oh, questa bambina fa tutto per non mangiare. Mi farà invecchiare prima di tempo.
Mia madre fece spallucce, poi si riaggiustò il fazzolettino tra i seni. Chissà perché, le gocce di sudore sul labbro le davano meno fastidio. Il dottor Kreushkin abbassò gli occhi su di me con mal celato disgusto. Io increspai il mento e ingoiai il mio amor proprio. Non avevo il permesso di contraddire mia madre, vale a dire che in pratica dovevo mentire."

Le Perline Colorate di Maria Grazia Casagrande



"Cerco di dar voce alle tante voci che mi circondano sui tram, in metropolitana, in attesa dal dentista. E' tutto un mondo sommerso di dolore profondo che non sà o non può venire a galla. E allora io mi faccio tramite!... "(Maria Grazia Casagrande)

giovedì 23 giugno 2011

Europe - The Final Countdown



Music video by Europe performing The Final Countdown. (C) 1986 SONY BMG MUSIC ENTERTAINMENT. On Youtube/Vevo

Il libro del giorno: Christine Koschel, Nel Sogno in bilico (Mursia)



















È stato pubblicato in questi giorni il volume di Christine Koschel, Nel sogno in bilico, a cura di Amedeo Anelli, per i tipi di Mursia, nella collana Argani diretta da Guido Oldani. La nostra redattrice Christine Koschel è fra i maggiori poeti tedeschi del Secondo Novecento; nel risvolto di copertina Guido Oldani scrive: «Si vive con un dizionario di alcune decine di parole. Tutto al contrario per Christine Koschel; lei sa che il poeta è una piccola isola in un oceano di termini, da cui pescarne pochi, e ad uno ad uno, con la fatica della lenza, usando per esca il proprio animo, perché il cesto si colmi lentamente, apertis verbis, e solo quando occorra veramente. Una poetessa inestricabile dalla sua biografia, il cui lavoro poetico è quasi scambiabile vicendevolmente con la sua persona o personalità, così appartata e il cui parlarne richiede quasi già una certa violazione. L’infanzia della piccola Christine è segnata dalle drammatiche conseguenze della Seconda guerra mondiale. Giovane poetessa, emigrerà in controtendenza, verso sud, a Roma, dove l’amicizia con Ingeborg Bachmann e con Cristina Campo – unitamente alla sua vocazione intrinseca – la terranno al riparo dalla sterile agevolata salotteria e, fino ad oggi, dall’attenzione di troppa editoria. È un «poids égoûtté» la scrittura della Koschel, fra i più significativi poeti del nostro tempo, con anche momenti come di residualità tutta europea dell’esperienza, dove ogni parola in più appesantirebbe vanamente il bagaglio del pellegrinare della poesia. Se dovessi fare qualche eventuale riferimento italiano ai suoi versi, penserei a certi vociani o al riservatissimo Roberto Rebora, nipote del più noto Clemente.Ma si sa, la Koschel ha avuto anche a che fare con il fecondo Gruppo 47, in Germania. Viene a mente allora, per i suoi testi, la delicatezza di un cespuglio invernale; non ha senso ricercarvi una ricchezza floreale. Pure, una gelata improvvisa fa sbocciare, da quei segni di matita, una delicatissima galaverna. Ne viene un imprevedibile giardino di bianco, sia di concretezza che di avvolgente sognabilità».
A portare in italiano i suoi traduttori storici in un’opera corale che dà il senso del lavoro dialogico di ascolto e interrelazione fra culture che il tradurre stesso rappresenta. Le traduzioni intrecciano generazioni di germanisti: Maria Teresa Mandalari, Maura Del Serra, Anita Raja, Silvio Aman, Daniela Marcheschi, Enrico Piccinini, Paola Quadrelli; raccolgono accanto a nuove traduzioni i testi usciti nelle riviste «AC», «Kamen’», “«Poeti e Poesia» ed in altri luoghi.
Christine Koschel è nata a Breslavia, in Slesia, nel 1936. Finiti gli studi ha lavorato a Monaco come aiuto regista teatrale e cinematografico. Nel 1961 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie, Den Windschädel tragen. Trasferitasi a Roma nel 1965, ha collaborato ad antologie e riviste italiane e internazionali e ha curato con Inge von Weidenbaum l’opera di Ingeborg Bachmann in quattro volumi per la casa editrice Piper di Monaco. Tra le sue raccolte poetiche, Pfahlfuga (con una nota di Ilse Aichinger, 1966), Zeit von der Schaukel zu springen (1975), Das Ende der Taube (1992), Ein mikroskopisch feiner Riss (2002), L’urgenza della luce (a cura e con un saggio introduttivo di Amedeo Anelli, traduzione di Cristina Campo, 2004), Einen Lidschlag offen (2009).
Christine Koschel, Nel Sogno in bilico,
a cura Amedeo Anelli
MURSIA, pp. 66 - € 15,00

