domenica 28 febbraio 2010

Il libro del giorno: La principessa di ghiaccio di Camilla Läckberg (Marsilio)

Erica Falck è tornata nella casa dei genitori a Fjällbacka, incantevole località turistica sulla costa occidentale della Svezia che, come sempre d’inverno, sembra immersa nella quiete più assoluta.
Ma il ritrovamento del corpo di Alexandra, l’amica d’infanzia, in una vasca di ghiaccio riapre una misteriosa vicenda che aveva profondamente turbato il piccolo paese dell’arcipelago molti anni prima. Erica è convinta che non si tratti di suicidio, e in coppia con il poliziotto Patrik Hedström cerca di scoprire cosa si nasconde dietro la morte di una persona che credeva di conoscere.
A trentacinque anni, con la sensazione di non sapere bene cosa volere nella vita ma stimolata da un nuovo amore, approfitta del suo status di scrittrice per smascherare menzogne e segreti di una comunità dove l’apparenza conta più di ogni cosa. Tra gli ultimi clamorosi fenomeni del poliziesco svedese, Camilla Läckberg è stata in patria l’autrice più venduta per tre anni consecutivi; grazie ai suoi personaggi così ricchi di sfumature e alle trame attente agli aspetti più oscuri della psicologia umana è stata definita dalla critica la nuova Agatha Christie del Nord.

Camilla Läckberg (1974), prima di diventare una delle più celebri e vendute autrici di polizieschi della Svezia, ha lavorato per diversi anni nel marketing. Oggi, madre di due figli, vive a Stoccolma dove continua a scrivere la sua fortunata serie tradotta in ventisette paesi, che ha venduto finora nel mondo più di sei milioni di copie. Da questo primo episodio della serie, vincitore in Francia del Grand Prix de Littérature Policière, sarà realizzato un film.

"Antigua, vita mia”, di Marcela Serrano (Feltrinelli). Intervento di Vito Antonio Conte

Non è un bel tempo. Neanche quando c'è il sole. Ché il giorno, comunque, è più buio della notte. E la notte, soltanto la notte, porta luminescenze di quiete. Ché tutto tace e ascolto meglio le voci. Sono voci colorate, senza suoni. Non c'è più musica per me. Non ci sono più canzoni. Amiche note non sento più. Nuove note non voglio sentire. Il respiro degli altri mi scivola addosso, senza lasciarmi niente. Il mio respiro è affanno di vuoto. È silenzio d'assenza. È pace di morte. Come quella che, a un certo punto, è toccata a Violeta. A Violeta Dasinski. E, prima di lei, a Cayetana e, prima ancora, a Carlota. Come quella che, a un certo punto, è toccata a Josefa. A Josefa Ferrer. E, prima di lei, a tante altre donne. E a altri uomini. Oggi tocca ogni parte di me, intanto che ancora sei nei passi miei. Tempo che attraversa i tempi. Spazio che si confonde negli spazi. Storie che si ripetono. Tutte uguali. Tutte diverse. E, poi, questa storia, fatta di storie, che incrocia l'unico amore... Sono le 17:50 del 22 febbraio di questo 2010, che, secondo gli astri, riserva (…) buone nuove e fortuna, quando leggo l'ultimo rigo del libro dove ho visto e sentito scorrere altre esistenze. L'ultimo rigo. Non la fine. Ché una fine, anche qui, non c'è. C'è l'ultimo rigo dell'ultima pagina. Poi, quella stessa pagina, è (in gran parte) bianca. Ci si può scrivere di tutto. Io c'ho scritto, con grafia minuta (con i caratteri più piccoli che potevo, ché rimanesse più spazio possibile...), “terribilmente bello”. Riferito al romanzo... L'Autrice la conoscevo già, il libro non come ora: dell'una e dell'altro avevo detto e scritto, del tutto incidentalmente, in altre occasioni. “Antigua, vita mia”, di Marcela Serrano (Universale Economica Feltrinelli, pagine 293, € 7,50, nella dodicesima edizione del 2008), è un romanzo (avevo scritto romanza e... non è un caso...) la cui trama si perde nella storia narrata e riemerge in tutte le storie che il racconto accoglie. C'è grande intensità in questo romanzo. C'è grande passione nella scrittura di queste storie. Storie di donne e di uomini. Che si incontrano. Si amano. E si distruggono, distruggendo l'amore. Alla ricerca di se stessi. Ché non si può vivere una storia d'amore per sempre se quel sempre non t'esce dalle viscere e se quelle viscere ignori. Violeta e Josefa, due donne divenute tali tenendosi per mano sin da bambine. L'una, architetto, costantemente alla ricerca dell'essenza della bellezza, praticandola. Sino all'estremo. Sino alla follia. Sino all'omicidio. Sino alla fine di una vita. Sino alla nascita di una nuova (vita). Con la forza impressa nella carne dal destino. Con il destino disvelato da una profezia. Con la profezia perseguita (inconsapevolmente...) con la serenità della consapevolezza che fare la propria parte porterà nel luogo desirato. Quello ch'era scritto nella prima riga mancante di un verso (della Rich). Quello trovato nel verso che mancava e che nessun altro può scrivere per te. Antigua, vida mia. L'altra, famosa cantante, tesa a costruire una carriera. Non tanto per sé, quanto per sua madre e per altro. Sino a esaurire ogni risorsa. Sino a perdere ogni contatto reale. Sino a perdere se stessa. Due esistenze rievocate sul doppio filo della memoria, traverso le pagine di un diario, e della ricerca della verità, nel mentre tutto d'intorno non consente pause. Antigua, vida mia. E poi ci sono uomini e uomini. Brutali e sbagliati. Dolci ma lontani. “La dolcezza... non che in giro ce ne sia molta, a dire il vero. È merce rara.” Quando è vera. E, come spesso accade, l'autenticità risiede in un luogo dove il ritmo è lento, dove il percorso è segnato dai mille verdi della natura, dove l'anima si ritrova. Antigua, vida mia. Lì, in Guatemala, le profonde identità femminili di Violeta e di Josefa si aprono a se stesse e... l'esistenza diviene piena. Ché c'è bisogno di conoscersi per credere nella migliore vita possibile. Ché c'è bisogno di credere in quel che si fa per vivere la vita che si vuole. Ché c'è bisogno di assaporare l'attesa, istante dopo istante, muovendosi con armonia (dentro e fuori...). “Una volta la bambina le chiese: . le rispose la madre in tono sicuro. ” È solo una citazione tra le tante che sarei tentato di trascrivere. È quella che mi piace di più... Mi fa pensare, traverso l'esistenza delle donne di questo romanzo, che hanno attraversato diversi lustri, a un pensiero che m'era venuto la mattina di giovedì della scorsa settimana e che avevo condiviso... via filo. Cosa c'è tra l'aver abitato una casa da bambino, averla perduta, e poi -da adulto- ritrovarla e non trovare più tutte le persone care che con te l'avevano abitata? Domanda suscitata dalla lettura di “Antigua, vita mia”, che altre ne pone al lettore. E risposte, anche, dà. Non la risposta. Ma una risposta. Credevo che per quella domanda la migliore risposta fosse: tutto il tempo tuo e degli altri e altri luoghi. Ma, poi, durante la lettura, ne ho trovata un'altra: “Non sto dicendo che una strada è migliore dell'altra. Questa è quella di cui avevo bisogno io, tu lo sai bene. Ho passato la vita a cercare un modo coerente di vivere e sento di averlo trovato. Ci sono un'infinità di soluzioni possibili.” Inserisco un altro CD nell'apparecchio... nel mentre è arrivata un'altra sera, ma non c'è più musica per me! Antigua, vida mia.


sabato 27 febbraio 2010

Cristi polverizzati di Luigi Di Ruscio (Le Lettere, collana "fuori formato" diretta da Andrea Cortellessa)

L'’individuo è la forma assoluta, vale a dire è la certezza immediata di se stesso ed è quindi, se si preferisce questa espressione, incondizionato essere.

