Cerca nel blog

martedì 27 ottobre 2009

Nichi Vendola su Tonino Bello danza la vita a cura di Maria Occhinegro e Maria Gabriella Carlino (Lupo editore)

Credo che il Salento sottovaluti il livello di alcune voci che nel ’900 sono rimbalzate come voci di livello planetario. Ne cito tre: Vittorio Bodini, Carmelo Bene, Tonino Bello. Tre voci che hanno travalicato i limiti territoriali, e che hanno fatto del Salento, non una piccola patria, ma un trampolino di lancio per rivolgersi al mondo, per tuffarsi in oceani più larghi. La prima cosa che mi ha colpito quando ho conosciuto Don Tonino Bello è stata la voce. Spero che voi abbiate l’opportunità di fare, in questo percorso di formazione, uso di materiali audiovisivi. Perché non si può capire lo spessore di questo personaggio se non si ascolta la sua voce. Alcuni discorsi possono sembrare specialistici, come le lezioni fatte ai catechisti, ma vi invito ad ascoltarle comunque, e soprattutto vi prego di ascoltare il documento vocalmente più struggente che abbia mai ascoltato in vita mia: l’ultima omelia, l’omelia del ti voglio bene, l’omelia del congedo, l’omelia dell’addio. La voce è il primo elemento. Il secondo elemento di Don Tonino, scusate se parto dalla fisicità, sono gli occhi. Capita a me oggi, avendo superato la soglia dei cinquanta anni, di riflettere in maniera un po’ più impegnata sulla malattia e sulla morte. La malattia e la morte bussano alle porte delle nostre case in maniera, diciamo, più pressante. E ho nei miei occhi quelli di Don Tonino in un giorno particolare, quello dell’ultima volta che l’ho incontrato, l’ultima volta che ho condiviso una lunga discussione con lui in una stanza di ospedale, al policlinico Gemelli di Roma, tre ore faccia a faccia. Di quell’incontro, per me, ancora oggi, è centrale lo sguardo. Don Tonino era smagrito, piagato dalla malattia, con i capelli rasi, aveva una canottiera. Quando ho bussato ed ho aperto la porta, si è girato, e quest’uomo consumato dalla malattia, era tutto occhi: vivi, assediati dalla sofferenza, eppure interrogativi, palpitanti. Gli occhi e la voce. In questi anni ho sempre pensato che bisognasse “usare” Don Tonino con molta cautela. Ho partecipato ad un convegno soltanto una volta, e soltanto per urlare una frase giovanile: «Non fatelo Santo!».Al primo convegno commemorativo ho urlato così. I santi stanno sulle nuvole e hanno un’aureola in testa. Noi li preghiamo non in quanto esempi di comportamento quotidiano, ma proprio perché stanno in cielo; li ammiriamo senza trarne alcuna conseguenza. Invece tutta la scrittura, l’esperienza, il percorso di Don Tonino sono il contrario di questa nuvola che si allontana e che ci guarda dauna esemplarità irraggiungibile.
Lui ci provoca, lui ci interroga, lui ci chiede di dire parole che abbiano significati, lui ci stimola, lui ci consola. Mi manca molto Don Tonino.La consolazione non significa l’uso retorico delle parole,la consolazione significa fare i gesti della fraternità, significa avere cognizione del dolore del mondo e avere cognizione del nostro reciproco dolore. La consolazione significa percepire la solitudine dell’altro. Qualche riflessione su Don Tonino. Danzare la vita, cosa significa danzare la vita? Il Dio che danza la vita era un’immagine che Don Tonino amava molto, e che apparteneva al pensiero e alla riflessione di alcuni straordinari protagonisti della vita religiosa italiana. David Maria Turoldo, Ernesto Balducci erano coloro che costruivano la loro scrittura sul tema del Dio che danza la vita. Che cos’è il Dio che danza la vita? È il contrario del Dio giudice, del Dio gendarme del mondo, del Dio implacabile che occhiuto entra