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martedì 8 dicembre 2009

Il Giallo di una notte di novembre. Di Elisabetta Liguori















Si dice che io sia scomparsa.
Avrei dovuto essere con voi questa sera e invece non sono lì. Questo è senza dubbio un indizio a mio carico, forse più che un indizio: un’evidenza. Ma equivoca. Perché non ci sono? Arriverò più tardi, sono nascosta tra il pubblico? Potrei aver scelto liberamente di non esserci o qualcuno, qualcosa potrebbe avermi indotto a scomparire. Ad ogni buon conto non mi si trova. Nemmeno io mi trovo, pur cercandomi. Non è un caso: è che quando ci si sforza di capire è proprio quello il momento in cui il senso delle cose si fa più labile. La verità è un pensiero, del resto, l’esperienza di un attimo. Di questa esperienza più volte mi è capitato di aver voglia di scrivere. Dello sforzo che compie quotidianamente l’uomo per conquistarsi quella serenità che dalla verità crede possa derivare. Di questo ho scritto in uno dei miei romanzi, quello che ho voluto etichettare come “giallo inutile”. E parlare di etichette quando si tratta di gialli sembra ormai doveroso. Era l’anno de “Il correttore” edito da PeQuod, era il 2007, per la precisione, e da allora la voglia non mi è ancora passata. Il mio correttore era l’uomo che tentava di correggere il caos della sua esistenza. Senza riuscirci, però, per questo il suo sforzo narrativo alla fine si rivelava inutile. In quel caso, l’ambiguità caotica del vivere era il mio vero tema. Per questa ragione credo di essere approdata quasi naturalmente al genere noir. Un noir legato agli umori del nostro sud. Non dico ambientato a sud, non parlo di atmosfere salentine, non cito geografie specifiche. No, io parlo di umori, perché secondo me il sud è principalmente una condizione esistenziale. Siamo il frutto di un grande falò, di una combustione, di una dissipazione radicale, che ha prodotto e continua a produrre energia, fertilità, caos creativo. Abbiamo addosso la cenere di quel falò. Possiamo andare o restare o tornare, conta poco da punto di vista narrativo: quella cenere ci resta addosso. Noi scrittori del sud siamo il caos.
E abbiamo il bisogno, il dovere di raccontarlo, di denuncialo. Ciascuno a suo modo.
La scelta di un genere narrativo piuttosto di un altro è spesso un caso, a volte un frutto mimetico, in altre soltanto un personale tributo alle letture più amate.
Nel mio caso il genere è stato più che altro un pretesto. Mi serviva la corporeità, la violenza, la suspance, la tensione psicologia, l’analisi sociale, la vita psichica di un territorio, il confronto con altri territori, la dinamicità. Questi sono gli elementi tipici della narrazioni nere. Ho trovato quello che mi serviva nel genere noir e me ne sono servita. Il caos spesso è nero, così ho biecamente utilizzato questa tinta per dar spazio alle miei digressioni preferite. Per fare profezie. Per giocare con il passato, intravedendo ipotesi di futuro. Per me è un romanzo è sempre un albero dalla chioma folta. Non un palo piantato dritto e saldo nella terra, ma, radici in verticale e ramificazioni in orizzontale, foglie, frutti, gemme. Un romanzo si muove sull’equilibrio sottile che separa il vero dal falso, la rivelazione dal nascondimento. Un romanzo deve sforzarsi di raccontare sempre qualcosa in più rispetto al tema principale, al plot in senso stretto. O qualcosa di diverso, di laterale, di obliquo direi. C’è chi dice oggi: ma allora questo non è più il noir, ma post noir. Se l’autore trasforma i suoi personaggi in miti, se si sforza di approfondirne la descrizione psicologica, se moltiplica i punti di vista, se i perché diventano più importanti dei come, saremmo di fronte ad una nuova tipologia di genere quindi? Ho qualche dubbio. Potrebbe essere questa una posizione di principio che lascia intravedere il suo stesso superamento. In quale direzione si sta andando veramente? Nella riscoperta di un genere ormai morto o verso il suo consolidamento? In molti tentano di dare una risposta, soprattutto tra gli amanti e i praticanti del genere. La questione potrebbe apparire di contenuto strettamente commerciale, ma in realtà è assolutamente in linea con lo spirito alla base del genere stesso. Chi sta tentando di uccidere i gialli e perché? Dove si è nascosto il giallo? Si salverà ? E grazie a cosa (chi) si salverà? Esiste un giallo così radicato al suo territorio da non poterne prescindere? Ne abbiamo davvero bisogno?
Da sempre la scrittura cerca di mettere ordine, di far chiarezza. Un sforzo ancora più apprezzabile perché vano. Anche nel giallo o nel noir, ovviamente. Con la differenza che nel giallo o nel noir il luogo da ordinare ha più importanza che in altri generi. Mentre nel giallo si descrive un territorio piano, poi l’evento violento che inaspettatamente lo sconvolge e infine lo sforzo per arrivare a quella verità che sia capace di riporta alla sua pianura, nel noir, per induzione, si parte dal caos generale, si individua un luogo caotico specifico, se ne svelano origini e cause. Nel primo caso l’individuazione di un colpevole è necessaria oltre che rassicurante. Nel secondo è solo occasionale ed ininfluente. Nel primo caso si ha narrativa d’evasione, nel secondo d’invasione. Ma il luogo è sempre fondamentale. La Sicilia, la Sardegna, l’Emilia, la Lombardia. Sempre. Accade anche a sud ovviamente, dove peraltro è più difficile parlare di territorio in modo univoco. Non per la mancanza di un’identità forte, ma per una storica diffusissima tendenza al meticciato, alle mescolanze, alla conflittualità quanto all’accoglienza. È per questo che il giallo o il noir a sud sembra essere meno giallo o noir che altrove. Per questo sfugge, per questo si difende, si nasconde. E io pure mi nascondo. Anche questa sera mi nascondo e in qualunque luogo io oggi mi trovi continuo a farmi le medesime domande. Come la Highsmith, Dio l’abbia in gloria, parlo di uomini e nascondo il mio essere donna. Mi fingo altrove. Cerco ancora il lettore giusto che sappia scovarmi una volta per tutte.

fonte iconografica: https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhY0s9nnTBZtyJBZyajzuQXZpjrgkPXMQMTW4SUjj0PU5bU-x9WTMAvpuYip4UyVmole9ZceVI8acoFYzqJ46VtYrL-LgJfePjPOIXJV9P10pNHViqV9KC4sAvBdQKF5XyrztDWhffTDX56/s400/3-castello.gif

1 commento:

  1. Si Elisa.
    Siamo il frutto di un grande falò.
    Il Sud è uno stato d'animo un'ossessione anche e soprattutto per chi se ne va.
    E ci nascondiamo tra gli uomini è vero.
    Per guardare in obliquo, come mi dicesti una volta.
    Per poter guardare con più tranquillità.
    Maria

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