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martedì 29 giugno 2010

Corpo stellare, di Fabio Pusterla (Marcos y Marcos 2010). Intervento di Nunzio Festa




















La poesia dell'autore di confine Pusterla, poeta del paesaggio, e dell'umano in quanto attratto molto, o soprattutto, dall'animale, rompe il muro della disquisizione fra post e, persino, fast; perché, tanto per chiarire, il poeta Pusterla ci ricorda che non è tempo d'andare, per lo meno in geografie di versi, a cercare troppo il mistero della definizione stilistica - come non è giusto condire di velocità la voglia e la volontà di scrivere, di fare sempre versi ma annacquati dalla velocità della reazione. “Corpo sellare”, dunque, l'ultima opera dell'autore che vive tra l'Italia e la Svizzera, mantiene in perfetta apertura col passato il permeare del cammino nuovo di questo assoggettarsi al mondo più puro. Se la bellezza, a tratti struggente, di certi passaggi sentimentali, sconvolge (“La mia casa si chiama Resistenza e qui tendo l'orecchio / se mai da sotto suonasse qualcosa”), l'amara letizia d'uno sguardo costantemente, quindi non continuamente, diretto all'operaio che vola dall'impalcatura e, nel frattempo, all'animale che vola verso il macello inseriscono le cadenze di Fabio Pusterla in una spirale d'evocazione a distanza meditata con quel che fu il realismo. Nonostante, appunto, il realismo puro è naufragato, nel naufragio del più puro sogno collettivo, incantato decantato stonato nel globale villaggio. L'antologia è divisa in sei parti. Dove, ad alternarsi con rintocchi di pennino che portano alla rima – ma solamente qualche volta - e soffi di vibrante quanto benignamente molesto verso estremamente in libertà, la silenziosa e accanita parola di Pusterla sosta nel limbo pienamente soddisfatto della riflessione, coraggiosa e severa. Una meditazione senza parruccate. Che, dunque, si sperimenta nella sperimentale costernazione affrontata con il felpato racconto delle “storie dell'armadillo”. Questa silloge del Pusterla, inserita nel terzo spezzone dell'alto “Corpo stellare”, permette a chi legge d'avere, al di là di quello che più facilmente si possa pensare, ovvero il suo contrario, un'esemplare ed esaustiva proiezione d'ogni ricerca del poeta. Che, è certo, intanto l'armadillo trova riparo solo all'apparire d'un altro animale, un topolino, e non comprende l'immobilità e ovviamente la funzionalità d'un carro armato. E, in tutto ciò, “L'armadillo canticchia sul cammino. / Non lo ascolta nessuno. / E' un peccato: se qualcuno lo sentisse / potremmo sapere cosa canta / questo piccolo animale coraggioso. Magari / ci metteremmo in cammino anche noi”. Quasi, nel contempo, fottendosene, l'armadillo, che in un pezzo degli States l'uomo per lui ha inventato una legge che vieta d'ingabbiarlo. La poesia di Pusterla sorride e piange per il dramma umano.

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