G. W. F. Hegel, Prefazione alla Fenomenologia dello spirito


Parto difficilissimo, spesso si nasce venendo stritolati, lo shock dell’aria freddissima rispetto al calore del ventre materno, la luce vivissima, i rumori assordanti, la poesia retrocede verso la prima angoscia, potevano immaginare che l’elettroshock rimettesse le cose al loro posto perché era come se lo shock iniziale si ripetesse, l’angoscia di rimanere rinchiusi in un ventre per sempre, l’essere che dilegua nel nulla è il passare e morte, il nulla che dilegua nell’essere è il sorgere e la nascita, la morte è un ritornare nella condizione prenatale, quando ero il niente che viveva il niente e di questa condizione mai nessuno si è lagnato. Certi nascono da una vagina apertissima ed escono come imperatori dalla porta sacra tutto oliato e pronto per l’esposizione. Certi come ghigliottinati e fucilati morivano al centro di un festoso cerimoniale. Ero immerso nelle acque fetali, sono immerso in questa acqua sociale. Certi con rendite stupefacenti morivano torturati da costosissimi interventi chirurgici, straziati da speculate operazioni chirurgiche, certi muoiono agli angoli delle strade avvolti da una calma stupefacente. Siamo nati e poteva anche non nascere niente, una volta mia moglie mi disse che non dovevo disperarmi tanto, noi siamo nati e tanti neppure riescono a nascere. Mi è stato raccontato che prima di nascere eravamo nel pensiero d’Iddio, poteva non nascere niente, non facciamo confusioni tra il niente e il vuoto, il niente non può essere neppure riempito. Il niente può solo trapassare nell’essere più spettacoloso. Oppure come nelle bellissime svalutazioni quando milioni si tramutano in milioni di niente. Mia moglie rimaneva continuamente incisa, incinta, nonostante che non facevo che adoperare gomme di tutti i tipi conosciuti e pensavo di chiamare la mia ultima raccolta dentro il ventre del mostro, chiuso per sempre nella società dello sfruttamento e dei mangiatori di uomini. Gli eletti, i migliori si divertivano in bellissimi massacri, se non appartieni al popolo d’Iddio sarai prima o poi un assassino, se appartieni ad un popolo separato sarai prima o poi assassinato, così vedevo le cose ed invece era tutto più complicato e terrificante, non è detto che la vittima sia una persona per bene, tante volte prima d’ammazzarli li abbrutiscono e perdevo tempo con poesie che sembravano macchinette verbali produttrici di niente. Tentare di cambiare il mondo con una forsennata scrittura, anche questa cazzata ho immaginato, a Milano perfino l’aria è diventata pericolosa e pensano alle poesie, per la mancanza di aria respirabile non ci saranno proteste, potremo agitarci solo per i mali immaginari. Nonostante che mai ho avuto un’auto e spengo a sproposito i radiatori e non consumo neppure l’energia della dinamo della mia bicicletta. Siamo tutti peccatori e il miracolo della vita in questo pianeta non è cosa eterna e un miracolo sarà necessario per la sopravvivenza degli insetti più corazzati e il sottoscritto inabile in tutto può permettersi il lusso di scrivere le poesie.

ricevo dell'autore e pubblico volentieri la prima pagina, e la copertina con l'opera di
Osvaldo Licini.

Il libro del giorno: Il tempo che vorrei di Fabio Volo (Mondadori)

"I'll trade all my tomorrows for a single yesterday: cambierei tutti i miei domani per un solo ieri, come canta Janis Joplin." È forse proprio questo il tempo che vorrei. Lorenzo non sa amare, o semplicemente non sa dimostrarlo. Per questo motivo si trova di fronte a due amori difficili da riconquistare, da ricostruire: con un padre che forse non c'è mai stato e con una lei che se n'è andata. Forse diventare grandi significa imparare ad amare e a perdonare, fare un lungo viaggio alla ricerca del tempo che abbiamo perso e che non abbiamo più. È il percorso che compie Lorenzo, un viaggio alla ricerca di se stesso e dei suoi sentimenti, quelli più autentici, quelli più profondi. Il nuovo libro di Fabio Volo è anche il più sentito, il più vero, e la forza di questa sincerità viene fuori in ogni pagina. Ci si ritrova spesso a ridere in momenti di travolgente ironia. Ma soprattutto ci si ritrova emozionati, magari commossi, e stupiti di quanto la vita di Lorenzo assomigli a quella di ciascuno di noi.

299+1 di Leo Ortolani (Panini Comics)













Nel periodo che va da maggio ad ottobre 2007 l'mp3 della "LEZIONE SU 300" tenuta da Wu Ming 1 è stato scaricato più o meno da 8000 volte e fin dai primi giorni ha suscitato un notevole interesse. Una vera e propria lectio magistralis, su un film che definire epico e adrenalinico sarebbe più che riduttivo. 300 di Zack Snyder (e l’ombra del grande “maestro burattinaio” Frank Miller) con Gerard Butler, Vincent Regan, Lena Headey, e David Wenham è divenuto nel giro di poco un film cult. Si parla dell’epica battaglia delle Termopili e dell’ostinato coraggio e virile impeto del re Leonida e e dei suoi 300 soldati che affrontarono la morte pur di ritardare l'avanzata di Serse con il suo terribile e immenso esercito. Un gesto che spinse tutte le città greche a unirsi contro l'invasore, in nome della loro indipendenza, della loro democrazia, della loro civiltà. Panini Comics ora ristampa a colori 299+1. Attenzione però, devo dirlo: questo albo è pericoloso, così come sono pericolosi tutte quelle pubblicazioni che in qualche modo eccitano in maniera dirompente, attraverso parole e immagini, la fantasia dei lettori. Nello specifico perché si tratta di Leo e Lorenzo Ortolani che sono in grado di integrare elementi di un certo spessore vuoi per contenuti che per maturità di stile, e nello stesso tempo a far convivere la battuta all’acido solforico con i più alti slanci lirici e da “volontà di potenza” propri degli eroi. In questo 299+1 il lettore viene letteralmente stordito dalla forza di questo lavoro, dal suo pathos, dalla sua drammaticità, dove i colori sono in grado di far respirare e rievocare gli abissi dell’universo mitico e abbacinante creato da Frank Miller. Il distillato finale è un mix di boutade, non/sense, degni di una parodia di altissima qualità che solo un grande rat-volume come questo può dare! E allora non c’è altro da fare che godersi questo meschino, basso, sfigato fanfarone che è Rat Man, nei panni però di un grande della storia come Leonida. Il confronto non regge? Leggete prima l’album e poi se ne potrà riparlare

venerdì 26 febbraio 2010

Il libro del giorno: Io chi sono? (dialoghi sulla musica e lo spirito) edito da Mondadori a cura di Daniele Bossari

Le parole di Franco Battiato, nelle sue canzoni come in questo libro, hanno il raro pregio di trasportare la mente lontano dai luoghi ordinari, trascinarla in voli imprevedibili e ascese velocissime attraverso mondi esotici ed esoterici. "Battiato - Io chi sono?" è un distillato del suo pensiero, un'immersione nell'universo filosofico e spirituale che fa da matrice alle sue canzoni (e ogni volta scoprire l'origine di un verso amato è una vertigine, una piccola illuminazione). Pagina dopo pagina, si incontrano storie e geografie straordinarie, lama tibetani e maestri sufi, passi dei Veda e del Mahabharata, insegnamenti del buddismo e della teosofia. Si discute di musica e di meditazione, di morte e di rinascita, di estasi mistiche e viaggi psichedelici, dei modi per resistere alla "cloaca" del mondo contemporaneo. Daniele Bossari, appassionato come un fan e competente come un esperto, interroga Battiato nello stesso modo in cui un allievo farebbe col suo guru, spinto da quel proverbio giapponese per cui "chiedere è vergogna di un momento, non chiedere è vergogna di una vita".

