Cerca nel blog

giovedì 3 maggio 2007

Il libro di Egon

A quanti ritenevano di essersi lasciati debitamente alle spalle spleen e simili, mi permetto di consigliare il lavoro di Stefano Zangrando dal titolo Il libro di Egon, per i tipi di Greco e Greco editori di Milano (www.grecoegrecoeditori.it), nella collana Meleusine diretta da Vittorio Orsenigo. Egon Ventura, approda a Berlino per la prima volta, alla veneranda età di venticinque anni, dove l’attende un corso di tedesco al rinomato Goethe Institut e un tirocinio da portare a termine in apposite “gabbie d’apprendistato” individuate dal medesimo ente. Il protagonista, che misura il suo soggiorno attraverso categorie dermografiche di eichendorfiana memoria (Vita di un perdigiorno), si troverà a non reggere il peso di una metropoli cosmopolita e plurisemantica, i cui codici azzerano qualsiasi possibilità di costruzione di dialogo. Il riconoscimento dell’altro avviene nella trasformazione/trasmutazione del termine latino alter (altro per l’appunto) in ater (aggettivalmente atroce), la cui voracità cannibalica, riduce di fatto all’osso qualsivoglia presenza agente nelle vicende narrate. Non è un caso che ad esempio il lettore di quest’opera non venga debitamente fornito di coordinate temporali per potersi più agevolmente muovere nel lento dipanarsi delle vicende narrate. E non è una questione di sublimazione di categorie emozionali. Per di più la scelta di condensare gli attimi, o meglio cristallizzarli, o ancora museificarli per la precisione, aumenta l’atmosfera asfittica che permea l’intero libro, dove la tendenza alla sopravvivenza viene resa ancora più greve, da una sorta di cecità nella costruzione di un incontro autentico possibile, venendo quindi a inficiare una potenziale apertura individuale, soggettiva alla conoscenza. Egon, è pieno di dubbi e inquietudini, gode del dubbio stesso nella ricerca della verità, o in maniera più puntuale di una via di fuga dalla certezza di una verità dove il respiro dell’intuire ha buon gioco, mentre intorno tutto è nausea. In Egon (per sottostima e per inettitudine, decadente ma non troppo, pulp ma non troppo, tendente al pop con scarso successo) vengono a sintetizzarsi quelle peculiarità proprie di vecchi personaggi, a tutti noti da tempo, della storia della letteratura italiana: Emilio Brentani, Alfonso Nitti, lo stesso Zeno. E come Svevo l’autore lavora su una materia di selezione stilistica, lessicale, deliberatamente incolore, talvolta banale, spregiudicatamente dimessa, arida, strumentale però allo svelamento di un’ironia melanconica, che permette al lettore di osservare gli ingranaggi degli alibi mistificatori, le false convinzioni, i vicoli ciechi dei drammi personali. Il fatto è, in tutta sincerità, che l’espressività di Zangrando, trasparente e malleabile, tattile sulle cose da dire, sugli accadimenti immiserenti della quotidianità, senza alcun guizzo o accensioni di sano egoismo, non risponde a quei parametri indispensabili ad un miniaturiale intarsio argomentativo circa una plausibile anche se scialba materia autoanalitica, non in dolby surround, o in technicolor, né tanto meno in bianco e nero. Egon in fondo si muove su una tensione fondamentale che è quella della “riuscita”, del self-made-man, alla ricerca nel capoluogo teutonico, della pepita d’oro che lo trasformerà nella caricatura di uno zio Paperone (per paradossi naturalmente). L’imprinting ontologico è quello del salotto borghese di provincia, dove la nuova progenie deve riscattare col successo, il fallimento degli avi. E giù pesante allora, con croniche insoddisfazioni, gelosie, dissidi, rancori, tutto l’armamentario per allestire un teatrino delle oscenità, dove ciascuno recita la parte di una vita che non gli appartiene ( non solo Egon, ma anche altre comparse come Laura, Zoe, Selene, Chantal, Weber e altri), nell’inesorabile piattezza del giorno dopo giorno in cui hanno ampia libertà l’urto di malesseri, di ipocrisie, di capricci (mai autentiche passioni), veleni dell’anima a cui non si può trovar alcun rimedio, frutto dell’incapacità di riassumere sulle proprie spalle il peso di responsabilità o scelte, e quindi di rigor d’analisi, che produce dinamicità e forza. Zangrando pare compiacersi nel farsi portavoce di quella pesantezza che Nietzsche attribuiva al popolo tedesco per quella sua incapacità genetica di reggere il dionisiaco, e che in questa sede si manifesta in tutto il suo fulgore. E Berlino (eccetto una sua congenita pretesa “egon-centrica” di essere Storia) diviene oltre che pre-testo di scambio ecolalico di relazioni, tensione endoscheletrica di Egon a percepire la città come visione, al di là delle leggi immediate della realtà che la contraddistinguono, di un movimento che è Eros, dimorante in ogni dove. Al di là di qualche ovvietà, come la vita di uno studente fuori dai confini della madre-patria molto simile a quelle dei college americani ( sesso, alcool e rock’n’roll, e singolari bravate), il libro in oggetto ha un suo pregio fondamentale, che è quello di rimanerti dentro per lungo, lungo tempo. Custodirai il malessere di Egon con una strana morbosità, e non mancheranno occasioni di fermare lo sguardo sulla sua copertina, mentre passi in rassegna i libri della tua biblioteca, con una malcelata voglia di rileggerlo, perché Zangrando ti sembrerà di conoscerlo da chissà quanto.

Stefano Zangrando, Il Libro di Egon, Greco e Greco editori, pp.244, 2005 (da www.musicaos.it)

Nessun commento:

Posta un commento

I prodotti qui in vendita sono reali, le nostre descrizioni sono un sogno

I prodotti qui in vendita sono per chi cerca di più della realtà

Cerca nel blog

Galvatron - il tiranno folle

 PUBBLICITA' / ADVERTISING Galvatron è una figura complessa e affascinante all'interno del franchise Transformers. La sua esistenza ...