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lunedì 2 novembre 2009

La mia Alda – Milano, 20 gennaio 2006 . (...il racconto di un incontro con Alda Merini) di Marthia Carrozzo

Giunti ormai sotto casa sua, non ci pareva quasi “vero”… Del resto, era successo tutto così in fretta che a raccontarla sarebbe certamente parsa una “follia”. Gli elementi, quelli, c’erano tutti: un sogno”profetico”, poi la notizia dello sfratto imminente diffusasi in rete e … l’evidente necessità di far presto! Un viaggio – come in ogni avventura che si rispetti! – interminabile, insonne, tra risate e inquietudini; un lunghissimo “Lecce-Milano” che avrebbe fatto capolinea, la mattina seguente (eravamo partiti da Lecce alle 21:50) nel mistero di una Milano che credevamo ammantata di nebbia, nel rispetto di ogni più bella cartolina che ritraesse la capitale meneghina. Credevamo, sì. Perché invece, contrariamente ad ogni aspettativa, quella mattina, proprio quella, Milano era lì ad accoglierci con un ridente ed inatteso sole a coccolarci l’anima, quasi a voler suggerire il buon esito che di lì a poco avrebbe avuto quella strana giornata, persa tra le vie caotiche e apparentemente distratte di una Milano impegnata e sempre di corsa, in pieno contrasto con la nostra quiete (più o meno apparente che fosse) con la calma e la dolcezza del Sud che palpitava forte nei nostri cuori nell’attesa dell’incontro. Ed eccoci, infine. Ore 6 e 20 del pomeriggio. Un saluto veloce al Naviglio Grande, poi improvvisamente… il tempo che si era fermato, pietrificato sotto il portone di casa sua. La avverti del nostro arrivo con una breve telefonata.
“Secondo piano, dalla sinistra”. Salimmo le scale un po’ increduli, poi, l’aprirsi della porta e infine… due occhi scuri, un po’ guardinghi, sorpresi forse di ritrovarsi di fronte ben quattro persone venute appositamente dal caldo del Salento al freddo di Milano solo per incontrarla. Un saluto frettoloso, poi, mi invitò ad entrare in casa. La seguì un po’ intontita, facendo, a dire il vero ben poco caso allo spazio attorno a me; ci sedemmo su due sedie messe accanto, estrassi dalla borsa la bozza di questo libro, e attesi in silenziosa trepidazione, mentre il suo guardo scorreva acuto sulle pagine aperte a caso. “Mi sembrano già belle”, disse, mentre quasi scioccamente, ma a causa della grandissima emozione che mi inondava il cuore, io incominciavo a piangere… e forse, avrei potuto vergognarmene, ma volevo
che quell’incontro fosse autentico, volevo incontrarla così, senza dire nulla, solo provando a “sentire” la bellezza di un momento. “Non faccia così: la scrittura è il peggiore dei mali!” mi disse mentre mi teneva la mano, e con l’altra mi accarezzava il viso. “No!” – ecco che era arrivato, per me, il momento di dire – “No, non è così, se la parola, se la poesia riesce ancora ad avere la forza di versi come i suoi!” le dissi. Ed è questa, Bellezza. Ed è Vita. La Vita Viva della poesia. È il suo canto: Forza e dolcezza. Tristezza e grazia. Sacralità e sensualità. Tutto questo… “Tutto”! Tutto quanto nel vibrare del verso. Il senso del viaggio si svelava lì, mentre Alda mi accompagnava alla porta, abbracciandomi e congedandomi. Le parole che riporto, mi furono poi dettate per telefono, con mia gran sorpresa una settimana dopo. “Sono un po’ sorpresa, come del resto Vanni Scheiwiller, da questa fioritura di poeti giovani che ci mettono chiaramente in imbarazzo. Non si può respingere la loro ingenuità e, in fondo, anche il loro desiderio d’affetto. Perché, ai nostri tempi lo studio, se non era più che rigoroso, veniva anche ingiustamente castigato, ma castigato da una regola ferrea che voleva castigare il giovane poeta solo per incitarlo a migliorare. Ai nostri tempi, più di tutto, abbiamo sofferto dei rifiuti dei grandi critici. Questa poetessa scrive bene,ma soprattutto piange. Ed è questo che io cerco nei nuovi poeti: un carattere più “duro”, perché, questi nuovi poeti, anche se innamorati della poesia, vanno incontro a un momento difficile. Le premesse qui sono eccellenti e ci aspettiamo che fiorisca la grande poesia.”

(26 gennaio 2006 – Alda Merini, Prefazione ad “Utero di Luna”, Besa 2007)

Nei nostri cuori, invece, di ritorno da Milano, il sorriso della Signora del Naviglio. Le labbra rosse, una lunga collana di perle ad adornarle il collo, la pacatezza del viso, i suoi gesti misurati, la grandezza della sua umiltà fiera e presente, l’ironia e la dolcezza con cui ci richiamò dal pianerottolo facendoci risalire in fretta le scale trattenendo quasi il respiro, la sua simpatia nel donarmi un quadro con tre sue foto che ora è appeso e custodito gelosamente in camera mia, la fierezza pungente del suo sguardo che, anche da lì, pare quasi tutto osservare, tutto “sentire”, silenziosa complice, che pare quasi tutto penetrare… inquieta. Con l'abbraccio che solo la poesia conosce!

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