nelle nostre vite, ci controlla, del Dio esattore delle tasse, del Dio che non ci fa sconti rispetto alla liturgia del dogma. Il Dio che danza la vita è innanzitutto il Dio che si fa compagno dell’umanità, che sente la bellezza della vita. Nella Genesi c’è una celebrazione infinita della bellezza della vita, come nel Cantico dei Cantici ed in tutto il contesto vetero testamentario. Un’esplosione di immagini che rappresentano la celebrazione della bellezza del genere umano, della bellezza del vivente, della bellezza della vita «...corri o mio fanciullo come la gazzella sul monte degli aromi», così si conclude il Cantico, il canto dell’uomo alla ricerca di un Dio, che lo accompagna danzando la vita. Se non c’è un poco di questa leggerezza nella fede, la fede giunge come una specie di camicia di forza, come una cintura di castità, pesante e granitica, e non come il tocco della Grazia. Questo significa danzare la vita, fare in modo che la fede non sia un impegno formale, una promessa cattiva. Don Tonino insegue il Dio che danza la vita. Quando Don Tonino diventa Vescovo della mia Diocesi, Molfetta-Terlizzi-Ruvo-Giovinazzo, sono anni difficili. C’è un grande fermento nella chiesa. In America Latina è stata costruita la straordinaria vicenda della Teologia della Liberazione, contro la quale la Curia romana lancia fulmini e saette. Don Tonino vive intensamente questi giorni, in una duplice dimensione. Da un lato è figlio del Concilio, figlio dell’enciclica Gaudium et spes, cioè di quella straordinaria vicenda che fu il Concilio Vaticano II; dall’altro si trova in una fase particolare, in cui comincia l’opera di normalizzazione nei confronti di una parte di questa predicazione sociale che aveva forse travalicato certi confini. Io lo guardai con sospetto, posso raccontarlo adesso. Lo vedevo come uno che usa belle parole per irreggimentarci. Avevo frequentato soprattutto tutto il cattolicesimo del dissenso, ero stato amico di don Giovanni Franzoni, avevo una corrispondenza con don Marco Bisceglie, con Davide Maria Turoldo, prendevo il treno per andare a Fiesole a sentire le prediche di Padre Balducci. Perché a vent’anni ero tanto innamorato di Dio quanto disamorato della Chiesa. E quando venne questo Vescovo, pensai, attraverso l’ascolto di queste parole fascinose, che fosse furbizia semantica, che stesse per fregarci. Lo contestai nel primo incontro. Lo contestai, contestando il suo rapporto con la Chiesa. Lui ascoltò l’intervento provocatorio di questo giovane, che era naturalmente tutto imbevuto delle teorie della Teologia della Liberazione, e non mi rispose dandomi in testa, come mi aspettavo, perché ero stato baldanzoso, e mi meritavo naturalmente di essere affrontato. No, mi rispose dicendomi che avrebbe voluto approfondire le parole,i discorsi, che avrebbe voluto venirmi a trovare, mi disse: «Ma tu frequenti una sezione di partito? Vengo a trovarti, vengo sull’uscio della tua sezione, sediamoci sul marciapiede, sui gradini, parliamo». Io pensai: «Ma guarda che tipo! Questo ci vuole fregare!». Qualche giorno dopo cominciò a fare dei gesti un po’controcorrente. Aprì l’Episcopio. La sede del Vescovo, per noi di Molfetta, era più o meno il Castello dell’Imperatore, un luogo irraggiungibile. Ricordo quando il vescovo arrivava e i miei genitori mi portavano a vederlo e mi dicevano: «Guardalo lì», come si diceva ad un principe feudale, perché era irraggiungibile. Don Tonino aprì l’episcopio agli sfrattati, agli immigrati. Prese quella sua macchinetta scalcinata e cominciò a girare nei paesi della diocesi, a cercare barboni, alcoolisti, tossicodipendenti. Capitò a molti di noi di incrociarlo di notte, magari