Dal Salento a Cannes...l’art director a caccia del Leone










È in corso e terminerà il 25 giugno prossimo la 58esima edizione del “Cannes Lions”, Festival Internazionale della Creatività di Cannes, da sempre il più importante e prestigioso concorso pubblicitario al mondo. Basta nominare alcuni dei vincitori delle precedenti edizioni per farsi un’idea dell’importanza del riconoscimento: Ikea, Unilever, Volkswagen, Procter & Gamble, Adidas, Sony Computer Entertainment, BMW AG, Nike, Swatch Group, Sony Corporation e Virgin Group.

Tra le poche presenze per l’Italia segnaliamo, nella shortlist dei primi sette classificati per la categoria MEDIA LIONS/Best Localised Campaign, l’art director Marco Cantalamessa, di origine marchigiana ma salentino d’adozione (nella foto), che riceve questa nomination per la campagna pubblicitaria per il noto marchio di abbigliamento Diesel realizzata come art director dell’agenzia milanese BCube (gruppo Leo Burnett).

La campagna è stata giocata su elementi volutamente legati al territorio; infatti le affissioni che hanno campeggiato in tutta Italia declinavano una storia con slogan dialettali, nessuna regione esclusa. Marco Cantalamessa è attivo a Lecce, dal marzo scorso, insieme all’art director salentina Annalisa Martinucci e al direttore clienti Lorenzo Martinucci, con Rebel Comunicazione, una nuova agenzia pubblicitaria con sede a Lecce. I due direttori creativi, dopo un’importantissima esperienza di più di dieci anni di lavoro presso autorevoli agenzie pubblicitarie milanesi, curando clienti del calibro di Coca-Cola, BMW, Mini, Barilla, Feltrinelli, hanno deciso di creare un progetto proprio, animati dalla voglia di portare tutto il proprio bagaglio tecnico sul territorio salentino. L’agenzia si vuole porre sul mercato come un’alternativa in grado di fornire una consulenza completa e professionale, sempre attenta alle novità di un settore in continua evoluzione. Nel frattempo Cantalamessa, insieme ai suoi soci, si gode il notevole posizionamento al Festival Cannes Lions e spera di essere uno dei vincitori.

Info:

http://www.canneslions.com/work/media/entry.cfm?entryid=20398&award=99

Dìa de los muertos di Kent Harrington (Meridiano Zero)





















Il día de los muertos: il giorno dei morti, grande festa popolare messicana, sta per arrivare. A Tijuana, sotto un sole torrido e impietoso, l’agente della DEA Vincent Calhoun aspetta il ritorno della suerte, la fortuna che sembra averlo abbandonato. In quella terra di confine, lui ha già perso molto: la fiducia, l’onestà, e montagne di dollari alle corse dei cani. Calhoun è un senza legge, un coyote che trasporta illegalmente clandestini negli Stati Uniti. Ma ora è convinto di aver avuto la dritta giusta, di avere in tasca la scommessa vincente. Si sbaglia. E mentre lo strozzino con cui è indebitato può ricattarlo, imponendogli di condurre oltre confine un passeggero molto scomodo, ecco comparire, come una visione dal deserto infuocato, la ragazza che un tempo lo ha rovinato…
Sudore, polvere, sole accecante. Come in un film di Sam Peckinpah, non c’è scampo dalla resa dei conti. Come in un romanzo di Jim Thompson, non si può stare univocamente dalla parte del bene o del male. Si procede su un sentiero di sabbia rovente, scrutando il deserto con occhio febbricitante. Duro e disperato, Vincent Calhoun è l’eroe maledetto che accetta l’ultima scommessa, è il cuore perduto che ritrova i ricordi. Il giorno dei morti è arrivato: lui, solo, deve trovare il proprio riscatto.


