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domenica 28 febbraio 2010

"Antigua, vita mia”, di Marcela Serrano (Feltrinelli). Intervento di Vito Antonio Conte

Non è un bel tempo. Neanche quando c'è il sole. Ché il giorno, comunque, è più buio della notte. E la notte, soltanto la notte, porta luminescenze di quiete. Ché tutto tace e ascolto meglio le voci. Sono voci colorate, senza suoni. Non c'è più musica per me. Non ci sono più canzoni. Amiche note non sento più. Nuove note non voglio sentire. Il respiro degli altri mi scivola addosso, senza lasciarmi niente. Il mio respiro è affanno di vuoto. È silenzio d'assenza. È pace di morte. Come quella che, a un certo punto, è toccata a Violeta. A Violeta Dasinski. E, prima di lei, a Cayetana e, prima ancora, a Carlota. Come quella che, a un certo punto, è toccata a Josefa. A Josefa Ferrer. E, prima di lei, a tante altre donne. E a altri uomini. Oggi tocca ogni parte di me, intanto che ancora sei nei passi miei. Tempo che attraversa i tempi. Spazio che si confonde negli spazi. Storie che si ripetono. Tutte uguali. Tutte diverse. E, poi, questa storia, fatta di storie, che incrocia l'unico amore... Sono le 17:50 del 22 febbraio di questo 2010, che, secondo gli astri, riserva (…) buone nuove e fortuna, quando leggo l'ultimo rigo del libro dove ho visto e sentito scorrere altre esistenze. L'ultimo rigo. Non la fine. Ché una fine, anche qui, non c'è. C'è l'ultimo rigo dell'ultima pagina. Poi, quella stessa pagina, è (in gran parte) bianca. Ci si può scrivere di tutto. Io c'ho scritto, con grafia minuta (con i caratteri più piccoli che potevo, ché rimanesse più spazio possibile...), “terribilmente bello”. Riferito al romanzo... L'Autrice la conoscevo già, il libro non come ora: dell'una e dell'altro avevo detto e scritto, del tutto incidentalmente, in altre occasioni. “Antigua, vita mia”, di Marcela Serrano (Universale Economica Feltrinelli, pagine 293, € 7,50, nella dodicesima edizione del 2008), è un romanzo (avevo scritto romanza e... non è un caso...) la cui trama si perde nella storia narrata e riemerge in tutte le storie che il racconto accoglie. C'è grande intensità in questo romanzo. C'è grande passione nella scrittura di queste storie. Storie di donne e di uomini. Che si incontrano. Si amano. E si distruggono, distruggendo l'amore. Alla ricerca di se stessi. Ché non si può vivere una storia d'amore per sempre se quel sempre non t'esce dalle viscere e se quelle viscere ignori. Violeta e Josefa, due donne divenute tali tenendosi per mano sin da bambine. L'una, architetto, costantemente alla ricerca dell'essenza della bellezza, praticandola. Sino all'estremo. Sino alla follia. Sino all'omicidio. Sino alla fine di una vita. Sino alla nascita di una nuova (vita). Con la forza impressa nella carne dal destino. Con il destino disvelato da una profezia. Con la profezia perseguita (inconsapevolmente...) con la serenità della consapevolezza che fare la propria parte porterà nel luogo desirato. Quello ch'era scritto nella prima riga mancante di un verso (della Rich). Quello trovato nel verso che mancava e che nessun altro può scrivere per te. Antigua, vida mia. L'altra, famosa cantante, tesa a costruire una carriera. Non tanto per sé, quanto per sua madre e per altro. Sino a esaurire ogni risorsa. Sino a perdere ogni contatto reale. Sino a perdere se stessa. Due esistenze rievocate sul doppio filo della memoria, traverso le pagine di un diario, e della ricerca della verità, nel mentre tutto d'intorno non consente pause. Antigua, vida mia. E poi ci sono uomini e uomini. Brutali e sbagliati. Dolci ma lontani. “La dolcezza... non che in giro ce ne sia molta, a dire il vero. È merce rara.” Quando è vera. E, come spesso accade, l'autenticità risiede in un luogo dove il ritmo è lento, dove il percorso è segnato dai mille verdi della natura, dove l'anima si ritrova. Antigua, vida mia. Lì, in Guatemala, le profonde identità femminili di Violeta e di Josefa si aprono a se stesse e... l'esistenza diviene piena. Ché c'è bisogno di conoscersi per credere nella migliore vita possibile. Ché c'è bisogno di credere in quel che si fa per vivere la vita che si vuole. Ché c'è bisogno di assaporare l'attesa, istante dopo istante, muovendosi con armonia (dentro e fuori...). “Una volta la bambina le chiese: . le rispose la madre in tono sicuro. ” È solo una citazione tra le tante che sarei tentato di trascrivere. È quella che mi piace di più... Mi fa pensare, traverso l'esistenza delle donne di questo romanzo, che hanno attraversato diversi lustri, a un pensiero che m'era venuto la mattina di giovedì della scorsa settimana e che avevo condiviso... via filo. Cosa c'è tra l'aver abitato una casa da bambino, averla perduta, e poi -da adulto- ritrovarla e non trovare più tutte le persone care che con te l'avevano abitata? Domanda suscitata dalla lettura di “Antigua, vita mia”, che altre ne pone al lettore. E risposte, anche, dà. Non la risposta. Ma una risposta. Credevo che per quella domanda la migliore risposta fosse: tutto il tempo tuo e degli altri e altri luoghi. Ma, poi, durante la lettura, ne ho trovata un'altra: “Non sto dicendo che una strada è migliore dell'altra. Questa è quella di cui avevo bisogno io, tu lo sai bene. Ho passato la vita a cercare un modo coerente di vivere e sento di averlo trovato. Ci sono un'infinità di soluzioni possibili.” Inserisco un altro CD nell'apparecchio... nel mentre è arrivata un'altra sera, ma non c'è più musica per me! Antigua, vida mia.


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