Azazel di Youssef Ziedan (Neri Pozza)


Si sente in giro nell’aria e non solo tra gli accademici, ma anche in ambienti e circoli letterari, un rinascente interesse verso le eresie del primo cristianesimo, come punto di partenza forse per capire alcunie istanze che sono alla base della nostra religiosità. Alain Le Boulluec considerò Giustino di Nablus (100-162) il primo apologeta ad utilizzare sistematicamente il termine "eresia" per combattere le correnti cristiane considerate devianti. Quando parliamo di eresia, sfogliando nel nostro vocabolario mentale, facciamo riferimento subito a quel termine che sta ad indicare una dottrina contraria ai dogmi riccorenti e ai principi di una determinata religione, nel nostro caso associamo subito questa parola a tutto ciò che devia in qualche modo dalla Chiesa Cattolica. Poi quasi a parità di impulso rimembrante ecco che spunta dal buio della memoria il termine eretico ovvero colui che "sceglie" solo una parte della dottrina "ortodossa", ma non accetta alcun compromesso su altre questioni. Per chi ricorda invece gli insegnamenti di qualche vecchio professore di filosofia che magari ha fatto bene il suo lavoro, ecco che non risultano in questi ambiti come perfettamente sconosciuti nomi come Nestorio, Ipazia, Ireneo, Ario, Donato e chi più ne ha più ne metta. Mi è capitato di leggere un libro straordinario che mi ha ricordato un po’ di questi argomenti. Parlo del volume edito da Neri Pozza dal titolo Azazel di Youssef Ziedan, vincitore del premio internazionale per il miglior romanzo in lingua araba del 2008, ovvero il primo best-seller che ritrae con grande maestria l'intera cultura mediterranea, tra Alessandria e Gerusalemme, Efeso e Aleppo. A Ipa, un monaco egiziano, non serve altro per vivere nel suo monastero sulla strada tra Aleppo e Antiochia, che una cella di due metri per lato, una malridotta porta di legno, un tavolino con un calamaio, una logora lampada con lo stoppino. Siamo nel V secolo, un momento della storia della Cristianità carico di fanatismo, di lotte fratricide, dove vivere in Cristo e per Cristo significa essere di questa o quella fazione. Nestorio, l'abba che vigila paternamente su Ipa, è nell’occhio di un ciclone. Nel 428 d.C. è stato nominato Vescovo di Costantinopoli e ora pesa su di lui l’accusa di apostasia, che gli ha “fruttato” ben 12 anatemi da parte del Patriarca Cirillo, l'Arcivescovo di Alessandria. Il V secolo è un momento della storia della cristianità che si macchia già del primo errore, quello di scomunica di un “illuminato” (non sarà il solo se si pensa a Giordano Bruno) dal volto e dalle mani sante, reo di aver pensato che Dio sia stato generato da una donna. Un tempo infausto per Ipa, costretto a subire gli attacchi della passione, della lussuria e del cuore da quando ha conosciuto Marta ad Aleppo. Un tempo infausto anche per la sua anima, trascinata nell’abisso dell’angoscia tanto che gli sembra a volte di parlare con Azazel, il diavolo in persona., simbolo della scepsi senza posa e metafora del dubbio. Un tempo infausto dunque per Ipa, che vive la grandezza di Alessandria d’Egitto come caos e turpitudini. Si tratta di un’opera immensa che non mancherà di suscitare critiche, un grande evento letterario, che ha già causato forti polemiche religiose, letterarie e politiche.

giovedì 25 febbraio 2010

Il libro del giorno: Milano non esiste di Dante Maffìa (Hacca edizioni)

Questo nuovo romanzo di Dante Maffìa è un altro importante tassello di quel grande mosaico che è la narrativa calabrese moderna (Alvaro, La Cava, Répaci, Strati, Seminara, Abate, ecc.), ma è soprattutto un inaspettato “ritorno” della gloriosa “letteratura industriale” italiana, declinata in anni recenti alla sola precarietà lavorativa. Milano non esiste è un ribaltamento delle nostre certezze sociologiche, perché ci racconta un’Italia ancora furiosamente arrabbiata con “i padroni”, ancora tormentata dall’alienazione, dal disadattamento urbano e dalla nostalgia per la propria terra di origine. Vengono in mente almeno quattro illustri antecedenti: Memoriale di Paolo Volponi, Vogliamo tutto di Nanni Balestrini, Tuta blu di Tommaso Di Ciaula e Nord e Sud uniti nella lotta di Vincenzo Guerrazzi. Il protagonista di questo romanzo è un operaio calabrese che vive a Milano da quarant’anni. È sposato con una donna milanese e ha sei figli.
Mancano pochi anni al pensionamento, e finalmente il suo sogno può realizzarsi: tornare nel paese calabrese dov’è nato, godere della luce del Sud, passare le giornate a guardare il mare. Nel frattempo, però, nella sua fabbrica si muore, Milano appare sempre più incomprensibile nel suo orrore sociale e urbanistico e “la peste” della modernità sembra aver tramortito ogni forma di fraternità. Lentamente si avvicina il giorno del ritorno, ma l’operaio calabrese non ha fatto i conti con i figli, che di andare a vivere in Calabria non ne vogliono sapere. Da quel momento in poi da “romanzo di fabbrica” il libro di Maffìa diventa romanzo psichiatrico, perché l’operaio è ogni giorno di più afflitto da una cocciuta mania ossessiva (il paese del Sud come paradiso, la città del Nord come inferno), tanto da rischiare la psicosi paranoide. Chiunque tra i famigliari prova a fargli capire che tornare in Calabria con sei figli grandi è impossibile diviene ai suoi occhi un nemico. Ma il suo progetto non subisce ripensamenti, e infatti alla fine riuscirà a tornare nel suo Eden calabrese, dove riabbraccerà la Casa, il mare, gli odori, la lingua, la pace, a costo, però, di una estrema e autistica solitudine. Milano non esiste è un romanzo scritto con la furia orale di un operaio non acculturato; è un lungo e barbarico monologo viscerale; ma è, soprattutto, un romanzo su quell’umile Italia popolare che ancora odora di pelle, di lavoro, di rabbia, di vino, di sudore e di carne. Un’Italia vera, senza maquillage. Hanno letto il testo ancora inedito Giorgio Barberi Squarotti, Claudio Magris, Alberto Bevilacqua, Luigi Reina e Sebastiano Martelli.
Barberi: “Prima del guaio e di nuovo ora ho letto il tuo romanzo. Secondo me è uno dei pochissimi romanzi davvero degni e grandi degli ultimi decenni e uno dei fondamentali in genere del nostro novecento. Hai mirabilmente reinventato un tema decisivo del nostro tempo diviso e contraddittorio: l’angoscia, l’ansia, l’incertezza, il dubbio fra il nuovo (così confuso e senza valori) e le radici che dovrebbero essere davvero per tutti il riferimento… Pubblicherai il romanzo? Aggiungo che la scrittura è perfetta, elegante, rigorosa, efficacissima”.
Magris: ''Si tratta di un libro scomodo, che arriva nel profondo, che mette dinanzi alla realtà del dolore e della perdita dei valori in maniera violenta. Mi viene da dirti, ma lo faccio con molta cautela perché troppo si è abusato della parola, che hai scritto un capolavoro”.
Bevilacqua: “Lo sapevo che eri bravo, che sei uno dei nostri grandi poeti… con questo romanzo così sincopato, così privo di veli, così rutilante... subito occuperai un posto notevole, alto, anche tra i narratori”.
Reina: “Ho cominciato a leggere come legge un amico, con la disponibilità che sempre ho nei tuoi riguardi e a un certo punto ho sentito i brividi, ho sentito la “cattiveria” dello scavo. La materia trattata è incandescente, viva, e mostra la tragedia del nostro tempo attuale con una efficacia rara oggi tra i narratori non soltanto italiani”.
Martelli: “Io sono un sociologo della letteratura, uno che guarda, oltre che allo stile e alla struttura di un romanzo, anche agli aspetti che toccano il sociale. Ebbene, questo tuo libro è la sintesi perfetta di ciò che oggi sta avvenendo nel Mediterraneo e altrove. Il protagonista è il simbolo di milioni di emigranti che non trovano pace e non sanno inserirsi nei nuovi approdi; è come se il suo essere spaccato in due non potesse, non può mai trovare senso. Credo che tu abbia fatto centro e che ''Milano non esiste'' si imporrà perentoriamente all’attenzione dei critici e dei lettori, diventerà un best seller”.

