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mercoledì 28 luglio 2010

Non mi uccise la morte, di Luca Moretti e Toni Bruno, con un saggio di Cristiano Armati (Castelvecchi). Intervento di Nunzio Festa




















“La notte del 15 ottobre del 2009, il giovane Stefano Cucchi, geometra e, purtroppo per lui ma soprattutto per le divise ex tossico ed epilettico, viene fermato da una pattuglia dei Carabinieri nei pressi del Parco degli Acquedotti di Roma e trovato in possesso di una piccola quantità di hashish. I militari, dopo aver perquisito l’abitazione di Cucchi, arrestano il ragazzo e lo portano in caserma.
Al momento dell’arresto – contrariamente a quanto si è sostenuto – Stefano gode di ottima salute e frequenta quotidianamente un corso di pre-pugilistica. Il giorno dopo il suo arresto, processato per direttissima nel tribunale di piazzale Clodio, ha il volto segnato ma sta ancora bene. Quello è l’ultimo momento in cui i genitori di Stefano Cucchi hanno la possibilità di vedere loro figlio. Perché, una volta condotto nelle celle di sicurezza del tribunale e, da lì, nella sezione penale dell’ospedale Sandro Pertini, Stefano Cucchi emergerà dall’incubo in cui è precipitato soltanto grazie a una serie di immagini raccapriccianti: gli occhi incavati e la mascella rotta come uniche testimonianze di un trattamento crudele e disumano”. Stefano Cucchi, lo dimostrano soprattutto le fotografie che i coraggiosi genitori del ragazzo riescono a scattare dopo insistenza e file per essere autorizzati, è stato prima massacrato di botte e poi lasciato a morire. “Non mi uccise la morte”, lavoro di Luca Moretti e Toni Bruno, è formato, a parte alle foto fatte dai genitori di Stefano Cucchi, da un resoconto che è una narrazione dei fatti, d’una sequenza a fumetti che sintetizza l’amara storia, d’un saggio su altre violenze che poliziotti assassini hanno prodotto nelle carceri italiote. Il libro di Moretti e Bruno ci mette in testa una rabbia potente nei confronti delle divise di turno che si permettono il lusso di fare tutto e più di quello che sognano e vogliono in quanto sono dalla parte della forza. Oltre che essere, in vero, la ‘forza dell’ordine’. Per fortuna, in questo caso, e come per altri atrocità, una parte dell’Italia pur sempre clerico-fascista è insorta. E chiede giustizia. A provare a ragionare di: giustizia e verità. Organi di stampa, perfino, come “Il Fatto Quotidiano” o altri giornali, vedi il solito “Manifesto”, per esempio, sostengono la lotta della sorella (alla quale Stefano Cucchi sapendo di morire chiese d’affidare il suo cane) e chiaramente i genitori stessi del giovane. Fa impressione comprendere, per esempio, come i contenuti di questo libro ci spieghino che invece di dare garanzie alla famiglia – di vedere un figlio – il personale di guardia si permetteva d’assicurare bugie su bugie. Sotto sotto, poi non troppo, infine, si sono fatti atti falsi e indecisi verbali sulle condizioni di salute di Cucchi. Addirittura, appare il coraggio incivile d’alcuni che hanno affermato per iscritto che “il ragazzo si è lasciato morire”. Come se potesse accadere. Come se non fosse noto che quando un incarcerato è costretto a dire che è vittima d’una caduta dalla scale significa che è stato picchiato. Abbiamo capito, e devono pagare i colpevoli, che alcune guardie carcerarie hanno massacrato di botte Stefano Cucchi e che il resto dei complici ha terminato l’assassinio. Un altro assassinio di Stato.

Non mi uccise la morte, di Luca Moretti e Toni Bruno, con un saggio di Cristiano Armati Castelvecchi (Roma, 2010), pag. 111, euro 12.00.

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