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mercoledì 7 ottobre 2009

"Nevica e ho le prove. Cronache dal paese della cicuta" di Franco Arminio, Editori Laterza (Bari, 2009). Recensione di Nunzio Festa

Dopo “Vento forte tra Lacedonia e Candela. Esercizi di paesologia”, la bellissima collana Contromano dell'editore Laterza, accoglie l'almeno altrettanto accattivante e ustionante “Nevica e ho le prove. Cronache del paese della cicuta”. Se con Vento forte Arminio entrava maggiormente nei paesi, ora Franco Arminio entra soprattutto nelle persone. Più che entrarci, però, ne esce. Per offrire, quindi, un momento significativo e insignificante. Una vita. Arminio, ancora una volta in veste di paesologo malato di malattia, garantisce alla normalità della desolazione che vive quotidianamente il diritto all'evocazione. In terre purtroppo rotte, dalla marginalità. La stessa marginalità che potrebbe salvare e già ha fatto salvezza. Nel paese della cicuta dove comunque anche, e nonostante i tanti problemi e difetti delle persone, un morto qualsiasi messo in affissione ha dignità senza pregiudizi. Il poeta Franco Arminio usa il linguaggio di sempre. A cavallo fra poesia e prosa. Con quella normale cura per la parola spontanea, polemica, preziosa. Arminio infila nel corpo dell'opera un narratore che sa sperimentare le lande di tutte quelle donne e uomini che affollano, spesso vergati dalla forza dell'invisibilità, quei paesi che sa. L'obiettivo dell'autore non è dichiarato. Ma è sempre lo stesso, dunque. Il racconto. Dell'epica normalità. Anche se questa volta non c'affacciamo troppo sopra i paesi eppure di nuovo ci stiamo in mezzo. Il volume, che l'autore ha lungamente tenuto in fase di gestazione, è costruito per avere un impianto che siano le narrazioni stesse. Dunque, il libro è diviso in sezioni. Grazie alle quali, per esempio, si può incontrare un Sivizia come un Rocco Menna. Oppure andando più avanti quelle miniature che sono nient'altro e niente di più di aforismi, ma con la particolarità nuovamente d'Arminio che è quella dei protagonisti dei tempi disegnati. L'effetto prodotto dalle miniature non è costante, la resa a volte lascia a desiderare. Però gli accenti e gli accenti, i toni e le tirate che poi sono più abbondantemente ripartite nel resto della modulazione danno ugualmente grazia dolorifica. Arminio, con questa nuova opera, si conferma quale narratore dei luoghi e delle psicologie, conoscitore del materiale che utilizza e divulgatore di quella prosa sensuale che ci tiene ogni volta agganciati alla carta. In virtù dei racconti non possiamo dimenticare cosa l'emarginazione produca nella gente. Quello che ancora ci dice Franco Arminio è che si deve osservare e conoscere. La sua maestria di scrittore ci permette di entrare vicende che appartengono all'umanità e a volte al sentiero imprevedibile della odierna disumanità.

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