Tutta mio padre, di Rosa Matteucci, Bompiani (Milano, 2010). Intervento di Nunzio Festa


Roro è ormai donna. Ha superato tanto. Troppo. Difficoltà nate soprattutto con la decadenza economica della famiglia. Ma è comprensibile quanto la protagonista di “Tutta mio padre” sia stata comunque perseguitata, in molti sensi, dalle stessi origini patrizie. La protagonista del nuovo romanzo della talentuosa Matteucci, Rosa, appunto, narra di lei e dei Suoi. Ma adesso che la famiglia è finita. Tutta. In una specie di dialogo con un'altra persona. E questo è testimoniato più esattamente nel finale. L’ambientazione principale dell’opera è la terra umbra, in particolare un pezzettino d’Orvieto. Dove s’insegue ancora il sogno sonoro della nobiltà. Con strascichi che invadono il futuro della più giovane di casa; quella che si deve sbrigare a crescere: sacrificarsi. Nonostante sia in pratica il soggetto più amato. Se pur per il tramite d’una forma d’amore non sempre dimostrata e alquanto ‘originale’. La scrittrice cesella scene e spiega tormenti ricorrendo a una cadenza che aggiunga a tratti somatici del passato il viaggio d’una lingua moderna cosparsa da termini ultra moderni, francesismi e altri delicati accorgimenti. Nonostante una normalità molto gradevole del tono. Rosa Matteucci inventa una trama a metà fra le pazzie di Gaetano Cappelli e il ricorso alla narrazione di Andrea Vitali. Matteucci, dunque, si conferma narratrice di razza, come direbbero quindi i puro sangue della critica e della lettura. Indubbiamente, nella maggior parte degli spazi la Matteucci fa scoprire a lettrice e lettore i segni del pensiero, ovvero (puntatina che farebbe l’autrice stessa) s’interessa di quella che abbiamo imparato con la dizione corrente di ‘psicologia dei personaggi’. L’unico nota negativa, se così è lecito puntualizzare, risiede nell’accanimento a tenere troppo lontani dalle angolazioni varie il temperamento dell’agone politico e del verbo sociale. Perché nei pezzi dove anche questo aspetto non è snobbato, si ricevono una serie di fratture utili allo stesso tempo a inquadrare le movimentazioni dei settori civili. Indubbiamente, le fasi di maggior valore sono rintracciabili nel rapporto fra i membri del ‘clan’ famigliare con il resto del mondo. Oltre alla bella invenzione del quanto. Rosa Matteucci con “Tutta mio padre” scrive pagine narrative che giocano con il pensiero dello svago agganciato ai fervori di tempi che cambiano per tutti, o quasi.


mercoledì 24 febbraio 2010

Il libro del giorno: La baracca dei tristi piaceri di Helga Schneider (Salani)

"Stava lì, l'aguzzina delle SS, capelli biondi e curati, il rossetto sulla bocca dura, l'uniforme impeccabile... Stava lì e pronunciò con sordida cattiveria: "Ho letto sulla tua scheda che eri la puttana di un ebreo. È meglio che ti rassegni: d'ora in poi farai la puttana per cani e porci". Così racconta l'anziana Frau Kiesel all'ambiziosa scrittrice Sveva, dando voce a un dramma lungamente taciuto: quello delle prigioniere dei lager nazisti selezionate per i bordelli costruiti all'interno stesso dei campi di concentramento, con l'ipocrita e falsa giustificazione di voler limitare l'omosessualità tra i deportati. Donne i cui corpi venivano esposti ai sadici abusi delle SS e dei prigionieri maschi - spesso veri e propri relitti umani che malgrado tutto preferivano rinunciare a un pezzo di pane per scambiarlo con pochi minuti di sesso. Donne che alla fine della guerra, schiacciate dall'umiliazione e dalla solitudine, invece di denunciare quella tragedia fecero di tutto per nasconderla e seppellirla dentro di sé. In questo capitolo della memoria storica personale e collettiva, Helga Schneider continua, con lucidità e compassione, ma anche con implacabile giudizio, a dare testimonianza di ciò che è accaduto perché non si ripeta mai più.

L’oscurità e la luce di Mayumi Hattori (Controluce edizioni). Intervento di Luisa Ruggio


Ci sono romanzi bellissimi che restano a lungo - involontariamente - segreti, vivono una vita propria, invisibile, scavano un percorso parallelo a quello dei titoli urlati, sovraesposti.
E’ difficile per questi libri uscire dal buio dell’anonimato, trovare il pubblico che meritano, avere fortuna.

E’ il caso del romanzo di Mayumi Hattori, la scrittrice giapponese scomparsa nel 2007 e praticamente sconosciuta in Italia, “salvata” dalla casa editrice Controluce che ha pubblicato“L’oscurità e la luce“, (Pagine 216, ISBN:978-88-6280-010-5 euro 15,00) un romanzo la cui potenza è resa perfettamente grazie alla traduzione di Daniela Guarino. Mayumi Hattori ha regalato ai lettori che sapranno cercare “L’oscurità e la luce“, un romanzo magnetico, polare, che costruisce con semplicità - pagina dopo pagina - il gioioso piacere di leggerlo vivendo nella propria mente una straordinaria rivoluzione percettiva, man mano che la storia si impone attraverso la dimensione del narrare. Il romanzo è il flashback di una bambina cieca, Reia, confinata in un mondo minimo - come la torre inaccessibile di Rapunzel - con il padre, un re spodestato che insieme all’inquietante guardiana Dafne e al cane Dark costituisce il suo unico contatto con il mondo. Un mondo trasfigurato dalla letteratura, dalla musica, gli odori e l’arte che scandiscono le stagioni dell’infanzia e l’adolescenza di Reia fino a restituirle un altro tipo di sguardo, delicato e profondo, che sposta anche il punto di vista del lettore trascinandolo, quasi eroticamente e senza i soliti trucchi, nella sfera del sogno e della proiezione, attualizzando il mito di Tiresia di cui scrisse anche Ovidio nelle Metamorfosi ( l’indovino reso cieco dalla dea Era per aver svelato - dopo essere stato tramutato in femmina per sette anni - che la donna prova un piacere sessuale maggiore a quello dell’uomo) e tenendo testa al carismatico “Demian” di Hermann Hesse, il capolavoro dal quale fa capolino Abraxas, il Dio demone della Gnosis. La quarta di copertina, cautamente, non svela i colpi di scena e i tanti livelli di lettura di questo romanzo-pozzo, “Konc yami to hikari” il titolo originale dell’opera che rimarca la transessualità del linguaggio senza mai abusarne e, anzi, con la leggerezza tipica dei film d’animazione di Hayao Miyazaki e i thriller psicologici di Hitchcock, David Lynch e, per la qualità ambigua delle atmosfere emotive fa pensare a “La moglie del soldato” di Neil Jordan.