"Tijuana, Messico – 1 novembre, ore 14.00
Era la sua capacità tutta speciale di vendicarsi e fartela pagare cara, quello che più lo preoccupava di Tijuana. Con un’aria disinvolta e abbronzata, dietro gli eleganti occhiali avvolgenti, Vincent Calhoun scese dal marciapiede per lanciarsi nel traffico della piazza centrale, facendo entrare immediatamente in azione i clacson. Fermò le automobili alzando le mani e i guidatori videro un americano grande e grosso, con un copricapo da legionario e un abito di cotone bianco, che continuava l’attraversamento della piazza ignorando il fuoco di fila di occhiate malevole. A nessuno passò per la testa l’idea di protestare. A Tijuana c’era gente con cui era preferibile non correre rischi. Da quelli che avevano l’aspetto di Calhoun, giocatori, rettili del deserto, ci si teneva lontani. Una volta entrato nel fresco anello d’ombra che delimitava la piazza, Calhoun si sentì offrire i tre articoli più venduti in città dagli uomini d’affari della prima linea. — Donne, erba o pastiglie… Ho una bella bambina, amico… Te lo succhia fino a tirarti scemo — gli disse un ragazzino seduto su una panchina, il volto ombreggiato dalle fronde degli alberi. Calhoun ignorò l’offerta e continuò ad attraversare la piazza lungo la terra di nessuno fatta di asfalto e luce
violenta. Il caldo penetrante, vivo, gli camminava al fianco come un matto scappato dal manicomio, saliva dal cemento abbagliante e gli passava attraverso le suole delle scarpe. I piedi gli bruciavano come se stesse camminando scalzo, sulla spiaggia. Gli passò per la testa l’idea che in quella piazza, nell’enormità di quello spazio ritagliato nel cuore della città, ci fosse qualcosa di crudele e indio in maniera quintessenziale, qualcosa di cerimoniale. Faceva pensare ai sacrifici umani. Forse la città era davvero ancora tolteca, pensò. Gli operai stavano appendendo luci e festoni sul palco dell’orchestra in vista delle celebrazioni. Una volta dall’altra parte, Calhoun si fermò davanti al chiosco dei giornali all’angolo e comprò il Diario de la Sierra, con gli orari e le quote delle corse a Caliente. In prima pagina il titolo a caratteri cubitali annunciava: LA POLIZIA CERCA FRANK GUZMAN IN TUTTA LA CITTÀ.
— Quando sei nato? — chiese all’edicolante cercando di vederlo nel caotico interno del chiosco. L’uomo, nella sua conchiglia fatta di assicelle, la sola minuscola zona d’ombra nella strada rumorosa, alzò gli occhi. L’americano grande e grosso lo scrutava. L’abito di cotone bianco era immacolato e nelle lenti gialle degli occhiali si rifletteva la sfera del sole.
— ¿Cómo…? — La testa del messicano era incorniciata di riviste femminili che avevano in copertina ragazze dai voluminosi sederi coperti da succinti pantaloncini. Un autobus municipale passò rombando accanto al chiosco e coprì la strada di fumi neri di scarico.
— Amigo… che giorno sei nato? — ripeté Calhoun gridando per sovrastare il frastuono prodotto dall’autobus. Tentò un sorriso che non gli riuscì.
— Mi serve un numero fortunato, — spiegò. — Per le corse.
— Sono nato quando hanno tirato giù Gesù Cristo dalla croce per fregargli il portafoglio, — disse l’uomo, e rise. Batté un colpo sul banco per dare più enfasi alla battuta, convinto di essere stato molto divertente. Calhoun proseguì lungo il marciapiede in direzione del Playa Azul. D’un tratto gli si era chiarito il fatto che Tijuana aveva vinto. Che ritrovare un po’ di fortuna non era più in suo potere. L’aveva esaurita, la suerte. Era evidente. Non ce n’era più. Ognuno dispone di una
certa quantità di fortuna e basta. La sua era finita, tutta, fino all’ultima goccia."

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