tornando da una discoteca, mentre lui era alle prese con un fagotto umano, che stava recuperando, che stava consolando, che stava caricando sulla sua automobile, portandolo su di un giaciglio. Era come permanentemente sulla Gerico-Gerusalemme, sempre su quel tragitto, tutta la sua vita dentro quel tragitto. Questo fu un primo scandalo. Molti rimasero turbati. Anche il clero rimase turbato. Un Vescovo deve parlare di poveri, deve dedicare le sue omelie ai poveri; ma un Vescovo che esce di notte, che si confonde con quella umanità marginale, un Vescovo che puoi incontrare in uno spigolo buio dove c’è un’umanità perduta, è un Vescovo particolare. Poi il bollettino diocesano, Luce e Vita. Andai a vivere a Roma e telefonavo tutte le mattine ad un mio amico d’infanzia, che era il Direttore di Luce e Vita, per farmi leggere gli editoriali di Don Tonino Bello, appunto la lettera al fratello ladro, le prime lettere sul razzismo, sui fenomeni delle nuove povertà. Con un’idea che fu anch’essa sconvolgente. Anzi due idee che segnarono quella vicenda: la prima il volto, l’etica del volto. Dov’è il Cristo? Nelle prediche? Nel tabernacolo? È in cielo? È avvolto in qualche magia della liturgia? Dov’è il Cristo? È nel volto, nel volto dei poveri. È nel volto di Massimo, che è ladro. È nell’etica del volto, l’etica più cancellata da questa cattiva modernità. Noi abbiamo sostituito l’etica del “Volto” con l’etica del volto, bisogna riscoprire quest’etica del “Volto”, e praticare l’irrinunciabile richiesta della ricerca del “Volto”. Questo era il punto decisivo. Non dimenticava mai Don Tonino, che il Tempio è il corpo di ogni persona, è la dignità di ogni persona. Questa è stata per noi una lezione sconvolgente, di cui abbiamo tanto bisogno oggi in cui si giudica “all’ingrosso”, in cui la vita delle persone viene divisa per appartenenza, in cui il genere umano si esprime con “contese” incandescenti su aspetti delicati che riguardano la fragilità delle vite. Oggi in cui rischiamo di tornare a considerare le persone diversamente abili o le persone di altra razza o fede come persone dotate di un grado di dignità o di diritti inferiore al nostro. Don Tonino oggi non è un santino, non è una bella giornata che ci concilia con sentimenti di bontà. È una provocazione contro il nostro conformismo, contro la nostra ipocrisia, contro la nostra pigrizia culturale e contro l’idea che oggi siamo tornati ad un mondo nel quale sono importanti i segni del potere, mentre Don Tonino predicava il “Potere dei Segni”, che aprono percorsi nuovi. La seconda idea fu poi il tema della pace, che non fu semplicemente sciorinare delle citazioni, come quelle di Isaia, che dice «forgeranno le loro spade in vomeri», cioè trasformeranno strumenti della guerra in strumenti del lavoro. Aggiunge Isaia che nessun popolo leverà le armi contro un altro popolo, e nessun uomo si eserciterà più nell’arte della guerra. Isaia dice queste tre cose, che Don Tonino fa sue e che gli creeranno qualche problema con le gerarchie ecclesiastiche. Bisogna convertire l’economia di guerra in economia di pace. Bisogna educare i popoli alla risoluzione pacifica dei contenziosi tra le nazioni. Bisogna educare ogni individuo ad assumere la non-violenza come parametro della relazione con l’altro. Questo significa cancellare nella discussione pubblica la convinzione che l’altro interlocutore sia nemico. L’altro è diverso, ed è portatore della tua ricchezza. Il mondo nuovo che annuncia Don Tonino è il mondo della convivialità delle differenze, in cui le differenze non si fanno la guerra, ma si arricchiscono, si scoprono. Questo può appartenere al piano della suggestione