In un mercato editoriale saturo di adolescenti che raccontano la perdita dell’innocenza, “L’oscurità e la luce” di Mayumi Hattori traccia il percorso inverso, la conquista dell’innocenza e la tensione sessuale, magistralmente sospesa, tra Reia e il suo mentore padre-sovrano che ricordano un’altra strana coppia magica, raccontata da Luc Besson nel film “Léon“, la ragazzina Mathilda e il sicario che la adotta dopo aver assistito all’assassinio dei suoi genitori. Non si può parlare fino in fondo di questo libro senza rivelare troppo della sua trama mozzafiato, bisogna dire che non è una storia staccata dal quotidiano. Leggendola viene in mente il romanzesco e la psicanalisi che si annidano in tanta cronaca contemporanea, un’osmosi che sembra la conseguenza naturale di un’eredità gotica, basti pensare al caso in dubbio di Sindrome di Stoccolma di Natascha Kampusch, la ragazza austriaca che nel 2006 diventò popolare dopo essere fuggita dal rapitore che l’aveva fatta letteralmente sparire nel 1998, la Kampusch dichiarò che se lo avesse voluto si sarebbe liberata prima. Mayumi Hattori trae in inganno, con una sincerità totale, anche il lettore più lungimirante, seducendolo con la poesia involontaria dei colori, un prisma dal quale i bambini si lasciano attraversare fino in fondo per stupore. Il libro sa anche tacere, la scrittura si ferma in tempo e lascia spazio alla musica di Glenn Gould quando si tratta di raccontare come funziona l’educazione sentimentale di un sognatore o di un idiota nel senso caro a Dostojevski che la Hattori doveva amare molto insieme a Botticelli, William Byrd e favole-chiave come Barbablù e Raperonzolo sottratte all’alluvione dei generi e portate con nochalance a bordo di questo romanzo-Arca che segue alle numerose raccolte di racconti mistery firmate da Hattori. Il piacere che si prova leggendo questo libro che si compone di due parti, proprio come l’oscurità e la luce, il bene e il male, il femminile e il maschile, è una promessa mantenuta fino all’ultima parola. Non è un piacere casuale, deriva dal sentire la facilità di una scrittura che scorre come sale l’ebbrezza alcolica, senza resistenze, senza strappi, con ritmo costante. Un ritmo che ricorda il tipo di esperienza che vorresti vivere quando scegli un libro, diventando il lettore che legge un libro dal quale viene a sua volta letto. Condizione che, col libro giusto in mano, implica molte sfumature intermedie. Qualche volta le sfumature di un libro sono felicità senza motivo. Le sfumature de “L’oscurità e la luce” lo sono.

martedì 23 febbraio 2010

Il libro del giorno: L'ipnotista di Lars Kepler (Longanesi)

Si chiama Erik Maria Bark ed era l’ipnotista più famoso di Svezia. Poi qualcosa è andato terribilmente storto e la sua vita è stata a un passo dal crollo. Ha promesso pubblicamente di non praticare mai più l’ipnosi e per dieci anni ha mantenuto quella promessa. Fino a oggi.
Oggi è l’8 dicembre e a chiamarlo è Joona Linna, un commissario della polizia criminale con l’accento finlandese. C’è un paziente che ha bisogno di lui. È un ragazzo di nome Josef Ek che ha appena assistito al massacro della sua famiglia: la mamma e la sorellina sono state accoltellate davanti ai suoi occhi, e lui stesso è stato ritrovato in un lago di sangue, vivo per miracolo. Josef è ricoverato in grave stato di shock, non comunica con il mondo esterno. Ma è il solo testimone dell’accaduto e bisogna interrogarlo ora. Perché l’assassino vuole terminare l’opera uccidendo la sorella maggiore di Josef, scomparsa misteriosamente. C’è solo un modo per ottenere qualche indizio: ipnotizzare Josef subito.
Mentre attraversa in auto una Stoccolma che non è mai stata così buia e gelida, Erik sa già che infrangerà la sua promessa. Accetterà di ipnotizzare Josef. Perché, dentro di sé, sa di averne bisogno. Sa quanto gli è mancato il suo lavoro. Sa che l’ipnosi funziona. Quello che l’ipnotista non sa è che la verità rivelata dal ragazzo sotto ipnosi cambierà per sempre la sua vita. Quello che non sa è che suo figlio sta per essere rapito. Quello che non sa è che il conto alla rovescia, in realtà, è iniziato per lui.

“Le ho mai raccontato del vento del Nord" di Daniel Glattauer (Feltrinelli)


Un tempo si diceva “due cuori e una capanna”, si mandavano rose rosse di passione alla propria amata, cose assolutamente normali e consuetudinarie nel mondo della fisica, ma non in quello dei bit. Oggi tutto si trasforma in pura virtualità (si possono addirittura mandare via mail omaggi floreali con tanto di scelta della tipologia di fiore, colore, bigliettino e musica di sottofondo). Non ci si può augurare di meglio che l’inautenticità della serialità telematica, da facebook alle chat. Ma sarà poi vero? Ora ecco che a dare una parziale smentita a quanto accennato sopra, viene in soccorso il lavoro di Glattauer Daniel dal titolo “Le ho mai raccontato del vento del Nord” edito da Feltrinelli. C’è un lui, Leo, uomo tranquillo, placido, a volte pedante, psicolinguista reduce dall'ennesimo fallimento sentimentale; c’è una lei, Errimi Rothner (Emmi), sempre sull’orlo di una crisi di nervi, ma comunque sposa e madre irreprensibile dei due figli del marito. Amano il vino come bevanda da assumere prima di andare a letto, e come piccola monomania ossessiva prima di addormentarsi si ripetono l’uno le parole dell’altra, come si trattasse di un gesto prezioso quanto un tesoro di immenso valore nel silenzio di ogni giorno. Tutto parte da un'email mandata ad un indirizzo sbagliato ed ecco che in un rapido scambio di morbide effusioni e piccole scaramucce verbali on line, tra due sconosciuti scatta la scintilla. Parliamo di una bellissima favola moderna, di un romanzo d'amore epistolare nell’era della Rete. Questo romanzo uscito nel 2006 in Germania, arriva in Italia adesso, mentre sembra che l’autore abbia già provveduto a scrivere il sequel Ha venduto migliaia e migliaia di copie, tanto da diventare un best-sellers, un vero e proprio caso letterario. Anche se di cose del genere in giro se ne sono lette abbastanza, la lettura risulta scorrevole, incalzante, che rispetta l’hic et nunc insomma. La storia per quanto stuzzicante e realistica, permette di sostenere che il lettore viene soddisfatto in tutto e per tutto da quel desiderio un po’ voyeuristico di sapere come va a finire una storia sentimentale tra due persone che nemmeno si conoscono. Intanto non ci resta che aspettare il prossimo libro di Glattauer per scoprire se Emmi e Leo si confronteranno con l’incognita della realtà

lunedì 22 febbraio 2010

Il libro del giorno: DEL NOSTRO SANGUE di Paolo Farina (Palomar)

Un eccentrico cuoco trapanese, giunto all'apice della sua carriera, senza affetti e senza amici, incrocia il suo destino con quello di un anziano giornalista lombardo in giro col suo autista per l'Appennino meridionale, intento a tracciare nuovi itinerari enogastronomici. Un ruvido poliziotto romano, esiliato a Cosenza e vessato da un impietoso capo, combatte contro la follia di un killer seriale di bambine.
Sullo sfondo delle loro vicissitudini, in un piovoso inverno, vi sono i bellissimi e mal ridotti paesaggi del Sud Italia e l'odiosissimo reato dell'omicidio infantile.
Nessuna rivendicazione, nessun movente apparente, nessuna traccia illumina l'affannosa indagine del poliziotto tra le rive fangose di fiumi, che fanno da scenario ai lugubri ritrovamenti.

Salento 2010: convergenze possibili. Forum delle progettualità che possono fare grande il Salento







Il titolo: "SALENTO 2010: CONVERGENZE POSSIBILI. FORUM DELLE PROGETTUALITÀ CHE POSSONO FARE GRANDE IL SALENTO" , rivolto a istituzioni pubbliche e private, aziende, operatori culturali, comitati, associazioni, testate giornalistiche, salenntine e pugliesi, esprime piuttosto efficacemente l´approccio fattivo e positivo che lo ispira. A essere coinvolti in una tavola rotonda saranno i maggiori rappresentanti delle categorie produttive, dei movimenti di opinione, della cultura e dei media del territorio salentino. L´obiettivo principale del forum è quello di creare un primo momento che sia non solo dimostrativo delle energie che si agitano sul territorio, ma anche di "fare rete" sul piano del dibattito e soprattutto sviluppi un aspetto fondamentale che è quello della proposizione fattiva da parte dei soggetti coinvolti per la creazione concreta di sviluppo. E dunque si discuterà di ambiente, economie, culture e ipotesi progettuali da sviluppare, promuovere e concretizzare, per rendere questo "Grande Salento" non solo una realtà nominale, ma anche una viva ed energica forza produttiva. L´intero forum sarà promosso dalla società editrice Edita, dalle associazioni culturali Fondo Verri, Laboratorio di Ricerca sull´Arte contemporanea diretto da Paola Scialpi, dalla cooperativa editoriale CoolClub, Offcine Cantelmo e la partnership scientifica del CSE (Centro Studi Economici) dell´Università del Salento. La partecipazione sarà proposta ad enti, comitati, aziende, istituzioni che, tramite apposito modulo d´iscrizione già predisposto, invieranno al Forum propri rappresentanti (non più di tre) affinché possano fornire il proprio contributo di idee, proposte, testimonianze, all´ appuntamento.

Il forum avrà sede il 19 marzo 2010 alle Officine Cantelmo di Lecce

La prima sezione ore 9:00-13:00 sarà dedicata a
Politica/ Innovazione/Comunicazione - Convergenze Possibili;
La seconda sezione ore 15:00-18:00 a
Cultura/Ambiente/Turismo - Convergenze possibili.

La scadenza per aderire al forum è per il 6 marzo 2010
Il modulo di adesione può essere richiesto a forum.convergenzepossibili@gmail.com
I partecipanti al forum e quanti vorranno intervenire con un post sugli argomenti del forum, hanno a disposizione il blog dedicato all'indirizzo www.convergenzepossibili.blogspot.com

domenica 21 febbraio 2010

Bright Star. La vita autentica (ma breve) di John Keats, di Elido Fazi (Fazi editore)


Cosa sappiamo dell’immenso John Keats. Sappiamo che è stato un poeta inglese, una delle grandi firme del romanticismo. Sappiamo che nel corso della sua breve ma intensa vita, le opere che scrisse furono oggetto costante di una critica politica. Sappiamo, come nella migliore tradizione del mondo delle lettere, che solo successivamente, con l'importanza del mutamento culturale promosso anche dalla sua opera, il suo lavoro fu pienamente riconosciuto.
Sappiamo che la sua produzione poietica, poetica era dettata da un esuberante passione per la lingua e per l'immaginifico, aspetti tenuti a bada da un sottofondo di leggera malinconia a cui sovente ha ceduto. Sappiamo che solo verso la fine della sua vita fu in grado di produrre le sue poesie più originali. Ma tutto questo non basta: ora per i tipi di Fazi esce “Bright Star. La vita autentica (ma breve) di John Keats” di Elido Fazi dove si racconta dell’ultimo periodo della vita del poeta, perso nelle oscure trame destinali di difficoltà economiche e travagliate vicende familiari. Si racconta in questo libro della statura intellettuale e umana di un personaggio che ha sovente rivelato di essere in balia di una tremenda fascinazione che solo la parola è in grado di produrre nell’artista, nel poeta. Parliamo di un ritratto felice, di un resoconto esistenziale che va dall’incontro con personaggi come Shelley, Wordsworth, Coleridge, sino al suo amore per Fanny, in cui trionfa il desiderio di una intima fusione tra anime e una sorta di complicità non solo di carattere affettivo ma che diventa intesa ideale in bilico tra ossessione e indifferenza. Elido Fazi, quasi come posseduto da un’entità altra, ricostruisce mirabilmente stati d’animo e situazioni, di un poeta come Keats, mistico e visionario eroe moderno, fondatore di una nuova visione del mondo instancabile indagatore di categorie come Bene, Verità e Bellezza anticipando nella sua opera aspetti fondamentali per la sensibilità odierna. Elido Fazi, è eccellentemente dotato nel parlare del “padre del romanticisimo” attraverso una puntuale, chiarissima, avvincente biografia romanzata.


Elido Fazi, Acquasanta Terme (AP), 1952. Economista e scrittore, è il fondatore della Fazi Editore, per i cui tipi ha tradotto il poema epico in versi sciolti La caduta di Iperione di John Keats, e ha pubblicato L’amore della luna (2005). Nel 2007 ha scritto con Paolo C. Conti Euroil, La borsa iraniana del petrolio e il declino dell'impero americano.

Il libro del giorno: “Una parola ha detto Dio, due ne ho udite” Lo splendore delle verità di Barbara Spinelli (Laterza)


Tutto tende all’Uno: una è la radice culturale e politica dell’Europa, una la via per governare e sanare l’economia, una per costruire l’Unione europea. Da tempo si è smesso di contare oltre l’Uno. Eppure di pensare anche il due se non il tre ce ne sarebbe un bisogno grande. Se nel formulare un’opinione non vengo confrontato con forti obiezioni, sarò contento. Se sono un politico, avrò addirittura l’impressione che si sarà creata una sorta di pace. La pace dell’Uno non è tuttavia pace. È stasi. La verità, lasciata sola con se stessa, non splende più forte. Al contrario: si spegne.

Barbara Spinelli è tra i commentatori italiani più autorevoli sui temi della politica internazionale. Ha scritto per “Repubblica” e per il “Corriere della Sera”. Attualmente è editorialista della “Stampa”. Vive e lavora a Parigi. Ha pubblicato, tra l’altro, Il sonno della memoria (Mondadori 2001) e Ricordati che eri straniero (Qiqajon 2005).