letteraria. Ma Don Tonino fa firmare a tutti i Vescovi di Puglia un documento contro l’installazione degli F16 a Gioia Del Colle. Fa una battaglia contro la regione Puglia che aveva offerto alcune migliaia di ettari delle Murge per costruire dei poligoni militari, trasformando quindi un pezzo del territorio pugliese in delle servitù militari. Fa una battaglia contro l’ingrandimento del porto di Taranto per accogliere la nave militare Garibaldi. Dice nome e cognome degli oggetti che, sul suo territorio, contrastano concretamente il percorso di pace. E costruisce un documento, firmato da tutti i Vescovi pugliesi, che resta una pietra miliare della nostra storia civile, affinché? la Puglia diventi non un arco di guerra verso
i paesi del sud del mondo, ma diventi un’arca di pace. E sostiene fermamente, nell’epoca in cui Gheddafi lanciò un missile verso l’isola di Lampedusa, che non si poteva accettare quella provocazione per generare una risposta fatta di militarismo e di rincorsa delle armi. Fece tutto questo e scioccò la politica, il mondo dei benpensanti, con i giornali, con i loro più noti giornalisti, che scrissero di tutto
contro Don Tonino, alla fine perseguitato. «Beati i perseguitati a causa di giustizia. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio». Quante cose diciamo la Domenica che non hanno conseguenza nella nostra vita, perché per noi la fede è stato lo scudo di una grossa ipocrisia sociale. Don Tonino rompe questo scudo. C’è un’ultima cosa che ci tengo a sottolineare. Era la prima volta che mi capitava un prete, un Vescovo, che non aveva una specie di laser negli occhi. Quello che scruta nel recinto dei tuoi peccati. Era la prima volta che avevo di fronte un prete che, a modo suo, volesse convertirmi. Gli chiesi il perché, ma quel colloquio appartiene ai doni che Dio ha voluto dare alla mia vita. Io non capivo questa latitudine dell’amore che c’era in Don Tonino, poi l’ho capita leggendo i suoi testi. Che cos’è l’amore per Don Tonino? L’amore è una voce del verbo morire.
Cos’è, pensai, letteratura sadomaso? Poi riflettei e fu bellissimo. Amore significava uscire fuori da sé, accogliere l’altro, per morire delle proprie certezze. Se tu vuoi accogliere, un po’ devi morire. L’atto dell’accogliere, l’atto dell’amore è un atto di grande cambiamento. Per questo, amore voce del verbo morire.
È difficile detto così, ma lui l’ha detto in maniera più bella: «Dicono che gli uomini sono angeli con un’ala soltanto, devono tenersi abbracciati per poter volare».
È il volo più bello che con queste parole ci ha regalato Don Tonino, un volo che è difficile, chiusi come siamo nelle nostre classi, educati agli status symbol, al Grande Fratello, ai video-telefonini, con cui talvolta riprendiamo la povertà degli altri e le nostre miserie. Noi adulti che abbiamo poco insegnato ai più giovani. Però c’è un punto all’interno del quale ciascuno di noi deve fare i conti con la
propria fragilità, con la propria solitudine. Un punto in cui ci accorgiamo di avere un’ala soltanto e di aver bisogno di quella che Don Tonino chiama un’ala di riserva. No, non ci sono ali di riserva, se vogliamo volare dobbiamo abbracciarci a qualcun altro. Solo così, ci ha detto Don Tonino, e gli siamo grati per questo, possiamo imparare a volare.

dalla prefazione al volume

Nessun commento:

Posta un commento

I prodotti qui in vendita sono reali, le nostre descrizioni sono un sogno

I prodotti qui in vendita sono per chi cerca di più della realtà

Cerca nel blog

Tower of god. Vol. 13 di Siu

 PUBBLICITA' / ADVERTISING Si dice che chi riesca ad arrivare in cima alla torre possa vedere esaudito qualunque desiderio. Rachel è una...