Altai di Wu Ming (Einaudi, Stile Libero) visto da Dario Goffredo


Amo le belle storie raccontate bene. Le amo con tutto me stesso. Quando mi capita tra le mani un libro come Altai, l'ultimo romanzo del collettivo bolognese Wu Ming, provo un senso profondo di appagamento. Gli uomini raccontano e ascoltano storie dall'alba dei tempi. È nella nostra natura, siamo animali narranti. E Wu Ming dimostra come sempre di sapere molto bene come si raccontano le storie. Circa 400 pagine per parlare, ancora una volta, della storia dalla parte sbagliata della storia. Siamo nel 1569 (Q, il romanzo dei bolognesi ormai entrato nel mito, finiva nel 1555) e ci muoviamo tra Venezia, Ragusa (quella dalmata, conosciuta come Dubrovnik), Salonicco, Costantinopoli, Cipro e Lepanto per seguire le vicende di Emanuele De Zante alias Manuel Cardoso, un giudeo battezzatosi cristiano e poi ritornato giudeo. Ma Altai non è la storia delle vicende personali di Manuel, ex contrabbandiere, ex agente segreto della Repubblica di Venezia, tradito per essere trattato da traditore dalla gente che aveva servito per anni e risorto a nuova vita grazie al nemico pubblico numero uno della Serenissima, il giudeo Giuseppe Nasi, uomo che coltiva un progetto, un'utopia: costruire un regno ebraico, donare al suo popolo la terra santa, un luogo dove regni la tolleranza religiosa tra i popoli. Altai poi ci regala il ritorno di un personaggio a cui sono molto affezionato come, credo, tutti i lettori di Q: quel Tedesco, conosciuto anche come Gert Dal Pozzo, Ludovico, Tiziano l'Anabbatista che ritroviamo sotto il nome di Ismail Al Mokhawi. È invecchiato, Tiziano, è un po' provato dalle sue esperienze passate, ma è sempre lui, con la sua energia trascinante, con la sua lucida intelligenza, con la sua conoscenza del mondo.

Dieci anni fa usciva in Italia Q e tante cose sono successe da allora, tante volte abbiamo pensato a quell'omnia sunt communia che lo caratterizzava, gli stessi Wu Ming ne hanno ragionato a più riprese fino a far nascere questo Altai (e ritardando così il secondo capitolo della trilogia iniziata con Manituana) che lo riprende, lo richiama, ma ne sposta, in modo molto efficace, il punto di vista, l'ambientazione e le conclusioni politiche :

(non farò commenti su questo punto, rischio di dire cose sbagliate come è già successo per Manituana (http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap12_VIIIa.htm).

Aggiungo un'ultima cosa: la bellezza di certe frasi che restano appiccicate addosso a chi legge, la bellezza di certe immagini vivide e, soprattutto, la bellezza della lingua usata sapientemente per rendere quel crogiuolo di civiltà e di popoli che era il mar Mediterraneo nel XVI secolo.

Un libro bellissimo, una prova entusiasmante per il collettivo Wu Ming, giunto ormai ad una piena maturazione artistica che porterà in futuro sicuramente altre storie memorabili come questa. Leggete, meditate e diffondete.


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sabato 20 febbraio 2010

Il libro del giorno: Ritorno a Ford County di John Grisham (Mondadori)

Inez Graney, costretta da anni su una sedia a rotelle, parte assieme ai suoi due figli per un bizzarro viaggio attraverso il delta del Mississippi per andare a trovare il suo amato terzo figlio, rinchiuso da undici anni nel braccio della morte. Mark Strafford, avvocato divorzista, annoiato e con qualche problema con l'alcol, riceve una telefonata inaspettata che riporta alla luce un vecchio caso irrisolto che potrebbe fruttargli molto più denaro di quanto lui abbia mai visto in vita sua. Sidney, modesto impiegato in una società di assicurazioni, affina le sue capacità nel gioco d'azzardo con il solo scopo di rovinare per sempre Bobby Calr Leach, balordo giocatore di blackjack colpevole, tra gli altri crimini, di avergli rubato la moglie. Tre bravi ragazzi di campagna si mettono in viaggio per Memphis animati dalle migliori intenzioni: donare il sangue a un loro caro amico in fin di vita. Ma dopo essersi fermati nel primo negozio di alcolici che incontrano, il loro viaggio prende una piega inaspettata fino a concludersi in un infimo club di spogliarelli alla periferia della grande città. Questi sono alcuni dei personaggi che animano Ford County, prima raccolta di racconti di John Grisham.

Le ragioni della passione di Antonio Errico (Kurumuny). Intervento di Elisabetta Liguori




















Ormai non mi stupisco più di alcun viaggio. Solitamente, se c’è da andare vado, mi affido e vado. Scelgo il conducente e vado. Mi accade con i libri e non solo. Ma se la partenza sempre mi riempie di curiosità, l’arrivo solo di rado mi è affine. Questa volta con “ Le ragioni della passione”, nuova raccolta di scritti firmati da Antonio Errico per Kurumuny editore, non si è trattato soltanto di viaggiare, ma di progettare il viaggio fin nei più piccoli dettagli. Il percorso mi è parso sin da subito familiare quanto arduo. Affascinante senza ombra di dubbio. Si tratta, è bene dirlo con chiarezza, del percorso più importante della vita: quello della didattica, della formazione. Pane quotidiano per Antonio Errico, dirigente scolastico di consolidata esperienza, per me nuova, desiderata e sapida abbuffata. Un cammino elaborato per tappe e poi custodito come uno scrigno in questo volumetto prezioso, di un Errico Maestro, che sa moltiplicarsi in un caleidoscopio di citazioni, stimoli, memorie, desider
i. Tre le chiavi didattiche offerte dall’autore quelle contraddittorie e per questo ancor più sapide della Verità/ della Menzogna, quella del Bene/ del Male, quella della Bello/ e del Brutto. E dunque tutto il vivere che c’è nel mezzo espresso in piccoli saggi. Si parte dal Novecento, favola triste ormai giunta alla su conclusione, qui percepita come groviglio da districare. Si procede un bandolo per volta. La verità, il bene, il bello del Novecento. Poi l’alba degli anni 2000, la sua frattura, il suo cinismo, la sua solitudine. È Edgar Morin ( in realtà Edgar Nahoum) la prima guida scelta da Errico per accompagnare il lettore lungo sei snodi filosofici di tipo interdisciplinare e sociologico, che partono dal passato per guardare al futuro. Snodi quali la naturale cecità della conoscenza, ad esempio, che ci obbliga oggi ad insegnare alle generazioni future che sforzarsi di conoscere è (e sarà) sempre insidioso. Ogni discente, ribadisce con forza Errico, deve imparare a confrontarsi con la parzialità delle cose, con la loro illogicità, la loro frammentarietà, perché da quella naturale cecità deriva un obbligo assoluto a comporre frammenti, cocci di un vaso in frantumi, sviluppando sempre più adeguate tecniche di composizione. La condizione umana è di per sé molteplice e va intesa come confronto dinamico tra nessi culturali, infatti, e così anche la terra. Siamo parte di una identità terrestre complessa. Viaggiamo su questo pianeta e di questa composizione materiale e spirituale non possiamo non tener conto. Pertanto l’etica del genere umano deve essere un’aspirazione morale, una volontà ferma, una forma di oculata obbedienza alla forza della vita stessa di cui siamo parte, che dovrebbe indurci alla solidarietà, alla comprensione, alla compassione. Da molti è stato detto che una società si sviluppa da sempre solo in condizioni di solidarietà. Errico, da grande romanziere quale è, sa bene che la letteratura, come la vita, è compassione e che questo può (deve) essere insegnato. E da questo viaggio deriva il nostro futuro. Altra fondamentale tappa dunque non può che essere la narrazione. In ogni narrazione ci vuole chi narri e chi ascolti. Ci vuole il tempo. Le figure che prendono corpo. Il percorso chiaro, l’andare verso altro. L’elaborazione di un doppio, di un modello, di un ideale. Una progettazione condivisa e innamorata, come già Ezio Raimondi aveva saputo dire nella sua “ Un’etica del lettore”. Così in ogni forma di apprendimento.

Apprendimento e racconto. Apprendimento e libri. Se ne deduce con gioia che la scuola a cui aspira Errico è una scuola che insegna a leggere, secondo un’etica superiore che aspira a dare nuovo valore (e nuovo vigore) alla pagina e spinge il lettore verso l’esterno, verso il mondo, verso le necessarie relazioni umane, verso sempre nuovi viaggi. Anche attraverso il conflitto, o il dubbio o la noia. Persino attraverso l’apparente silenzio. Perché al centro del mondo non c’è l’uomo, ma piuttosto la ricerca della migliore rappresentazione del mondo stesso.

venerdì 19 febbraio 2010

Il libro del giorno: I dieci giorni che sconvolgeranno il mondo di Alain Minc, Collana Reverse, Chiarelettere edizioni

“Dove diavolo siamo?” “La domanda giusta è: quando diavolo siamo?”
Dal film “Ritorno al futuro”

Dieci giorni. Dieci scenari possibili. Che cosa accadrà quando Google acquisirà il “New York Times”, quando Israele attaccherà le basi nucleari iraniane, quando gli asiatici deterranno il primato intellettuale, quando i giovani maschi bianchi si rivolteranno in massa? Minc si proietta in avanti di qualche anno, facendosi cronista del futuro che potrebbe attenderci. È sul campo quando ognuno dei dieci eventi choc accade: lo descrive in presa diretta, prevedendo le reazioni immediate, le conseguenze a lungo termine. Ogni giornata è un capitolo che mette in scena un evento choc in grado di sconvolgere gli equilibri attuali. Il mondo non sarà più lo stesso. È necessario allora provare a raccontare il tempo che ci attende, senza dimenticare da dove veniamo. L’autore, esperto di politica e di finanza internazionale, ci aiuta a intraprendere un nuovo ritorno al futuro.

Alain Minc è un politilogo e consulente finanziario francese. È autore di numerosi saggi. Fra i più recenti pubblicati in Italia: "La nuova trinità. I giudici, i media, l'opinione pubblica"(Armando, 1997) e "Spinoza. Un romanzo ebreo" (Baldini Castoldi Dalai, 2002).

I dieci giorni che sconvolgeranno il mondo di Alain Minc, traduzione di Valentina Abaterusso
Collana Reverse, Chiarelettere edizioni

"Sono pericoli che interessano tutti, senza eccezioni"

"L'acquisizione del New York Times da parte di Google è forse il meno improbabile degli eventi che cambieranno il mondo"

Jacomo Tintoretto & i suoi figli di Melania Mazzucco (Rizzoli)


Jacopo Comin, detto il Tintoretto è stato non solo uno dei più grandi esponenti della scuola veneziana ma anche l'ultimo grande pittore del Rinascimento italiano. Il soprannome di "Tintoretto" gli derivò dal mestiere del padre, tintore di stoffe. Il suo vero nome "Comin" si deve alla scoperta di Miguel Falomir, il curatore del museo del Prado di Madrid, che ha reso pubblica la notizia in occasione della retrospettiva di Tintoretto al Prado nel 2007. Figura dalle doti tecnico-pittoriche straordinarie, tanto che per la sua energia dirompente nella pittura gli avevano attribuito il soprannome de "Il Furioso". Una grande scrittrice italiana, Melania Mazzucco, dedica a questo personaggio totale uno studio ossessivo e puntualissimo. Dopo aver pubblicato “La lunga attesa” dedicato alla figlia dell’artista, ecco che viene alla luce la biografia del “Comin” a cui ha lavorato per più di otto anni, vivendo addirittura a Venezia pur di dar voce a circa 2000 voci che come personaggi a tutto tondo animano la storia del Nostro, da aristocratici, pittori, impostori, truffatori, cortigiane, a fruttivendoli e fornai, a testimonianza dell’attenzione della Mazzucco ai tracciati dei margini, e alle loro memorie. “Jacomo Tintoretto & i suoi figli" edito da Rizzoli, è una vera e propria biografia certo, ma non di un semplice personaggio come tanti che attraversano la Storia della cultura: no … è la biografia di un genio e della sua straordinaria famiglia, e della figlia illegittima, Marietta, presenza avvolta da un fitto alone di mistero, e senz’altro la più misteriosa pittrice dal Cinquecento. Questo lavoro è inoltre la narrazione di una svariata collezione di attori principali e innumerevoli comparse e della grande Venezia, raccontata nel brulichìo e nello sbrilluccichìo della sua vita quotidiana proprio nel periodo in cui conobbe lo sfarzo e il piacere ma anche il castigo flagellante della Controriforma, due epidemie di peste e un ineluttabile declino. Non lasciatevi intimorire dalle dimensioni poderose del volume, che presenta comunque notevoli difficoltà anche nel maneggiarlo. Questo bellissimo spaccato tra l’altro sulla vita cinquecentesca a Venezia, nonostante si parli con dati storiografici ben precisi alla mano, deve essere letto come un romanzo ( e qui scendono in campo le doti della Mazzucco lasciatemelo dire) e può piacere senza ombra di dubbio!

giovedì 18 febbraio 2010

Edita promuove il concorso "Corto-testo® Luoghi, personaggi e leggende del Mediterraneo"




















Edita Srl, società di servizi editoriali, indice la IIa edizione del concorso letterario “Corto-testo”. Dopo il successo del 2005 di ”Corto-testo. Istantanea sulla tua città”, il concorso viene riproposto anche per il 2009-2010. Quest’anno il tema scelto è “Corto-testo® Luoghi, personaggi e leggende del Mediterraneo”. Il progetto editoriale vuole essere innanzitutto uno strumento di valorizzazione della cultura italiana e in particolare di quella pugliese che, grazie alla posizione geografica della regione e alle vicende storiche succedutesi nel corso dei secoli, rappresenta un patrimonio di inestimabile valore da rivalutare e salvaguardare con continue e sempre più incisive attività. Con questo concorso si invita a descrivere monumenti, personaggi leggendari o storici, miti, leggende e itinerari di una città o di un borgo pugliesi, facendoli diventare protagonisti o sfondo di una storia immaginaria o verosimile. La partecipazione è aperta a tutti i cittadini dei paesi appartenenti alla comunità europea. La scadenza del concorso è fissata per il 30 giugno 2010. Sono ammessi al concorso i racconti in lingua italiana, purché inediti, che hanno per oggetto il tema: Corto-testo® Luoghi, personaggi e leggende del Mediterraneo. Si concorre con una o più opere di una lunghezza massima di 16000 battute (spazi e punteggiatura inclusi). I racconti non devono contenere disegni, grafici o illustrazioni di qualunque tipo. Gli elaborati presentati saranno valutati a insindacabile giudizio da un comitato di lettura interno e successivamente da una giuria composta da esponenti del mondo accademico, del mondo della cultura e dello spettacolo e da professionisti del settore editoriale. Contemporaneamente i racconti saranno votati dal pubblico degli internauti sul sito di Edita (è previsto un premio speciale per il racconto più votato). Il concorso si concluderà il 20 dicembre 2010. Tra tutti gli elaborati saranno scelti i migliori e pubblicati nel libro “Corto-testo® luoghi, personaggi e leggende del Mediterraneo”. Il regolamento e la scheda di partecipazione sono scaricabili su www.editaonline.com


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